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    vetera sed semper nova
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    Predefinito 22 giugno - S. Paolino da Nola

    NIENTE GLI FACEVA PERDERE LA PAZIENZA

    Se le Poste Italiane cercassero un santo patrono per il proprio servizio si potrebbe suggerire senza difficoltà il vescovo San Paolino da Nola, che di lettere scritte e spedite ha avuto una grande esperienza. Ebbe infatti durante la sua esistenza una intensa corrispondenza, che oltre ad essere un dovere sociale era per lui anche un piacevole intrattenimento da intellettuale e da aristocratico.
    Le lettere tramandateci risultano una specie di autobiografia pastorale e spirituale, e anche se scritte secondo i canoni della epistolografia antico romana, tuttavia traboccano del sentimento di amicizia e fraternità, trasmettono emozioni e confidenze, descrivono conquiste spirituali ed intuizioni di santità. Non solo parlano delle vicende del proprio gruppo (comunità monastica) ma si mostrano sempre aperte alle grandi (e gravi) prospettive della Chiesa contemporanea universale. In esse sono presenti varie problematiche e in diversi campi: dall’ascetismo monastico all’esegesi biblica, dalla teologia all’ecclesiologia giù fino alla poetica.
    Paolino da Nola ebbe un nutrito e interessante carteggio con alcuni “pezzi grossi” degli intellettuali della Chiesa d’Occidente di allora. Ricordiamone alcuni: il vescovo e teologo Agostino di Ippona, lo studioso e traduttore della Bibbia (la Vulgata) Girolamo (a Betlemme) ed il vescovo Ambrogio di Milano.
    Questi appena citati sono considerati i tre grandi Padri della Chiesa d’Occidente, vere colonne portanti. Scambiò lettere anche con altri personaggi famosi del tempo: Alipio vescovo di Tagaste (Africa), Delfino vescovo di Burdigala (Gallia), Sulpicio Severo (autore della Vita di San Martino), col filosofo Giovio e con Rufino, altro uomo di cultura del tempo. Le sue lettere avevano come meta l’Africa, la Gallia, la Dacia (odierna Romania), la Palestina e naturalmente Roma. Lettere che hanno grande importanza per la conoscenza della storia del cristianesimo di allora, di alcune problematiche teologiche roventi (come il pelagianesimo) e di alcuni suoi personaggi di spicco. Paolino viveva sì in una comunità monastica, era pastore di una città, Nola, che non era al “top” tra quelle grandi e famose dell’Impero Romano, ma il suo sguardo si estendeva a tutta la Chiesa universale. Un particolare interessante. I corrieri che arrivavano nell’autunno o all’inizio dell’inverno non potendo ripartire subito si davano alla bella vita... monastica con la sua comunità (di Paolino) e, passato l’inverno (in cui era difficile viaggiare) ripartivano caricati delle nuove lettere, e, cosa che non guastava, ri-caricati spiritualmente da lui. E così il Nostro, grazie al loro lavoro, rimaneva in comunicazione con i suoi tanti amici sparsi ai quattro venti.


    Da magistrato a Roma a governatore della Campania

    Ponzio Meropio Anicio Paolino (questo era il suo nome completo) nacque nel 353 a Burdigala (l’odierna Bordeaux) da una famiglia romana senatoriale, ricca e famosa, proprietaria di vasti possedimenti (latifondi) nella Gallia meridionale (Aquitania), in Spagna e in Campania. I suoi genitori erano cristiani e quindi fecero educare cristianamente anche Paolino. Ma non lo fecero battezzare, come si usava allora. Avrebbe deciso lui se e quando ricevere il battesimo come premessa ad una vita autenticamente cristiana. Per l’educazione e l’istruzione del loro figlio scelsero il meglio, un precettore privato: ecco quindi il piccolo nelle mani di Ausonio, poeta e uomo politico di vastissima cultura. Paolino fece una breve esperienza politica a Roma come magistrato, cosa che gli spalancò le porte del Senato dell’Impero e gli meritarono anche il prestigioso incarico di governatore della Campania (380).
    Nella sua permanenza, conobbe la religiosità popolare, convinta ed esuberante, degli abitanti di Nola, particolarmente durante la festa di San Felice. Fu un colpo di fulmine religioso. A questo santo il giovane Paolino consacrò il proprio cuore (e, segno esteriore, il taglio della barba). Questa devozione particolare lo accompagnerà tutta la vita, specialmente quando sarà vescovo di Nola.
    Intanto il barometro della politica romana e imperiale volgeva al peggio: trame oscure, liti, rivolgimenti non incruenti e congiure di palazzo. Questa lotta per il potere culminò nell’assassinio dell’imperatore Graziano ad opera dell’usurpatore Massimo (383).


    Verso Cristo

    Paolino, respirata la brutta aria politica che tirava e che non gradiva per niente, interruppe la propria carriera politica, e se ne tornò in Gallia, a Bordigala. Lungo il viaggio fece anche visita ad Ambrogio di Milano: questi lo spronò ad una vita cristiana totale. Le parole di quel santo vescovo cadevano su un terreno fertile e preparato. Paolino infatti stava attraversando un periodo di seria riflessione proprio riguardo al proprio futuro da cristiano. Quell’incontro non fu dimenticato. Sulla cronologia dei fatti durante il decennio 380-390 non tutti gli studiosi sono d’accordo. Però, fu durante uno dei suoi viaggi nei possedimenti in Spagna che conobbe e sposò una donna degna di lui: Terasia. Da lei ebbe anche un figlio che purtroppo morì dopo pochi mesi di vita. Questo dolore, sommato a quello della perdita del fratello, lo convinse a tornare in Aquitania. Qui si diede ad una intensa vita sociale: ritrovò il suo precettore Ausonio, strinse amicizia con il giovane avvocato Sulpicio Severo e con altre persone culturalmente elevate. In questa ritrovata gioia sociale tutto sembrava bello se non fosse per una malattia agli occhi che lo tormentava. L’amico Sulpicio Severo lo convince ad andare da Martino (di Tours) che godeva di grande fama, anche come taumaturgo. Paolino fu infatti guarito per intercessione del santo vescovo.

