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Discussione: Il PD di Veltroni

  1. #1
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    Predefinito Il PD di Veltroni

    La nuova formazione del centrosinistra
    Il partito americano


    di Paolo Mieli

    Il modo critico, talvolta ipercritico (giustamente ipercritico) con il quale un po’ da tutti è stata seguita la gestazione del Partito democratico, va oggi lasciato da parte per fermarci a riflettere in modi più appropriati su cosa rappresentino e cosa siano le assise con cui di qui a domenica Ds e Margherita si scioglieranno. Come prima cosa va osservato che, al di là degli esiti che potrà avere l’operazione, siamo al cospetto di un evento di dimensioni storiche. Quattro anni fa, quando il lungimirante Michele Salvati propose la fondazione di questo partito, il suo isolamento fu pressoché totale. E ancora pochi mesi fa lo scetticismo era prevalente. L’idea che l’esperienza organizzativa del comunismo e del postcomunismo italiano nonché quella della sinistra Dc e di parte dell’area laica intermedia potessero avere fine con lo scioglimento dei due partiti in un unico contenitore, appariva ingenua o eccessivamente ambiziosa. E invece ciò accade.
    Non ci sembra poi di scarso rilievo la circostanza che i fondatori della nuova formazione politica, anziché ispirarsi a una delle denominazioni del centrosinistra europeo, abbiano optato per quella del più antico partito statunitense, il partito di Franklin Delano Roosevelt ma anche dell’anticomunista Harry Truman, di John Kennedy ma anche del «guerrafondaio» Lyndon Johnson e poi di Jimmy Carter e di Bill Clinton. Chi conosce la storia americana sa quanto apparenti fossero le contrapposizioni tra questi presidenti e quanto diverso da quello della nostra sinistra sia sempre stato il rapporto del Democratic Party con parole come democrazia o guerra. Quel nome, Partito democratico, implica la collocazione di radici importanti del nuovo albero dall’altra parte dell’oceano. Implica in buona sostanza la scelta del modello americano anche se ancora a lungo, per prudenza e dissimulazione, ciò verrà negato. Quantomeno nel discorso pubblico.
    Nella storia di questo dopoguerra c’è un precedente dell’attuale matrimonio (sia pure allargato) tra Ds eMargherita: l’unificazione socialista del 1966. Un precedente sfortunato, che può essere portato a esempio solo di quel che non si deve fare. La fusione di due apparati recalcitranti, socialista e socialdemocratico, produsse scissioni, un flop elettorale (nel 1968) e la rottura dell’anno successivo, quando Psi e Psdi ripresero ognuno la propria strada. A onore dei contraenti del patto odierno va detto che, pur se gli errori di quarant’anni fa possono essere commessi di nuovo tutti e in parte sono già stati commessi, in caso di disfatta l’esito non potrà essere lo stesso; nel senso che, se dovranno ridividersi, i due partiti non potranno mai tornare ad essere quel che sono adesso. Ds e Margherita, a differenza dei socialisti degli anni Sessanta, si muovono dunque senza rete. E questo nobilita l’impresa.
    Tale condizione dovrebbe far sì che da adesso in poi chi deciderà di militare nel partito democratico dovrà dimostrarsi all’altezza della prova. A cominciare dai leader. Anzi dal leader. Oggi ancora non sappiamo chi possa capeggiare il nuovo partito e candidarsi alla guida del governo (un’idea ce l’avremmo, ma non spetta a noi dare questo genere di indicazione). Sappiamo in ogni caso che quel leader deve essere una sola persona — sottolineiamo: una sola persona—e che dovrà uscire allo scoperto nel giro di poche settimane. Solo se guidato fin dai primi passi da un capo certo e carismatico il partito democratico potrà avere successo. Un successo i cui effetti, riverberandosi anche nel campo opposto, possono produrre una stabilizzazione dell’intero sistema. Del che c’è evidente bisogno.

    19 aprile 2007

  2. #2
    Forumista senior
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    Proprio stamane nelle pagine interne cìera un'interessante descrizione della galassia che comporrà questo partito. Citati tra essi i liberali di Zanone e persino i socialisti di Manca e La Ganga. Ma non i repubblicani. Non sono citati nè la Sbarbati, nè Musi, nè Passigli. Dimenticanza? O volontà di oscurare una volta e per sempre la componente repubblicana che aderisce al Partito Democratico? Dico agli amici che credono in questo progetto, riflettete! Se pure un giornale storicamente non lontano dai repubblicani come il Corsera non vi cita, quale ne è la motivazione?

