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    Predefinito Il risorgimento..massonico!!

    Una guerra civile tra cattolici & massoni

    di Angela Pellicciari

    "L'Italia è l'unico Paese d'Europa (e non solo dell'area cattolica) la cui unità nazionale e la cui liberazione dal dominio straniero siano avvenute in aperto, feroce contrasto con la propria Chiesa nazionale. L'incompatibilità tra patria e religione, tra Stato e cristianesimo, è in un certo senso un elemento fondativo della nostra identità collettiva come Stato nazionale": così scrive Ernesto Galli della Loggia. L'unità d'Italia, a suo giudizio, è il frutto di una guerra civile, un'"autentica" guerra civile, combattuta tra cattolici e non cattolici. Guerra che è stata dimenticata, perché "non poteva che essere rimossa, restare non detta e non dicibile" [Cfr E. GALLI DELLA LOGGIA, Liberali che non hanno saputo dirsi cristiani, in "Il Mulino", n. 349, Bologna 1993 pp. 855-866].
    Una guerra civile a fondamento dello Stato unitario?

    A cominciare da Pio IX e Leone XIII nel secolo scorso, l'opinione di Galli della Loggia è ampiamente condivisa dai cattolici. I Pontefici (diretti testimoni dei fatti del Risorgimento nazionale) lo ripetono in numerosi pronunciamenti ufficiali: l'unità d'Italia è il risultato della guerra scatenata dalla massoneria nazionale e internazionale contro la Chiesa cattolica.
    Pio IX inizia una meticolosa cronistoria dei fatti nel 1849, all'epoca del suo esilio a Gaeta (esilio cui è costretto perché i rivoluzionari di ogni dove sono piombati a Roma trasformandosi in "romani purosangue" a modello del genovese Mazzini), la continua nel 1855 (dopo la soppressione nel Regno di Sardegna degli Ordini contemplativi e mendicanti) e la riprende nel 1861 all'indomani dell'unità.
    Il Papa mette a confronto parole e fatti: da una parte le belle parole d'ordine di liberali, repubblicani e socialisti; dall'altra le violenze e la persecuzione anticristiana che a quelle parole fanno seguito. I massoni, ricorda il Papa, proclamano ai quattro venti di agire nell'interesse della Chiesa e della sua libertà. Si professano cristiani e pretendono di rifarsi alle più genuine volontà di Cristo. Le cose non stanno invero così: "Noi desidereremmo prestar loro fede, se i dolorosissimi fatti, che sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti, non provassero il contrario". È in corso una vera e propria guerra, ricorda Pio IX (ma anche Leone XIII e così pure il vescovo di Torino, Fransoni, prima imprigionato poi esiliato): "Da una parte ci sono alcuni che difendono i princìpi di quella che chiamano moderna civiltà; dall'altra ci sono altri che sostengono i diritti della giustizia e della nostra santissima religione". L'obiettivo che i massoni perseguono è "non solo la sottrazione a questa Santa Sede e al Romano Pontefice del suo legittimo potere temporale", ma anche, "se mai fosse possibile, la completa eliminazione del potere di salvezza della religione cattolica" [Cfr l'allocuzione Iandudum cernimus, in "Acta Pii IX", I, III, pp. 220-230].
    Nel loro magistero i Papi fanno quanto possono per evitare che la popolazione presti ingenuamente fede alla propaganda liberale e cada nell'inganno che le tendono nemici che si proclamano amici.
    Se le cose stanno come dicono i Pontefici, bisogna capire che cosa spinge i massoni a professarsi cattolici quando tali non sono.

    Una strategia coperta

    Nell'Italia dell'Ottocento quasi tutti sono cattolici e la civiltà cristiana, insieme con la lingua, costituisce l'identità vera e profonda di una popolazione che peraltro è da secoli politicamente divisa. Per far trionfare il proprio punto di vista assolutamente minoritario, i liberali ricorrono a una strategia che si potrebbe definire "coperta": da un lato provano in ogni modo a infiltrarsi all'interno della Chiesa per condizionarla dal di dentro (questo obiettivo viene espresso con massima chiarezza in una circolare del 1819 inviata alle varie logge dell'Alta Vendita [Cfr J. CRÈTINEAU-JOLY, L'Église romaine en face de la Révolution, II, Paris 1861, pp. 76-78]); dall'altro colgono ogni possibile occasione per definirsi cattolici perfettamente ortodossi; da ultimo, promuovono sul piano interno e internazionale una campagna di denigrazione e falsificazione sistematica sulle condizioni di tutti gli Stati italiani a eccezione del Piemonte. Si distingue in quest'opera il cattolico Massimo D'Azeglio, teorizzatore della "congiura" all'aria aperta. In I miei ricordi racconta egli stesso del suo incontro a Roma con il "settario" Filippo e del suo aderire alla cospirazione filosabauda per l'ottima ragione di voler scampare alla noia e alla depressione ("perché provavo il bisogno d'aver un'occupazione che sopraffacesse nell'animo mio i pensieri che mi tormentavano", per "aver un modo di passar la malinconia, e finalmente il mio gusto per la vita d'avventure e d'azione"). Con questi sistemi, uniti alla capillare corruzione dei quadri dell'esercito borbonico, la massoneria ritiene di poter convincere la popolazione che sotto i Savoia si può vivere la propria fede in modo più cattolico che sotto il Papa; che i liberali incarnano gli autentici desideri di Cristo meglio del suo presunto Vicario terreno; che la Chiesa può tornare all'originario splendore quando privata delle preoccupazioni terrene, vale a dire quando tutte le proprietà che possiede e che le sono state donate dalla pietà dei fedeli (compresi i conventi in cui vivono monaci e frati con i relativi edifici di culto, i libri, i quadri, le sculture, gli oggetti e gli arredi sacri, incluso ovviamente lo Stato che le appartiene), saranno diventate possesso di quei nobili e borghesi anticristiani che le sapranno far fruttare debitamente in nome delle regole del profitto e del libero mercato.

    Con questa operazione che fanno condurre dall'unica Casa regnante disposta, in nome di importanti acquisti territoriali, a svendere la prestigiosa tradizione religiosa, culturale ed etica della nazione, le potenze massoniche e i massoni italiani (tutti esuli a Torino eletta "capitale morale" d'Italia, nuova Gerusalemme, a dire di Pascoli) ritengono di poter finalmente associare l'Italia al novero delle prospere potenze europee che già da tempo (con la Riforma protestante e la Rivoluzione francese) si sono liberate dal "giogo" del cattolicesimo.

    Paradossalmente è proprio Galli della Loggia, intellettuale e politologo laico, a rispolverare oggi la guerra civile combattuta durante il Risorgimento. Guerra che la storiografia contemporanea, quella cattolica in testa, ha smesso di ricordare più o meno dal 1925, anno in cui Mussolini pone fuori legge la massoneria.

    Per accertare se Galli della Loggia (e i Papi) abbiano o no ragione non ci resta che seguire il metodo di Pio IX: confrontare parole e fatti. Il Regno di Sardegna si autoproclama vessillo dell'onore nazionale, perché unico Stato costituzionale e parlamentare della penisola. I Savoia giustificano l'invasione e l'annessione degli altri Stati (tutti retti da sovrani assoluti) proprio con il pretesto del regime politico costituzionale. Vittorio Emanuele, dicono, non può in alcun modo rimanere insensibile alle grida di dolore che verso di lui si levano da tutte le parti dell'Italia oppressa.

    La soppressione degli Ordini religiosi

    Esaminiamo allora come i Savoia traducono in pratica questo tanto propagandato amore per la legalità costituzionale e per le libertà dei cittadini.
    Il primo articolo dello Statuto (che entra in vigore il 4 marzo 1848) dichiara: "La religione cattolica apostolica e romana è la sola religione di Stato". "Che cosa fa la Camera dei deputati del Regno sardo-piemontese? Non appena convocata, nella primavera inoltrata del 1848, si esibisce in un attacco frontale alla Chiesa cattolica. È in corso la prima guerra di indipendenza contro l'Austria e le sorti dell'esercito del piccolo Regno sono già compromesse, ma i rappresentanti dell'1,70% della popolazione che ha diritto di voto combattono una loro guerra personale: la guerra contro i gesuiti e gli Ordini affini, definiti "gesuitanti". Per più di due mesi i deputati subalpini si esercitano in interminabili requisitorie contro la Compagnia di Gesù (accusata di essere "rappresentante di un funesto passato", "corruttrice", "appestata", "lue", "eretica", "torbida malaugurata compagnia") e contro gli Ordini religiosi che i deputati ritengono infettati dall'Ordine incriminato. Teorizzano che la Compagnia è una vera e propria peste e che chiunque le si accosta rimane contagiato.

    Alla fine di interminabili discussioni, la Camera ratifica la decisione già presa dal re di sopprimere la Compagnia di Gesù, decide di imporre il domicilio coatto ai religiosi (che non si sono macchiati di alcun tipo di reato e sono condannati per il solo "nome" di gesuiti), delibera la requisizione di tutti i beni dell'Ordine (gli splendidi collegi finiscono per trasformarsi per lo più in caserme) e accomuna alla sorte dei figli di sant'Ignazio quegli Ordini religiosi giudicati più pericolosi per la conservazione dell'ordine liberale.

    Per qual ragione i deputati Sabaudi fanno tutto ciò? Per amore, ripetono in continuazione, della "vera morale" e della "pura religione". Omettono naturalmente di dichiarare che la morale e la religione cui si rifanno non sono quelle cattoliche.

    Nel 1854-1855 è la volta del governo. Il Ministro Cavour-Rattazzi, il governo del connubio tra centro e sinistra costituzionale, si assume la responsabilità di un attacco in grande stile contro la Chiesa cattolica e presenta un progetto di legge per la soppressione (e relativo incameramento di beni) degli Ordini contemplativi e mendicanti [Cfr "Atti del Parlamento subalpino. Documenti", XII, pp. 1631-1640].

