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  1. #1
    Becero Reazionario
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    Predefinito Nessun commento sulla vicenda Toaff?

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  2. #2
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    Che dire? Gli ebrei italiani hanno dimostrato in questa vicenda la loro chiusura mentale. Essi vogliono passare per una sorta di monolite uniforme, vedendo in tutto un possibile pericolo di antisemitismo, anzi gridando per questo sempre "al lupo, al lupo".
    In realtà non vogliono ammettere che al loro interno sono esistite o esistono frange "estreme", capaci di commettere talora anche dei crimini. Peraltro, il libro di Toaff, che ho fatto appena in tempo ad acquistare via posta elettronica e che mi hanno rassicurato mi giungerà a breve, non esprimeva una certezza, bensì solo un'ipotesi, sebbene verosimile.
    Paradossalmente, quindi, l'opposizione ebraica italiana a quella che era soltanto un'ipotesi non ha fatto altro che accrescere l'importanza del testo, tanto da dover essere in ristampa già il giorno dopo la sua presentazione (cioè già dal giorno 9.2.2007).

  3. #3
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    Tra la verità e l'errore non c'è nessuna via di mezzo, tra questi due poli opposti non c'è che un immenso vuoto. Colui che si pone in questo vuoto è altrettanto lontano dalla verità di colui che è nell'errore (J. Donoso Cortes)
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    purtroppo non sono riuscito a procurarmelo.

    sull'intera vicenda seguo le cronache, e mi rammarico del dietrofront di Toaff, sicuramente spinto dall'isolamento e dall'ostiulità in cui l'ha cacciato la sua comunità.

    pare però che non tutto nel suo libro fosse documentato storicamente.

  4. #4
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    Comunque, per la presentazione del libro v. QUI, dove vi sono i testi di contributi di Cardini e di altri.

  5. #5
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    Seguo la vicenda anche su Avvenire, che ha dato spazio ai dibattiti in tema; c'era ì anche un editoriale di Cardini che si esprimeva.

    però, chissà se è ancora in circolazione... lunedì vado in Vita e Pensiero e vedo. Non vorrei finisse come il famoso "gli Ebrei e la CHiesa" di Vitaliano Mattioli...

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da Dreyer Visualizza Messaggio
    Seguo la vicenda anche su Avvenire, che ha dato spazio ai dibattiti in tema; c'era ì anche un editoriale di Cardini che si esprimeva.

    però, chissà se è ancora in circolazione... lunedì vado in Vita e Pensiero e vedo. Non vorrei finisse come il famoso "gli Ebrei e la CHiesa" di Vitaliano Mattioli...
    Il libro di Mattioli della Mursia son riuscito a recuperlo da un mio tesista ....
    Quando si dice i vantaggi di lavorare in Università .... .
    Mi ricordo che quel libro fu ritirato dal commercio quando stavo facendo la mia tesi. Mi sconcertò. Oggi, però, è un libro cult.

  7. #7
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    Mi attiverò in questo senso.

    Il libro di MAttioli cmq c'è in deposito dell'un. Cattolica, quindi posso fotocopiarlo.

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da Augustinus Visualizza Messaggio
    Che dire? Gli ebrei italiani hanno dimostrato in questa vicenda la loro chiusura mentale. Essi vogliono passare per una sorta di monolite uniforme, vedendo in tutto un possibile pericolo di antisemitismo, anzi gridando per questo sempre "al lupo, al lupo".
    In realtà non vogliono ammettere che al loro interno sono esistite o esistono frange "estreme", capaci di commettere talora anche dei crimini. Peraltro, il libro di Toaff, che ho fatto appena in tempo ad acquistare via posta elettronica e che mi hanno rassicurato mi giungerà a breve, non esprimeva una certezza, bensì solo un'ipotesi, sebbene verosimile.
    Paradossalmente, quindi, l'opposizione ebraica italiana a quella che era soltanto un'ipotesi non ha fatto altro che accrescere l'importanza del testo, tanto da dover essere in ristampa già il giorno dopo la sua presentazione (cioè già dal giorno 9.2.2007).
    esatto

    è preoccupante che la stessa ipotesi di una devianza violenta nelle file del giudaismo venga scartata come scandalosa.
    di più, l'autore di una tale ipotesi diviene subito una vittima (lui il deviante, lui il caso clinico, un caso per la psichiatria).

    al di là del contenuto del testo (su cui non posso dire niente di saggio non essendo bene documentato), quello che colpisce è il fenomeno di chiusura davvero totalitaria della comunità degli intellettuali ebrei e rabbini.

    quello che è davvero scandaloso a mio parere (non tanto se quei fatti sono avvenuti o meno, ogni religione ha le sue devianze che causa vittime innocenti, incluso il cristianesimo), è invece la totale NEGAZIONE di tale possibilità da parte della religione giudaica.

    l'unica religione che ha la forza di guardare negli occhi il proprio passato e riconoscere le PROPRE vittime è quella cristiana.

    l'unica chiesa che ha saputo farlo con onestà e umiltà è quella nostra

    cordialmente

    saluti a tutti i forumisti

  9. #9
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    La resa di Ariel Toaff

    Domenico Savino

    16/02/2007

    Ariel Toaff

    Dunque alla fine ha ceduto.