  3. #3
    laico progressista
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    L'ho notato anch'io. Gli unici citati sono Maccanico e Bianco, sotto l'etichetta di "liberali" e l'egida di Zanone.
    Non sbagliava Santori quando spingeva per una mozione laica nei Ds: per quanto esigui sarebbero stati i risultati, avrebbe dato visibilità alla componente, e tirato la volata anche agli altri repubblicani.
    Sull'assenza dei Repubblicani Europei c'è da riflettere molto. Questo conferma quanto la Sbarbati sia stata un serio impedimento alle velleità del Mre su questo progetto. E conferma la sostanziale evanescenza del movimento, distrutto proprio dallo stesso segretario.
    Non credo che tutto questo farà cambiare idea a chi dei nostri crede nel PD in sé. La farà cambiare (e in parte l'ha già fatta cambiare) ai molti che si illudevano che i repubblicani potessero avere considerazione e voce in capitolo in questo contenitore.

  4. #4
    McFly
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    Predefinito Provocazione

    Non credo che tutto questo farà cambiare idea a chi dei nostri crede nel PD in sé.
    Paolo, scusa non ti dispiacere se faccio il violento ed il provocatore sul tuo nuovo gioiellino (ho letto il tuo desclaimer in tal senso) ma fammi utilizzare questo spazio per dire una cosa che penso da tempo e che non ho mai scritto: penso che in tantissimi di noi che credono a questo progetto lo hanno fatto a scatola chiusa delegando la scelta a "terzi", così, per la comodità di non dover pensare e farsi una propria opinione o per semplice pecoronaggio!!


    La farà cambiare (e in parte l'ha già fatta cambiare) ai molti che si illudevano che i repubblicani potessero avere considerazione e voce in capitolo in questo contenitore.
    Uuaaazzz!!!se l'ha fatta cambiare!!!!! io alle riunioni MRE di un'anno e mezzo fa ero quasi minacciato ('vattene con la malfa' ecc) quando dicevo queste "eresie" oggi molti amici varesotto-bergamaschi si son dovuti ricredere ed alcuni hanno avuto anche il lucido coraggio di ammettere che avevo ragione. "Mi basta" (notissima citazione di altro gruppo di discussione, vero Jody ^_*)

  5. #5
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    Il Corriere della Sera, con Paolo Mieli in particolare, conduce da tempo una battaglia a favore del partito democratico. Non è il solo: i maggiori giornali sono favorevoli al partito democratico. Il modo in cui è stato dato conto dell'assemblea di Bertinoro di un mese e mezzo fa è ampiamente dimostrativo in questo senso.
    Trovo la cosa sgradevole, e la considero l'ennesima manifestazione del carattere oligarchico della società, della politica e dell'economia italiana. Trovo singolare che un giornale appoggi un progetto politico invece di un altro, quando il suo compito sarebbe principalmente quello di fornire analisi e strumenti di analisi, ma passi che lo faccia, anche se è una pratica ben diversa da quella dell'"endorsement con cui i giornali angloamericani spesso si dichiarano a favore dell'uno o dell'altro candidato o dell'uno o dell'altro partito alla vigilia delle elezioni, esplicitando le motivazioni della scelta. La realtà è che le motivazioni con cui il Corriere della Sera o La Repubblica si pronunciano a favore o contro un progetto politico sono solo di facciata, considerato che entrambi i giornali sono espressione di interessi finanziari ben definiti e che nessuno crede che se Carlo De Benedetti si dichiara a favore di un progetto politico lo faccia in maniera disinteressata.
    Circa il trattamento riservato all'MRE, non c'è molto da dire. Credo che tutti ricordiamo la famosa intervista alla Sbarbati tra una lasagna e l'altra. Resta il fatto che un aspirante leader politico che non riesce a scrollarsi di dosso un'immagine provinciale e pittoresca dopo che ormai dal 1992 ricopre incarichi parlamentari nazionali ed europei non può certo prendersela con la stampa. A differenza di Zanone o di altri, la Sbarbati o Musi non sono capaci di fare interventi politicamente ricchi di contenuti e "bucano" le occasioni in cui potrebbero accreditarsi come esponenti politici di peso, se non numerico, quanto meno "ideale". Queste cose gli interlocutori, politici e giornalistici, le capiscono, e i risultati non possono che essere questi.

  6. #6
    laico progressista
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    Come spesso succede con Jan, condivido alla lettera.

