Il Sufismo nella Confluenza dei Due Mari
di Wahìd Akhtar - Docente di Storia della Filosofia Islamica presso l’Università di Aligarth (Pakistan)
http://al-islam.org/it/sufimari/
Taluni eminenti sufi hanno definito il loro insegnamento (tasawwuf) come essenza dell’etica islamica. Esistono differenti punti di vista riguardo all’etimologia del termine "tasawwuf". Vi è chi ritiene che parte dei suoi principi derivino da fonti extraislamiche. Fra gli orientalisti pochi sono coloro che condividono il punto di vista secondo cui il "tasawwuf" non deriva dall’interiorità dell’insegnamento islamico. Taluni celebri orientalisti, quali Nicholson, Massignon ed Henry Corbin hanno contribuito a rimuovere i fraintendimenti originari.
E’ indubbio che tutte le religioni posseggono una dimensione gnostica (°irfani) poiché essa è l’elemento comune o la dimensione esoterica della religione. Pure l’Islam differisce dalle altre religioni per via del suo carattere peculiare. A prescindere in certa misura dal Giudaismo delle origini, nessuna religione sottolinea a tale profondità l’unità organica del mondano e del trascendente e si fonda su una Legge onnicomprensiva che presiede alla vita dell’uomo e della società. L’etica può a ragione essere considerata aspetto interiore dell’Islam, in quanto include due dimensioni inseparabili: individuale e collettiva.
L’insegnamento islamico comprende tre aspetti: i principi di fede (°aqa’id), di adorazione (°ibadat) e di relazioni sociali (mu°amalat). I fondamenti della fede furono rilevati al Profeta (S)[1] ed egli prescrisse le modalità degli atti di culto e dell’adorazione decretati da Allah (SwT) [2] nel Suo Libro in termini generali.
Per questa ragione il Corano e la Sunnah sono le due fonti della fede e della operatività islamica. Il sentiero del conseguimento della perfezione nella adorazione non può prescindere dai dovere nei confronti dei propri simili. Il musulmano si impegna a conseguire le stazioni spirituali più elevate mediante le sue relazioni con gli altri esseri umani.
I teologi musulmani in generale ed i sufi in particolare credono che Allah (SwT) possa perdonare le violazioni dei Suoi diritti (huququ ‘Llah), ma non perdoni la violazione dei diritti umani (huququ ‘n-nas) a meno che l’individuo oppresso acconsenta anch’egli a perdonare chi l’ha oltraggiato.
Per questa ragione l’etica, scienza in grado di estendersi soltanto in seno alla collettività, ha un’importanza pari a quella dei principi di fede e di adorazione. Secondo la prospettiva islamica i principi di fede e gli atti di adorazione mirano al perfezionamento dell’etica.
Il Profeta stesso (S) ha detto: ”Innamà bu°ithtu li-utammima makàrima ‘l-akhlaq.” (Invero sono stato inviato per completare i benefici dell’etica)
Può pertanto affermarsi che la definizione del "tasawwuf" come essenza dell’etica islamica è più di qualunque altra adeguata allo spirito dell’Islam ed al contenuto della disciplina. Ciò per via del fatto che, a prescindere dalle controversie etimologiche, sin dal momento in cui si sono diffusi i termini sùfì e "tasawwuf", i detentori di questo insegnamento hanno sottolineato il ruolo della purezza (safà’), come carattere primario del sùfì.
E’ detto nel Sacro Corano:
“Qad aflaha man tazakkà” (Prospererà invero colui che purificherà la propria anima, Santo Corano, 87: 14)
“Wa nafs-in wa mà sawwàhà, fa’alhamahà fujùrahà wa taqwàhà. Qad aflaha man zakkàhà. Wa qad khàba man dassàhà” (Per l’anima e per ciò che l’ha formata, mostrandole il suo degrado e la sua custodia. Prospererà invero colui che la purifica, mentre invero perirà colui che la corrompe, Santo Corano, 91: 9-10)
I versetti citati in precedenza affermano che Allah (SwT) ha dato forma all’anima umana dotandola della comprensione di ciò che le giova o che le nuoce. La purificazione del cuore e dell’anima non è un fine in se stesso ma un mezzo per conseguire il compiacimento di Allah (SwT), sommo bene dei sufi.