    Paolino riceve il battesimo e vende i beni

    Ottenuta la guarigione il cammino dei due amici prese direzioni diverse. Mentre il giovane e brillante avvocato Sulpicio, affascinato dalla vita monastica condotta dalla comunità di Martino, si univa a loro, Paolino tornato a Bordigala ricevette il battesimo ad opera del vescovo Delfino. Poi sul modello del grande monaco Antonio, anche Paolino (in santo accordo con la moglie Terasia) vendette i beni dando il ricavato ai poveri. Più tardi scriverà: “Con tutti i miei beni terreni io ho pagato la speranza del cielo, poiché la speranza e la fede valgono più delle ricchezze del mondo”.
    Inutile ricordare che quel gesto attirò su Paolino e consorte una pioggia di critiche dei cosiddetti ben pensanti: tra questi Ausonio, il poeta e il grande uomo di cultura nonché suo ex precettore, in prima fila. Lui resistette alle critiche, facendo capire che ne aveva già abbastanza della mitologia pagana con il suo codazzo di dèi e semidei peggiori degli uomini. Questa conversione diede una sterzata anche al Paolino poeta: si convinse infatti ad abbracciare un modo di fare poesia cioè una poetica più consona con il nuovo credo e con la nuova mentalità. Era un taglio deciso (e, immaginiamo, non indolore) con parte del suo passato culturale. Respirava aria nuova, culturalmente parlando, e desiderava (insieme alla moglie Terasia) una vita nuova, più seria, più asceticamente impegnativa, più cristiana. Marito e moglie (sempre di comune e santo accordo) puntavano insomma alla vita monastica. Un progetto da realizzare insieme: qualcosa di rivoluzionario (allora come anche oggi). Progetto che non venne messo in crisi nemmeno dalla ordinazione sacerdotale (forzata cioè a “furor di popolo”, proprio come il grande Ambrogio che fu proclamato vescovo così su due piedi, in piazza), avvenuta a Barcellona nel 394. Paolino stesso raccontò l’episodio con queste parole: “Fui preso all’improvviso e a viva forza dalla moltitudine – ritengo però per disposizione di Dio – e fui ordinato sacerdote. Ciò avvenne con mia riluttanza, non per disprezzo della dignità sacerdotale (...) ma perché, sentendomi destinato altrove e avendo la mente fissa e raccolta in altro luogo, ebbi paura di questo strano e inatteso decreto della volontà di Dio”.
    Paolino pose però una condizione: quella di non essere vincolato al clero di Barcellona. Aveva un progetto diverso e la mente altrove. Dove, con Ambrogio a Milano? No, più a sud nella “Campania felix” che aveva già ammirato da governatore e più vicino al “suo” santo preferito, San Felice.
    E così nel 395 Paolino e Terasia, marito e moglie, si stabilirono a Nola fuori le mura, presso il santuario di San Felice (oggi comune di Cimitile). Iniziava così la loro avventura monastica: il loro progetto tanto sognato diventava realtà.
    Furono costruiti due monasteri distinti, maschile e femminile, due comunità diverse, ma unite dallo stesso ideale. In comune e santo accordo Paolino e Terasia vivevano in monasteri distinti, ma i loro cuori non erano distanti. Erano lontani fisicamente, ma non spiritualmente. Non abitavano dentro la stessa casa ma “vivevano dentro” lo stesso progetto di vita. Erano felici e contenti, separati e tuttavia uniti profondamente nell’amore a Dio e al prossimo (nei poveri e bisognosi che loro aiutavano). Un amore così forte e così appagante il loro da condurli fino alla sublimazione del loro amore coniugale. Quasi un miracolo, qualcosa di straordinario (e non facilmente imitabile). Fatto questo che ha valso a Paolino e Terasia una citazione, a distanza di secoli, nel nuovo Rito del Matrimonio della Chiesa Cattolica (2004).


    Difensore della fede

    Nel 409 Paolino divenne vescovo di Nola, servizio che esercitò per più di vent’anni con grande zelo verso tutti specialmente i poveri e con illuminato equilibrio pastorale, specialmente durante l’invasione dei barbari Visigoti di Alarico.
    Questo suo innato equilibrio lo dimostrò anche in occasione di due controversie (scismi o eresie) in cui suo malgrado si trovò ad essere interpellato. La prima riguardo ad Origene, grande intellettuale della Chiesa d’Oriente. I duellanti erano Girolamo e Rufino, ambedue amici e corrispondenti suoi. La seconda riguardava il pelagianesimo (poi condannato come eresia). Questa volta invece i principali contendenti erano il monaco britannico Pelagio (che aveva conosciuto a Roma e forse ospitato a Nola) e il vescovo Agostino di Ippona. Anch’essi, tutti e due, suoi amici.
    Fu in ambedue le vicende sempre mite e misericordioso per l’aspetto umano, anche se inflessibile riguardo all’ortodossia. In realtà, nell’ultima disputa Paolino, sia per naturale temperamento sia per la propria riflessione teologica ed esperienza spirituale, pur rifiutando i due estremismi, sembra che abbia mostrato qualche “simpatia pelagiana”. Insomma era un po’ più verso Pelagio che esagerava la capacità della natura umana in campo morale e salvifico che verso Agostino che esaltava invece il ruolo della Grazia fino quasi a sconfinare in un rigido predestinazionismo. Interessante notare che i vari duellanti teologici tentarono di tirarlo pubblicamente e totalmente dalla loro parte, ma senza successo. Comunque sia, a riprova del suo equilibrio teologico e del suo prestigio di pastore, Paolino venne anche invitato dall’imperatore Onorio a presiedere il Sinodo dei vescovi italiani nel 419 a Ravenna, ma non gli fu possibile per motivi di salute. E subito dopo, quello successivo di Spoleto tra i vescovi africani e italiani. Questa volta però non fu necessario perché la difficoltà fu superata già prima della riunione.
    Il vescovo Paolino morì, carico di anni e di esperienza ma soprattutto ricco di santità, il 22 giugno, quando correva l’anno 431.

    MARIO SCUDU


    Studiò di farsi amare...

    “Nella missione di vescovo non si preoccupò di farsi temere, ma studiò di farsi amare da tutti. Siccome era insensibile alle ingiurie, niente gli faceva perdere la pazienza. Non separava mai la misericordia dal giudizio. Se era costretto a castigare, dava facilmente a vedere che i suoi erano castighi di un padre e non vendette di un giudice irritato. La sua vita era l’esempio di ogni sorta di opere buone, e la sua residenza il sollievo di tutti i miserabili. Chi ha mai implorato il suo soccorso senza riceverne un’abbondantissima consolazione? E qual peccatore ha mai incontrato senza tendergli la mano per rialzarlo dalla sua caduta? Era umile, benigno, caritatevole, misericordioso e pacifico. Incoraggiava i deboli, addolciva coloro che erano di un certo umore collerico e violento. Aiutava alcuni con l’autorità e il credito che gli provenivano dalla carica, altri con la profusione delle sue rendite, di cui si riservava soltanto lo stretto necessario, e altri ancora con i suoi saggi consigli, che si trovano sempre in grande abbondanza nella sua conversazione e nelle sue lettere. Nessuno si allontanava da lui senza desiderare di avvicinarglisi di nuovo e nessuno aveva la fortuna di parlargli senza desiderare di non separarsene mai”.
    (Uranius, De obitu, cfr PL 53,861)


    Fonte: RIVISTA MARIA AUSILIATRICE, 2005, fasc. n. 6

  2. #2
    vetera sed semper nova
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    Lluís Borrassà, S. Paolino, pala, particolare della predella, 1414, Museo episcopale, Vic

  3. #3
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    San Paolino vescovo di Nola, Litografia Rinaldini di Napoli, secolo XIX, Biblioteca Bertarelli, Milano

  4. #4
    vetera sed semper nova
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    S. Paolino da Nola

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    Da dom Prosper Guéranger, L’Année Liturgique - Le Temps après la Pentecoste, Paris-Poitiers, 1903, IX ediz., t. III, p. 261-275

    LE XXII JUIN.

    SAINT PAULIN, ÉVÊQUE ET CONFESSEUR.


    Dans les jours de l'enfance du Sauveur, Félix de Noie était venu réjouir nos yeux par le spectacle de sa sainteté triomphante et si humble, qui nous révèle sous un de ses aspects les plus doux la puissance de notre Emmanuel. Illuminé de tous les feux de la Pentecôte, Paulin s'élève de cette même ville de Noie à son tour, faisant hommage de sa gloire à celui dont il fut la conquête. La voie sublime par laquelle il devait gagner les sommets des cieux, ne s'offrit point à lui, en effet, tout d'abord; et ce fut Félix qui, sur le tard déjà, jeta dans son âme les premiers germes du salut.

    Héritier d'une fortune immense, à vingt-cinq ans préfet de Rome, sénateur et consul, Paulin était loin de penser qu'il pût y avoir une carrière plus honorable pour lui, plus profitable au monde, que celle où l'engageaient ainsi les traditions de son illustre famille. Et certes alors, au regard des sages de ce siècle, c'était une vie intègre, s'il en fut, que la sienne, entourée des plus nobles amitiés, soutenue par l'estime méritée des petits et des grands, trouvant son repos dans ce culte des lettres qui, dès les années de son adolescence, l'avait rendu l'honneur de la brillante Aquitaine où Bordeaux lui donna le jour. Combien, qui ne le valaient pas, sont aujourd'hui encore proposés pour modèles d'une, vie laborieuse et féconde?