    Ariel Toaff ha chiesto alla società editrice Il Mulino di Bologna, che ha pubblicato il suo libro «Pasque di sangue», in cui si sostiene, seppure in maniera tutt’altro che generalizzata, una certa fondatezza dell’accusa di omicidio rituale rivolta agli ebrei, di ritirare il controverso volume dalle librerie.
    Già ieri Toaff aveva dichiarato l’intenzione di riscrivere alcuni capitoli della seconda edizione; oggi l’annuncio di quella che appare come una completa sconfessione del proprio lavoro, pure se fatta obtorto collo.
    Dopo giorni di minacce, pressioni, insulti, tonnellate di fango da cui è stato sommerso, dopo una convocazione da parte di Moshe Kaveh, presidente dell’ateneo dove insegna, per spiegazioni sulla tesi del saggio, dopo che personalità non accademiche, come pure lettori di altre università, ne hanno chiesto il licenziamento e dopo che i finanziatori esteri hanno minacciato di tagliare i fondi all’Ateneo, Ariel Toaff si è arreso.
    Al giornale Maariv aveva nei giorni scorsi raccontato le settimane passate in Italia, che «negli ultimi giorni si sono trasformate in un incubo».
    A Menachem Gantz, corrispondente del quotidiano da Roma, ha letto una delle mail ricevute:
    «Se nei secoli è stato versato tanto sangue ebreo, ora ne verrà versato ancora, il tuo».
    Dall’altro ieri Toaff aveva cercato di minimizzare e alla domanda del Jerusalem Post, se riteneva «che le comunità ebraiche possano aver commesso omicidi rituali», il professore aveva risposto con un «no», definito «risoluto» dalla giornalista.
    Peccato che nei giorni precedenti, invece, avesse dichiarato: «alcuni omicidi rituali potrebbero esserci stati».
    A chi glielo aveva fatto notare, il professore aveva risposto, cercando ancora di sdrammatizzare: «La mia dichiarazione è stata una provocazione accademica ironica, una premessa per infrangere il tabù delle ricerche attorno all’atmosfera anticristiana in alcune comunità ashkenazite europee, nel Medioevo».
    Ma evidentemente non è bastato.
    Oggi - dicevamo - la resa, la contrizione e la penitenza, con l’annuncio che devolverà i proventi della vendita del libro alla ‘Anti Defamation League’, l'organizzazione ebraica di New York che combatte gli episodi di anti-semitismo.

    Non me la sento di giudicare Ariel Toaff.
    Le pressioni devono essere state tremende. Anche quelle familiari.
    Oggi il padre, a caldo, ha immediatamente rilasciato un’intervista a La Repubblica, in cui ha definito la decisione del figlio di ritirare il libro «un gesto opportuno, necessario. Vuol dire che mio figlio Ariel ha capito. Ma significa anche che le critiche che sono state fatte nei confronti del suo libro sono state giuste… E’ bene che questa storia sia finita così».
    E poi ha commentato: «Mangiare il pane azzimo mischiato al sangue di bambini cristiani uccisi? Aberrante! Un insulto all’intelligenza, alla tradizione, alla storia in generale e al vero senso della religiosità ebraica - commenta con forza il rabbino - e dispiace che a sollevare sciocchezze simili sia stato mio figlio. Ma forse lo ha fatto senza rendersi conto della gravità di certe affermazioni e che queste tematiche, da secoli già condannate dalla storia e dalla tradizione, e non solo di quella ebraica, possono diventare subito argomenti per rilanciare pericolosi sentimenti di antisemitismo e voglie di negazionismo dell’Olocausto. E’ un errore. Ma nella vita tutti possono sbagliare».
    Così Ariel Toaff ha alzato bandiera bianca, chiedendo alla casa editrice di ritirare il libro dal commercio.
    Le modalità dell’annuncio, dopo i proclami dei giorni scorsi in cui dichiarava che non avrebbe rinunciato «mai alla dedizione verso la verità e la libertà accademica, anche se il mondo mi crocifigge», appaiono quelli di una capitolazione.
    Il tono è quello di un uomo distrutto.
    Lasciamo Ariel Toaff al suo dolore e rispettiamo la sua decisione.

    Ma voi, se siete ancora in tempo, correte in libreria e comperate il suo libro.
    E’ un’ opera straordinaria che vale la pena di essere letta, prima che scompaia per sempre dalla memoria e dal patrimonio della cultura.
    Perché temiamo che una seconda edizione, se mai uscirà, non avrà nulla del sapore vero di questa.
    Dicevamo che è un’opera straordinaria e - badate bene - non tanto per ciò dice riguardo all’«accusa del sangue», che non è in fondo neppure l’oggetto specifico del libro, quanto innanzitutto per la descrizione godibilissima dello spaccato di vita delle comunità ebraiche ashkenazite tra il XII e il XV secolo.
    E’ uno squarcio aperto, una boccata di aria fresca su una storiografia oleografica, lacrimevole, ripetitiva, conformista e noiosa che accompagna di solito lo studio del giudaismo, una storiografia che pare molto più la agiografia di un popolo santificato, piuttosto che il ritratto della vita reale di uomini in carne ed ossa, facenti parte di una comunità umana separata e separatasi dal resto del mondo in cui vive e, tuttavia, in profondo, organico, problematico rapporto con esso.
    Il libro di Toaff è ammirevole anzitutto per la capacità di farci entrare quasi in presa diretta con i personaggi di quella società, con le loro pratiche di vita quotidiana, le loro vicende, i loro traffici, le loro mercanzie, le loro credenze, i loro riti, i loro problemi, le loro aspirazioni, i loro sentimenti di amore e odio.
    Leggendo il libro quasi si annusa l’odore di quei luoghi, le ombre e le luci del ghetto, il tono delle voci nella sinagoga, il tintinnio delle monete sui banchi di credito, il suono dei passi lungo i vicoli stretti di quartieri impregnati di carne e misticismo, di affari e Torah.
    Non vi compare malgrado ciò la stereotipata figura dell’ebreo avido, untuoso e volpino.
    Ovvero se talvolta si può scorgere anche questa, le figure degli ebrei sono caratterizzati da una piacevole varietà, che evidenzia un mondo ricco di fermenti e di personalità, nient’affatto marginali rispetto alla vita della maggioranza cristiana, eppure inevitabilmente separati da essa.
    Un mondo fatto di personaggi strani, eccentrici, spericolati, spregiudicati e - perché no - talvolta feroci, ma vivaddio vivi, virili e fieri della loro irriducibile ebraicità.
    E’ in questo contesto che apprendiamo di costumi, usanze, credenze in cui l’intero mondo di allora e in modo particolare il giudaismo ashkenazita attribuiscono al sangue una funzione magico religiosa.
    Non ne voglio trattare in questa sede, prefiggendomi una recensione analitica del libro nei prossimi giorni.
    Perché questo è un lavoro serio e non può essere liquidato con poche righe polemiche, con argomentazioni volgari, con generalizzazioni squallide, né può essere stroncato a priori con la scusa che esso darebbe fiato all’antisemitismo, perché con questo libro l’antisemitismo non c’entra un fico.