Il sentiero del perfezionamento passa attraverso la vita comunitaria ed il suo obiettivo non è conseguibile nell’isolamento. La spiritualità islamica è radicata nella vita comunitaria che fornisce all’individuo occasioni di ottenere il compiacimento divino.
La parola sùfì non ricorre nel Corano o nelle tradizioni, mentre il termine compiacimento (ridhà) ricorre in forme e radici differenti in più versi del Corano.
“Ya ayyuhà ‘n-nafsu ‘l-mutma’inna. Irhi’ì ilà Rabbiki ràdiyyat-an mardiyya. Fa’dkhul’ fì °ibàdì. Wa ‘dkhulì jannatì” (O anima acquietata, torna al Tuo Signore compiaciuta e compiacente, entra fra i Miei servitori, entra nel Mio Giardino, Santo Corano, 89:27-30).
La stazione più elevata che l’uomo può conseguire nel compiacimento del suo Signore si identifica col pieno adeguamento alla volontà di Allah (SwT).
“Wa mina ‘n-nàsi man yashrì nafsahu ‘btighà’a mardàti ‘Llàh, wa ‘Llàhu ra’ùf-un bi-l-°ibàd.” (E fra gli uomini vi è colui che vende la propria anima per procacciarsi i favori di Allah, e Allah è indulgente verso i Suoi servitori, Santo Corano, 2:207).
Secondo il nostro punto di vista i versetti citati contengono la definizione più profonda del vero sufi. Nell’affermare ciò ci atteniamo a quanto è stato unanimemente tramandato dai commentatori, cioè alla circostanza secondo cui il verso 207 della Sùrat ul-Baqarah è stato rivelato nella notte dell’emigrazione (hijrah), allorquando °Alì (as)[3] si offrì di dormire nel letto del Profeta (S) mettendo a repentaglio la propria incolumità. Va rammentato che °Alì ibn Abì Tàlib (as) è riconosciuto come fonte e primo anello di trasmissione delle catene (silàsil) di tutti gli ordini (turuq) sufi, con la sola eccezione di un ramo della Naqshbandiyyah, il quale lo annovera dopo i primi tre califfi. °Alì (as) è chiamato Sayyidu ‘l-Awliyà (Capo degli Iniziati).
Da questa introduzione al sufismo intendiamo dedurre che la vera etica islamica si identifica con la più elevata tenuta nei confronti di Allah (SwT) e delle Sue creature.
Comunque lo si voglia definire, il sufismo è inseparabile da tale attitudine. Secondo questo punto di vista è pertanto corretto affermare che la gnosi islamica si differenzia e si distingue da ogni altra forma di essoterismo tesa al conseguimento del compiacimento divino, dell’unione con Allah (SwT) o della rinuncia al mondo.
L’Islam proibisce l’ascetismo e la rinuncia alla vita comunitaria, con le parole:
“Là rahbaniyyata fì l’Islàm” (Non vi è monachesimo nell’Islam)
Ciò che distingue il sufismo dalla dimensione esoterica delle altre religioni o forme tradizionali è il suo fondamentale orientamento comunitario. Il Profeta (S) viveva fra gli uomini ed instaurava con loro relazioni sociali e politiche. Secondo il punto di vista proprio a tutti i Musulmani egli è in senso eminente l’uomo universale (al-insànu ‘l-kàmil). Nessun sufi può mai pretendere di conseguire lungo il sentiero una stazione più elevata della sua. Gli Imam della Gente della casa del Profeta (a’immatu Ahl ul-Bayt) (as) hanno sempre operato al fine di istruire i Musulmani e di elevare il loro rango etico e sociale a quello di probi servitori di Allah (SwT).
Essi sono tenuti in altissima considerazione da tutti i sufi, e taluni dei maestri sufi antichi sembra siano stati discepoli diretti dell’uno e dell’altro Imàm (as). In generale gli orientalisti tendono ad ignorare il ruolo degli Imàm dell’Ahl ul-Bayt (as) rispetto all’origine ed allo sviluppo del "tasawwuf".
Per comprendere la dimensione socio-politica del sufismo è necessario studiare il vincolo che connette gli Imàm (as) ai sufi ed alle loro dottrine. A questo riguardo è degna di rilievo e significativa l’osservazione di Henry Corbin. Egli sottolinea che, mentre i Sunniti distinguono fra Legge esoterica (Sharì°ah) e Sentiero della realizzazione esoterica (Tariqah), gli Sciiti si sono sempre guardati dall’operare tale distinzione, poiché i primi separano il potere temporale dall’autorità spirituale, mentre i secondi cumulano i due domini nella funzione dell’imamato.