    Per quanto riguarda i quotidiani, Repubblica e il Corriere stanno abdicando al ruolo che hanno avuto fino a qualche tempo fa, e che dovrebbe caratterizzare i quotidiani di larga diffusione: quello di pilotare l'opinione pubblica (e la politica) su soluzioni ragionevoli. Saltano semplicemente sul carro di chi appare più forte, e soffiano per spingerlo. Con evidenti discrasie tra le analisi politiche (spesso lucide) e le soluzioni caldeggiate (in aperta contraddizione).
    Eugenio Scalfari, che ha segnato la mia coscienza politica dall'adolescenza a qualche anno fa, è da tempo diventato illeggibile. O è un problema di età (la demenza senile è sempre dietro l'angolo, arrivati ad un certo punto) o è un problema di interessi. Nel caso di Ezio Mauro e Paolo Mieli, persone intelligenti che non hanno mai nascosto i limiti di questo sistema, è chiaramente un discorso di interessi.

  7. #7
    laico progressista
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    Fassino ha fatto un discorso perfetto, ieri.
    Un "discorso arcobaleno", che ha ben accontentato tutti: socialisti, democratici, moderati e progressisti, laici e cattolici. Ce n'era perfino per i "nostalgici", invitati a proseguire nel confronto. A seconda del passaggio, ognuno poteva leccarsi i baffi, salvo sbigottire sentendo quelli precedenti o successivi.
    Quel discorso è stato il ritratto preciso di questo partito, che deve tenere assieme tutto e il suo contrario.

    Diciamo comunque una cosa, al di là di polemiche che possono anche apparire pretestuose.
    Fassino ha fatto il miglior discorso che si potesse fare.
    Un discorso anche assai elevato e brillante, efficace in molti passaggi, anche difficili. E' stato bravo.
    E non si può evitare di riconoscere che il Partito Democratico che ha dipinto, arlecchino quanto si vuole, coincida con un modo di vedere la politica diverso da quello che abbiamo avuto finora. Le concessioni al popolo delle primare, alla massa informe dei "cittadini" ci sono state, ma non sono state il punto centrale della questione. E questo è importante, perché aiuta a capire meglio cosa intende Fassino: al di là della retorica, non un partito di massa indefinito (alla Veltroni), ma un partito di mediazione. Capace di mettere a confronto culture e di sfornare proposte già belle e pronte per far avanzare il Paese.
    Questo Fassino lo ha fatto capire molto bene.

    In attesa di sentire l'altra campana Rutelli, però, diciamo subito che questo modo di concepire la politica parte da un presupposto di fondo che, a mio avviso, è sbagliato: un partito che nasce come mediazione tra istanze molto diverse (mettiamo pure una mediazione alta, "di progresso", anche se non è affatto detto che sia così), impedisce le variabili alternative.
    Se noi ad esempio crediamo in una società profondamente laica, crediamo in determinate linee di sviluppo, crediamo in un modello liberale e non assistenziale, crediamo in determinate scelte di politica industriale e di politica internazionale, per noi è importante che queste idee si misurino con l'opinione pubblica, e che trovino conferma e valore attraverso la forza del voto.
    E' il voto che decide quanto e quando un'idea possa camminare o meno. E' il voto a cambiare equilibri, a cambiare politiche. Se tu al voto sottoponi una pappa già pronta, un'unica proposta già filtrata e mediata, non cambi mai nulla. Decidi semplicemente che la tua direttrice mediata e il punto di equilibrio che riesci a trovare sono le costanti su cui indirizzare il Paese. Punto e basta.
    In altre parole, decidi solo che esiste un unico laboratorio dove tutto si produce, e la gente deve solo decidere se gli piace o no. Non trova modo di sposare e proporre modelli diversi.
    E' questo il vero grande limite non solo del Partito Democratico, ma soprattutto del bipartitismo a cui il PD vorrebbe tendere (perché se non è a vocazione bipartitica, una cosa del genere è debolissima, e non ha molta ragione di esistere, se non come approdo per due partiti che hanno perso le rispettive bussole).
    Dunque, al di là dello spirito di sopravvivenza che dovrebbe tenere lontani noi repubblicani, c'è soprattutto questo modo di vedere la politica a farci prendere le debite distanze.
    La politica è pluralismo. Non un pluralismo nel chiuso di un recinto partitico (per quanto astrattamente aperto alla gente) che comunque deve sempre mediare al suo interno. Ma un pluralismo tra partiti diversi, tra culture diverse, tra proposte diverse che si misurano, tutte e tutte insieme, direttamente con l'elettore. La democrazia vera è questa.
    Un partito che si chiama "democratico", e che pretende di riassumere solo dentro se stesso una metà della vita democratica del Paese, è la morte della democrazia.
    Come diceva qualcuno, il bipartitismo è solo l'ultimo stadio prima del partito unico.