    Un jour, cependant, voici que ces existences qui semblent si remplies, n'offrent plus à Paulin lui-même que le spectacle d'hommes «tourbillonnant au milieu de jours vides, et, pour trame de leur vie, tissant d'œuvres vaines une toile d'araignée» (1)! Que s'est-il donc passé? C'est qu'un jour, dans la fertile Campanie soumise à son gouvernement, Paulin s'est rencontré près de la tombe de l'humble prêtre proscrit jadis par cette Rome, dont les terribles faisceaux qu'on porte devant lui signifient la puissance; et les flots d'une lumière nouvelle ont envahi son âme; Rome et sa puissance sont rentrées dans la nuit, devant l'apparition «des grands droits du Dieu redoutable» (2). A plein cœur, le descendant des vieilles races qui soumirent le monde donne sa foi à Dieu; le Christ qui se révèle à lui dans la lumière de Félix, a conquis son amour (3). Assez cherché, assez couru vainement: il trouve enfin; et ce qu'il trouve, c'est que rien ne vaut mieux que de croire à Jésus-Christ (4).

    Dans la droiture de sa grande âme, il ira jusqu'aux dernières conséquences de ce principe nouveau qui remplace pour lui tous les autres. Jésus a dit: «Si tu veux être parfait, va, vends ce que tu as et donne-le aux pauvres; et puis viens, suis-moi» (5). Paulin n'hésite pas. Ce n'est pas lui qui négligera le meilleur, et préférera le moindre (6); parfait jusque-là pour le monde, pourrait-il maintenant ne point l'être pour Dieu? A l'œuvre donc! déjà ne sont plus à lui ces possessions immenses, que l'on appelait des royaumes (7); les divers peuples de l'empire, chez qui s'étendaient au soleil ces incalculables richesses, sont dans la stupeur d'un commerce nouveau: Paulin vend tout, pour acheter la croix et suivre avec elle son Dieu (8). Car, il le sait: l'abandon des biens de ce monde n'est que l'entrée du stade, et non la course elle-même; l'athlète n'est pas vainqueur par le seul fait qu'il laisse ses habits, mais il ne se dépouille que pour commencer à combattre; et le nageur a-t-il donc passé le fleuve, parce que déjà il est nu sur le bord (9)?

    Paulin, dans son empressement, a coupé plutôt qu'il n'a détaché le câble qui retenait sa barque au rivage (10) Le Christ est son nautonnier (11). Aux applaudissements de sa noble épouse Thérasia, qui ne sera plus que sa sœur et son émule, il vogue jusqu'au port assuré de la vie monastique, ne songeant qu'à sauver son âme (12). Un seul point le tient encore en suspens: se retircra-t-il à Jérusalem, où tant de souvenirs semblent appeler un disciple du Christ? Mais, avec la franchise de sa forte amitié, Jérôme qu'il a consulté lui répond: «Aux clercs les villes, aux moines la solitude. Ce serait une suprême folie que de quitter le monde, pour vivre au milieu d'une foule plus grande qu'auparavant. Si vous voulez être ce qu'on vous nomme, c'est-à-dire moine, c'est-à-dire seul, que faites-veus dans les villes, qui, à coup sûr, ne sont pas l'habitation des solitaires, mais de la multitude? Chaque vie a ses modèles. Nos chefs à nous sont les Paul et les Antoine, les Hilarion et les Macaire; nos guides, Elie, Elisée, tous ces fils des Prophètes qui habitaient dans la campagne et les solitudes, et dressaient leurs tentes près des bords du Jourdain» (13).

    Paulin suivit les conseils du solitaire de Bethléhem; préférant son titre de moine à l'habitation même de la cité s'ainte, il chercha le petit champ dont lui parlait Jérôme, au territoire de Noie, mais en dehors de la ville, près de la glorieuse tombe où il avait vu la lumière. Jusqu'à son dernier jour, Félix lui tiendra lieu ici-bas de patrie, d'honneurs, de fortune, de parenté. C'est dans son sein, comme dans un nid très doux, qu'il fera sa croissance, changeant par la vertu de la divine semence du Verbe qui est en lui sa forme terrestre, et recevant dans son être nouveau les célestes ailes, objet de son ambition, qui relèveront jusqu'à Dieu (14). Que le monde ne compte plus sur lui pour relever ses fêtes, ou lui confier ses charges: absorbé dans la pénitence et l'humiliation volontaire, l'ancien consul n'est plus que le dernier des serviteurs du Christ et le gardien d'un tombeau (15).

    A la nouvelle d'un pareil renoncement donné en spectacle au monde, la joie fut grande parmi les saints du ciel et de la terre; mais non moindre se manifesta l'étonnement indigné, le scandale (16) des politiques, des prudents du siècle, de tant d'hommes pour qui l'Evangile ne vaut, qu'autant qu'il ne heurte pas les préjugés à courte vue de leur sagesse mondaine. «Que vont dire les grands? écrivait saint Ambroise. D'une telle famille, d'une telle race, si bien doué, si éloquent, quitter le sénat, arrêter la succession d'une pareille suite d'ancêtres: cela ne se peut supporter. Voilà bien ces hommes, qui, quand il s'agit de leurs fantaisies, ne trouvent point étrange de s'infliger les transformations les plus ridicules; arrive-t-il qu'un chrétien soucieux de la perfection change de costume, ils crient à l'indignité!» (17).

    Paulin ne s'émut point de ces attaques, pas plus qu'il ne compta que son exemple serait suivi d'un grand nombre. Il savait que Dieu manifeste en quelques-uns ce qui pourrait profiter à tous, s'ils le voulaient, et que cela suffit à justifier sa Providence (18). Comme le voyageur ne se laisse point détourner de sa route par les aboiements des chiens qui le regardent passer, ceux, disait-il, qui s'engagent dans les étroits sentiers du Seigneur doivent négliger les réflexions des profanes et des sots, se félicitant de déplaire à qui Dieu déplaît; l'Ecriture nous suffit pour savoir que penser d'eux et de nous (19).

    Résolu de ne point répondre, et de laisser les morts ensevelir leurs morts (20), une exception toutefois s'imposa au cœur de notre saint, par le côté des sentiments les plus délicats, en faveur d'Au-sone son ancien maître. Paulin était resté l'élève préféré du rhéteur fameux à l'école de qui venaient se former, dans ces temps, les empereurs eux-mêmes; Ausone toujours s'était montré pour lui un ami, un père; l'âme transpercée par le départ de ce fils de sa tendresse, le vieux poète avait exhalé ses plaintes en des accents qui touchèrent celui-ci.

    Paulin voulut tâcher d'élever cette âme qui lui était chère au-dessus des futilités de la forme, et des mythologiques vanités où continuait de s'enfermer sa vie; il justifia donc sa démarche dans un poème dont la grâce exquise devait charmer Ausone, et l'amener peut-être à goûter la profondeur du sens chrétien, qui inspirait à son ancien élève une poésie si nouvelle pour le disciple attardé d'Apollon et des Muses.