    Il lavoro di Toaff è invece un lavoro ponderoso, uno valido contributo alla comprensione dall’interno di quel grande mistero che è il giudaismo ed a cui si è soliti approcciarsi vuoi con il più consumato dei pregiudizi, vuoi con il più ributtante dei servilismi.
    Solo chi è in cattiva fede può impugnare quest’opera per innalzare la bandiera dell’antisemitismo o, al contrario, agitarne lo spauracchio.
    Purtroppo questi ultimi hanno mandato al rogo, senza neppure averla letta, un’opera che invece deve fare riflettere.
    Ad entrambi, seguaci simmetrici del semitismo - antisemitismo, questo libro andrebbe proibito per manifesta indegnità.
    Gli altri debbono leggerlo con leggera soavità, «sine ira et studio» come si dice, senza scandalo o inutile riprovazione, con la curiosità e la comprensione che si deve davanti ad ogni fenomeno storico, con lo stupore «ingenuo» che è dovuto davanti ad un mondo che è altro dal proprio e che non poteva essere altro rispetto a ciò che è stato.
    E per comprenderlo veramente questo libro, esso va letto con la consapevolezza che il mondo che viveva fuori dei quartieri riservati agli ebrei partecipava non della stessa fede, ma certo delle stesse paure, delle medesime ossessioni, delle stesse latenze psichiche, degli stessi traffici, di analoghi appetiti e talvolta di analoghe devianze.
    Perché questo è l’approccio con cui questo libro va affrontato, non certo con la libido di ritrovare la pistola fumante (anzi sanguinante) in mano ad un rabbino o con il terrore che altri davvero la possa scoprire dopo secoli, sicchè occorre immediatamente occultare eventuali prove.
    In realtà la nevrotica reazione del mondo ebraico davanti all’opera di Toaff ed il suo «rogo in effige», l’auto da fe’ cui è stato sottoposto, la sconcia strumentalizzazione della figura del padre sono uno sfregio non solo alla tanto celebrata libertà di indagine scientifica, ma alla altrettanto decantata «intelligenza ebraica».
    E ciò perché l’amara conclusione di questa vicenda contribuirà a trasformare suo malgrado un onesto professore universitario in un temerario alfiere della verità ad ogni costo e certamente a far sospettare a molti, anche a chi prima non lo credeva, che gli ebrei abbiano potuto compiere omicidi rituali.
    Ma ancor più la reazione del mondo ebraico mette in evidenza un nervo scoperto del giudaismo, la sua incapacità di accettare di divenire oggetto di una critica storica che non sia addomesticata, l’inidoneità a sottostare alle medesime libertà cui sottostà tutta l’indagine storiografica, la pretesa che le vicende tragiche che ne hanno accompagnato il destino nel secolo scorso debbano costituire una sorta di pre-giudizio assoluto, che impedisce qualsiasi forma di indagine approfondita e qualsiasi ipotesi di censura.

    Tutto è suscettibile di trasformarsi in antisemitismo, tutto odora di nazionalsocialismo, lo sterminio sembra sempre pendere sul loro capo, anche quando è vero casomai il contrario, sicchè il passato ritorna sempre incombente a giudicare il presente ed a determinare il futuro.
    Sembra purtroppo di assistere alle reazioni isteriche di certi tipi caratteriali, cui la normale vita di relazione è impedita dai traumi subiti, dai fantasmi evocati, da un’ipertrofia dell’Io che si accompagna ad un autoisolamento distruttivo, tutte le volte in cui non è riservato ad essi il primo posto, la maggiore considerazione o l’assenza di critica.
    La stessa pretesa di una unicità assoluta della Shoah, lo spettro di una sua possibile reiterazione continuamente agitato come giustificazione a qualsiasi eccesso da parte israeliana e come esorcismo contro un suo eventuale sacrilegio, il tabù della sua intangibilità blindata per legge, l’impossibilità di domandare alcunché sulle sue cause che non sia già stato spiegato, di dire altro che non sia il ripetersi di una liturgia oramai consunta, l’ossessione di una memoria che si va dissolvendo e che va mantenuta viva con una sorta di accanimento terapeutico, le visite guidate ai luoghi dello sterminio come pellegrinaggi della nuova religione civile, tutto questo denota in realtà una preoccupante fragilità nella coscienza collettiva di quella fede e di quel popolo, cui fa da contraltare spesso un’arroganza irritante.
    Tutto ciò fa sì che ahimè la ricerca storica sull’ebraismo si trasformi allora in una sorta di nuova dogmatica, tanto più insopportabile, perché accompagnata da stucchevoli forme di conformismo e servilismo, che saranno certo gradite, ma - ne siamo certi - non intimamente apprezzate in ambito giudaico.