    Il governo ritiene che monache di clausura e frati abbiano fatto il loro tempo. Pensa che siano istituzioni ottime per un periodo di violenza e di barbarie, ma nocive in un'epoca pacifica e liberale. Il ragionamento di Rattazzi è semplice: gli Ordini contemplativi e mendicanti sono inutili: se tali, sono allora nocivi (sic!). L'argomentazione di Cavour è invece più complessa, perché il conte non ritiene l'inutilità motivo sufficiente a giustificare la soppressione. Cavour si fa pertanto carico di dimostrare "matematicamente", "con fatti e con teoremi", che gli Ordini in questione sono nocivi. Nocivi a che cosa? Al progresso della moderna civiltà. Nocivi alla prosperità economica, industriale, agricola e perfino artistica del Paese. Cavour ritiene di dimostrare il proprio assunto ricorrendo a una prova inoppugnabile: la realtà dei fatti. E la realtà che costata è la seguente: sono molto più ricchi, moderni e progrediti quegli Stati in cui gli Ordini sono già aboliti da tempo. Non solo: là dove non esistono più francescani, domenicani o altri religiosi, è lo stesso attaccamento della popolazione al cristianesimo a essere più profondo. Per tutti questi ottimi motivi gli Ordini, secondo Cavour, sono nocivi. Ergo, a buon diritto vanno soppressi.

    Con i discorsi di "Lord Camillo" alla Camera e al Senato [Cfr "Atti... Discussioni", XXI, pp. 2862-2871; cfr anche "Atti... Discussioni Senato", VIII, pp. 767-771] si tocca l'apice della costituzionalità del Regno sabaudo: il presidente del Consiglio di uno Stato ufficialmente cattolico, per sua stessa ammissione, ritiene migliori sotto ogni punto di vista (quello religioso compreso) gli Stati protestanti.

    Un'ultima considerazione. Rattazzi, quando in qualità di Guardasigilli e ministro del culto espone alla Camera la necessità di sopprimere gli Ordini religiosi, lo fa ribadendo un'esigenza di stretta competenza del dicastero che dirige. Il ministro Guardasigilli ritiene giunto il momento di fare giustizia. Di fare giustizia all'interno della Chiesa. Di fare giustizia ai beneamati parroci che, tanto utili alla popolazione, vivono con poche lire mentre i molti religiosi che non fanno nulla vivono nel lusso: "È forse giusto, è forse consentaneo ai princìpi della religione che esista questa disparità fra i membri del clero? No certamente". Un ministro di Vittorio Emanuele si propone così di realizzare una giustizia di tipo redistributivo, sottraendo risorse finanziarie e proprietà ad alcuni per beneficiare altri. Il principio è quello che chi possiede più soldi deve dividerli con chi ne ha meno. Il principio è anche quello che chi lavora deve guadagnare per lo meno tanto quanto chi induge nell'ozio.

    Nei medesimi anni numerosi intellettuali cattolici, primo tra tutti Donoso Cortés, mettono in guardia i liberali: con i metodi che adottano, preparano la strada al comunismo. Anche Pio IX è al riguardo profeta inascoltato. A cose fatte, è indubitabile che tra liberismo e comunismo c'è una continuità obiettiva. Lenin si limiterà ad applicare, su più ampia scala, i princìpi così ben enunciati dai liberali. Questi "fanno giustizia" solo ai parroci poveri entro la Chiesa (una giustizia che ritorna a loro vantaggio perché si impadroniscono con pochi soldi dell'ingente patrimonio di cui la carità cristiana ha fatto dono alla Chiesa), i comunisti "fanno giustizia" a tutti i poveri con i beni degli stessi liberali.

    Ma l'incognita tra princìpi e prassi non si limita a quanto finora rilevato. Così l'articolo 24 dello Statuto recita: "Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge". Tutti, meno i religiosi. Tutti, meno quanti donano beni alla Chiesa. I loro testamenti per diventare operativi devono essere approvati dal governo che li deve purgare "dal sospetto di captazione". E ancora l'articolo 28: "La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi". Libera: a essere libera davvero è la stampa liberale (di cui non viene punito alcun abuso); quella cattolica, invece, non è libera per niente.

    Un esempio convincente? Nel 1848, di fronte alla persecuzione che si abbatte sui gesuiti, il provinciale dell'Ordine, padre Pellico, così scrive a Carlo Alberto: "Era semplicemente dichiarato da V. M. nella nuova legge sulla stampa che dovesse rimaner inviolato l'onore delle persone e dei ministri della Chiesa. Ma pare che nell'avvilire e calunniare i gesuiti non si tema di trasgredire la legge […] esposti per la sola qualità di gesuiti al pubblico odio o alla diffidenza e al dispregio. Intanto però i giornali e i libelli che ci fanno la guerra, approvati in ciò dalla censura, hanno diritto di rifiutare le nostre smentite; né tuttavia abbiam noi un altro organo imparziale da stamparle con uguale pubblicità, se pure non ci venga concesso di farlo per via della gazzetta del Governo" [Cfr A. MONTI, La Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese, V, Chieri 1920, pp. 78-79].

    Un altro esempio? Nel 1852 il Guardasigilli Boncompagni fa arrestare e imprigionare a carcere duro il conte Ignazio della Costa, consigliere di Cassazione, reo di aver pubblicato un libro dal titolo Della giurisdizione della Chiesa cattolica sul contratto di matrimonio negli Stati cattolici. Il conte è incriminato per offesa al re, incitamento al sovvertimento dell'ordine costituzionale e disprezzo della legge dello Stato. Quale la colpa? Richiamare alla coerenza e ricordare che, se si è cattolici, bisogna rispettare i decreti del Concilio di Trento. Un particolare che sta stretto a Boncompagni, il quale, mettendo da parte i decreti tridentini, ritiene ugualmente di essere un buon cattolico [Cfr M. D'ADDIO, Politica e Magistratura (1848-1876), Milano 1996, pp. 31-32].
    Un ultimo esempio? Cavour vieta nel cattolico Regno di Sardegna la pubblicazione delle encicliche del Papa.
    Segnaliamo infine l'articolo 29, che enuncia: "Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili". Tutte? Tutte, meno quelle della Chiesa.

    Monopolio scolastico

    Chiudiamo questi esempi di buon governo liberale, ricordando come insorge in Italia l'ostilità alla scuola privata.
    I liberali sono all'incirca l'uno per cento della popolazione. È evidente che, potendo scegliere, i cattolici mandino i propri figli a scuole non liberali. A scuole dunque (dal momento che lo Stato è in mano dei liberali) non statali. Si tratta allora di impedire ai cattolici di scegliere, di sopprimere le corporazioni religiose dedite all'insegnamento e di vigilare perché non se ne formino altre. Nessuna libertà di stampa, di parola, di associazione. E nessuna libertà di insegnamento. I cattolici non sono ancora pronti e devono essere pazientemente educati.

    La libertà di insegnamento, e cioè la scuola privata, potrà essere reintrodotta solo quando gli italiani avranno imparato a preferire la scuola laica. In pratica, solo quando a nessun genitore verrà più in mente di dare ai propri figli un'istruzione incentrata sul rispetto della fede. A esplicitarlo in modo chiarissimo è uno dei membri più illustri dell'emigrazione italiana a Torino, il filosofo Bertrando Spaventa, che sul Progresso del 31 luglio 1851 scrive: "Noi certo vogliamo la libertà in tutto e per tutto, ma l'applicazione assoluta di questo principio suppone l'eguaglianza di tutte le condizioni". Conclude il filosofo: "Adunque, considerando la questione in modo assoluto, noi vogliamo la libertà d'insegnamento; ma giudichiamo che per essere attuata essa abbisogni di alcune condizioni generali, richieste dallo stesso principio d'uguaglianza e di libertà, le quali ora non si trovano nel nostro Paese". Fedeli a questa logica i governanti liberali del Regno d'Italia sopprimono tutte le corporazioni insegnanti con la conseguenza di riuscire nell'opera meritoria di dimezzare le scuole esistenti.

    La prassi politico-ideologica dei governi liberali mette in luce che i princìpi liberali valgono solo e soltanto per coloro che sono liberali. E tutti gli altri? Tutti gli altri devono venire progressivamente illuminati dal credo liberale che a poco a poco lieviterà le masse cattoliche allontanandole dalla superstizione della loro religione. Per il momento è comunque chiaro che i cattolici non devono e non possono contare assolutamente nulla.

    Un breve scambio di battute tra Cavour e uno dei membri più influenti della destra, il maresciallo Ignazio della Torre, chiarisce bene questo stato di cose. Siamo nel 1855 e la Camera subalpina discute il progetto di legge governativo per la soppressione degli Ordini religiosi. Della Torre, per smentire la supposta popolarità della legge, invita a entrare in una qualsiasi delle chiese di Torino stracolme di gente e a chiedere per che cosa si stia pregando: "Tutti quelli che interrogherete vi risponderanno che si sta pregando per il progetto di legge". Questa la risposta di Cavour: "L'onorevole maresciallo ha detto che gran parte della popolazione era avversa a questa legge. Io in verità non mi sarei aspettato di vedere invocata dall'onorevole maresciallo l'opinione di persone, di masse, che non sono e non possono essere legalmente rappresentate" [Cfr "Atti... Discussioni Senato", VIII, p. 830.]

    Galli della Loggia ha riportato alla luce la guerra civile combattuta in Italia durante il Risorgimento. Non ha però spiegato perché quella guerra è stata "rimossa", essendo "non detta e non dicibile". Gli esempi che abbiamo addotto hanno riempito la lacuna.

    Comunque è sicuramente vero: in Italia "l'incompatibilità tra patria e religione, tra Stato e cristianesimo, è in un certo senso un elemento fondativo della nostra identità collettiva come Stato nazionale". L'aspetto singolare è semmai perché la storiografia di questo secolo abbia tardato tanto ad accorgersene.