Nel mondo sunnita allorquando, nel terzo/nono secolo, il sufismo assume la forma di un movimento ben definito, esso fu soggetto alla veemente opposizione dei sapienti (°ulamà’) e dei giuristi (fuqahà’). Nel mondo sciita non avvenne invece nulla di simile, dacché la fede nell’infallibità dell’Imàm fonde la funzioni esoterica ed esoterica nella medesima persona. Henry Corbin[4] e Kàmil Mustafà ash-Shaybì, autore dell’opera "Tashayyu° wa tasawwuf" (Sciismo e sufismo), sono concordi nell’affermare che i sufi trassero la loro nozione di polo (qutb) e di “supplente” (ghawth) dalla funzione sciita dell’imamato[5] .
I sufi ritengono che l’universo non può sussistere in assenza di un polo da cui dipendono la preservazione della fede e la guida degli esseri umani. Il polo è fra gli approssimati a Allah (SwT), è il tutore della fede e riceve istruzioni direttamente da Allah (SwT).
Rivolgendosi al suo discepolo Kumayl ibn Ziyàd, riconosciuto da alcuni ordini sufi come loro maestro, °Alì (AS) dice:
“La terra non è mai priva di colui che si erge (qà’im) per Allah (SwT) mediante una prova (hujjah). Egli è manifesto e conosciuto, oppure timoroso e celato, affinché le prove di Allah (SwT) e le Sue evidenze non vengono invalidate (dalla sua morte). Quanto sono e dove risiedono? Per Allah (SwT), il loro numero è assai ristretto, ma essi sono immensi presso Allah (SwT), quanto a misura. Mediante essi IdAllah (SwT) fornisce le Sue evidenze, siano quando essi affidano (tali funzioni) ad altri loro simili e le trapiantano nel cuore di altri loro pari.
La scienza li ha condotti alla verità della visione (spirituale) ed essi hanno conseguito lo spirito della certezza. Ciò che è arduo per quanto ricercano gli agì è per loro agevole. Essi hanno caro ciò che gli ignoranti guardano con disprezzo. Vivono in questo mondo con i loro corpi, ma i loro spiriti sono sospesi nella dimora più elevata. Essi sono i vicari di Allah (SwT) sulla terra, coloro che lanciano l’appello alla religione. Oh, quanto anelo alla loro visione. O Kumayl, torna pure quanto vuoi (per ricevere ulteriori insegnamenti).”[6]
Nessuna descrizione del rango dei sufi è più eccellente di quella fornita nel discorso sopra citato. Generalmente si suppone, sulla base del brano del "Nahj ul-Balaghah" qui riportato, che °Alì (as) era un individuo disincantato da questo mondo e avverso ad esso. Al contrario, per quanto attiene a coloro che accusano il mondo, la sua replica sembra preannunciare quella di Leibniz, il filosofo razionalista che afferma che il nostro è il migliore dei mondi possibili.
“In verità questo mondo è una dimora di veridicità per coloro che in esso sono veritieri, una dimora di quiete per coloro che lo afferrano, una dimora di arricchimento (spirituale) per coloro che ne traggono profitto, una dimora di ricompensa per coloro che ne traggono giovamento, un luogo di prosternazione per gli Amati di Allah (SwT), un luogo di preghiera per gli Angeli di Allah (SwT), il ricettacolo della rivelazione di Allah (SwT), il campo degli Intimi di Allah (SwT). In esso si guadagna la misericordia, ed in esso ci si merita il Paradiso. Chi può dunque parlarne negativamente?”[7]
Il brano sopra riportato riassume le funzioni del sufi, sebbene sembri differire da quanto è generalmente ritenuto essere la mèta del sufi.
In questa sede intendiamo dare corpo all’intesa relativa all’intimo vincolo fra il principio sciita dell’imamato e la concezione della guida spirituale propria ai sufi. A riguardo prenderemo in esame la storia del sufismo.