    In questa sede noi preferiamo un altro linguaggio, quella «parresia» che solo il Dei Verbum può dare, quella Parola di Dio, che è il Cristo e che ci ammonisce anche aspramente come già duemila anni fa, perché attende che tutti vadano a Lui.

    FONTE

  10. #10
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    Predefinito Per qualche utile spunto di riflessione sul tema ...

    Contro il negazionismo (di Introvigne e Nirenstein)

    Siro Mazza - don Curzio Nitoglia

    13/02/2007

    Premessa
    - L'interessante e documentato articolo di Domenico Savino, pubblicato su queste pagine il 7/2/2006 («Polonia, frankisti e omicidi rituali: il figlio del rabbino conferma…») (1), reca un'imprecisione che mi sento in dovere di rettificare, laddove afferma che «tutti hanno concordato nel ritenere calunniosa quest'accusa», quella, cioè, dell'omicidio rituale giudaico.
    In realtà, in questi ultimi anni, un dotto e anticonformista sacerdote, don Curzio Nitoglia, ha avuto il coraggio di pubblicare studi sull'argomento, anticipando così le conclusioni a cui è giunto ora il figlio del rabbino Elio Toaff. (2)
    Conoscendo la preparazione e la serietà dello studioso, della cui amicizia mi pregio, due anni fa gli proposi di pubblicare sulla rivista «Alfa e Omega», da me fondata e diretta (3), la recensione di un libello del solito Introvigne, teso ad avvalorare la tesi «negazionista» prevalente, seguendo in questo modo coloro che a Trento, negli anni del post-Concilio, gettarono in una discarica le sante reliquie del beato Simonino (4).
    La recensione critica di don Nitoglia apparve sul numero 3 (marzo/aprile 2005) di «Alpha e Omega»; col consenso dell'autore la riproponiamo ora sul sito, preceduta da un suo cappello aggiuntivo, riferito (ma non solo) alle polemiche di questi ultimi giorni.
    Da parte mia, prima di dare spazio a don Nitoglia, desidero proporre qualche considerazione, a margine dello scritto del valente amico.

    Ariel Toaff, ammettendo la veridicità di diversi casi di omicidio rituale, li inserisce in un contesto psicologico particolare: le persecuzioni, i pogrom, le vessazioni subite dagli ebrei in altre epoche portarono alcuni di essi a «vendicarsi» e a concretizzare il loro odio anti-cristiano.
    Ora, davanti a tale interpretazione vengono alla mente due constatazioni: innanzitutto, nei suoi scritti, e anche nel sottostante preambolo, don Nitoglia fa riferimento al sacrificio umano compiuto a Damasco nel 1840 da parte di ebrei «mazziniani» di origine livornese (la stessa, casualmente, del rabbino-capo emerito!).
    Di tale connessione fra lobby ebraica italiana e Risorgimento fa sapiente riferimento il direttore di questo giornale on-line nel suo «Cronache dell'Anticristo».
    Ora, il problema sorge nel momento in cui si consideri che gli ebrei italiani dell'ottocento erano lungi (anzi!) dall'essere una minoranza «perseguitata e oppressa»: si presenta pertanto il problema di fornire un'altra motivazione al gesto da essi compiuto in terra siriana…
    In secondo luogo, soprattutto ultimamente, gli ebrei - in Israele come in Europa - si presentano come «minacciati», vittime di un nuovo antisemitismo, temono per la loro stessa sopravvivenza come popolo: tale clima psicologico risulta allora simile a quello considerato da Ariel Toaff: se ne dovranno paventare anche le conseguenze?
    Del resto, quanti bimbi cristiani scompaiono ogni anno…
    Ovviamente, ciò va inteso come un paradosso, solo per fare capire quanta distanza ci sia fra la propaganda fomentata dalla nota lobby e la realtà dei fatti.

    Fra le voci più esagitate e scomposte nel condannare il volume di Toaff junior, si distingue quella di Fiamma Nirenstein, che su «Il Giornale» del 10/2/2007 ha accusato lo storico di alimentare l'antisemitismo e ha definito il suo studio come premessa per nuove, imminenti «shoah».
    Il bello è che, con grande professionalità e serietà scientifica, la giornalista ha aperto il suo pezzo confessando di non aver letto il libro, ma di avvalersi di quello pubblicato da… Introvigne tre anni prima.
    Su ciò, lascio ogni giudizio ai lettori.
    Piuttosto, mi preme di far notare come la «strana coppia» Introvigne-Nirenstein si trovi ora in grave pericolo, se e quando il decreto «anti-negazionista» Mastella sarà approvato dal Parlamento.
    La legge, infatti, punisce severamente gli storici «negazionisti», non tutti, però, ma solo quelli che negano crimini e massacri riconosciuti da tribunali italiani e internazionali.
    E' chiaro il fine del distinguo: non disturbare chi nega i crimini della Rivoluzione Francese, di Lenin, Stalin, Pol Pot - mai giudiziariamente riconosciuti -, ma solo chi nega quello - per eccellenza - condannato a Norimberga.
    Il fatto è che a sancire la realtà dell'omicidio rituale giudaico furono tribunali italiani e internazionali certo «sui generis», ma sicuramente allora non meno legittimi, come furono quelli dell'Inquisizione (romana, spagnola, ecc.) della Chiesa cattolica (cioè universale, e quindi… internazionale).
    Nirenstein e Introvigne stiano dunque attenti: in quanto «negazionisti», potrebbero passare seri guai!