    Altra questione è la domanda: ci è convenuto?

    © Studi Cattolici - n. 437/438, Luglio/Agosto 1997
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Risorgimento Massonico?


    di Angela Pellicciari


    "Vi fu, o signori, un tempo di corruzione, di decadimento, di barbarie, in cui poté credersi virtù evangelica il ritirarsi dal guasto secolo all'ombra d'un romito chiostro. Ma ora, o signori, quei tempi sono trascorsi. Ora non è più sotto un bianco o bigio mantello che si serve il vangelo. E noi intanto osiamo consumare così preziosi giorni ad argomentare, a distinguere, a sottilizzare per sapere quale diversità esista tra un gesuita, un gesuitante, un gesuitino, un gesuitastro"; "Io voterò per quanti più oblati, e paolini, e monaci, e frati di tutti i generi e di tutti i colori vorrà abolire la Camera".
    A parlare così è Angelo Brofferio, scrittore benemerito di casa Savoia (Carlo Alberto lo prega di mettere la sua penna al servizio della causa nazionale, Vittorio Emanuele II lo incarica di scrivere la storia del Parlamento subalpino), in un intervento pronunciato alla Camera dei deputati il 19 luglio 1848, mentre è in discussione il provvedimento di soppressione di Gesuiti e ordini affini, genericamente definiti "gesuitanti".

    Angelo Brofferio, dunque: come è potuto finire nel Parlamento di uno Stato ufficialmente cattolico un uomo così profondamente anticattolico?

    Ce lo racconta Roberto D'Azeglio, fratello del più noto Massimo, scrivendo al figlio Emanuele, diplomatico: "Da informazioni sicure siam fatti certi come a Busca e Caraglio per allettare i paesani a votare Brofferio si faceva loro credere che era un uomo eminentemente religioso, assiduo ai sacramenti, amico della pace e dell'ordine, nemico della repubblica e il più perfetto onest'uomo del paese perseguitato per causa della sua pietà e del suo realismo" [Cfr C. D'AZEGLIO, Souvenirs historiques de la marquise Costance D'Azeglio, Torino 1884, pp. 380-381].

    Questo piccolo fatto, tutt'altro che isolato, è esemplare ed emblematico: il Risorgimento è stato realizzato anche facendo sistematico uso di propaganda menzognera, diffusa ad arte tra la popolazione cattolica, ingenua e credulona.

    Vecchie polemiche che rispolverano tesi ultraconservatrici: così è stato definito l'articolo comparso nel numero di luglio/agosto. Vecchie polemiche? Per spiegare che così non è, bisogna richiamare alla memoria quanto stampa, libri di testo e saggi storiografici hanno da tempo smesso di raccontare. Si tratta di ricordare perché la Massoneria ha voluto la scomparsa dello Stato della Chiesa (e di conseguenza l'unità della penisola) e la riduzione di Roma da caput mundi a caput Italiae. L'unico modo per farlo è analizzare le fonti dell'epoca.

    La visione del mondo della massoneria ottocentesca (se e in che misura questa sia cambiata è questione che qui non interessa) è interamente costruita intorno a due presupposti. Il primo è che la Rivelazione non esiste: rifiutando la Rivelazione i massoni ritengono spetti all'uomo in totale autonomia e col solo aiuto della ragione stabilire quali siano le leggi della morale e del vivere civile. Questo è anzi il compito che i massoni ritengono loro proprio ed esclusivo: ancora il 10 febbraio 1996 una pagina intera di pubblicità sul Corriere della Sera ricorda che i massoni "hanno la responsabilità morale e materiale di essere guida di altri uomini".

    Il secondo presupposto è che la natura dell'uomo (della specie umana, non del singolo) è costantemente perfettibile: si tratta del mito del Progresso che induce a ritenere possibile il raggiungimento su questa terra della felicità (il diritto alla felicità tanto solennemente iscritto nella Costituzione americana) conseguito attraverso il pieno sviluppo di tutte le potenzialità umane.


    Una strana tolleranza


    La massoneria ritiene dunque possibile raggiungere la tangenza uomo-dio con le sole forze della ragione, e cioè per natura, mentre nega che per partecipare alla natura divina ci sia bisogno della grazia, concessa da Dio per i meriti di Suo Figlio Gesù Cristo a coloro che si pentono e si convertono. Gli aspetti di satanismo che colorano tante posizioni massoniche derivano da questa convinzione: nel Libro della Genesi quando Satana si rivolge a Eva lo fa per insinuarle il desiderio di diventare Dio come se ciò fosse possibile in forza di un semplice atto di volontà: "Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio" (Gn 3, 5). Tanto per restare in Italia, è in questo contesto teorico che Giosuè Carducci compone l'Inno a Satana ("Salute, o Satana, \ O ribellione, \ O forza vindice \ De la ragione! ").

    Dal momento che la massoneria ritiene suo compito specifico tracciare la distinzione tra bene e male, quale ruolo attribuisce alle religioni positive? Praticamente nessuno. Le ritiene tutte superstizioni locali buone per il volgo, utili solo ancora per qualche tempo: il tempo necessario perché tutti gli uomini imparino a usare la ragione e cioè diventino massoni. Il luminare della massoneria francese J. M. Ragon che scrive con l'esplicita approvazione del Grande Oriente di Francia, sostiene che la massoneria apre i suoi templi agli uomini "per liberarli dai pregiudizi dei loro paesi o dagli errori delle religioni dei loro padri" e afferma che l'Ordine "non riceve la legge ma la stabilisce (elle ne reçoit pas la loi, elle la donne) dal momento che la sua morale, una ed immutabile, è più estesa e più universale di quelle delle religioni native, sempre esclusive" [Cfr Cours philosophique et interprétatif des initiations anciennes e modernes, Parigi 1853, pp. 18, 38].
    La massoneria italiana è perfettamente allineata su questa posizione. La Costituente che si riunisce nel maggio del 1863, dopo aver precisato che la massoneria "non prescrive nessuna professione particolare di fede religiosa, e non esclude se non le credenze che imponessero l'intolleranza delle credenze altrui", precisa (art. 3) che i princìpi massonici debbono gradualmente divenire "legge effettiva e suprema di tutti gli atti della vita individuale, domestica e civile" e specifica (art. 8) che fine ultimo dell'Ordine è "raccogliere tutti gli uomini liberi in una gran famiglia, la quale possa e debba a poco a poco succedere a tutte le chiese, fondate sulla fede cieca e l'autorità teocratica, a tutti i culti superstiziosi, intolleranti e nemici tra loro, per costruire la vera e sola chiesa dell'Umanità" [Cfr L. PARASCANDOLO, La Framassoneria, IV, Napoli 1869, p. 120].
    La convinzione che tutte le religioni debbano col tempo cedere il passo alla verità (quella che la massoneria definisce tale), viene espressa dall'Ordine con la magica parola di tolleranza. Definendo se stessa tollerante e pacifica, la massoneria definisce intolleranti e violenti coloro che massoni non sono né vogliono diventare ("Non esclude se non le credenze che imponessero l'intolleranza delle credenze altrui").

    Se questo è il discrimine tra tolleranza e intolleranza è chiaro che l'istituzione più intollerante di tutte è la Chiesa cattolica: la Chiesa afferma infatti di possedere la verità e di possederla per intero grazie a un intervento esplicito e definitivo di Dio. Afferma per di più (Pio IX sa quello che fa quando proclama il dogma dell'infallibilità pontificia nel 1870) che il papa, vicario di Cristo, quando si esprime in materia di fede e di morale lo fa in termini buoni in assoluto, perché perfetti e veri.

    Con la sua stessa presenza, insomma, la Chiesa cattolica è la negazione della bontà e verità (nonché praticabilità) del credo massonico. È chiaro pertanto che, al di là delle parole, il papa e la Chiesa sono i nemici naturali e mortali di ogni massone: "La massoneria avrà la gloria di debellare l'idea terribile del papato, piantandovi sulla fossa il suo vessillo secolare - verità, amore" [Cfr Bollettino del Grande Oriente della Massoneria in Italia, 1869, p 328].


    Mobilitazione internazionale


    L'appoggio internazionale all'unificazione italiana (appoggio che non consiste solo nella copertura politica data ai Savoia, ma anche in concretissimi prestiti e ingenti fondi investiti nell'impresa) è da vedersi principalmente in relazione all'obiettivo prioritario della massoneria: la lotta al papato romano e quindi, nella convinzione che la fine del potere temporale avrebbe fatalmente comportato anche quella del potere spirituale, la guerra allo Stato della Chiesa. Il Bollettino esprime questa realtà con molta chiarezza nell'aprile del 1865: "Le nazioni riconoscevano nell'Italia il diritto di esistere come nazione in quanto che le affidavano l'altissimo ufficio di liberarle dal giogo di Roma cattolica. Non si tratta di forme di governo; non si tratta di maggior larghezza di libertà; si tratta appunto del fine che la massoneria si propone; al quale da secoli lavora, attraverso ogni genere di ostacoli e di pericoli".

    "A Roma sta il gran nemico della luce. Lo attaccarlo ivi di fronte, direi quasi a corpo a corpo, è dover nostro" [Cfr Gran Maestro Mazzoni, Rivista della Massoneria Italiana, 1872, n 1]: dall'attacco alla Roma pontificia la comunione massonica italiana si ripropone, oltre all'obiettivo comune a tutto l'ordine, il raggiungimento di un suo fine particolare. I massoni italiani si ripromettono infatti di far risorgere la potenza e la forza della Roma pagana e imperiale: è il mito della Terza Roma tanto cara a Mazzini (da questo punto di vista Mussolini trova il terreno ben preparato). Ma lasciamo la parola alla Rivista dell'Ordine: "Il sodalizio massonico in Italia ha combattuto accanitamente e quasi debellato con le armi della ragione, la parte degenere ed imputridita del cristianesimo, ed ha molto cooperato a tagliare le unghie sanguinose alla immonda arpia, che della città più grande e più gloriosa del mondo avea fatto semenzaio di superstizione e propugnacolo contro ad ogni umano incivilimento"; "Facciamo sì che dalla Eterna Città nostra la luce si diffonda per l'Universo, che il mondo ammiri a canto del nero ed avvilito Gesuita, il libero gigante potere della massoneria" [Cfr Rivista della Massoneria Italiana, 1872, n. 1 e n. 3].