    «Père, lui disait-il, pourquoi vouloir me rappeler au culte des Muses? Une autre puissance domine aujourd'hui mon âme, un Dieu plus grand qu'Apollon. Le vrai, le bon, je l'ai trouvé à la source même du bien et de la vérité, en Dieu vu dans son Christ. Echangeant sa divinité pour notre humanité dans un commerce sublime, homme et Dieu, ce maître des vertus transforme notre être, et remplace par de chastes voluptés les plaisirs d'autrefois. Par la foi dans la vie future, il dompte en nous les vaines agitations de la vie présente. Ces richesses que nous semblons mépriser, il ne les rejette pas comme impures ou sans prix; mais, apprenant à les mieux aimer, il nous les fait confiera Dieu qui, en retour, promet davantage. N'appelez pas stupide celui qui s'adonne au plus avantageux, au plus sûr des négoces. Et la piété, pourrait-elle donc être absente d'un chrétien? et pourrais-je ne pas vous la témoigner, ô père à qui je dois tout: science, honneurs, renommée; qui, par vos soins, m'avez, en cultivant ses dons, préparé pour le Christ! Oui; le Christ s'apprête à vous récompenser, pour ce fruit qu'a nourri votre sève: ne rejetez pas sa louange, ne reniez pas les eaux parties de vos fontaines. Mon éloignement irrite votre tendresse; mais pardonnez à qui vous aime, si je fais ce qui est expédient. J'ai voué mon cœur à Dieu, j'ai cru au Christ; sur la foi des divins conseils, j'ai acheté des biens du temps la récompense éternelle. Père, je ne puis croire que cela soit par vous taxé de folie. Pareils errements ne m'inspirent aucun repentir, et il me plaît d'être tenu pour insensé par ceux qui suivent une voie contraire; il me suffit que mon sentiment soit tenu pour sage par le Roi éternel. Tout ce qui est de l'homme est court, infirme, caduc, et, sans le Christ, poussière et ombre; qu'il approuve ou condamne, tant vaut le jugement que le juge: il meurt, et son jugement passe avec lui. Au moment du dépouillement suprême, elle sera tardive la lamentation, et peu recevable l'excuse de celui qui aura craint les vaines clameurs des langues humaines, et n'aura point redouté la vengeresse colère du Juge divin. Pour moi, je crois, et la crainte est mon aiguillon: je ne veux pas que le dernier jour me saisisse endormi dans les ténèbres, ou chargé de poids tels que je ne puisse m'envoler d'une aile légère au-devant de mon Roi dans les cieux. C'est pourquoi, coupant court aux hésitations, aux attaches, aux plaisirs de ce monde, j'ai voulu parer à tout événement; vivant encore, j'en ai fini des soucis de l'a vie; j'ai confié à Dieu mes biens pour les siècles à venir, afin de pouvoir d'un cœur tranquille attendre la terrible mort. Si vous l'approuvez, félicitez un ami riche d'espérances; sinon, souffrez que je m'en tienne à l'approbation de Jésus-Christ» (21).

    Rien mieux qu'un tel langage ne saurait nous donner une idée de ce qu'étaient nos pères du vieil âge, avec leur simplicité si pleine en même temps de grâce et de force, et cette logique de la foi qui, s'appuyant de la parole de Dieu, n'avait besoin d'aucune autre chose pour atteindre d'un bond tous les héroïsmes. Où trouver rien qui, on peut le dire, se déduise plus naturellement que les résolutions dont Paulin nous fait part? Quel sens pratique, dans toute la vraie et grande signification du mot, ce Romain garde dans sa sainteté! On reconnaît bien là l'aimable correspondant de saint Augustin, qui, interrogé par le grand docteur sur son opinion touchant certains points douteux de la vie future, lui répondait d'une façon si charmante: «Vous daignez me demander mon avis sur ce que sera l'occupation des bienheureux, après la résurrection de la chair. Mais si vous saviez comme je m'inquiète bien plus de la vie présente, de ce que j'y suis, de ce que j'y puis faire! Soyez mon maître et mon médecin; apprenez-moi à faire la volonté de Dieu, à marcher sur vos traces à la suite du Christ; que, tout d'abord, j'arrive à mourir comme vous de cette mort évangélique qui précède et assure l'autre» (22).

    Cependant notre saint, qui ne voulait qu'imiter et apprendre, apparaissait bientôt comme l'un des plus lumineux flambeaux de l'Eglise. L'humble retraite où il prétendait se cacher, était devenue le rendez-vous des plus illustres patriciens et patriciennes, le centre d'attraction de toutes les grandes âmes de ce siècle. Des points les plus divers, Ambroisc, Augustin, Jérôme, Martin, et leurs disciples, élevaient la voix dans un concert de louange que nous allions dire unanime, si, pour la plus grande sainteté de son serviteur, Dieu n'avait permis, au commencement, une exception douloureuse. Certains membres du clergé de Rome, émus dans un autre sens qu'il ne convenait des marques de vénération données à ce moine, s'étaient efforcés, non sans succès, de circonvenir sous un prétexte spécieux le Pontife suprême; Sirice en vint presque à séparer Paulin de sa communion (23). La mansuétude, la longanimité du serviteur de Dieu, ne tardèrent pas au reste à ramener Sirice lui-même de l'erreur où l'avait mis son entourage, et l'envie dut porter ses morsures ailleurs.

    L'espace nous fait défaut pour esquisser plus longuement cette noble existence. La Légende qui lui est consacrée, si courte qu'elle soit, complétera ces pages. Rappelons, en finissant, que la Liturgie est grandement redevable à saint Paulin pour les détails précieux que renferment ses lettres et ses poèmes, principalement sur l'architecture chrétienne et le symbolisme de ses diverses parties, le culte des images, l'honneur rendu aux Saints et à leurs reliques sacrées. Une tradition, qui malheureusement n'est point suffisamment établie pour exclure tous les doutes, fait également remonter jusqu'à lui l'usage liturgique des cloches; agrandissant les dimensions de la clochette antique, il l'aurait transformée dans ce majestueux instrument si bien digne de devenir le porte-voix de l'Eglise elle-même, et auquel la Campanie et Nole ont donné leur nom (nolœ, campanœ).

    Paulin évêque de Noie, instruit dans les lettres humaineset les saintes Ecritures, composa en vers et en prose beaucoup d'œuvres remarquables. Sa charité surtout fut célèbre. Lorsque les Goths ravageaient la Campanie, il consacra tout ce qui lui restait à la nourriture des pauvres et au rachat des captifs, ne se réservant pas même le nécessaire pour vivre. Ce fut alors, raconte saint Augustin, que réduit volontairement à la dernière pauvreté après une extrême opulence, mais immensément riche de sainteté, il fut pris par les barbares et fit cette prière: Seigneur, ne permettez pas que je sois tourmenté pour de l'or ou de l'argent; car vous savez où sont tous mes biens. Dans la suite, les Vandales infestant ces mêmes contrées, une veuve vint le supplier de lui racheter son iils, et, comme il avait tout dépensé en œuvres de miséricorde, il se livra lui-même en servitude à titre d'échange.

    Etant donc passé en Afrique, on lui donna à cultiver le jardin de son maître qui était le gendre du roi. Or il arriva qu'ayant prophétisé à ce maître la mort de son beau-père, et le roi lui-même ayant vu en songe Paulin assis au milieu de deux autres juges, qui lui enlevait un fouet des mains, on reconnut quelgrand personnage était ainsi captif; il fut renvoyé comblé d'honneurs et accompagné de tous les prisonniers de sa ville, dont il obtint la liberté. De retour à Noie, il avait repris sa charge d'évêque, enflammant tout le monde et d'exemple et de parole pour les pratiques de la piété chrétienne, lorsqu'il fut saisi d'une douleur de côté; bientôt la chambre où il était couché fut ébranlée par un tremblement de terre, et peu après il rendit son âme à Dieu.

    Vos biens vous sont maintenant rendus, ô vous qui avez cru à la parole du Seigneur! Lorsque tant d'autres, en ce siècle qui vit les barbares, cherchèrent vainement à garder leur trésor, le vôtre était en sûreté. Que de lamentations parvinrent jusqu'à vous, dans l'effroyable écroulement de cet empire dont vous aviez été l'un des premiers magistrats! Assurément ceux de vos collègues dans les honneurs, ceux de vos compagnons d'opulence qui n'avaient point imité votre renoncement volontaire, n'étaient en cela coupables d'aucune faute; mais à l'heure terrible où la puissance n'était qu'un titre à de plus grands maux, où la richesse ne valait plus à ses possesseurs que désespoir et tortures, combien, même pour ce monde, votre prudence apparut la meilleure! Vous vous étiez dit que le royaume des cieux souffre violence, et que ce sont les violents qui le ravissent (24); mais la violence que vous vous étiez imposée, en brisant pour de meilleures attaches vos liens d'ici-bas, était-elle comparable à celle que plus d'un de vos détracteurs d'alors eut à subir, sans profit pour cette vie et pour l'autre? Ainsi en arrive-t-il souvent, même en dehors de ces temps lamentables où la ruine semble s'abattre sur l'univers. Les privations que Dieu réclame des siens pour les conduire dans les sentiers de la vie parfaite, n'égalent point la souffrance fréquemment rencontrée par les mondains dans le chemin de leur préférence.