    Fiamma Nirenstein

    Tali considerazioni, fra il serio e il faceto
    , celano tuttavia un argomento assai più serio: abbiamo visto, con dolore, tanti presunti cattolici «di destra» (l'elenco è inutile: chi legge già lo conosce) passare, armi e bagagli, al servizio della «Sinagoga di Satana» (5), oggi che essa manifesta la massima sua potenza.
    Se invece di inseguire gloria, denaro e onori, avessero seguito Cristo, oggi potrebbero intravedere, speranzosi - come noi facciamo - misteriosi segni dei tempi.
    Sta accadendo qualcosa di strano, imponderabile.
    Qualcosa che rammenta antiche profezie, segmenti della rivelazione e della tradizione cattoliche che i cristiani di oggi hanno dimenticato, per compiacere il «principe di questo mondo».
    Il «Guardian» pubblica il manifesto di 130 intellettuali ebrei inglesi, che condannano la politica razzista, colonialista e aggressiva dell'entità sionista.
    Il figlio dell'ex-rabbino capo italiano (della più antica, cioè, comunità ebraica al mondo) ammette, per la prima volta, colpe che gli ebrei per 2000 anni hanno sempre negato.
    Nell'immondo e illegittimo Parlamento italiano il rabbino Friedmann riesce a tenere una conferenza dove bolla come satanico lo Stato-pirata israeliano, mentre alla conferenza di Teheran il presidente Ahmadinejad abbraccia con affetto (altro che antisemitismo!) ebrei autenticamente fedeli alla Legge mosaica (della quale Gesù asserì di non volere mutare neanche uno iota, ma di costituirne il compimento), per i quali la persecuzione nazista, al pari della cattività babilonese, costituisce una punizione divina e il regime di Tel Aviv un servaggio a Lucifero.
    Segni importanti, escatologici, che rimandano alle parole di san Paolo sul finale ravvedimento dei figli carnali di Abramo, e di cui solo Dio conosce l'autentico significato.
    A noi - e, lo suggerisco, ai vecchi e nuovi adoratori della Bestia - non rimane che meditarne il valore…

    Siro Mazza

    --------------------------------------------------------------------------
    Note alla premessa

    1) «Polonia, frankisti e omicidi rituali: il figlio del rabbino conferma…»
    2) I testi di don Nitoglia sono diffusi, oltre che dalla casa editrice «Sodalitium» e dall'omonima rivista, anche dalla casa editrice Barbarossa («Per padre il diavolo» e «Nel mare del nulla»).
    3) L'editore mi perdonerà se mi permetto di approfittare della sua cordiale ospitalità per accennare al fatto che, ultimamente, secondo modalità che per decenza non starò a specificare, tale testata mi è stata vergognosamente «scippata» e ne è stata diffusa una grottesca contraffazione. Da voci assai ben informate, pare che all'operazione non siano estranei certi personaggi della destra cristanista e frociata.
    4) E' di queste colpe, e non di altre, che un domani, ci auguriamo, la Chiesa dovrà fare ammenda e chiedere perdono. Il valore di «libello» della pubblicazione dell'Introvigne non è un'idea di chi scrive - troppo modesto per poter giudicare - ma lo si evince chiaramente da quanto scritto dallo stesso Ariel Toaff, per il quale esso «non è altro che una voce enciclopedica sull'argomento, corredata da una bibliografia solo parzialmente aggiornata». Nessuno potrà allora accusarci di «antisemitismo», nel momento in cui dichiariamo (compiendo pertanto una «discriminazione», nel senso letterale del termine) che è molto meglio uno studioso ebreo serio e documentato, che impiega sette anni per pubblicare un libro, rispetto a un «tuttologo» «cattolico», frenetico nel produrre all'anno tonnellate di «cartaccia» stampata!…
    5) Per qualche togato i cui orizzonti culturali si limitano all'«Espresso» e a «Micromega» sarà utile precisare che tale definizione non è uno slogan razzista da stadio, ma una citazione del sacro testo biblico dell'«Apocalisse», laddove l'Apostolo Giovanni stigmatizza «coloro che si dicono giudei, ma non lo sono, ma Sinagoga di Satana».

    *****

    Toaff «Ariel», più forte dello sporco (pregiudizio): attualità dell'omicidio rituale (1)