    Il credo ideologico della massoneria che abbiamo ricordato, è essenziale per capire la storia italiana degli ultimi duecento anni. Per realizzare il suo programma, la massoneria deve infatti neutralizzare la resistenza dei cattolici.

    Come evitare che i cattolici di tutto il mondo insorgano in difesa dello Stato della Chiesa che da più di un millennio difende il papa dalla prepotenza di prìncipi e sovrani ed è l'orgoglio e il gioiello di tutta la cristianità? Per scongiurare questo pericolo la massoneria organizza una più che decennale campagna internazionale basata sull'uso sistematico della calunnia e della menzogna in cui dipinge lo Stato della Chiesa come il più sanguinario, retrogrado e mal amministrato di tutta la terra. Contro ogni ragionevolezza e contro ogni verità storica, l'Ordine cerca di convincere i cattolici che la semplice esistenza di uno Stato pontificio è contraria all'insegnamento di Cristo, vissuto povero e morto in croce, e assicura che rinunciando alla sua visibilità (dal momento che non siamo puri spiriti ciò equivale alla rinuncia all'esistenza) la Chiesa avrebbe guadagnato in spiritualità e purezza.
    In questa campagna anticristiana un posto di rilievo spetta, in Italia, a Massimo D'Azeglio. D'Azeglio parla da cattolico e può indirizzarsi ai "cattolici più devoti" senza suscitarne la diffidenza ("In Italia e fuori d'Italia, non solo i protestanti ed altri avversari di Roma ma gli stessi cattolici più a lei devoti e gli stessi preti, ove non sien mossi da private passioni, si spogliano di ogni stima del principato temporale del papa, lo predicano dannoso alla fede e alla religione, lo vorrebbero o tolto affatto o ristretto almeno in brevi confini"). Calunniatore dell'amministrazione pontificia che denuncia pessima davanti al mondo intero, arriva a mettere in discussione la legittimità dell'esistenza dello Stato della Chiesa (di gran lunga il più antico stato dell'Occidente e quindi di gran lunga il più legittimato a esistere) con motivazioni di questo tipo: "Se il papa è divenuto principe per le donazioni di Pipino e di Carlo Magno, della contessa Matilde e d'altri, perché è stato tenuto perciò principe legittimo? Perché l'universale consentiva nel creder legittimo questo modo d'acquistare, nel credere quelli che donavano legittimi possessori della cosa donata; e si comprende che se l'universale avesse creduto tutto l'opposto, non solamente questo acquisto, questo principato, non sarebbe potuto durare, ma neppure sarebbe venuto in mente né agli uni di concederlo né agli altri di accettarlo. Ma le età sono mutate [...]. Si deve dunque riconoscere che l'idea sulla quale posava la legittimità del principato ecclesiastico, come di tant'altri, più non esiste [...]. Le nuove fondamenta, le sole, sulle quali ormai egli possa reggersi, sono nel diritto ammesso dal consenso universale, nel diritto comune" [Cfr M. D'AZEGLIO, Degli ultimi casi di Romagna, in Raccolta degli scritti politici, Torino 1850, pp. 59-60].

    La massoneria, dunque, dipinge lo Stato della Chiesa come luogo di rapina, di barbarie e di violenza (dimenticando che si tratta dell'unico stato al mondo a non avere la violenza come madre perché non è frutto di conquista) e si contrappone alla Chiesa anche a questo riguardo presentandosi come l'incarnazione della benevolenza, della mitezza, della fratellanza, del desiderio di pace. Ecco come il Bollettino descrive la natura dell'Ordine: "Ha pigliato essere e modi dolci, qualità e tendenze naturali dell'uomo, onde fraternità e benessere universale sono le sue basi. Proclamando ed attuando questi principi essa conduce l'umanità sulla via del perfezionamento segnatole dalla Provvidenza" [Cfr Bollettino del Grande Oriente Italiano, 1863, n. 9].


    Non è cambiata


    La storia degli ultimi tre secoli dimostra quale fondatezza abbia una simile convinzione. Mi limito qui con un esempio a ricordare con quale dolcezza sia stata unificata la penisola italiana. Il 3 febbraio 1861, mentre viene ultimata la conquista dello Stato della Chiesa, il generale Pinelli (comandante la colonna mobile degli Abruzzi e dell'Ascolano) detta il seguente proclama: "Un branco di quella progenie di ladroni ancor s'annida fra i monti; correte a snidarlo e siate inesorabili come il destino [...] sono i prezzolati scherani del Vicario non di Cristo, ma di Satana"; "Noi li annienteremo, schiacceremo il sacerdotale vampiro, che colle sozze labbra succhia da secoli il sangue della Madre nostra, purificheremo col ferro e col fuoco le regioni infestate dall'immonda sua bava, e da quella cenere sorgerà più rigogliosa la libertà anche per la nobile provincia Ascolana".

    Nonostante l'evidenza dei fatti, la leggenda della Chiesa intollerante e sanguinaria ha vinto la barriera del tempo e si è trasmessa di generazione in generazione fino al nostro secolo. Mentre conversa amabilmente con i suoi ospiti all'ora di pranzo, Adolf Hitler sostiene: "La nostra società attuale è più umana di quanto non lo sia mai stata la Chiesa. Noi obbediamo al comandamento "non uccidere" limitandoci a mandare a morte l'assassino. La Chiesa, invece, fin quando ne ha avuto il potere, ha torturato nel più orribile dei modi i corpi delle sue vittime". Ancora: "Il cristianesimo promulga i suoi dogmi inconsistenti e li impone con la forza. Una simile religione porta con sé l'intolleranza e la persecuzione. Non ce n'è di più sanguinose". Infine l'auspicio: "È verosimile, per quanto concerne la religione, che stiamo per entrare in un’era di tolleranza [...]. La nostra epoca vedrà indubbiamente la fine della malattia cristiana [...]. Noi entriamo in una concezione del mondo che sarà un’era soleggiata, un’era di tolleranza" [Cfr A. HITLER, Idee sul destino del mondo, edizioni di Ar, 1980, II, pp. 282, 300-301, 367].

    "Vecchie polemiche ultraconservatrici": i liberali fanno il loro mestiere e oggi come ieri raccontano la stessa versione dei fatti. Niente di nuovo sotto il sole.

    La novità è semmai che oggi i liberali non sono più soli. A ripetere il loro ritornello si sono aggiunti gli storici cattolici. "È una polemica del passato, che senso ha riproporla oggi?", "Oggi la massoneria è tutt'altra cosa. Ci sono state profonde trasformazioni. E non ha alcun senso ingaggiare una simile e inutile battaglia": questa l'opinione di Gabriele De Rosa su Il Tempo del 14 agosto.

    Oggi la massoneria è cambiata? La voce Massoneria di una delle più diffuse enciclopedie mondiali su dischetto (The 1995 Grolier Multimedia Encyclopedia), dopo aver ricordato che in passato l'Istituzione è stata aspramente combattuta dalla Chiesa cattolica, specifica: "A papal ban on Roman Catholic membership in Masonic lodges was rescinded in 1983" (il divieto per i cattolici di far parte di logge massoniche è stato cancellato nel 1983). Che nel 1983 la Chiesa torni a pronunciarsi sulla massoneria (i pronunciamenti di condanna di questa istituzione sono centinaia), è vero. Che lo faccia per annullare il divieto di affiliazione, è falso.

    "Rimane immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche [...] e perciò l'iscrizione ad esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla santa comunione": questa la dichiarazione emessa il 26 novembre 1983 dalla Congregazione per la Dottrina della fede. Più che la massoneria a essere cambiati sembrano, e lo sono, molti cattolici. O, meglio: alcuni storici cattolici.

    © Studi Cattolici - n. 440, Ottobre 1997
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    Dalla Catrboneria "fiamme" sulla Chiesa

    Distruggere il cattolicesimo, secondo documenti del 1818, sarebbe stato lo scopo dell’associazione

    di Angela Pellicciari

    Passato il ciclone Napoleone, a continuarne la battaglia rivoluzionaria restano i suoi eredi: militari che hanno acquisito ricchezza e potere, borghesi arricchiti con la legale spoliazione dei beni della Chiesa, cadetti delle casate nobiliari, studenti romanticamente attratti dall’ideale nazionale. I membri delle società segrete. "Chi pensava allora all’Italia, alla sua indipendenza, alla sua rigenerazione? Meno poche eccezioni, la schiuma sopraffina della canaglia, che si riuniva misteriosamente nelle vendite dei Carbonari": in termini così poco lusinghieri Massimo D’Azeglio descrive ne I miei ricordi la società segreta protagonista dei tentativi insurrezionali dei primi decenni dell’Ottocento. "Figliuola della Frammassoneria", come scrive nella Storia d’Italia pubblicata nel 1851 lo storico massone Giuseppe La Farina che parla, come sottolinea, con "cognizione di causa", la carboneria organizza i moti del 1817 a Macerata, del 1820 a Nola, Avellino, Napoli e Milano, del 1821 a Torino, del 1831 a Modena e nelle Legazioni. Gli intenti dell’Alta Vendita, vale a dire della direzione strategica della rivoluzione in quel periodo, sono chiaramente enunciati in documenti caduti in mano della polizia pontificia. Si tratta di un interessantissimo epistolario e di uno scritto noto col nome di Istruzione permanente redatto nel 1818. Sia l’Istruzione che le lettere sono testi estremamente significativi perché, tenendoli presente, si capisce qualcosa di più del come e del perché si sia giunti alla formazione del Regno d’Italia. Quale lo scopo della carboneria? Detto in parole povere la liberazione dell’Italia dal cattolicesimo. E l’unità e l’indipendenza? Favole, miti per gente semplice e credulona. Proprio così scrive Felice a Nubio - i nomi di battaglia dei carbonari non sono stati divulgati - l’11 giugno 1829: "l’indipendenza e l’unità d’Italia sono chimere. Pure queste chimere producono un certo effetto sopra le masse e sopra la bollente gioventù. Noi, caro Nubio, noi sappiamo quello che valgono questi principii. Sono palloni vuoti". Per capire con quali armi i rivoluzionari contassero di stroncare il cattolicesimo in Italia conviene citare per esteso i testi dei carbonari: si tratta di documenti che non è esagerato definire agghiaccianti. La calunnia, la maldicenza, l’infiltrazione nelle file del clero, la disintegrazione della famiglia, la corruzione, sono le armi spregiudicatamente scelte e consigliate per conseguire lo scopo prefisso.