  8. #8
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    il partito democratico è il partito truffa. parole bellissime, futuro roseo, unione dei riformismi, basta liti nelle sinsitre, laico e attento ai cattolici...tutto e niente.

    un partito tutto e niente nobn mi interessa. interessa solo a chi deve gestire il potere e deve essere malleabile e attrarre voti da quante piu' parti possibili. infatti pure di pietro(anche se in maniera molto meno raffinata) sta adottando una tattica analoga.

    preferisco la gente schietta, sincera, coerente, che chi troppo vuole e nulla stringe...se non le poltrone.

  9. #9
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    mah, io ho l'impressione che rutelli abbia azzeccato la mossa.Dovevate veder la facci di de mita. Per Fassino sarà la distruzione e solo questo lo riterrei positivo e non vedo come possano i repubblicani domani contrastare il partito democratico che rifiuta l'adesione al pse e mette dei paletti all'influenza della chiesa - quelli che che non mette casini. Io vedrò se mi pigliano ancora nella legione straniera.

  10. #10
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    Scritto in origine da Paolo Arsena
    questo modo di concepire la politica parte da un presupposto di fondo che, a mio avviso, è sbagliato: un partito che nasce come mediazione tra istanze molto diverse (mettiamo pure una mediazione alta, "di progresso", anche se non è affatto detto che sia così), impedisce le variabili alternative.
    Se noi ad esempio crediamo in una società profondamente laica, crediamo in determinate linee di sviluppo, crediamo in un modello liberale e non assistenziale, crediamo in determinate scelte di politica industriale e di politica internazionale, per noi è importante che queste idee si misurino con l'opinione pubblica, e che trovino conferma e valore attraverso la forza del voto.
    E' il voto che decide quanto e quando un'idea possa camminare o meno. E' il voto a cambiare equilibri, a cambiare politiche. Se tu al voto sottoponi una pappa già pronta, un'unica proposta già filtrata e mediata, non cambi mai nulla. Decidi semplicemente che la tua direttrice mediata e il punto di equilibrio che riesci a trovare sono le costanti su cui indirizzare il Paese. Punto e basta.
    In altre parole, decidi solo che esiste un unico laboratorio dove tutto si produce, e la gente deve solo decidere se gli piace o no. Non trova modo di sposare e proporre modelli diversi.
    E' questo il vero grande limite non solo del Partito Democratico, ma soprattutto del bipartitismo a cui il PD vorrebbe tendere (perché se non è a vocazione bipartitica, una cosa del genere è debolissima, e non ha molta ragione di esistere, se non come approdo per due partiti che hanno perso le rispettive bussole)
    .
    Sono rimasto molto colpito da questa parte dell'intervento.
    A mio parere è comprensibile che, all'interno di un partito, convivano posizioni diverse, anche con asprezza. Il punto è: come si dirimono i conflitti tra linee politiche alternative? A livello di una comunità nazionale ci sono le elezioni, che stabiliscono chi vince e chi perde; anche all'interno di un partito ci devono essere dei momenti della verità, in cui si sceglie una linea politica. Ai DS in questo caso si deve dare atto di avere scelto, e onore a Mussi ed ai suoi seguaci che ne traggono le logiche conseguenze.
    Ma quali "momenti della verità" sono ipotizzabili in un partito come il futuro partito democratico, che nasce senza identità e senza una cultura politica di riferimento? Ovviamente, nessuno. Al di là delle affermazioni di principio e dei pii desideri circa il "partito aperto alla ggente", un partito del genere non può che nascere e sopravvivere all'insegna della mediazione continua tra apparati e cordate che la pensano diversamente e che, non possedendo una cultura politica condivisa, sia essa socialista, liberale, conservatrice, cristiano-sociale, comunista o altro, non ha motivo per condividere neanche i dissensi.

    C'è questo dietro la controversia sull'adesione al PSE e all'Internazionale Socialista: c'è il tentativo, o il rifiuto, di dare un'identità ad un partito che, per il momento, non ne ha alcuna.

 

 
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