    Damasco 1840

    Normalmente, si pensa che le associazioni per la difesa degli interessi ebraici siano nate dopo il caso Dreyfus in Francia (1895).
    In realtà, le cose non stanno così.
    Infatti, ancor prima, col caso Mortara (1858), nacquero in nord America il «Board of Delegates of American Israelites» (1859) (2) e in Francia l'«Alliance Israelite Universelle» (1860), fondata dal massone e israelita Adolfo Cremieux, con ramificazioni negli USA.
    Tutto ciò seguiva di ben diciannove anni un altro fatto, l'omicidio rituale - avvenuto a Damasco nel 1840 - del padre cappuccino Tommaso da Calangiano, quando tredici ebrei furono imprigionati e condannati a morte dal governatore di Damasco.
    In quell'occasione si mosse solo e subito l'ebraismo europeo (quello americano rimase in silenzio, dovrà attendere il 1859 per far sentire la sua voce, che diverrà sempre più potente, da surclassare e coprire anche quella britannica e francese).
    Ebbene, nel 1840 si mossero Mosè Montefiore (ebreo inglese di origine italiana) e Cremieux (Francia): essi ottennero dal Pascià d'Egitto, grazie all'«aiuto economico»… di Lord Rotschild, di far rilasciare i tredici condannati.
    L'omicidio rituale era una leggenda del medioevo (sfatata solo nel 2007, dal libro di Ariel Toaff, «Pasque di sangue», il Mulino), in pieno XIX secolo era indecoroso credere ancora alle favole dell'oscurantismo papista: bisognava attendere il… duemila.
    Allora il giudaismo americano era stato lento ed inefficace.
    Tuttavia vi fu qualche meeting a Filadelfia e a New York, in cui l'ebraismo americano prese coscienza dell'importanza di avere contatti con l'ebraismo europeo e di far pressione sul governo americano, per ottenere assistenza e garanzie.
    Pian piano il Board e l'Alliance (che affondano le loro radici ed origini al caso di Damasco,1840, anche se spuntano fuori nel 1858/9, dopo il caso Mortara), riuscirono a «costituire un autorevole gruppo di pressione [lobby] sul potere politico». (3)

    L'affare Damasco e gli USA
    Se il giudeo-americanismo si mosse subito dopo il caso Mortara (1858), quanto all'affare di Damasco (1840) fu alquanto lento rispetto ai correligionari europei; tuttavia - spiega la professoressa Iurlano dell'Università di Lecce - proprio l'affare siriano «segnò uno spartiacque nel mondo ebraico americano ed europeo, perché per la prima volta gli ebrei di differenti nazionalità riuscirono ad attuare un'azione concertata in difesa di alcuni di loro (…). Il più recente esito di una tale consapevolezza, noto come sionismo, può in larga misura trovare le sue radici lì; prima del 1840 ciò che corrispondeva al sionismo era un qualcosa di sostanzialmente religioso e di solo inconsciamente nazionale». (4)
    Nel 1840, l'ebraismo americano trovò la sua piena unità come «gruppo di pressione» sul governo statunitense e su quelli europei e solo a partire da quel momento si può parlare - in senso stretto - di sionismo politico-nazionale e non più romantico-sentimentale, come lo era stato in passato.
    Nel 1843, tre anni dopo l'omicidio rituale di Damasco, nacque il «B'nai B'rith» che con l'«Anti Diffamation League» (il suo braccio «armato» legalmente) tanto peso esercita nei nostri giorni. (5)

    Conclusione
    Come si vede, il libro di Toaff non solo dipana un dubbio e svela un mistero che, da duemila anni, nessun ebreo, non convertito al cristianesimo, aveva voluto rivelare, ma che anzi si era cercato di negare (il negazionismo è cosa vecchia e paga, solo il revisionismo - alla Toaff - è attuale ma rischioso).
    Inoltre, ci fa scorgere l'attualità e l'importanza politica e sociale che il «mistero del sangue» ha sempre esercitato sulla storia umana: basti pensare alla nascita d'Israele che si fonda (e perpetua) proprio su di esso.
    Per finire, «nefas est ab inimicis discere veritatem», dicevano i nostri padri.
    Ora, dal 1965, molti prelati si sono sforzati di occultare o proibire il culto che la Chiesa, da oltre cinquecento anni, tributava ai cinque beati (Simonino di Trento, Dominguito del Val, Cristobal di Toledo, Andrea di Rinn, Lorenzino di Marostica), «crudelissimamente trucidati dai giudei» (in 'Martirologio romano') per omicidio rituale.
    Numerosi storici e sociologi (Taradel, Miccoli, Introvigne, Esposito, Quaglioni, Caliò, solo per citare i più famosi), hanno scritto per negare la «favola» o addirittura la «follia» dell'omicidio rituale.
    Ora, dopo la confessione di Toaff (estorta senza tortura), si rimetteranno i cinque beati sugli altari? E' lecito domandarlo al cardinal Arinze.
    Si ammetterà di essersi spinti un po' troppo oltre, per eccesso di zelo «giudaico-cristiano» (pericoloso al pari di quello «amaro» o «untuoso»)?
    E' doveroso chiederlo ad Introvigne, che per ultimo ha scritto contro la «calunnia» del sangue. Oppure si denuncerà - per incitamento al revisionismo o all'odio razziale - Ariel Toaff, ebreo praticante, ma troppo «parlante», nonché figlio dell'ex rabbino capo di Roma (Elio) e docente nell'Università di Gerusalemme?
    Tutto è possibile: in Italia i collaboratori della rivista «Difesa della Razza» si sono riciclati e sono diventati sinceri democratici, e soprattutto filosionisti (Spadolini, Almirante).
    Tuttavia si continua a tenere prigioniero (da undici anni) il novantatreenne Erich Priebke, per un reato del quale era già stato assolto nel 1948.
    Come andrà a finire?
    Forse ci vorranno altri duemila anni per poterlo sapere…

    Don Curzio Nitoglia
    (cappellano delle suore della Fraternità san Pio X a Velletri)