Henri Corbin nell’opera "Historie de la philosophie islamique", Mustafà Kàmil ash-Shaybì nell’opera "Tashayyu° wa tassawuf", Shàh Waliyyu ‘Llàh nell’opera "Hama°àt", I. P. Petroshvenski nell’opera "Islàm dar Iràn" ribadiscono la loro adesione al punto di vista secondo il quale il "tasawwuf" è prodotto naturale dell’insegnamento coranico, frutto dell’operatività dei primi Musulmani arabi [8] i quali, in seguito al disincanto derivante dalla corruzione della Comunità islamica, sopraffatta dal continuo gettito di immense ricchezze che inondarono l’Arabia e le sue città più importanti, nonché dalla conquista di terreni fertili poco tempo dopo la morte del Profeta (S), si ritirarono da una società che ritenevano ormai lontana dagli ideali islamici di giustizia e di frugalità per concentrarsi in modo esclusivo sull’adorazione e sui riti.
Questa tendenza iniziò sotto il califfato del terzo Califfo °Uthman ibn °Affan, e si protrasse radicandosi in concomitanza con la tragedia di Karbala, il sacco di Medina ed il massacro di Mecca. Alla prima generazione di rigoristi (zuhhàd) di dediti all’adorazione (°ubbàd) e di teologi (mutakallimùn) appartiene al-Hasan al-Basrì. Nella sua opera "Hama°àt" Shàh Waliyyu ‘Llàh, il celebre sufi di Dehli, non entra in tali dettagli, ma sostiene che il "tasawwuf" sorge nella cerchia dei rigoristi e degli adoratori tra i Compagni (Sahàbah) i Seguaci (Tàbi°ùn) ed i Seguaci dei Seguaci (Tàbì°u’t-Tàbi°ìn) del Nobile Profeta (S). Salvo qualche rara eccezione essi erano tutti arabi. Ciò è sufficiente a reputare il pregiudizio, invero assai diffuso, secondo il quale il "tassawuf" rappresenta una reazione della “mentalità iranica” al “legalismo arabo”[9].
La cessione del califfato da parte dell’Imàm al-Hasan (AS) segna l’inizio del consolidamento della dinastia ummayade, la cui politica implicò una fragrante alterazione dei principi dell’assetto socio-politico proprio all’Islam. Dopo il martirio di Karbala, gli Imàm della Gente della casa muhammadiana (Ahl ul-Bait) (as) si ritirarono dall’attività politica, dedicandosi all’insegnamento ed allo sviluppo delle scienze religiose in vista della preservazione dell’Islam e del suo orientamento spirituale.
Per quanto attiene al primo secolo dell’egira la raccolta di invocazioni del quarto Imàm °Alì ibn al-Husayn, detto Zaynu ‘l-°Abidìn (AS), intitolata "As-sahìfatu ‘l-kàmilah" o "As-sahìfatu ‘s-sajadiyyah"[10] rappresenta una delle fonti più autentiche della dimensione esoterica dell’Islam. Dopo i celebri sermoni e detti dell’Imàm °Alì (AS), dimora del tesoro della spiritualità islamica e dell’insegnamento esoterico e contenenti in embrione molti dei germi sapienziali da cui sarebbero in seguito sorte scienze quali teologia (kalàm), gnosi (°irfàn) e filosofia socio-politica, l’opera "As-sahìfatu ‘l-kàmilah" è la prima raccolta di insegnamenti dell’esoterismo islamico.
Il figlio dell’Imàm Zaynu ‘l-°Abidìn, Imàm Muhammad al-Bàqir (AS), iniziò a tenere lezioni regolari di esegesi coranica (tafsìr), giurisprudenza (fiqh) e gnosi (°irfàn)[11]. Suo figlio Imàm Ja°far as-Sàdiq (AS) sviluppò quella che in seguito avrebbe preso il nome di scuola jafarita di giurisprudenza. Si narra che abbia trasmesso l’insegnamento a più di tremila discepoli per quanto attiene alla giurisprudenza, ai principi di giurisprudenza (usùlu ‘l-fiqh), alla teologia e alla gnosi.
