Domani sarà l'anniversario della truffa del secolo
A-Casirati Scrivere "RIASSUMIAMO I FATTI
Alcune considerazioni riassuntive sul Referendum del 2 Giugno 1946
(articolo pubblicato da "NUOVA STORIA CONTEMPORANEA", Marzo / Aprile 2003)
Dopo la pubblicazione su "NUOVA STORIA CONTEMPORANEA", nel numero 6 del 2002, degli articoli di Massimo Caprara, del Prof. Francesco Perfetti e del sottoscritto, mi sembra di potere fare un pò di chiarezza sui fatti del giugno 1946, tentando di riassumerli.
Occorre premettere che non vanno confusi i due canali di rilevazione dei risultati elettorali, e cioè quello del Viminale (Ministero degli Interni, collegato con le Prefetture) e quello di via Arenula (Ministero della Giustizia, collegato con gli Uffici Centrali Circoscrizionali e con la Corte di Cassazione).
Il primo aveva soprattutto compiti informativi nei confronti dell'opinione pubblica, e catalogava le cifre per Compartimenti, corrispondenti alle attuali Regioni; il secondo era il canale ufficiale, e raggruppava i dati per circoscrizione, redigendo un verbale dell'esito circoscrizionale e trasmettendolo alla Cassazione, alla quale spettava la sola mansione di sommare le risultanze delle trentuno circoscrizioni, e di proclamare il risultato del referendum.
Tutte le rilevazioni riguardavano i soli voti validi. Non era stata disposta alcuna rilevazione per i voti non validi, e neppure (conseguentemente) per il totale generale - in ogni sezione, in ogni circoscrizione, e in tutto il territorio chiamato al voto - degli elettori votanti, ossia di coloro che avevano comunque deposto la scheda nell'urna. Questo, nonostante che l'articolo 2 della legge 16 marzo 1946, istitutiva del referendum, disponesse espressamente che doveva essere proclamata la vittoria della forma istituzionale che avesse riportato "la maggioranza degli elettori votanti".
Nessuno (per quanto ciò possa apparire strano) sembra avesse rilevato prima del voto questa evidente contraddizione, che pertanto emerse in tutta la sua gravità solo quando il segretario del partito liberale, Cassandro, segnalò alla Cassazione la indiscutibile e chiarissima dizione dell'articolo 2.
Detto ciò, vediamo cosa è accaduto dopo la chiusura delle urne.
La legge stabiliva che i voti per la Assemblea Costituente andassero scrutinati prima di quelli per il referendum. Quindi, non vi è dubbio sul fatto che i primi dati sull'esito di quest'ultimo non poterono affluire alle Prefetture, e quindi al Viminale, che nella notte dal 3 al 4 giugno (si era votato fino al primo pomeriggio del 3).
Sulla situazione alle 8 del mattino del 4 abbiamo una prova certa, rappresentata dal prospetto redatto dal Ministero dell'Interno col numero progressivo "1" (il che lo identifica come il primo fra tutti). E' quel prospetto che Degasperi aveva ricevuto riservatamente da Romita, e che fu allegato alla famosa lettera in data 4 giugno 1946 a Falcone Lucifero, da questi ripetutamente pubblicata nei suoi libri (il prospetto, non pubblicato insieme con la lettera per una scelta volontaria di Lucifero, è stato poi pubblicato da me con l'autorizzazione verbale, mai smentita, del medesimo Lucifero). Esso riguarda quasi quattromila sezioni su 35.000 ed attribuisce alla Repubblica una maggioranza del 65% circa, ma riferita quasi esclusivamente a risultati provenienti dal Centro-Nord. Ecco perché Degasperi, nella accompagnatoria, non solo non ne trae conclusioni positive per la Repubblica, ma anzi si sbilancia nel senso opposto: egli, come tutti, supponeva a favore della Repubblica, nel Centro-Nord, una maggioranza schiacciante, tale da annullare la prevedibile maggioranza monarchica nel Centro-Sud, e constatando, invece, una forte presenza monarchica anche al Nord, ne deduceva la probabilità di un successivo sorpasso.
Il prospetto va ricollegato, comunque, al noto racconto di Romita nel suo libro, e precisamente nel lungo capitolo "E una notte la Monarchia fu in vantaggio". La descrizione, assolutamente originale e credibile, della disperazione dell'Autore, fervente repubblicano (che era Ministro dell'Interno), in una certa notte, nella quale a un determinato punto, verso le ventiquattro, la Monarchia effettua il sorpasso nell'esito complessivo, e rimane "in netto vantaggio" per due ore, costringe il lettore e lo storico a soffermarsi sulla domanda logica: quale è questa notte?