    -------------------------------------------------------------------------
    Note
    1) Curzio Nitoglia, «Per padre il diavolo», SEB, 2002, idem, «Sionismo e fondamentalismo», idem, «Gnosi e Gnosticismo, Paganesimo e Giudaismo», Cabinato, 2006.
    2) G. Iurlano, «Sion in America. Idee, progetti, movimenti, per uno Stato ebraico» (1654-1917), Le Lettere, 2004, pagina 73.
    3) Ibidem, pagina 78.
    Sul caso Mortara confronta Curzio Nitoglia, «Dalla sinagoga alla Chiesa» Mortara, Coen, Zolli, Sodalitium, 1997. Vittorio Messori, «Io, bambino ebreo rapito da PioIX». Il memoriale inedito del protagonista del «caso Mortara», Mondadori, 2005.
    4) Ivi, pagine 78-78. Tratto questo argomento in maniera più approfondita nel libro «La cinquantunesima stella. Giudeo-americanismo: il problema dell'ora presente», NovAntico, in uscita.
    5) Confronta E. Ratier, «Misteri e segreti dello B'nai B'rith», Sodalitium, 1995.

    ******
    Recensione di «Cattolici,antisemitismo e sangue. Il mito dell'omicidio rituale», Massimo Introvigne, Sugarco, 2004; da Alfa & Omega, numero 3 (2005) pagine 111-125.

    Introvigne sostiene che la tesi dell'omicidio rituale (secondo la quale gli ebrei avrebbero bisogno di sangue cristiano per i loro rituali segreti) è un mito inverosimile e folcloristico (ivi pagine 15-16).
    Primo: poiché la religione ebraica, sia nell'Antico Testamento che nel Talmùd, vieta l'uso del sangue (ivi, pagina 13); secondo: poiché la suddetta tesi presuppone che gli ebrei credano nella capacità di Redenzione del Sangue di Gesù Cristo, il che è contraddittorio (ivi, pagina 15); terzo: quanto ai cinque martiri beatificati, Introvigne asserisce che:
    a) Sebbene nel 1753 Papa Benedetto XIV abbia concesso una messa e un ufficio in onore del beato Andreas Oxner da Rinn (+ 1462) e il padre francescano (divenuto in seguito cardinale e poi Papa) Lorenzo Ganganelli nel suo studio, commissionatogli dal suscritto Pontefice e approvato dal Sant'Uffizio nel 1759, lo abbia ritenuto realmente vittima degli ebrei in odio alla fede cattolica, tuttavia nel 1984 il vescovo di Innsbruck ne ha vietato il culto (ivi, pagina 30).
    b) Per quanto riguarda il beato Simonino da Trento (+ 1475), Introvigne scrive che nonostante il fatto della inserzione, caldeggiata dall'eminente storico e cardinale Cesare Baronio nel 1584, del beato Simonino nell'edizione del «Martirologio romano» (pubblicata nello stesso anno) e della concessione di una Messa e di un ufficio nel 1588 da parte di papa Sisto V, nel 1965 la Sacra Congregazione dei Riti ha vietato ogni atto di culto al beato Simonino.
    Tutto ciò in base al fatto che l'iscrizione nel «Martirologio» non aveva nel XVI secolo il valore dottrinale che acquistò solo nel tardo secolo XVII e XVIII (ivi, pagina 36), poiché nel XVI secolo ancora non esisteva l'istituto della beatificazione.
    c) Il beato Lorenzino Sossio da Marostica (+1485) il cui culto fu confermato con Messa e ufficio da Pio IX nel 1867 (quando esisteva l'istituto della beatificazione formale) è soltanto citato (ivi, pagina 37) senza alcuna spiegazione della «non verosimiglianza» del suo martirio.
    d) Il beato Cristobal de La Guardia è addirittura descritto come «forse inesistente» (ivi, pagina 38) sebbene il culto fu concesso da Pio VII nel 1805.
    e) Il quinto ed ultimo martire, beato Dominguito del Val da Saragozza (+1250), il cui culto con Messa e ufficio furono concessi da Pio VII nel 1805 assieme a Cristobal de LaGuardia, è liquidato con la decisione del vescovo del luogo di applicare le conclusioni della Sacra Congregazione dei Riti nel 1965 su Simonino da Trento, proibendone il culto, assieme a Lorenzino da Marostica e a
    Cristoforo de La Guardia.