Quando, in concomitanza con il declino della dinastia ummayade, Abù Muslim al-Khuràsànì gli offrì il califfato l’Imàm rifiutò, seguitò a sviluppare la trasmissione dell’insegnamento dei suoi padri e si astenne, almeno apertamente, dalla scena politica. Tutti gli altri Imàm dello sciismo duodecimano (shì°ah ithnà °asharì) (AS) si attennero a tale orientamento e divennero celebri e riveriti per il loro eccelso timor di Allah (SwT) e la loro sapienza. Malgrado quanto sostenuto dall’orientalista Donaldson, la fede nell’infallibilità degli Imàm (AS) si fonda sull’insegnamento islamico relativo all’essenza immacolata dei Profeti (as) e non ha alcun legame con la dottrina iraniana dell’origine divina dei re o con la tradizione israelita[12] .
Gli Imàm (AS) furono accolti da alcuni dei più celebri sufi loro contemporanei, quali al-Hàrith al-Muhàsibì, Abù Yazìd al-Bastàmì, al-Hasan al-Basrì e Sufyàn ath-Thawrì. Le signore della Gente della casa (Ahl ul-Bait) sono annoverate fra le esponenti originarie della scuola d’Amore (°ishq) del "tassawuf".
Fra esse eccellono °A’isha, figlia dell’Imam Ja°far as-Sàdiq (AS) e contemporanea di Ràbi°ah al-°Adawiyyah e di Hasan al-Basrì, Nafìsah (secondo/ottavo secolo) e Fàtimah (m. 244/838)[13] .
Sebbene gli Sciiti ed i discendenti di °Alì (AS) non si attribuiscono in genere il nome di sufi, pure alcuni di essi vengono annoverati nelle biografie dei maestri degli ordini sufi (tadhkiràt). Fra tali discendenti della Famiglia del Profeta va fatta menzione di °Abdu’ Llàh, nipote dell’Imam zaidita Ibràhìm ibn °Abdi ‘Llàh ibn Hasan, citato da ash-Sha°rànì nell’opera "Tabaqàtu ‘l-kubrà", Abù ‘l-Hasan al-°Alawì (m. 291/904), citato da al-Hujwìrì nell’opera "Kashfu ‘l-mahjùb" e da °Abdu ‘Llàh al-°Ansàrì nell’opera "Tabaqàtu ‘s-sufiyyah", Abù Hamzah al-Khuràsànì (m. 290/903), citato da Khwàjah °Abdu ‘Llàh al-°Ansàrì nell’opera "Tabaqàt", Muhammad ibn al-Hasan al-°Alawì, nella cui casa fu ospitato Mansùr al-Hallàj quando risiedette a Kufah, citato da al-Hujwìrì nell’opera "Kashfu ‘l-mahjùb", Hamzah ibn °Abdi ‘Llàh ibn Muhammad ibn °Abdi ‘Llàh, citato nell’opera "Sharhu manàzili ‘s-sa’irìn", Ibràhim ibn Sa°d al-°Alawì, conosciuto con l’appellativo Sayyidu ‘l-Zàhid (capo del rigore), citato nell’opera "Kashfu ‘l-mahjùb" come maestro di Abù Sa’ìd al-Kharàz per quanto attiene alle tradizioni (ahàdith), Zayd ibn Rifà°ah, intimo di ash-Shiblì e ritenuto uno degli autori delle Epistole dei Fratelli della purità (Rasà’ilu Ikhwàni ‘s-safà’), citato da al-Bayhaqì nell’opera "Tatilmatu sawàni ‘l-hikmah" e Muhammad ibn Abì Ismà°ìl °Alì al-°Alawi (m. 395/1004), citato nell’opera "Ta’rikh Baghdàd" [14].
Nonostante la protesta di alcuni sufi, fra i quali Khwàjah °Abduh ‘Llàh al-Ansàrì, secondo cui la discendenza da °Alì (AS) è incompatibile con il "tassawuf", e malgrado la riluttanza degli sciiti ad accettare l’appellativo "mutassawuffùn" (seguaci del tassawuf), si da un’intima connessione tra il sufismo, lo sciismo e i discendenti di °Alì. Non vi è alcuna delle catene di trasmissione dell’insegnamento del "tassawuf" che non annoveri uno o più dei primi undici Imam della Gente della Casa di Muhammad (Ahl ul-Bait)(AS).
