Originariamente Scritto da
W. Von Braun
La Repubblica mai proclamata
Roma Dubbi tanti, certezze molte. Il referendum del 2 giugno 1946, con cui il popolo italiano era stato chiamato a scegliere fra il mantenimento della forma monarchica e la Repubblica, lascia aperto un ventaglio di discussioni e riflessioni che passano tutte dall’inchiostro verde della penna del Guardasigilli Palmiro Togliatti. La campagna elettorale non fu serena: l’Italia usciva dalla guerra devastata e divisa.
L’esilio di Umberto Quando il referendum parve orientato verso la Repubblica, Umberto II decise di andar via dall’Italia, con un prestito fattogli dal Papa Pio XII (restituito entro il 1950), lasciando tutti i tesori della Corona alla Banca d’Italia, con tanto di inventario del tesoriere Ventrella. Erano le 18.45 del 13 giugno, a Ciampino, quando l’aereo diretto a Lisbona, con scalo a Madrid, decollò. Il timore del sovrano era la guerra civile, il sangue sparso. Umberto II non voleva essere re del 51% degli italiani. C’era da pensare alla questione del Nord-Est, col rischio che Togliatti cedesse parti del Friuli. Il clima della campagna elettorale prereferendaria, anche se i quesiti erano stati sottoscritti dallo stesso Umberto II, era teso. Lo stesso re a Genova fu aggredito dal comunista Machiavelli, poi membro della Costituente. Era già annunciato un nuovo referendum in caso di vittoria monarchica con maggioranza esigua: pacificato il Paese, sventata la guerra civile, Umberto avrebbe chiesto nuovamente l’opinione del suo popolo per una scelta ponderata e serena, con diritto di voto a tutti, come non avvenne il 2 giugno. Togliatti stesso ammise che «un parto difficile va aiutato e pilotato», giustificando la forzatura di alcuni passaggi. Tre milioni in più di voti rispetto agli iscritti alle liste elettorali, fra l’altro di difficile verifica. Erano state escluse le zone che poi sarebbero passate alla Jugoslavia di Tito, per volere comunista, in nome di un nuovo ordine europeo, col placet democristiano anche diversi decenni dopo (Trattato di Osimo, 1975).
La lettera di De Gasperi Lo stesso presidente del Consiglio Alcide De Gasperi scrisse il 4 giugno al ministro dell’Interno socialista Giuseppe Romita che la Monarchia era in largo vantaggio, cosicché “rebus sic stantibus” le cose non sarebbero cambiate. Poi il risultato nei fatti mutò profondamente, fino a ribaltare le previsioni dello statista democristiano. La Corte Suprema di Cassazione presieduta da Giuseppe Pagano, si riunì il 10 giugno nella sala della Lupa a Montecitorio, alla presenza dei ministri (assenti i rappresentanti dei Paesi esteri) e dei giudici (senza toga rossa ed ermellino, come d’uopo in presenza di eventi storici). Pagano lesse i risultati, senza proclamare la nuova forma di organizzazione statale. Poi parlò delle sezioni ancora da scrutinare, comunque ininfluenti, dei ricorsi. E andò via, aggiornando la riunione al 18 giugno. Umberto II lasciò l’Italia il 13 giugno. La Monarchia aveva puntato i piedi, certa della vittoria delle urne. Nella notte fra il 12 ed il 13 giugno, il governo votò a maggioranza, non già all’unanimità il passaggio dei poteri dal re al presidente del Consiglio: da Umberto II, esautorato, a De Gasperi, primo ministro e Capo dello Stato al contempo. Il passaggio avrebbe avuto piena legittimità se fosse avvenuto dopo il 18 giugno, a proclamazione avvenuta a tutti gli effetti. E invece avvenne il 13. A questo punto il re volle evitare fratture ulteriori e scelse di andar via, non riconoscendo la forma repubblicana, non abdicando. L’esilio volontario fu poi sancito nella XIII disposizione transitoria della Costituzione dell 1 gennaio 1948. I comma sull’esilio forzato dei discendenti maschi della Casa Savoia hanno avuto valore fino alla legge costituzionale del 23 ottobre 2002, dopo la quale Vittorio Emanuele IV ed Emanuele Filiberto, suo figlio, sono entrati nel Belpaese.
La Repubblica mai proclamata Il 18 giugno la Corte di Cassazione, riunita ancora, non proclamò la Repubblica, pur avendo letto i risultati definitivi del referendum. Fu questo il volere di Togliatti, che inviò una lettera con precise indicazioni in tal senso a Pagano, con un testo firmato in penna verde, quella che “il Migliore” usava per i grossi accordi. Il suo segretario particolare Massimo Caprara (poi convertito alle idee liberali, fino all’approdo in Forza Italia) la portò personalmente al presidente della Corte Suprema di cassazione. Togliatti voleva che i risultati letti giustificassero da soli la Repubblica. Pagano non poté assumersi la responsabilità di scatenare una guerra civile, denunciando in quell’occasione, eventuali irregolarità del referendum. Il 2 luglio la Gazzetta Ufficiale riportò del passaggio di consegne della presidenza della neonata Repubblica, da De Gasperi, che fu scritto detenere i poteri «dal 18 giugno» (anche se sarebbe stato corretto ma rischioso scrivere “13 giugno”), ad Enrico De Nicola, Capo dello Stato provvisorio.
Gianvito Casarella
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