    Et combien étaient mal venus à vous reprocher comme une désertion la retraite où vous conviait Jésus-Christ, ces hommes, les Albinus, les Svm-maque, dont l'attachement obstiné au paganisme expirant amenait sur Rome ce déluge de colère! Si l'empire eût pu être sauvé, il l'eût été par vos imitateurs, Pammachius, Aper, et d'autres, trop peu nombreux, qui vous faisaient dire: «O Rome, tu pourrais ne point craindre les menaces portées contre toi dans l'Apocalypse, si tes sénateurs comprenaient toujours ainsi le devoir de leur charge» (25). Quel contrepoids, en effet, n'eussent pas offert à la vengeance, si le spectacle en eût été moins rare, des réunions pareilles à celle que vous chantezdans l'un de vos plus beaux poèmes (26)! C'était au lendemain de la formidable invasion de Radagaise; la vieille Rome, mourante, invoquait plus follement que jamais ses faux dieux; mais, de Noie, la louange montait vers le Très-Haut, puissante comme le vivant psaltérion dont les accords la faisaient s'élever jusqu'au ciel. Noble instrument, dont les dix cordes s'appelaient, d'une part, Aemilius, Paulin, Apronianus, Pinianus, Asterius; de l'autre, Albina, Therasia, Avita, Mélanie, Eunomia: tous clarissimes, suivant les traces de Cécile et de Valérien ou voués à Dieu dès l'enfance; tous semblables en vertu dans un sexe dissemblable, et ne formant qu'un chœur au tombeau de Félix pour l'exécution des hymnes sacrées. A leur suite et avec eux, une troupe nombreuse d'illustres personnages et de vierges chantaient de même au Seigneur, apaisant son courroux contre une terre maudite, et retardant du moins ses coups (27). Dix justes auraient sauvé Sodome; mais il fallait plus pour la Babylone ivre du sang des martyrs, pour la mère des fornications et des abominations du monde entier (28).

    La récompense ne vous en est pas moins acquise; et, même en dehors de vous, votre labeur n'a point été stérile. Stérile, jamais la foi ne peut l'être; depuis le temps d'Abraham (29), elle n'a point cessé d'être le grand élément de la fécondité pour le monde. Si les Romains dégénérés n'ont point voulu comprendre, en ce IV° siècle, la leçon qui leur était donnée par les héritiers des plus nobles familles de leur empire, s'ils n'ont point su voir où était le salut, de votre foi et de celle de vos illustres compagnons est née pour le ciel une nouvelle race, honneur d'une Rome nouvelle, et dépassant les hauts faits du vieux patriciat. Comme vous, «contemplant à la divine lumière les premiers âges et ceux qui suivirent, nous admirons l'œuvre profonde du Créateur, et cette lignée mystérieuse préparée dans la nuit des siècles antiques aux Romains d'autrefois» (30).

    Gloire donc à vous, qui n'avez point écouté d'une oreille sourde l'Evangile (31), et, fort de la foi, l'avez emporté sur le prince de ce monde. Rendez à nos temps, si semblables aux vôtres du côté de la ruine, ce franc amour de la vérité, cette simplicité de la foi qui, dans les IV° et V° siècles, sauvèrent du naufrage la société baptisée. La lumière n'est pas moindre aujourd'hui qu'alors; elle a même grandi, incessamment accrue par le travail des docteurs et les définitions des pontifes. Mais la vérité, toujours également puissante à sauver les hommes (32), ne délivre pourtant que ceux qui vivent d'elle; et voilà pourquoi, hélas! le dogme, toujours mieux et plus pleinement défini, ne relève pas le monde en nos jours. C'est qu'il ne devrait pas rester lettre morte; ce n'est point à l'état de théorie spéculative que Jésus-Christ l'a transmis à son Eglise, et cette Eglise, quand elle l'expose à ses fils, n'entend pas davantage charmer simplement, par des agréments de style ou l'ampleur de ses développements, les oreilles de ceux qui l'écoutent. La parole de Dieu est une semence (33); on la jette en terre, non pour l'y cacher, mais pour qu'elle germe et se fasse jour, dominant toute autre germination autour d'elle (34) parce que son droit comme sa puissance est de s'approprier tous les sucs du sol qui l'a reçue, pour transformer la terre même et lui faire rendre ce que Dieu en attend. Puisse-t-elle du moins, cette divine semence, ô Paulin, produire son plein effet dans tous ceux qui maintenant vous admirent et vous prient! Sans diminuer l'Ecriture, sans prétendre interpréter au gré de nos terrestres penchants ce que disait le Seigneur, vous avez pris à la lettre dans votre loyauté ce qui devait l'être; et c'est pourquoi, aujourd'hui, vous êtes saint. Que toute parole de Dieu soit également pour nous sans appel; qu'elle demeure la règle suprême de nos actes et de nos pensées.

    En ce jour qui précède immédiatement la vigile de la fête consacrée à honorer la naissance de Jean-Baptiste, nous ne saurions oublier votre dévotion si profonde à l'Ami de l'Epoux. La place que vous occupez sur le Cycle vous rend pour nous l'avant-coureur de celui qui fut le précurseur de Dieu en terre. Préparez nos âmes à saluer l'apparition de cet astre éclatant; puissent-elles, comme la vôtre, être échauffées par ses rayons, et célébrer dignement les grandeurs que vous avez chantées en lui (35).

    -----------------------------------------------------------------------
    NOTE

    1. Paulin. Ep. XXXVI, 3, ad Amandum.

    2. Poema XXII, ad Jovium, vers. 83-85.

    3. Poem. XXI, natalit. XIII, v. 365-374

    4. Poem. ultimum, v. 1-3.

    5. Matth. XIX, 21.

    6. Epist. XXXV, ad Delphinum.

    7. Auson. Ep. XXIII, ad Paulin., v. 116.

    8. Poem. XXI, natal, XIII, v. 426-427.

    9. Ep. XXIV, 7, ad Severum.

    10. Hieron. Ep. LIII, 10, ad Paulin.

    11. Poem. ultim., v. 158.

    12. Ep. XVI, 8, ad Jovium.

    13. Hieron. Ep. LVIII, 4-5, ad Paulin.

    14. Poem. XV, natal, IV, V. 15-20.

    15. Poem. XII, natal. I, v. 31 -38.

    16. 1 Cor. I, 23.

    17. Ambr. Ep. LVIII, 3, ad Sabinum.

    18. Paulin. Ep. XXXVIII, 7, ad Apruni.

    19. Ep. 1, 2, 6, ad Severum.

    20. Matth. VIII, 22.

    21. Poema X, ad Ausonium, passim.

    22. Ep. XLV, 4, ad Augustinum.

    23. Ep. V, 13-14, ad Severum.

    24. Matth. XI, 12.

    25. Ep. XIII, 15, ad Pammachium.

    26. Poema XXI, natal, XIII, v. 90-99, 203-343.

    27. Prima chori Albina est, compar et Haerasia,
    Jungitur hoc germana jugo, ut sit tertia princeps
    Agminis, hymnisonis mater Avita choris.
    Has procerum numerosa cohors, et concolor uno Vellere virginea: sequitur sacra turba catervae.