    Veniamo ai testi. "Il nostro scopo finale - sostiene l’Istruzione - è quello di Voltaire e della rivoluzione francese: cioè l’annichilimento completo del cattolicismo e perfino dell’idea cristiana"; l’Alta Vendita si prefigge una "rigenerazione universale", inconciliabile con la sopravvivenza del cristianesimo. Vindice scrive a Nubio: "Noi abbiamo intrapresa la fabbrica della corruzione alla grande; della corruzione del popolo per mezzo del clero e del clero per mezzo nostro. Questa corruzione dee condurci al seppellimento della Chiesa cattolica". L’Istruzione prevede che, dove non si arrivi con la corruzione, si debba supplire con la calunnia: "Schiacciate il nemico, quando è potente, a forza di maldicenze e di calunnie"; una parola ben inventata, "una parola può, qualche volta, uccidere un uomo. Come l’Inghilterra e la Francia, così l’Italia non mancherà mai di penne che sappiano dire bugie utili per la buona causa. Con un giornale in mano, il popolo non avrà bisogno di altre prove".

    Ancora: "Dovete sembrare semplici come colombe, ma sarete prudenti come i serpenti. I vostri genitori, i vostri figli, le vostre stesse mogli devono sempre ignorare il segreto che portate in seno, e, se per meglio ingannare l’occhio inquisitore, decideste di andare spesso a confessarvi, siete a ragione autorizzati a conservare il più rigoroso segreto su queste cose". Le istruzioni continuano: "dovete presentarvi con tutte le apparenze dell’uomo serio e morale. Una volta che la vostra buona reputazione sia stabilita nei collegi, nei ginnasi, nelle università e nei seminari, una volta che abbiate catturato la confidenza di professori e studenti, fate in modo che a cercare la vostra compagnia siano soprattutto quanti sono arruolati nella milizia clericale. Si tratta di stabilire il regno degli eletti sul trono della prostituta di Babilonia: che il clero marci sotto la vostra bandiera mai dubitando di seguire quella delle chiavi apostoliche".

    Da sempre le élite rivoluzionarie, considerando se stesse migliori del volgo, hanno creduto loro dovere insegnare al popolo cosa pensare. Da sempre lo hanno fatto poco a poco perché la popolazione non si ritraesse inorridita. Da sempre si è trattato di insinuarsi pian piano con abile propaganda per poi venire all’improvviso - e simultaneamente - allo scoperto. Vanno tanto diversamente le cose ai giorni nostri? Solo fino a qualche anno fa sarebbero state pensabili ostentazioni della diversità sessuale, uteri in affitto, sperimentazione sugli embrioni, clonazioni realizzate ed annunciate e via discorrendo?

    La Padania - 27 luglio 2001
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    Una guerra a colpi di scomuniche

    Un capitolo poco noto del Risorgimento: i rapporti tra Chiesa e Massoneria

    di Angela Pellicciari

    "La liberazione d’Italia - opera eminentemente massonica - fu sorretta, in ogni suo passaggio fondamentale, dalla iniziativa delle Comunioni massoniche d’oltralpe". Ad esprimersi così, nel 1988, è il gran maestro Armando Corona che prosegue: la massoneria "fu il vero ispiratore e motore" del Risorgimento "perché sua era l’idea guida della liberazione dei popoli". Dal momento che la massoneria è stata, per bocca dei suoi più autorevoli esponenti, protagonista del Risorgimento e dal momento che la popolazione italiana è da circa due millenni cattolica, vediamo cosa la Chiesa cattolica pensi della società che ha animato, insieme a quella italiana, le rivoluzioni degli ultimi secoli.

    La Massoneria moderna nasce a Londra nel 1717 e la prima delle centinaia di scomuniche emesse dalla Chiesa nei suoi confronti è solo di qualche anno posteriore. Il 28 aprile 1738, nella bolla In eminenti, Clemente XII condanna il segreto che caratterizza le associazioni dei Liberi-Muratori, il silenzio imposto "intorno alle cose che esse compiono segretamente" (se non operassero iniquamente, "non odierebbero tanto decisamente la luce"), il disaccordo con le leggi civili e canoniche.

    Clemente XII vuole scongiurare il pericolo che "questa razza di uomini non saccheggi la Casa come ladri, né come le volpi rovini la Vigna; affinché, cioè, non corrompa i cuori dei semplici né ferisca occultamente gl’innocenti". Tredici anni dopo è la volta di Benedetto XIV che, il 18 marzo del 1751, pubblica la bolla Providas Romanorum. Nulla di nuovo, si tratta semplicemente di reiterare le condanne già espresse: il papa è costretto a farlo perché "alcuni non hanno avuto difficoltà ad affermare e diffondere pubblicamente che la detta pena di scomunica imposta dal Nostro Predecessore non è più operante perché la relativa Costituzione non è poi stata da Noi confermata, quasi che sia necessaria, perché le Apostoliche Costituzioni mantengano validità, la conferma esplicita del successore".

    Il 3 settembre 1821 è la volta di Pio VII con la bolla Ecclesiam a Jesu Christo. Il papa torna sull’argomento perché i "Carbonari pretendono, erroneamente, di non essere compresi nelle due Costituzioni di Clemente XII e di Benedetto XIV né di essere soggetti alle sentenze e alle sanzioni in esse previste".

    Pio VII ammonisce di non prestare "alcun credito alle parole" dei carbonari, perché "costoro simulano un singolare rispetto e un certo straordinario zelo verso la Religione Cattolica e verso la persona e l’insegnamento di Gesù Cristo Nostro Salvatore, che talvolta osano sacrilegamente chiamare Rettore e grande Maestro della loro società. Ma questi discorsi, che sembrano ammorbiditi con l’olio, non sono altro che dardi scoccati con più sicurezza da uomini astuti, per ferire i meno cauti; quegli uomini si presentano in vesti di agnello ma nell’intimo sono lupi rapaci". Il pontefice ricorda che i carbonari sono all’origine dei tentativi rivoluzionari di quegli anni, e ribadisce che "nel sovvertire questa Sede Apostolica sono animati da un odio particolare". Pio VIII rinnova il monito nel 1829 e, sempre riferendosi alla Carboneria, afferma: "Tra tutte queste sette segrete Noi abbiamo risoluto di segnalarne alla vostra attenzione una speciale formata di recente: il cui scopo è di corrompere la gioventù educata nei ginnasii e nei licei". Non lasciatevi "sedurre da nessuna apparenza, né ingannare da veruna arte maliziosa", raccomanda il papa. I pronunciamenti della Chiesa contro la Massoneria si rinnovano nel tempo fino ad arrivare al più recente del 26 novembre del 1983. In questa data la Congregazione per la dottrina della fede emette un provvedimento solenne firmato dal Prefetto, card. Ratzinger, in cui si sostiene: "Rimane immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche [...] e perciò l’iscrizione ad esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla santa comunione".

    Cosa dire di più? Una piccola citazione può mostrare l’attualità dell’argomento. La voce Massoneria di una delle più diffuse enciclopedie mondiali su dischetto (The 1995 Grolier Multimedia Encyclopedia) dopo aver ricordato che in passato l’Istituzione è stata aspramente combattuta dalla Chiesa specifica: "A papal ban on Roman Catholic membership in Masonic lodges was rescinded in 1983" (il divieto per i cattolici di far parte di logge massoniche è stato cancellato nel 1983). L’esatto contrario di quello che la chiesa ha solennemente ribadito. Niente di nuovo sotto il sole.

    La Padania - 29 luglio 2001
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    «È l'Umanità il Profeta di Dio»

    Mazzini, osannato dai nemici della Chiesa, propagandò la fede nel progresso

    di Angela Pellicciari

    Secondo Giuseppe Montanelli, protagonista delle lotte risorgimentali, il grande merito di Giuseppe Mazzini è stato quello di aver parlato di Dio, e quindi di spirito, a una popolazione che, tutta cattolica, senza Dio non si sarebbe mossa di un passo. A lui "debbonsi lodi per alcun bene che fece - sostiene - non come fuoruscito orditore di cospirazioni impotenti e sacrificatrici, ma come letterato propugnatore di spiritualismo. Né fu piccolo servigio".

    Sempre intento a scrivere a tutti, compresi papi e re, in perenne cospirazione politica, l’avvocato Giuseppe Mazzini, dall’estero, dirige le sorti e la vita di quanti, in Italia, obbedendo alle intuizioni del Maestro, mettono la propria vita e le proprie sostanze a disposizione dell’Ideale: Italia Una, Indipendente, Libera, Repubblicana. Fondatore della Giovane Italia nel 1831 e della Giovane Europa nel 1834, Mazzini è, direttamente o indirettamente, all’origine di numerosi tentativi insurrezionali e di molti attentati - spesso riusciti - alla vita di persone che violano i patti giurati o che sono politicamente nemiche. Amato e osannato da protestanti, evangelici e anglicani, in una parola sostenuto da tutti i nemici della Chiesa cattolica, Mazzini mette Dio al centro della propria attività politica: Dio lo vuole, Dio e popolo, non si stancherà di ripetere, e scrivere, con ardore profetico.