Per alcuni secoli gli Shi°iti non fondarono alcun ordine, ma nel corso del tempo emersero alcune catene di trasmissione (salàsil) puramente sciite imamite, come quelle degli ordini tayfùriyyah, bektàshiyyah, safaqiyyah, haydariyyah, ni°matullàhiyyah, jalàliyyah e nùrbakhshiyyah, cui si ricollegarono numerosi discepoli sunniti. D’altra parte gli esoteristi sciiti, che in genere tendono a rigettare il termine "mutasawuffùn" e designano se stessi gnostici (°urafà’) e il loro insegnamento spirituale gnosi (°irfàn), recepiscono e trasmettono l’insegnamento di sùfi quali Abù Hàmid al-Ghazàlì e Muhì’d-Dìn ibn al-°Arabi.
Nel capitolo dedicato alla gnosi dell’opera “Introduzione alle scienze islamiche”, il martire Murtadà Mutahhari scrive: “Gli gnostici (°urafà’) ed i sufi non formano in seno all’Islam una setta separata, né essi stessi si ritengono tali. Appartengono anzi ad ogni scuola e ad ogni setta, eppure si condensano al fine di costituire una cerchia sociale distinta. I fattori che li differenziano in seno alla Comunità islamica, sono una catena di insegnamenti e punti di vista, un modo peculiare di regolare le loro relazioni sociali, l’abito, talvolta il modo di portare capelli e barba e la vita comunitaria nelle loro sedi, dette in persiano "khàniqah", in arabo "zawiyah" e in turco "tekkiye".
Ovviamente sono esistiti alcuni gnostici, in specie fra gli Sciiti, che non ricorrono ad alcuno di tali segni esteriori per distinguersi dagli altri, pure essendo al contempo profondamente coinvolti nella metodologia spirituale della gnosi, che trova espressione nel viaggio (sayr) e nell’itinerario (sulùk)”[15].
L’autore citato opera una distinzione fra l’etica da un lato e la metodologia fondata sul viaggio e l’itinerario, in quanto l’etica è statica, mentre la gnosi mira al conseguimento dei più elevati valori etici per il tramite della scienza spirituale. Tale distinzione è operata da Mutahhari al fine di chiarire il carattere della legge esteriore (Sharì°ah), del sentiero iniziatico (Tarìqah) e della Verità Essenziale (Haqìqah). Va comunque rilevato che egli fa risalire l’origine della gnosi a scienze quali trasmissione dei detti (hadith), esegesi coranica (tafsir), giurisprudenza (fiqh), teologia speculativa (kalam) e principi di giurisprudenza (usùlu ‘l-fiqh)[16].
Si tratta dunque di un punto di vista rigorosamente sciita, poiché i Sunniti separano l’esoterismo dalla Sharì°ah e non accettano il ruolo della filosofia intellettuale nello sviluppo del "tasawwuf". Dopo aver abbracciato il sufismo al-Ghazàlì rigettò in blocco la filosofia. Al contrario alcuni eminenti filosofi e giuristi sciiiti hanno riconciliato la gnosi con la filosofia e la teologia. Sebbene al-Ghazàlì sia altamente stimato dagli gnostici sciiti, pure essi non accolsero mai il suo rifiuto della filosofia, in specie di quella di Ibn Sìnà (Avicenna).
La tradizione sciita inaugurata da Mullà Sadrà sotto il nome di "al-hikmatu ‘l-muta°aliyah" (sapienza metafisica) sintesi dell’intellettualità filosofica e gnosi spirituale, culmina nell’insegnamento metafisico di as-Sabzawàrì. Come abbiamo già accennato in precedenza non vi è alcuna separazione fra gnosi sciita e Legge tradizionale. Del pari gli gnostici ed i sapienti sciiti non costituirono mai due cerchie distinte.
Anche durante il periodo safavide, quando al-°Allamah Baqir al-Majlisì impiegò tutti i mezzi a sua disposizione al fine di estinguere la gnosi e il "tasawwuf" nell’Iran sciita, alcuni dei sapienti suoi contemporanei possedevano tendenza sufi, come nel caso Muhsin al-Fayd al-Kàshànì. La gnosi tornò a diffondersi in Iran con l’avvento della dinastia magiara. Col rimpatrio dall’India e dall’Iran di maestri (pìr) dell’ordine Ni°matullàhi rifiorirono altri ordini, a prescindere dall’origine sciita o sunnita. Sebbene nella sua opera "Ashenà’ì bà °olum-e eslàmì" (Introduzione alle scienze islamiche) il Martire Mutahhari abbia accuratamente distinto i trasmettitori di tradizioni (muhaddithùn), i giuristi (fuqaha’), i teologi (mutakallimùn) ed i commentatori del Corano (mufassirùn) appartenenti rispettivamente alla scuola sunnita o a quella sciita pure, intenzionalmente o meno, non ha operato alcuna distinzione fra aderenti al sufismo (mutasawuffùn) sciiti o sunniti.