    28. Apoc. XVII, 5-6.

    29. Rom. IV, 16-21.

    30. Poema XXI, natal. XIII, v. 227-240.

    31. Ep. v, 6, ad Severum.

    32. Johan. VIII, 32.

    33. Luc. VIII, 11.

    34. Marc, IV, 22.

    35. Poema VI, de S. Johanne Baptista.

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    St. Paulinus, Bishop of Nola

    (Pontius Meropius Anicius Paulinus).

    Born at Bordeaux about 354; died 22 June, 431. He sprang from a distinguished family of Aquitania and his education was entrusted to the poet Ausonius. He became governor of the Province of Campania, but he soon realized that he could not find in public life the happiness he sought. From 380 to 390 he lived almost entirely in his native land. He married a Spanish lady, a Christian named Therasia. To her, to Bishop Delphinus of Bordeaux and his successor the Presbyter Amandus, and to St. Martin of Tours, who had cured him of some disease of the eye, he owed his conversion. He and his brother were baptized at the same time by Delphinus. When Paulinus lost his only child eight days after birth, and when he was threatened with the charge of having murdered his brother, he and his wife decided to withdraw from the world, and to enter the monastic life. They went to Spain about 390.

    At Christmas, 394, or 395, the inhabitants of Barcelona obliged him to be ordained, which was not canonical as he had not previously received the other orders. Having had a special devotion to St. Felix, who was buried at Nola in Campania, he laid out a fine avenue leading to the church containing Felix's tomb, and beside it he erected a hospital. He decided to settle down there with Therasia; and he distributed the largest part of his possessions among the poor. In 395 he removed to Nola, where he led a rigorous, ascetic, and monastic life, at the same time contributing generously to the Church, the aqueduct at Nola, and the construction of basilicas in Nola, Fondi, etc. The basilica at Nola counted five naves and had on each side four additions or chapels (cubicula), and an apsis arranged in a clover shape. This was connected with the old mortuary chapel of St. Felix by a gallery. The side was richly decorated with marble, silver lamps and lustres, paintings, statuary, and inscriptions. In the apsis was a mosaic which represented the Blessed Trinity, and of which in 1512 some remnants were still found.

    About 409 Paulinus was chosen Bishop of Nola. For twenty years he discharged his duties in a most praiseworthy manner. His letters contain numerous biblical quotations and allusions; everything he performed in the Spirit of the Bible and expressed in Biblical language. Gennadius mentions the writings of Paulinus in his continuation of St. Jerome's "De Viris Illustribus" (xlix). The panegyric on the Emperor Theodosius is unfortunately lost, as are also the Opus sacramentorum et hymnorum", the "Epistolae ad Sororem", the "Liber de Paenitentia", the "Liber de Laude Generali Omnium Martyrum", and a poetical treatment of the "De Regibus" of Suetonius which Ausonius mentions. Forty-nine letters to friends have been preserved, as those to Sulpicius Severus, St. Augustine, Delphinus, Bishop Victricius of Rouen, Desiderius, Amandus, Pammachius, etc. Thirty-three poems are also extant. After 395 he composed annually a hymn for the feast of St. Felix, in which he principally glorified the life, works, and miracles of his holy patron. Then going further back he brought in various religious and poetic motives. The epic parts are very vivid, the lyrics full of real, unaffected enthusiasm and an ardent appreciation of nature. Thirteen of these poems and fragments of the fourteenth have preserved.

    Conspicuous among his other works are the poetic epistles to Ausonius, the nuptial hymn to Julianus, which extols the dignity and sanctity of Christian marriage, and the poem of comfort to the parents of Celsus on the death of their child. Although Paulinus has great versatility and nicety, still he is not entirely free from the mannerisms and ornate culture of his period. All his writings breathe a charming, ideal personality, freed from all terrestrial attachments, ever striving upward. According to Augustine, he also had an exaggerated idea concerning the veneration of saints and relics. His letter xxxii, written to Sulpicius Severus, has received special attention because in it he describes the basilica of Nola, which he built, and gives copious accounts of the existence, construction, and purpose of Christian monuments. From Paulinus too we have information concerning St. Peter's in Rome. During his lifetime Paulinus was looked upon as saint. His body was first interred in the cathedral of Nola; later, in Benevento; then it was conveyed by Otto III to S. Bartolomeo all'Isola, in Rome, and finally in compliance with the regulation of Pius X of 18 Sept., 1908 (Acta Apostolicae Sedis, I, 245 sq.) was restored to the cathedral of Nola. His feast, 22 June, was raised to the rank of a double.

    Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XI, 1911, New York

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    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Paolino di Nola Vescovo

    22 giugno - Memoria Facoltativa

    Burdigala (Bordeaux), Francia, 355 - Nola, Napoli, 431

    Discendeva da ricca famiglia patrizia romana (nacque nel 355 a Bordeaux, dove il padre era funzionario imperiale) e favorito nella carriera politica da amicizie altolocate, divenne «consul suffectus», cioè sostituto, e governatore della Campania. Incontrò il vescovo Ambrogio di Milano e il giovane Agostino di Ippona, dai quali fu avviato alla fede cristiana. Ricevuto il battesimo verso i venticinque anni, durante un viaggio in Spagna conobbe e sposò Therasia. Dopo la morte prematura dell'unico figlioletto, Celso, entrambi si dedicarono interamente all'ascesi cristiana, sul modello di vita monacale orientale. Così, di comune accordo distribuirono le ingenti ricchezze ai poveri, e si ritirarono nella Catalogna, deve venne ordinato prete. A Nola, poi, diede inizio alla costruzione di un santuario, ma si preoccupò anzitutto di erigere un ospizio per i poveri, adattandone il primo piano a monastero, dove si ritirò con Therasia e alcuni amici. Nel 409 fu eletto vescovo di Nola. Morì a 76 anni, nel 431. (Avvenire)

    Etimologia: Paolino = piccolo di statura, dal latino

    Emblema: Bastone pastorale, catene, campana

    Martirologio Romano: San Paolino, vescovo, che, ricevuto il battesimo a Bordeaux e lasciato l’incarico di console, da nobilissimo e ricchissimo che era si fece povero e umile per Cristo e, trasferitosi a Nola in Campania presso il sepolcro di san Felice sacerdote per seguire da vicino il suo esempio di vita, condusse vita ascetica con la moglie e i compagni; divenuto vescovo, insigne per cultura e santità, aiutò i pellegrini e soccorse con amore i poveri.

    Martirologio tradizionale (22 giugno): Presso Nola, città della Campania, il natale del beato Paolino, Vescovo e Confessore, il quale da nobilissimo e ricchissimo divenne povero ed umile per Cristo, e, non avendo più nulla, si fece schiavo per riscattare il figlio di una vedova, che i Vandali, devastata la Campania, avevano condotto schiavo nell'Africa. Fu poi illustre non solo per dottrina e gran santità di vita, ma anche per la sua potenza contro i demoni. Le sue splendide lodi furono celebrate nei loro scritti dai santi Ambrogio, Girolamo, Agostino e Gregorio Papa. Il suo corpo, trasferito a Benevento e di là a Roma, finalmente, per ordine del Sommo Pontefice Pio decimo, fu restituito a Nola.