    Quale Dio? Certamente il Dio che Mazzini ha in mente non è quello della tradizione cattolica; fin dal 1834, rivolgendosi Ai giovani italiani, così spiega quale sia il fine ultimo della lotta al potere temporale dei papi: "L’abolizione del potere temporale evidentemente portava seco l’emancipazione delle menti degli uomini dall’autorità spirituale". Massimo D’Azeglio dice di lui che "legato a società bibliche inglesi e americane" cerca "di rendere l’Italia protestante". Ma D’Azeglio sbaglia perché il padre nobile del partito repubblicano condivide l’odio anticattolico e anticristiano della Carboneria: "La missione religiosa consiste nella sostituzione del domma del progresso a quello della caduta e della redenzione per grazia". Ripudiata la Rivelazione, il nome di Dio serve a Mazzini per propagandare una nuova fede, la fede nel progresso: "Crediamo unica manifestazione di Dio visibile a noi la vita; e in essa cerchiamo gli indizi della legge divina. Crediamo nella coscienza, rivelazione della Vita nell’individuo e nella Tradizione, rivelazione della vita nell’Umanità". Così scrive a Pio IX nel 1865 e così continua: "Crediamo che il Progresso, legge di Dio, deve infallibilmente compiersi per tutti. Crediamo che l’istinto del Progresso" sia "la sola rivelazione di Dio sugli uomini, rivelazione continua per tutti". Maestro dell’inganno, maestro nel gioco delle parole, maestro nell’usare i termini più familiari alla popolazione cattolica attribuendo loro un significato radicalmente diverso, Mazzini ha un’unica fede: che il suo modo di pensare sarà condiviso da tutti. L’esule vive in un’epoca che, perlomeno in Italia, è ancora cristiana. Un’epoca quindi che rigetta nella maniera più netta la concezione del progresso che Mazzini sostiene debba infallibilmente compiersi per tutti. Ciononostante il leader repubblicano, colui che esalta con più convinzione il ruolo del popolo, sostiene, e predica, che TUTTI indistintamente dovranno pensarla come lui. Che TUTTI indistintamente dovranno smetterla di essere cristiani. Mazzini dà per scontato che la sua idea di progresso, e cioè la fine di ogni Rivelazione, diverrà realtà. Stessa identica fede, democratica e totalitaria, professa in quel periodo la Massoneria. Nel 1863, la Costituente della rinata (dopo la parentesi della Restaurazione) Massoneria italiana, stabilisce, all’articolo 3, che i principi massonici debbano gradualmente divenire "legge effettiva e suprema di tutti li atti della vita individuale, domestica e civile" e specifica, all’articolo 8, che fine ultimo dell’Ordine è: "raccogliere tutti gli uomini liberi in una gran famiglia, la quale possa e debba a poco a poco succedere a tutte le chiese, fondate sulla fede cieca e l’autorità teocratica, a tutti i culti superstiziosi, intolleranti e nemici tra loro, per costruire la vera e sola chiesa dell’Umanità".

    "Crediamo che Dio è Dio e che l’Umanità è il suo Profeta", scrive Mazzini. Felice Orsini, l’attentatore a Napoleone III che pagherà con la vita il proprio gesto, ha facile gioco nell’apostrofare l’antico Maestro col beffardo nomignolo di "secondo Maometto". Bisogna proprio dirlo: quante cose si fanno e si predicano in nome dell’Umanità con la "u" maiuscola.

    La Padania - 31 luglio 2001
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    Mille e non più mille


    di Angela Pellicciari


    L'invasione di uno Stato in pace senza dichiarazione di guerra, agevolata da fenomeni di corruzione e dalla connivenza della Massoneria. Questo fu lo sbarco


    L'epopea dei Mille è nota in tutto il mondo. Mille uomini, e per di più 'civili', che conquistano un regno vecchio di oltre settecento anni. Un regno ricco, che vanta la seconda marina del continente dopo quella inglese. Episodio tanto incredibile da essere definito miracoloso da Ippolito Nievo, garibaldino della prima ora. Miracolo? Nulla di più lontano dalla realtà. L'impresa dei Mille è frutto di una preparazione meticolosa.

    Per tre anni, tutti i giorni, Giuseppe La Farina (il siciliano massone divenuto segretario della Società Nazionale) ed il presidente del Consiglio del Regno di Sardegna Camillo di Cavour, si incontrano in camera da letto del conte per pianificare l'intervento armato in Italia meridionale. Lo fanno in gran segreto. Al punto che La Farina deve passare per una scala di servizio che comunica direttamente con l'appartamento di Cavour e deve farlo prima dell'alba. Che le cose stiano così è provato nel modo più inconfutabile dalle lettere e dagli articoli dello stesso La Farina.

    Della minuziosa organizzazione dell'impresa dei Mille nessuno sa e nessuno deve sapere niente.

    Ufficialmente il Regno di Sardegna e quello di Napoli sono in pace. Il re Francesco II per di più è cugino dì Vittorio Emanuele II. Ufficialmente si sa solo - come è stato sbandierato al Congresso di Parigi davanti a tutto il mondo, ricorrendo alle calunnie più spudorate e senza la presenza della controparte - che gli abitanti dell'Italia meridionale "gemono" oppressi dal malgoverno borbonico. La geniale trovata di Cavour consiste nel preparare un'invasione, e cioè una guerra, senza dichiarazione di guerra, facendo leva sulla potenza della corruzione e sulla connivenza dei massoni meridionali con quelli settentrionali ed europei. Ne sa qualcosa l'ammiraglio Persano che tallona Garibaldi - di cui Cavour si fida poco - per organizzare lo sbarco di armi e di uomini e per ultimare l'opera di corruzione capillare. A documentare con puntigliosa precisione la condotta davvero poco onorevole del regno sardo sono i diari di Persano. Dopo la sconfitta di Lissa (nel 1866 la flotta sarda è sbaragliata da quella austriaca significativamente più debole) e la successiva incriminazione, l'ammiraglio per difendersi ricorre all'inaudita pubblicazione di veri e propri segreti di Stato.

    Arrivati a Palermo e Napoli, i Mille cosa fanno? Per saperlo basta leggere, oltre alle lettere di La Farina, qualche pagina di quanto scrive il deputato Pier Cesare Boggio, autorevole massone torinese. Il conquistatore Garibaldi, una volta arrivato in Sicilia, sembra essersi scordato di chi lo ha mandato e sembra aver preso gusto alla conquista-passeggiata: dando retta a Mazzini si scorda dei patti con Cavour e medita di marciare su Roma. Così l'intervento di Napoleone III in difesa del Papa è sicuro, e per il Regno di Sardegna è la bancarotta.

    Indebitato fino al collo per organizzare la rivoluzione italiana, senza la possibilità di ricorrere alle finanze e alle ricchezze del Regno delle Due Sicilie, per il regno sardo è la fine. E così Boggio, nell'intento evidente di ricattare Garibaldi, mette nero su bianco le gesta davvero poco eroiche del generale. Cavour o Garibaldi? si intitola il prezioso libretto di cui oggi - come ovvio - nessuno sa nulla. Garibaldi pensa di poter fare a meno di Cavour? Il deputato incalza il generale con una batteria di domande retoriche. Eccone qualcuna: che fine hanno fatto le "somme di pubblica ragione trovate in Palermo, e delle altre della stessa natura, ma anche più considerevoli trovate in Napoli?".

    "Volete un saggio di quel poco che moltissimo giunge insino a noi? La dittatura è fatta sinonimo di anarchia di qua e di là del Faro non sono più leggi, non è più amministrazione regolare, non tutela delle persone e delle proprietà, non tribunali, non ordine, nulla insomma di ciò che costituisce il vivere civile di uno Stato"; ai cittadini "è venuta meno la tutela delle leggi antiche, senzaché siasi introdotta la protezione delle leggi nuove; suppliscono alla lacuna il capriccio e l'arbitrio". I pro-dittatori si fanno e sì disfanno: "Pro-dittatore scelto con molta solennità fu il Depretis"; dopo una settimana si cambia e pro-dittatore diventa Mordini "senza che pur una parola, una sillaba accenni che egli surroga Depretis. Che pensare di tanta instabilità di persone e d'offici?". Boggio prosegue: l'ufficio di pro-dittatore "è nominale e illusorio; dietro e sopra il governo officiale, sta un governo segreto, che è il solo padrone vero di tutto e di tutti. Il Principe di Torrearsa legge nel foglio ufficiale la propria nomina a Presidente il Consiglio dei Ministri, della quale è affatto inconsapevole: attende l'annunzio diretto del Capo dello Stato: passa un giorno, passano due, nulla riceve; e intanto escono sulla Gazzetta decreti e provvisioni che appaiono da lui emanate.

    Si presenta per tre volte al Dittatore per chiedere una spiegazione: gli dicono che non ha tempo di riceverlo; a gran fatica riesce il terzo giorno a farsi sentire, per protestare contro lo indegno abuso del nome". "Voi dovete ricordarvi che non siete in un paese di conquista", conclude Boggio. Conquista: la parola è esatta. Conquista, e per di più negata. Conquista in nome della libertà. Conquista senza pietà e senza vergogna. Ecco cosa scrive la Civiltà Cattolica il 14 settembre del 1861: "Negli Stati sardi esiste la tratta dei Napoletani. Si arrestano da Cialdini soldati napoletani in gran quantità, si stipano ne' bastimenti peggio che non si farebbe degli animali, e poi si mandano in Genova".

    L'autore della corrispondenza dal capoluogo ligure racconta: "Ho dovuto assistere ad uno di que' spettacoli che lacerano l'anima. Ho visto giungere bastimenti carichi di quegli infelici, laceri, affamati, piangenti; e sbarcati vennero distesi sulla pubblica strada come cosa da mercato".