Orbene, Romita, con molta disinvoltura, all'inizio del capitolo, scrive che è quella "dal 3 al 4 giugno". Neppure si preoccupa di cambiare il contesto del racconto. Lo lascia come è, in modo che un osservatore un pò attento capisce benissimo che qualcosa non va. Basti pensare che colloca alla mattina ed al pomeriggio del giorno seguente fatti che sono accaduti sicuramente il giorno 5 (esempio eclatante: la conferenza stampa del pomeriggio, con la lettura dei dati ufficiali fino a quel momento, che attribuivano alla Repubblica circa 1.800.000 voti di vantaggio, la si può ritrovare in tutti i giornali del 6, con datazione precisa alle 17 circa del 5).
Ma la notte è invece quella dal 4 al 5 giugno, e se non bastassero questi riferimenti temporali, peraltro già insuperabili, vi sarebbe, appunto, il prospetto delle ore 8, a dimostrare documentalmente che nessun vantaggio monarchico può essersi verificato nella notte dal 3 al 4.
Perché, dunque, la frettolosa ed artigianale retrodatazione di 24 ore?
Chiaro. Perché ammettere un netto vantaggio monarchico nella notte dal 4 al 5 giugno, a scrutinio ormai mescolato ed avanzatissimo, anzi quasi finito, voleva dire confessare il criminoso capovolgimento del risultato. Qualunque esperto di statistiche elettorali vi dirà che le percentuali, oltre un certo stato di avanzamento e di mescolanza, non possono più cambiare se non in misura minima.
La falsità ideologica della data, pertanto, diventa una prova di per sè, come la confessione sui fatti e forse ancora più di essa, perché è la spia del dolo di chi, diretto responsabile o complice della frode elettorale, si è premurato di occultarla anche a distanza di tredici anni (il libro di Romita è del 1959).
Tornando al sorpasso, lo stesso era maturato con gradualità durante l'intera giornata del 4, a mano a mano che, lentamente e in ritardo, arrivavano i risultati del Sud e delle Isole, con le previste forti maggioranze monarchiche. Questo andamento dell'afflusso è negato da molti scrittori, compreso Montanelli, i quali sono tutti caduti nella trappola della retrodatazione di cui ho detto, sostenendo che il vantaggio monarchico vi fu, ma solo come conseguenza del precoce arrivo dei risultati meridionali. Invece la verità è all'opposto: ancora la sera del 4 la Repubblica manteneva una lieve maggioranza, ma i dati mancanti erano quasi esclusivamente del Sud.
Nello scorso numero di N.S.C. ho commentato le cifre fornite alle 21 da Degasperi a Lucifero. Ora aggiungo che, quanto alla loro integrale esattezza, si possono esprimere serie perplessità.
Onestamente, non si capisce come mai Degasperi abbia potuto, la mattina del 5, dire al Re di essere dolorosamente sorpreso per l'esito dello spoglio effettuato nella notte, quando la sera prima aveva già comunicato a Lucifero un distacco di due milioni di voti a favore della Repubblica, giudicandolo ormai irreversibile. Ipocrisia? O che cosa? O forse la sera si era limitato a riferire cifre e previsioni di Romita, lanciate da quest'ultimo per fare sfoggio di ottimismo?
Qualunque sia la verità su questi colloqui nella serata del giorno 4, sta di fatto che in quel momento lo scrutinio si riferiva sicuramente ad almeno due terzi del totale, e che i timori repubblicani si concentravano sul residuo terzo, di provenienza sudista.
E infatti, quei timori si realizzarono in pieno nel colmo della notte, concretandosi nella maggioranza monarchica ormai definitiva e inequivocabile ("ogni speranza pareva perduta", scrive il desolato uomo di Tortona). Fu allora che, come oggi attesta Massimo Caprara, la notizia "raggiunse il ministro Togliatti". Caprara afferma, nel suo articolo, che fu lui a passare il microfono, in via Arenula, al capo del PCI, e prosegue: "La Monarchia, informò Romita, era al 54% dei voti".
Era veramente quella la "netta maggioranza" di cui scrive lo stesso Romita nel suo libro di memorie?