    I cuori votati a Cristo respingono le Muse e sono chiusi ad Apollo", così scriveva Paolino al maestro Decimo Magno Ausonio, che lo aveva iniziato alla retorica e alla poetica. Paolino era stato un giovane dal temperamento d'artista. Discendeva da ricca famiglia patrizia romana (nacque nel 355 a Bordeaux, dove il padre era funzionario imperiale) e favorito nella carriera politica da amicizie altolocate, divenne "consul suffectus", cioè sostituto, e governatore della Campania. Ebbe anche la ventura di incontrare il vescovo Ambrogio di Milano e il giovane Agostino di Ippona, dai quali fu avviato sulla strada della conversione a Cristo. Ricevuto il battesimo verso i venticinque anni, durante un viaggio in Spagna conobbe e sposò Therasia.
    Dopo la morte prematura dell'unico figlioletto, Celso, entrambi decisero di dedicarsi interamente all'ascesi cristiana, sul modello di vita monacale in voga in Oriente. Così, di comune accordo si sbarazzarono delle ingenti ricchezze che possedevano un po' ovunque, distribuendole ai poveri, e si ritirarono nella Catalogna per dare inizio ad un'originale esperienza ascetica. Paolino era ormai sulla quarantina. Conosciuto e ammirato nell'alta società, era amato ora anche dal popolo, che a gran voce chiese al vescovo di Barcellona di ordinarlo sacerdote.
    Paolino accettò con la clausola di non essere incardinato tra il clero di quella regione. Declinò anche l'invito di Ambrogio, che lo voleva a Milano. Paolino accarezzava sempre l'ideale monastico di una vita devota e solitaria. Infatti si recò quasi subito in Campania, a Nola, dove la famiglia possedeva la tomba di un martire, S. Felice. Diede inizio alla costruzione di un santuario, ma si preoccupò anzitutto di erigere un ospizio per i poveri, adattandone il primo piano a monastero, dove si ritirò con Therasia e alcuni amici in "fraternitas monacha", cioè in comunità monastica.
    I contatti con il mondo li manteneva attraverso la corrispondenza epistolare (ci sono pervenute 51 lettere) con amici e personalità di maggior spicco nel mondo cristiano, tra cui appunto Agostino. Per gli amici buttava giù epitalami e poesie di consolazione. Ma a porre termine a quella mistica quiete, nel 409, sopraggiunse l'elezione a vescovo di Nola. Si stavano preparando per l'Italia anni tempestosi. Genserico aveva passato il mare alla testa dei Vandali e si apprestava a mettere a sacco Roma e tutte le città della Campania. Paolino si rivelò un vero padre, preoccupato del bene spirituale e materiale di tutti. Morì a 76 anni, nel 431, un anno dopo l'amico S. Agostino.
    Era il 15 maggio 1909 quando il Sommo Pontefice Pio X concedeva alla Città di Nola di riavere il Corpo del suo Vescovo e Compatrono, in occasione della riapertura al culto di del nuovo magnifico Duomo, dopo il rovinoso incendio del 13 febbraio 1861.

    Autore: Piero Bargellini




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    Predefinito Dalle «Lettere» di san Paolìno da Nola, vescovo

    Lett. 3 ad Alipio, 1. 5. 6, in CSEL 29, 13-14. 17-18

    Per mezzo dello Spirito Santo Dio infonde il suo amore in tutti i suoi servi.
    Questa é la vera carità, questo é l'amore perfetto che tu, signor mio, veramente buono, gentile e carissimo, hai dimostrato di avere verso la nostra pochezza. Per mezzo del nostro Giuliano, che tornava da Cartagine, abbiamo ricevuto la tua lettera. Essa ci porta tanta luce della tua santità, da poter dire che noi, più che conoscere, riconosciamo la tua carità. Senza dubbio tale carità deriva da colui che dall'origine del mondo ci ha predestinati a sé. In lui eravamo ancor prima di nascere; perché é lui che ci ha creati e non noi da noi stessi (cfr. Sal 99, 3). E' lui che ha fatto anche quelle cose che devono ancora compiersi nel futuro.
    Dalla sua prescienza e dalla sua opera siamo stati formati ad avere una sola volontà e identica fede, o meglio ad avere fede nell'Unità. Siamo stati cementati dalla carità, perché, mediante la rivelazione dello Spirito, ci conoscessimo a vicenda ancor prima di vederci. Rallegriamoci quindi e consoliamoci nel Signore che, pur restando sempre uguale a se stesso, diffonde in ogni luogo il suo amore nei suoi fedeli, per opera dello Spirito Santo. Egli lo ha riservato abbondantemente su tutte le creature, allietando così con il suo impulso vivificante la città di Dio. Tra i cittadini di questa città egli ha voluto ben a ragione collocare te tanto in alto da farti sedere «tra i principi del suo popolo» (Sal 112, 8) sulla cattedra degli apostoli. Così nella tua stessa sorte ha voluto aggregare anche noi, sollevandoci da terra e rialzandoci dalla nostra povertà.
    Ma più ancora ci rallegriamo perché il Signore ci ha fatti entrare così intimamente nel tuo cuore, dà farci godere di un tuo singolarissimo affetto. Ciò non può rimanere senza contraccambio adeguato e perciò ti assicuriamo di amarti sinceramente. Ed ora permettetici che ti presentiamo un nostro desiderio. Sappi dunque che questo peccatore non é uscito fuori dalle tenebre e dall'ombra di morte, non ha respinto l'aura vitale e non ha posto mano all'aratro e preso sulle sue spalle la croce di Cristo se non per condurre a termine la sua missione. E proprio per questo abbiamo bisogno delle tue preghiere. Ai tuoi meriti aggiungi anche questo, di alleggerire, con le tue preghiere, i nostri pesi. Il santo che aiuta chi é nella fatica, non oso dire il fratello, sarà esaltato come una grande città.
    Abbiamo mandato alla tua santità un pane come simbolo della nostra unità, ma anche dell'unica totale Trinità. Dègnati di mangiarlo in modo che questo pane diventi un'eulogia, cioé un pane benedetto.

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    GIOVANNI PAOLO II

    LETTERA A MONSIGNOR UMBERTO TRAMMA, VESCOVO DI NOLA
    IN OCCASIONE DEL XVI CENTENARIO DEL RITIRO DI S. PAOLINO A NOLA


    Al Venerato Fratello
    UMBERTO TRAMMA
    Vescovo di Nola

    1. È sempre vivo in me il ricordo della visita compiuta a Nola il 23 maggio 1992. Nella calorosa accoglienza ricevuta in codesta comunità cristiana m’è parso di sentir pulsare ancora, in qualche modo, il grande cuore di san Paolino.

    Ringrazio il Signore, che mi ha concesso di pregare nello stesso luogo in cui egli visse, a Cimitile, e di venerarne poi i resti mortali custoditi nella Chiesa cattedrale. In codesta Città quasi si avverte sensibilmente la sua spirituale presenza. Aveva davvero ragione il vostro santo Patrono quando in uno dei suoi carmi cantava: “Omnia praetereunt, sanctorum gloria durat/ in Christo qui cuncta novat, dum permanet ipse” (Carme XVI, 3-4).

    Sono perciò lieto, Venerato Fratello, di potermi unire alla gioia di codesta Chiesa per la celebrazione del XVI centenario del definitivo stabilirsi di Paolino a Nola. La ricorrenza merita di essere solennizzata, dal momento che tale scelta “residenziale” coincise con la decisione del Santo di dedicarsi pienamente a Cristo nella vita monastica.

    2. Ciò che i contemporanei soprattutto ammirarono in Paolino fu la radicalità della conversione, tanto più evidente, quanto più elevata era la condizione economica e sociale alla quale egli rinunciò. Nato a Bordeaux da aristocratica e ricchissima famiglia, finemente educato negli studi letterari, egli aveva percorso rapidamente il “cursus honorum”, diventando senatore e governatore della Campania. Proprio in questa veste stabilì un primo rapporto con codesta Città, facendone la sua sede preferita. Qui lo attendeva la Grazia per toccargli il cuore. Davanti allo spettacolo di fede delle folle di pellegrini che, da una vasta area dell’Italia centro-meridionale, accorrevano alla tomba di san Felice, il giovane governatore, già in qualche modo credente ma non ancora battezzato, si sentì spinto a rivedere la sua vita. Quasi portato per mano da san Felice, giunse alla pienezza dell’amore di Cristo: “inque tuo gaudens adamavi lumine Christum” (Carme XXI, 373). Ma prima dell’approdo definitivo, lo attendevano lunghi anni di appassionata ricerca e di prove, che furono come il crogiuolo purificatore della sua fede.