    Per quanto tempo ancora ripeteremo giulivi la favola di Giuseppe Garibaldi 'eroe dei due mondi' e di Vittorio Emanuele il 'liberatore'?




    5 maggio 1860: Garibaldi e i suoi Mille partono da Quarto (Genova) imbarcati sui piroscafi Piemonte e Lombardo alla volta del Regno delle Due Sicilie. A Garibaldi era stata segretamente versata dal governo inglese l'immensa somma 'di tre milioni di franchi francesi in piastre d'oro (molti milioni di dollari odierni) che sarebbe servita a corrompere i dignitari borbonici e comperare il loro tradimento.

    11 maggio: Dopo una sosta a Porto Talamona, i Mille sbarcano a Marsala, protetti dalle navi inglesi ivi ancorate.

    13 maggio: Con il proclama di Salemi, Garibaldi si nomina dittatore della Sicilia.

    15 maggio: Vittoria dei garibaldini a Calatafimi.

    30 maggio: Garibaldi occupa Palermo. La resa della città, inspiegabile dal punto di vista militare, essendo difesa da 25.000 uomini tutti ben equipaggiati, si spiega non con le gesta delle camicie rosse, ma con il denaro versato per corrompere il generale napoletano Lanza.

    20 luglio: Inizia la vittoriosa battaglia di Milazzo. Impadronitosi della Sicilia, Garibaldi varcherà in agosto lo stretto dì Messina.


    Ricorda:

    "Chi sono i Mille che salpano accompagnati dalle benedizioni dei liberali di tuffi i continenti? Garibaldi li descrive cosi: 'Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto'".

    (Angela Pellicciari, L'altro Risorgimento Una guerra di religione dimenticatla, Piemme, Casale Mon.to (AL) 2000, p. 232).

    © Il Timone - n. 20 Luglio/Agosto 2002
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    Unità nel nome della "scienza"

    Durante il Risorgimento le associazioni si riunivano per invocare "la gloria d’Italia"

    di Angela Pellicciari

    L’invasore Napoleone si muove nel nome della scienza. Quello che fa, lo fa per liberare i popoli dal giogo dell’oppressione e dell’ignoranza. Napoleone ritiene giunto il momento in cui tutti debbano riconoscere la bontà, la scientificità ed il valore dei principi massonici da lui incarnati. E’ così che dovunque arriva li propaganda nel nome della scienza, fondando dappertutto Società di Agricoltura, di Scienza e di Arti.

    Caduta la stella di Napoleone, in piena Restaurazione, i liberali di tutti gli stati d’Italia tengono vivo il ricordo delle mitiche gesta dell’eroe corso e rinfocolano la speranza di un più roseo avvenire -gli antichi sovrani si sono affrettati a sopprimere le Logge sorte dovunque in epoca napoleonica- organizzando Congressi scientifici. Anima del movimento è un cospiratore legato a Napoleone da stretti vincoli di parentela, Carlo Bonaparte, principe di Canino. Non è un caso che, a cose fatte, a Risorgimento ultimato, il sindaco di Roma Luigi Pianciani inaugurando nel 1873 il penultimo Congresso scientifico, finalmente convocato nella città dei papi, invita i convenuti ad una "profonda, immensa soddisfazione". "Sì, o signori, -sostiene- a me piace riconoscerlo qui in Roma, grandissima parte del risorgimento italiano è dovuto a voi; giacché ha cominciato il nostro movimento col Congresso scientifico che ebbe luogo in Pisa nel 1839". Cosa c’entra un congresso scientifico col processo di unificazione italiana? Per propagandare una religione diversa dal cattolicesimo in un paese profondamente cattolico, non ci si può servire della miriade di confraternite e opere pie in cui la popolazione italiana è capillarmente suddivisa; per scalzare dai propri troni i rispettivi regnanti, non si può agire pubblicamente in qualcuna delle, pur prestigiose, istituzioni culturali e scientifiche dei vari regni. Per propagandare la rivoluzione, cioè l’unità e l’indipendenza d’Italia, bisogna sfruttare tutti gli spazi possibili, creando le occasioni propizie. A questo mira l’Istruzione della carboneria quando prescrive: "Sotto il più futile pretesto, ma mai politico né religioso, fondate voi medesimi, o, meglio, fate fondare da altri, associazioni e società di commercio, d’industria, di musica, di belle arti". La pratica dei Congressi scientifici che fra feste, fanfare e invocazioni dello Spirito Santo si apre solennemente a Pisa nel 1839, va in questa direzione. Da allora, e fino al 1847, si tiene un congresso all’anno, a turno, nelle diverse città d’Italia. Si prosegue con Torino, poi Firenze, Padova, Lucca, Milano, Napoli, Genova e, infine, Venezia. Un solo stato si rifiuta di ospitare le assise scientifiche di nuovo tipo, ricalcato sul modello dei paesi protestanti: lo Stato della Chiesa. Quale conclusione trarne? Che si tratta di uno stato oscurantista, avverso al progresso e al sapere; uno stato che rende l’Italia, per utilizzare la colorita espressione di Pianciani, "una terra di morti".

    Organizzati per sezioni, i lavori dei congressi contemplano, insieme a quelli della medicina e delle scienze naturali, il tema dell’agricoltura. Quest’ultimo soggetto però, visto l’assetto eminentemente agricolo della nazione, non è affrontato solo nei congressi. La divulgazione capillare dei miglioramenti proposti dalla scienza in agricoltura, è favorita attraverso la costituzione di numerose Associazioni Agrarie, la prima delle quali vede la luce in Piemonte nel 1843.

    All’associazione, ricorda lo storico massone La Farina nella Storia d’Italia, "si iscrissero non solo gli studiosi delle scienze attinenti all’agricoltura, ma anche tutti gli uomini dotati di generosi e liberi sentimenti": ben "tremila e seicento" i soci. Il numero sorprendentemente alto degli iscritti diventa comprensibile se si tiene conto che molti di coloro che vogliono modernizzare le colture non hanno alcun campo per tradurre in pratica le teorie. E infatti, è sempre il parere di La Farina, "la parte politica, a volte predominò sulla scientifica": "ne’ banchetti e festeggiamenti, fra clamorosi applausi invocavasi il nome d’Italia, le sue antiche glorie si rammentavano, nuove glorie e non lontani trionfi le si auguravano". Anche in questo caso, sottolinea lo storico, la "parte gesuitica" fu decisamente avversa alla vita delle associazioni e, con esse, al necessario sviluppo del progresso in campo agricolo.

    La Farina confonde l’avversione cattolica alla messa in scena delle Associazioni agrarie con il mancato interesse per i miglioramenti scientifici. Quante cose non si fanno per la scienza. Ieri come oggi il mondo è sempre lo stesso.

    La Padania - 2 agosto 2001
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    Carlo Alberto, nemico della lega federale

    Il Savoia osteggiò la proposta fatta da Ferdinando II di Borbone e appoggiata da Pio IX

    di Angela Pellicciari

    Chi per primo lancia l'idea di una Lega federale fra i vari stati che compongono la penisola italiana? Strano a dirsi, ma il famigerato Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie.

    Nel novembre del 1833, tramite il proprio ambasciatore a Roma conte Ludorf, Ferdinando II invita Gregorio XVI a farsi promotore di una Lega difensiva e offensiva fra i vari governi italiani per tutelare la religione, i troni e l'ordinamento sociale minacciati dal liberalismo, vale a dire dalla rivoluzione.

    Visti gli immediati precedenti storici -Napoleone e Murat-, si tratta anche di agire di comune accordo "verso quelle potenze straniere che sconsigliatamente volessero cooperare a favorire in un caso estremo gli sforzi dei medesimi settarî".

    La risposta del papa arriva per mano del cardinal Bernetti, segretario di stato, il 6 dicembre dello stesso anno.

    Gregorio XVI apprezza la proposta e le intenzioni di re, ma non può far propria l'iniziativa perché "il carattere sacro di padre comune" impedisce al papa, "supremo gerarca di nostra santa religione", di "suonare la tromba di guerra od eccitare alle armi".

    Le difficoltà cui accenna Gregorio XVI sono comprensibili, eppure l'idea della Lega si fa strada all'interno della Chiesa e nel cuore di Pio IX, successore di Gregorio XVI.

    Mastai Ferretti appoggia la costituzione di una Lega doganale, punto di partenza per un'unione federale e, dietro al papa, è praticamente tutta la Chiesa a promuovere e a sostenere l'unificazione italiana attraverso un processo federale. Ecco con quale slancio, nel 1848, l'influente gesuita Giuseppe Romano parla della Lega in La causa di gesuiti in Sicilia: "La Lega! Il sospiro di tanti anni, il voto unanime de' popoli italiani. La Lega federativa è diretta a tutelare a ciascuno dei popoli federati i suoi diritti, gl'istituti, le proprietà, le franchigie. La Lega ritenendo tutti i vantaggi che dà ad ogni stato la sua autonomia, aggiunge al loro aggregato tutta la forza che mancherebbe a ciascuno di essi per costituirsi in nazione grande, ricca, commerciante, prosperevole e temuta".

    La Lega, a parole da tutti auspicata, non si realizza perché sulla sua strada si frappone un ostacolo insormontabile: Carlo Alberto di Savoia. Il Re di Sardegna ha l'ambizioso progetto di "fare da sé". Incurante delle più elementari norme di diritto internazionale, vuole diventare re d'Italia lui solo. Il 2 giugno 1846 il ministro degli esteri dello stato sardo, Clemente Solaro della Margarita, indirizza a Carlo Alberto un Memorandum per mettere in guardia Sua Maestà dai pericoli che la politica liberale può comportare per il suo governo: "La corona d'Italia sarà una corona mal acquistata che presto o tardi sfuggirà dalle mani di chi se ne sarà impadronito con un progetto politico opposto a quello voluto da Dio". Solaro ricorda a Carlo Alberto di essere il primo ad augurarsi l'accrescimento del "potere" e dei "domini" di Casa Savoia, purché questo avvenga "senza lesione di giustizia".