Personalmente, debbo dire che nutro qualche ragionevole dubbio. Siamo nei "grandi numeri", ormai: una maggioranza monarchica così forte corrispondeva ad un margine superiore al milione e mezzo di voti. Per arrivarvi, partendo dalla precedente maggioranza repubblicana, bisogna supporre una vera e propria "valanga azzurra". C'era davvero? L'obbiettività mi induce a cautela, pur senza mettere in discussione l'onesto ricordo di Massimo Caprara. Può essere accaduto che Romita abbia volutamente esagerato, con Togliatti, le dimensioni della sconfitta, per sollecitare ed urgenzare il suo immediato intervento.
Che poi l'intervento di Togliatti vi sia stato è fuori questione. Caprara dice chiaro e tondo, a più riprese, che il Ministro agì.
Come abbia fatto, lo lascia intendere all'inizio del suo intervento, dove ricorda che le sommatorie circoscrizionali (dei soli voti validi) per la Repubblica e la Monarchia erano affidate a pubblici funzionari espressamente incaricati dal Guardasigilli, i quali dovevano redigere, come infatti avvenne, "un conteggio preciso da trasmettere all'Ufficio Elettorale istituito presso la Corte di Cassazione e destinato a far testo fuori di ogni controllo". Il suo commento è preciso: "Era una operazione inusuale, che di fatto delegava agli incaricati scelti dal ministero della Giustizia una autonoma gestione dei voti".
Io non so se Massimo Caprara abbia letto il mio libro "La Grande Frode": ma debbo constatare che questa versione dei fatti ricalca esattamente la mia tesi circa il "modus operandi" di Togliatti nel "ritoccare" il risultato.
In buona sostanza, tutta la manovra si basava sulla mancanza di controlli in ordine alle sommatorie circoscrizionali. Fu sufficiente correggere tali sommatorie in un certo numero di circoscrizioni, migliorando localmente le percentuali della Repubblica e peggiorando quelle della Monarchia, e così si ottenne, sul totale generale, il risultato che si desiderava comunicare all'opinione pubblica.
C'era tuttavia un punto debole, ed era la contraddizione nei testi legislativi evidenziata più sopra.
Io non sono in grado di dire se Togliatti se ne fosse reso conto. I monarchici, no sicuramente, in quanto è certo che in un primo momento non vi pensarono neppure per un attimo, e diedero l'impressione di subire il colpo della strana sconfitta quasi con rassegnazione. Fu un gruppo di giuristi di Padova che si accorse dell'articolo 2 e della "maggioranza degli elettori votanti", e indusse Cassandro a "richiamare l'attenzione" della Corte Suprema sul punto.
Allora si delinearono, nei confronti del Primo Presidente della Corte, Pagano, due iniziative ben distinte, ed anzi opposte.
Una, abbastanza ingenua e sgangherata, partì da Romita. Il Ministro dell'Interno, repubblicano fanatico ma pur sempre piemontese, non aveva dismesso il sacro rispettoso terrore dei Reali Carabinieri, incorruttibili custodi di legalità, ed aveva ancora paura che la trama venisse scoperta. Gli sembrava troppo bello quello che era avvenuto. Voleva, dunque, accelerare i tempi, e ricorse al tramite di un consigliere di Cassazione, tale Vitale, che inviò da Pagano inventando una richiesta del Re di proclamare subito la Repubblica per consentirgli di andare in esilio al più presto. Naturalmente non era vero nulla, Lucifero lo seppe, si infuriò e telefonò a Degasperi, il quale, costernato, promise di intervenire per bloccare Romita (ma non si sa se l'abbia fatto). Comunque, Degasperi, che sapeva di questa faccenda, era convinto che il 10 giugno, nella sala della Lupa, Pagano avrebbe proclamato la Repubblica, ed è certamente esatto quanto racconta Andreotti, cioè del suo grande stupore alla fine della seduta (altri precisano che allo stupore si accompagnavano una forte contrarietà ed una viva preoccupazione per quanto poteva accadere).
La mossa di Romita non è una novità, perché parecchi storici ne hanno parlato, pur senza comprenderne bene il senso.
Invece dobbiamo solo alla buona memoria di Caprara il resoconto della seconda iniziativa, finora meno nota, e di ben altra portata.
Togliatti scrisse a Pagano, nella sua veste di Guardasigilli con potere disciplinare sulla Magistratura, ordinandogli proprio il contrario di quello che auspicavano Romita e Degasperi, ossia di limitarsi alla lettura delle cifre dei verbali circoscrizionali ed alla sommatoria complessiva, omettendo qualsiasi ulteriore pronuncia. Questa era una deviazione dalla procedura voluta dalla legge, che invece comportava "la proclamazione del risultato del referendum", e quindi, in ogni caso, una pronuncia.