    3. Il battesimo, ricevuto nella sua città natale per le mani di Delfino, fu l’inizio di un cammino sempre più impegnativo. D’accordo con la pia moglie Terasia, decise di sbarazzarsi dei suoi immensi possedimenti per amore di Cristo. E quella Roma che lo aveva ammirato nella toga del senatore, lo rivedrà, durante il viaggio verso Nola del 395, nel rude saio del monaco. Il contrasto non poteva essere più netto, suscitando opposti sentimenti di plauso o di sconcerto. Persino nell’ambiente ecclesiale non gli mancarono cocenti incomprensioni. Ma non si sbagliò l’istinto di fede del popolo di Dio nel riconoscere in lui un miracolo della Grazia. E se la comunità ecclesiale di Barcellona, pochi mesi prima della partenza per Nola, ne aveva chiesto entusiasticamente l’ordinazione presbiterale, non minore affetto gli fu tributato all’arrivo nella “sua” Campania, dove non solo i laici, ma tutti i Vescovi della Regione e persino quelli dell’Africa, personalmente o per lettera, vennero a fargli festa.

    4. Da quel momento, Venerato Fratello, le vie di Paolino si confondono con quelle di codesta comunità. Con la moglie Terasia, vivente con lui in casta fraternità, ed altri amici che lo avevano seguito, egli prende dimora entro il complesso del Santuario di san Felice. Qui, da governatore, aveva già fatto costruire un ospizio per i poveri. Ora, sopra quell’ospizio, erige un secondo piano destinato alla convivenza monastica, non mancando di dare a tale assetto una suggestiva interpretazione: la preghiera dei poveri stava a rinsaldare le fondamenta della sua casa (Carme XXI, 391-394). Con ciò Paolino rovesciava un concetto tipico della società romana: più che sentirsi “patrono” dei poveri, egli elesse i poveri come suoi “patroni” (“patronos animarum nostrarum pauperes”: Epist. 13,11), nella consapevolezza che il suo aiuto ai bisognosi non era un “dare”, ma piuttosto un “ricevere”, dal momento che Cristo ama restituire “con l’interesse” quanto riceve nella loro persona. Come non cogliere la bellezza di questo messaggio, in un tempo come il nostro in cui il mondo è ancora così scandalosamente diviso tra chi ha troppo e chi ha troppo poco, e spesso la “generosità” dei ricchi si limita alle briciole di una umiliante elemosina?

    5. Il ritmo di vita che Paolino impresse alla sua comunità era scandito dalla lode di Dio e dalla meditazione della sua Parola. Dimentico dei suoi antichi interessi letterari, egli viveva della Parola di Dio. Delle immagini bibliche non si stanca di cercare i sensi reconditi. A giudicare dalle frequentissime citazioni, si direbbe che egli amasse nuotare nell’oceano della Scrittura, scrutandone i fondali, con l’occhio stupito di un fanciullo avido di sempre nuove bellezze. Desideroso di luce, si fece discepolo di quanti avevano il dono della sapienza. Basti ricordare, tra i suoi amici e corrispondenti, Ambrogio di Milano, Girolamo, Agostino. Ma fu soprattutto quest’ultimo che egli scelse come “maestro”, stabilendo con lui uno scambio epistolare, in cui il grande dottore africano, lungi dall’assumere il tono del “docente”, si faceva volentieri a sua volta “discente”. Ma perché porre domande all’amico nolano, che nella sua umiltà se ne schermiva? Agostino in verità riconosceva che Paolino “insegnava”, proprio mentre “interrogava” (“quaerendo docuisti”: Ag. Epist. 149,2): era, quella dell’asceta e pastore nolano, la “teologia vissuta” di un uomo ricco dello Spirito di Dio, espressa nei percorsi simbolici di un animo attratto dalla via della bellezza, più che da quella dell’astratta speculazione.

    6. Mentre si dedica all’ascesi, Paolino non manca di attendere al ministero. Per i numerosi pellegrini che affluiscono al Santuario costruisce nuovi ambienti di culto e di accoglienza, che fanno del complesso basilicale di Cimitile uno dei più importanti dell’antichità cristiana. Per la formazione dei più umili, oltre che per l’innato senso del “bello”, Paolino sviluppa una illuminata catechesi visiva, con dipinti ispirati alla storia della salvezza. In lui si fondono mirabilmente il monaco e il pastore. Come dunque stupirsi, se alla morte del vescovo Paolo, in anni angosciati dall’incubo delle invasioni barbariche, toccò proprio a lui assumere la guida di codesta Chiesa? Purtroppo le notizie sul suo episcopato non sono abbondanti. Ma sia ciò che è storicamente accertato, sia quanto affiora dalla tradizione popolare, converge nel disegnare l’immagine di un pastore dal cuore immenso, che, dimentico di sé, si dona tutto per il suo popolo. Né meno significativo è lo stile che egli incarna come maestro della verità cristiana, difendendola con fermezza dall’errore, ma restando accogliente e paterno con gli erranti.

    7. Uomo di comunione, animo veramente “cattolico”, Paolino coltivava una naturale sollecitudine per la Chiesa universale. A questa Sede Apostolica, poi, era particolarmente devoto, venendo ogni anno a Roma a visitare le tombe degli Apostoli. Ma con tanti altri pastori egli intrattenne cordiali e costanti rapporti. Si può dire che dall’Italia, dall’Africa, dalla Gallia, si guardasse a lui come ad un punto di riferimento. Dall’Est venne a fargli visita per ben due volte san Niceta, apostolo della Dacia. Che dire poi dei tanti altri – chierici, monaci e laici – che poterono godere della sua corrispondenza, sempre calda di affetto?

    Questa rara capacità di rapporti non era solo il frutto di un cuore sensibilissimo, ma affondava le radici nella viva esperienza dell’unità ecclesiale, sgorgante dalla Trinità. In tale mistero egli trovava le ragioni e lo spessore dell’amicizia spirituale, di cui fu particolarmente esperto e di cui si direbbe illuminato “dottore”. Amava infatti spiegare, per esperienza vissuta, che l’unità mistica del Corpo di Cristo apre possibilità inaudite all’amore fraterno, ben oltre le frontiere dell’amicizia puramente umana. Per questo poteva scrivere ad Agostino, che pur non incontrò mai di persona: “Non c’è da meravigliarsi se noi, pur lontani, siamo presenti l’uno all’altro e senza esserci conosciuti ci conosciamo, poiché siamo membra di un solo corpo, abbiamo un unico capo, siamo inondati da un’unica grazia, viviamo di un solo pane, camminiamo su un’unica strada, abitiamo nella medesima casa” (Epist. 6, 2).

    8. Felice dunque la Chiesa nolana, che può vantare nella sua storia un così grande pastore! Il suo Messaggio, a distanza di tanti secoli, conserva intatta la sua freschezza. Possa codesta comunità trovarvi un’efficace ispirazione di rinnovamento e di testimonianza.

    Mi congratulo di cuore anche per quanto essa, sotto la sua guida, Venerato Fratello, sta donando alla Chiesa con la pubblicazione di testi e la promozione di studi su Paolino. Voglia Dio che la riscoperta di questa figura, così ricca di spirituale sapienza, porti nella Chiesa frutti di approfondimento dottrinale e di autentica vita cristiana.

    Con questo auspicio ed in pegno dei più eletti favori celesti, imparto a Lei, Venerato Fratello, e a tutta la comunità affidata alle sue cure, l’Apostolica Benedizione.

    Dal Vaticano, il 15 maggio dell’anno 1995, diciassettesimo di Pontificato.

    IOANNES PAULUS PP. II

 

 
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