    Il benservito a Solaro della Margarita, dopo undici anni di fedele servizio, è il più chiaro segno che Carlo Alberto ha rotto gli indugi: Casa Savoia fa proprio il progetto massonico dell'unità nazionale sotto la bandiera liberale. Buon profeta Ferdinando II di Borbone.

    Quanto da lui paventato diventa realtà: una casa regnante italiana si fa paladina, oltre che delle proprie, delle esigenze di potere di Francia ed Inghilterra, massime potenze liberali dei tempi.

    La Padania - 4 agosto 2001
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    D’Azeglio, cospiratore per noia

    Nei suoi Ricordi l’agente della massoneria confessa le sue vere motivazioni

    di Angela Pellicciari

    "Re galantuomo", "l’Italia è fatta, si tratta di fare gli italiani". Queste parole d’ordine, questi motti incisivi, perfetti dal punto di vista della propaganda, sono il frutto di un’intelligenza brillante e di una fantasia disinvolta: quelle del cavaliere Massimo D’Azeglio, uno dei principali protagonisti dell’epopea del nostro risorgimento nazionale.

    Pittore, romanziere, genero di Manzoni, membro della migliore aristocrazia piemontese, amico di tutti i massimi governanti d’Europa, Massimo D’Azeglio è l’uomo che può riuscire dove altri hanno fallito. Così pensa la massoneria. Dopo i disastrosi tentativi insurrezionali di carbonari e mazziniani, si impone un cambiamento di strategia: bisogna puntare su un uomo moderato, ufficialmente conosciuto come cattolico, che dia alla strategia rivoluzionaria un’apparenza di riformismo e, sotto questo camuffamento, riesca dove tutti gli altri hanno fallito.

    Narcisista come pochi, è lo stesso D’Azeglio a raccontare l’episodio del suo incontro romano col "settario" Filippo. Il compito che la massoneria affida aD’Azeglio non è semplice. Si tratta di convincere l’antico cospiratore Carlo Alberto a farsi promotore della lotta per la libertà e l’indipendenza della penisola e si tratta anche di convincere i vari "fratelli" sparsi per l’Italia centro-settentrionale a fidarsi di lui. Il problema è serio perché già una volta (in occasione dei moti del 1821) Carlo Alberto in un primo momento aderisce alla cospirazione ma poi si tira indietro e tradisce. D’Azeglio svolge brillantemente il compito affidatogli. La motivazione utilizzata per convincere i "fratelli" è davvero azzeccata: quando il ladro ruba per sé, si può star certi che faccia sul serio. Bisogna aver fiducia in Carlo Alberto, sostiene. Capeggiare la rivoluzione italiana è nel suo interesse perché alla fine dell’impresa avrà un regno immensamente più grande e prestigioso. D’Azeglio inizia così quella che con brillante giro di parole battezza "congiura all’aria aperta". La congiura, dopo tanto sangue sparso inutilmente, invece delle armi si serve della penna. L’arma prescelta, la penna della pubblicistica e della propaganda, è puntata contro l’Austria e contro lo Stato pontificio, accusati di essere la quintessenza dell’oppressione liberticida e del malgoverno.

    È davvero tanto insopportabile la vita negli Stati preunitari? A tener conto di come la descrive lo stesso D’Azeglio ne I miei ricordi non sembrerebbe. "Qual è l’opinione - scrive - l’idea, il pensiero che non si possa dire o stampare oggi in Italia, e sul quale non si possa discutere e deliberare? Qual è l’assurdità o la buffonata, o la scioccheria che non si possa esporre al rispettabile pubblico in una sala o su un palco scenico di qualche teatrino (pur di pagar la pigione s’intende) col suo accompagnamento di campanello, presidente, vice presidente, oratori, seggioloni, candelieri di plaquè, lumi, ecc. ecc.? Basta andar d’accordo col codice civile e criminale; del resto potete a piacimento radunarvi, metter fuori teorie politiche, teologiche, sociali, artistiche, letterarie, chi vi dice niente?".

    Il torinese D’Azeglio, per di più, non sopporta la tetraggine bacchettona della Torino sabauda: "Ed io, un odiatore di professione dello straniero, lo dico colla confusione più profonda, se volevo tirar il fiato, bisognava tornassi a Milano". E allora perché? Perché D’Azeglio si impegna con tanta tenacia nella "congiura" all’aria aperta? Perché tanta fatica spesa per organizzare una campagna di disinformazione e di odio contro il papa e contro l’imperatore austriaco? Per vincere la depressione. Questa la candida ammissione del cavalier D’Azeglio: "Per aver modo di passar la malinconia - scrive ne I miei ricordi -, e finalmente il mio gusto per la vita d’avventure e d’azione".

    Alle motivazioni ufficiali che nel 1861 rendono possibile la nascita del Regno d’Italia - oltre all’unità, alla libertà e all’indipendenza per intenderci - ce n’è un’altra da non sottovalutare: la noia.

    La Padania - 8 agosto 2001
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    Torino capitale, covo di massoni

    La città incarna le ragioni del laicismo contro quelle della chiesa

    di Angela Pellicciari

    Dopo la fine del sogno rivoluzionario quarantottino, a decine di migliaia gli esuli della libertà vanno a Torino, nuova e impensabile capitale italiana. Impensabile è la parola giusta: da sempre la classe dirigente torinese ha avuto il francese come eloquio privilegiato, esclusivo per le buone occasioni. Non è un caso che Cavour abbia fatto esercitazioni di italiano prima di affrontare i dibattiti in Parlamento.

    Torino diventa la capitale morale d’Italia facendo proprie le ragioni del mondo civile contro quelle della barbarie medioevale, incarnate dalla Chiesa cattolica. Non solo: Torino diventa Gerusalemme. Il Paragone non sembra ardito a Roberto Sacchetti: "Torino saliva allora al colmo del suo splendore. Era stata forte e diventava grande - bella, balda di una gioia viva e seria come una sposa a cui preparano le nozze. La Mecca d’Italia diventava la Gerusalemme".

    A Torino, nuova capitale morale e religiosa d’Italia, si trasferiscono, e non può che essere così, tutti i liberal-massoni (Free-Mason, Franc-Maçon, Libero-Muratore, liberalismo e Massoneria sono nell’Ottocento praticamente sinonimi) del resto d’Italia. I regnanti sardi offrono ai "fratelli" italiani un’accoglienza tanto calorosa da riservare loro (a tutto discapito dei locali) alcuni dei posti più prestigiosi nelle università, nei giornali, nella diplomazia, nello stesso Parlamento. Ecco come il siciliano Giuseppe La Farina, una delle più eminenti personalità massoniche emigrate a Torino, racconta l’accoglienza riservata agli esuli in una lettera alla "carissima amica" Ernesta Fumagalli Torti, spedita il 2 giugno 1848. "Arrivati appena a Torino - scrive - stavamo spogliandoci, quand’ecco il popolo preceduto da bandiere venire sotto le nostre dinestre, e farci una dimostrazione veramente magnifica. Mi affacciai alla finestra, ringraziai; fui salutato con mille prove ed espressioni d’affetto. La mattina seguente, dopo essere stati da’ ministri, ritorniamo a casa; e dopo un momento, chi viene a visitarci? Tutta la Camera de’ Deputati col presidente. Onore insigne, che i parlamentari non sogliono concedere né anco ai propri re".

    L’accoglienza "regale" offerta alla generosa emigrazione italiana, permette ai Savoia di incassare un importante obiettivo politico: li rende preziosi e credibili alleati degli stati che contano. Offre garanzie ai liberali - protestanti e massoni di tutto il mondo - che sono intenzionati a fare sul serio. Che hanno davvero deciso di rompere con la tradizione cattolica del proprio stato e della nazione cui quello stato appartiene.

    I Savoia per amore di regno e quindi per furto - come scrive D’Azeglio nei suoi ricordi - diventano fautori dell’ideologia massonica e della religione protestante che apertamente combattono la cultura e la religione nazionali. Grazie a questa scelta strategica che rende il Piemonte docile feudo della cultura inglese, americana, tedesca, di parte del Belgio e dell’imperatore Napoleone III, i Savoia godono dell’appoggio incondizionato dell’una o l’altra di queste potenze e realizzano l’unità d’Italia sfruttando fino in fondo e con grande spregiudicatezza l’unico elemento in proprio favore: la radicale disomogeneità culturale e religiosa con il resto della penisola.

    L’anima massonica del regno sardo, e in particolare del Parlamento subalpino, viene mai apertamente alla luce? No, perché l’associazione è pluri-scomunicata e perché il primo articolo dello Statuto vincola i parlamentari all’ossequio della fede cattolica definita religione di stato. L’11 novembre 1848, però, un brillante intervento del deputato Cavallera rende palpabile la "fraternità" quasi come l’aria che si respira. Si sta discutendo di sollevare le finanze dello stato, esauste per la campagna militare, ricorrendo all’esproprio e alla vendita dei beni delle corporazioni religiose. Contrario alla proposta Cavallera fa un discorso brevissimo, allusivo, singolare e sintomatico insieme, che dopo un primo momento di sconcerto suscita la generale ilarità.

    Ecco le poche battute del curioso intervento. Gli ordini religiosi - osserva il deputato - sono nati in Italia dove esistono da "più di dodici secoli". Bisogna dedurne che "necessariamente corrispondono ad un bisogno reale della società (rumori) [chiosa degli Atti del Parlamento subalpino]; e per conseguenza se si volessero abolire, altre se ne dovrebbero sostituire; infatti i moderni che vollero abolire i frati, vi sostituirono un’altra specie di frati: e cosa sono i circoli politici, se non vere fraterie? (Sorpresa e scoppio generale di risa prolungate). Perciò posto che non si sa stare senza frati, ai moderni preferisco gli antichi (Segue ilarità e mormorio di voci diverse)".

    La Padania - 18 agosto 2001
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