Ciò è di per se prova evidente che nell’ambito del "tasawwuf" le differenze di scuola scompaiono. Qàdì Nùru’Llàh Ash-Shùshtarì, celebre in India ed in Pakistan con l’appellativo "shahid-e thàleth" (il terzo martire) pur essendo uno sciita rigoroso, include nella sua narrazione delle personalità eminenti del sunnismo i nomi di Bishr al-Hàfì, Bà Yazìd al-Bastàmì, Shafì° al-Balkhì, Ibràhìm ibn Adham, Yahyà Mu°àdh ar-Ràzì, Abù Sarì Mansùr ibn °Amir, Sarì as-Saqatì, Junayd al-Baghdàdì, ash-Shiblì, Muhammad Sawàr, Sahl ibn °Abdi’Llàh at-Tustarì, Husayn ibn Mansùr al-Hallàj, Shaykh Ahmad Jàmì, Ibn al-Fàrid, Muhì’d-Dìn ibn al-°Arabì, Sadru ’d-Dìn al-Qùnawì, Najmu ‘d-Dìn Kubrà, Sa°du ‘d-Dìn Rùmì, Shaykh Sa°sì ash-Shìràzì, Hàfiz, Awhadu ‘d-Dìn al-Maràghì, °Alà’u ‘d-Dawlah as-Simnànì, assieme a quelli di altri eminenti poeti ed iniziati sufi, dei quali è fatta menzione assieme a noti gnostici sciiti, quali Kumayl ibn Ziyàd, Buhlùl al-°Aqùl, Shihàbu ‘d-Dìn Sohravardi al-Maqtùl, Sayyid Haydar al-°Amulì[17].
Va rammentato che il Qàdì Nùru’Llàh ash-Shùshtarì fu condannato a morte dietro accusa di essere uno strenuo sostenitore della fede sciita. La sua piena adesione alla dottrina sciita è evidente da opere quali "Majùlisu ‘l-mu’minìn" e "Ihqàqu ‘l-haqq". Vediamo tuttavia che, per quanto attiene all’esoterismo, egli mette da parte ogni atteggiamento ostile nei confronti delle altre scuole. Ciò dimostra come la gnosi possa essere punto di convergenza fra le scuole. Quanto ad altre scuole islamiche quali gli Zaiditi o gli Ismailiti, va detto che il loro approccio è sotto molti aspetti analogo a quello dello sciismo imamita duodecimano.
Gli Zaiditi non condividono il punto di vista imamita circa l’imamato, poiché accettano i primi due califfi e rigettano gli ultimi otto Imàm degli Shi°iti duodecimano. Gli Ismaeliti hanno dell’imamato una nozione analoga a quella dei Duodecimano, ma pongono una enfasi eccessiva sull’aspetto esoterico del Corano, delle tradizioni e dell’imamato. Per questa ragione vengono definiti interioristi (bàtiniyyah)[18] . Si afferma che Ibn Sìnà avesse simpatie ismaelite. Di tendenze ismaelite erano del pari i Fratelli della purità (Ikhwànu ‘s-safà’). Nàsir-e Khosrow[19], predicatore (dà’i) ismaelita e celebre poeta e filosofo persiano, appartenente alla medesima scuola.
L’analogia fra Ismaeliti ed Imamiti nell’approccio alla gnosi è evidente, in quanto deriva dalla comune concezione dell’intelletto come fonte di comprensione della teologia e della filosofia, nonché della comprensione iniziatica e spirituale della totalità dell’esistenza. Ciò che distingue gli gnostici sciiti dai sufi in genere per quanto attiene all’orientamento verso Allah (SwT) e verso la coscienza dell’anima è il ruolo primario attribuito all’intelletto nel conseguimento della gnosi. Pur affermando che lo svelamento intuitivo (kashf) è un grado più elevato dell’intelletto (°aql) ed è ad esso intimamente connesso, al-Ghazàlì tende a svilire l’intelletto per quanto attiene alla sua funzione nel conseguimento dell’iniziazione. Altra contraddizione presente nell’opera di al-Ghazàlì risiede nel fatto che egli presenta la realizzazione iniziatica e confuta l’utilità della filosofia applicando un metodo rigorosamente filosofico. Kàmil Mustafà ash-Shaybì sottolinea che gli sciiti raggiunsero il sufismo teorico mediante la teologia e passando attraverso la filosofia.