L'ordine in parola, eseguito da Pagano (che infatti aveva risposto a Caprara: "Assicuri il Ministro"), è stato commentato dalla stampa attuale come l'invito a ritardare, non si capisce bene per quale motivo, la decisione istituzionale.
Non è questo il punto. C'è una verità precisa, che non pare sia stata ancora percepita da chi si è occupato, forse con un pò di superficialità, della cosa, peraltro complicata o almeno non semplicissima.
Togliatti non aveva, né poteva avere, dubbi sulle cifre che sarebbero state lette da Pagano, in quanto erano quelle dei famosi verbali circoscrizionali, redatti dai funzionari di sua fiducia e quindi a lui ben noti. Il suo problema stava nel fatto che la Cassazione, in quel momento, non poteva effettuare alcuna proclamazione, essendo in possesso dei soli voti validi, senza i voti non validi e quindi senza il totale degli elettori votanti richiesto dalla legge per il calcolo della maggioranza. Era l'effetto, forse del tutto imprevisto, della nota discrasia legislativa (o era imprevisto solo che i monarchici se ne accorgessero ancora in tempo per rimediare?)
In base alla legge, la Corte, lette le cifre, avrebbe dovuto semplicemente dichiarare non essere possibile, allo stato, proclamare vincente una delle due forme istituzionali, per la mancanza di un dato essenziale, e rendersi perciò necessaria una nuova rilevazione di tutti i verbali sezionali per ricavarne la cifra dei voti non validi, nonché, ovviamente, quella degli elettori votanti, con una "quadratura" del risultato sia sezionale che circoscrizionale e nazionale. Ora, tale nuova rilevazione, di fatto, avrebbe dato luogo a quel controllo delle sommatorie dei funzionari ministeriali che era stato a priori escluso quando erano stati effettuati i ritocchi, e sventato la frode.
S'imponeva dunque, per il Ministro, un supplemento di azione, e il primo passo consisteva proprio nel neutralizzare l'effetto della dichiarazione della Cassazione, rendendola più anòdina possibile. E questo avvenne, nel senso che i giudici, dopo la lettura, si limitarono a rimandare ogni giudizio al successivo 18 giugno.
Gli stessi promisero peraltro, nel testo dell'ordinanza, di comunicare, nella seconda adunanza, "il totale degli elettori votanti". E la riserva era estremamente grave ed insidiosa, in quanto costituiva la conferma che la maggioranza necessaria per la proclamazione sarebbe stata calcolata su quella cifra, come voleva la legge, e che quindi la rilevazione dei voti nulli doveva essere effettuata, pur in assenza di un ordine formale.
Qui Togliatti fu costretto ad un ulteriore drastico e gravissimo intervento, questa volta in seno al Consiglio dei Ministri, che si riunì ripetutamente nella notte fra il 10 e l'11 giugno 1946.
Traggo dal verbale, redatto dal segretario Giustino Arpesani, il seguente decisivo passo: "Togliatti ha parlato con Pagano e Pilotti il quale ultimo gli confermava che tutte le leggi prendono in considerazione il numero di tutti i votanti. Ha chiesto, prospettando la gravità della situazione politica, se si poteva addivenire alla definitiva proclamazione per il 18, ma non è possibile, in quanto si deve controllare attraverso tutti i verbali (35.000) il numero dei votanti. Inoltre ci sono i ricorsi che possono richiedere l'esame delle schede, che fra l'altro non sono qui e forse sono distrutte".
Difficile commentare. Il testo è eloquente. Togliatti, preso atto della situazione giuridica illustrata dal Procuratore Generale Pilotti, impose al Consiglio dei Ministri, in quella memorabile seduta, di ribellarsi alla Cassazione proclamando unilateralmente la Repubblica e rifiutando ogni controllo!
Tutto il resto, dalla strage di via Medina a Napoli alla ordinanza del 18 giugno, non fu che il seguito logico dell'acquiescenza dei ministri al "diktat" comunista.
Il parto difficile ed assistito era andato in porto.
Nota: Franco Malnati"
e a chi ancora non volesse credere alla falsità dei conteggi di quella truffa dico questo:
repubblicani di cosa avevate paura?perchè mandare via in maniera antidemocratica SM Umberto II?perchè costringere i discendenti all'esilio?
siete solo ridicoli
IL 2 GIUGNO UN SOLO GRIDO CI ACCOMPAGNERA'
VIVA IL RE!
CONTRO LE TRUFFE PER UN'ITALIA REALMENTE LIBERA
ONORE ALL'ULTIMO CAPO DI STATO