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Note:
[1] (S) Abbreviazione dell'eulologia “salla allahu wa alehi wa aliyhi wa sallam”: “pace e benedizioni di Allah (SwT) su di lui e sulla sua famiglia”.
[2] (SwT) abbreviazione dell'eulologia “Subĥana wa Ta°ala”, Lode a Colui che è privo di ogni imperfezione, l’Altissimo.
[3] (as) abbreviazione di “‘aleyhi-ha-hum assalam”, “che la pace sia su di lui-lei-loro”, che viene utilizzato accanto ai nomi dei profeti, degli angeli, dei puri Imam e delle donne del Paradiso (Khadija, Fatima, Maria, Asya ) e secondo alcuni pareri viene usato anche accanto a nomi di altre donne come Zeynab, Ruqayya, Oum Kulthum, Fatima Masuma…
[4] Henry Corbin, "Historie de la philosophie islamique", traduzione persiana di Asadu'Llah Mubashshari, Tehran, p. 50-96, 252-257 (Per l'edizione italiana si consulti "Storia della filosofia islamica" Adelphi).
[5] Ibid., p. 252-257. Kamil Mustafà ash-Shaybi "Tashayyu° wa tassawuf", traduzione persiana di °Ali Ridà Dhakàwati Qaragozulù, Tehran
[6] Nahj ul-Balaghah, sermone n. 147.
[7] Nahj ul-Balaghah, sermone n. 131.
[8] Henry Corbin, Op. cit., p. 252-255; Kamil Mustafà as-Shaybi, Op.cit., pp. 30-35; Shah Waliyyu 'Llah, "Am°àt", traduzione urdu di Muhammad Sarwar, Sindh Sagar Academy, introduzione; Elia Pavlovic Petroshvensky, "Islam dar Iran", Tehran, p. 319-325.
[9] Il riferimento è all'opera di Hannà al-Fàkhùrì e Khalìl al-Jarr, "Tàrìkh-e falsafah dar jahan-e islami", traduzione persiana di A. Ayati, Tehran.
[10] Al-Imam °Ali ibn al-Husayn (as), "As-sahìfatu 'l-kamilah", traduzione inglese di Sayyid Ahmad Mùhànì, Tehran, Islamic Propagation Organization 1984, traduzione persiana di Javad Fàdil, Tehran.
[11] Cfr. Asad Haydar "Al-Imam as-Sadiq", Daru 'l-kitabi 'l-gharbiyyah; Sayyid Ahmad Safa'i, Hishàm ibn al-Hakam: "Mudàfi°-ye harìm-e wilàyat", Tehran.
[12] Kàmil Mustafà ash-Shaybi, "Op. cit.", p. 27.
[13] Petroshvensky, "Op. cit.", p. 327
[14] Per ulteriori dettagli cfr. Kàmil ash-Shaybi, "Op. cit.", pp. 64-65.
[15] Cfr. Murtada Mutahhari "°Erfan va tassawuf" (Testo tradotto recentemente in italiano unitamente alla 'Lettera al figlio' dell'Imam Khomeyni: "La Via Spirituale", Ed. Semar). Testo pubblicato nella sua versione inglese col titolo: “Science of Gnosis” nella raccolta intitolata “Light Within Me”.
[16] Ibid., p. 82 (dell'originale persiano).
[17] Qàdì Nùru 'Llah ash-Shushtàrì, "Majàlisu 'l-mu'minìn", Kitàbfurùshì imàmiyyah, Tehran.
[18] Cfr. Henry Corbin, "Op. Cit.", pp. 104-130.
[19] Circa questo autore cfr. Carlo Saccone, "Nàser-e Xosrow e il suo Rowshanà'ì-name" e la traduzione de "Il Viaggio", entrambi in "Istituto Culturale della Repubblica Islamica dell'Iran in Italia, Quaderno II", pp. 21-50 e 51-130.