    Risposta alle obiezioni di Introvigne
    1) Occorre distinguere la religione veterotestamentaria o mosaica, che proibisce e condanna ogni sacrificio umano praticato dai Cananei, dal fatto che tali sacrifici umani «furono praticati nella religione popolare contaminata da influsso cananaico» (F. Spadafora, «Dizionario biblico», Studium, 1963, III edizione, voce «sacrificio», pagina 536).
    Quanto al Talmud, il padre gesuita Giuseppe Oreglia della «Civiltà Cattolica» - al quale la Santa Sede, sotto il pontificato di Leone XIII, commissionò una lunga serie di articoli (ventisei per l'esattezza) sulla questione ebraica, che furono rivisti e corretti dalla Segreteria di Stato - in uno di essi («La morale giudaica e il mistero del sangue», 10 gennaio1893), cita diversi passaggi in cui si ammette e si raccomanda l'uccisione dei cristiani: «Il cristiano è… non propriamente uomo ma bestia» (Trattato «Baba Metsigna», fol. 114, Amsterdam, 1645); anzi, «un ebreo deve reputarsi quasi uguale a Dio. Tutto il mondo è suo, tutto deve servire a lui, specialmente le bestie che hanno forma di uomini, cioè i cristiani» (Trattato «Sanhedrin», 586).
    Mosè Maimonide insegna che «il giudeo che uccide un cristiano offre a Dio un sacrificio accetto» («Sepher Or Israel», 117b).
    Il padre gesuita spiega anche che «il mistero del sangue solo si trova scritto nei codici orientali, mentre negli occidentali venne soppresso per tema dei governi cristiani e sostituito dalla pratica e tradizione orale» («La Civiltà Cattolica», articolo citato, 10 gennaio 1893, pagina 269).
    Recentemente Israel Shahak, un israelita professore all'Università di Gerusalemme, ha confermato che la morale ebraica (dal Talmùd sino ai «manuali odierni») ammette la liceità e la bontà dell'omicidio dei cristiani («Storia ebraica e giudaismo. Il peso di tre millenni», Sodalitium, 1997).
    Nel corso del XIII secolo, vi furono gli attacchi dei cristiani contro il Talmùd, a causa del fatto che alcuni ebrei convertiti avevano - spiega Shahak - rivelato le nefandezze contenute in tale opera, ma anche la «Mishneh Torah» di Mosé Maimonide (XII secolo) è ricolma di violentissimi attacchi contro Gesù e il cristianesimo e siccome la reazione al talmudismo era divenuta troppo forte, gli ebrei escogitarono di modificare i passaggi talmudici ostili al cristianesimo (confronta Trattato «Berakhot», 58b).
    Inoltre, il sistema di leggi dell'ebraismo ortodosso («Halakhah») si fonda sul Talmùd babilonese e ne rispecchia tutto il livore anticristiano.
    Nel XVI secolo, Joseph Caro scrisse uno dei più autorevoli commenti al Talmùd («Shulhan Arukh», compendio di una sua stessa opera assai più voluminosa, «Beit Josef»), nel XVII secolo apparvero numerosi commenti allo «Shulhan Arukh» e ne esiste anche uno contemporaneo intitolato «Mishnah Berera».
    Shahak conclude scrivendo che il giudaismo talmudico nutre un odio viscerale nei confronti del cristianesimo come quello che il Sinedrio aveva nei confronti di Gesù.
    Perciò non è vero che il giudaismo talmudico vieti lo spargimento di sangue cristiano come afferma Introvigne.

    2) Massimo Introvigne obietta che la tesi dell'omicidio rituale presupporrebbe che gli ebrei credano (con fede soprannaturale) alla Redenzione del Sangue di Cristo, il che è contraddittorio.
    La risposta è la seguente: il motivo specifico dell'omicidio rituale è non solo la profanazione della Pasqua cristiana, quanto quello secondo cui i rabbini (ossia i capi religiosi del giudaismo) sanno (ma non credono di fede soprannaturale), anche se non vogliono ammetterlo, che Cristo è il Messia venuto il quale con la sua morte in croce ha salvato l'umanità, mentre la massa dei semplici fedeli giudei non conosce esplicitamente tale verità.
    Onde i rabbini cercavano di impadronirsi di sangue innocente cristiano, mimando la crocifissione di Gesù, per rendere - superstiziosamente e farisaicamente - i loro correligionari partecipi della venuta del Messia, senza dover loro spiegare tale verità, sotto pena di perdere il proprio potere come avvenne con l'avvento e la morte stessa di Gesù.
    Tale tesi non è strampalata né contraddittoria come vorrebbe Introvigne.
    Infatti san Tommaso d'Aquino nella Somma Teologica (III, q.47, aa.5 e 6; II-II q.2, aa.7 e 8) insegna che i capi del Sinedrio sapevano esplicitamente che Cristo era il Verbo incarnato (tramite tradizione orale che da Adamo giunse sino a loro, quando Dio nel Paradiso terrestre, dovendogli spiegare che avrebbe dovuto prender moglie, gli svelò che il matrimonio è simbolo dell'unione tra Cristo e la Chiesa e quindi gli dovette rivelare il mistero dell'Unità e Trinità di Dio e quello dell'Incarnazione del Verbo), ma per invidia e gelosia montarono in orgoglioso odio contro Gesù e vollero crocifiggerlo, non volendo ammettere pubblicamente quanto conoscevano privatamente. Mentre il popolo dei giudei non aveva tale conoscenza esplicita, onde la loro colpa fu soggettivamente meno grave di quella dei loro capi.
    Vi è dunque un'analogia tra deicidio e omicidio rituale e negare il secondo significa rinnegare anche il primo.
    Il professor Giovanni Miccoli ha afferrato perfettamente la questione e ha scritto che tale teoria riaffermava «il carattere superstizioso e formalistico,esteriore, della religione talmudica» («Storia d'Italia», Annali XI, «Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo», Einaudi, 1997, pagine 1522-1523).
    Non si può dunque parlare di contraddizione tra credere soprannaturalmente in Gesù Cristo e non credere (come fa Introvigne), ma solo di superstizione farisaica, esteriore e formalistica nei rabbini che presumono di salvare il loro popolo in tale maniera che a noi può apparire assurda, e che invece secondo la morale talmudica è del tutto ammissibile.

    3) La prima obiezione di Introvigne riguardo ai citati cinque martiri si basa innanzitutto sul fatto che l'iscrizione al «Martirologio Romano» di Simonino da Trento è avvenuta nel 1584 e in quel tempo essa non aveva il valore dottrinale che acquistò solo a partire dalla fine del Seicento.
    Tale asserzione è priva di fondamento.
    Infatti Annibale Bugnini nella «Enciclopedia Cattolica», (volume VIII, coll. 244-258, voce «martirologio») spiega che il «Martirologio Romano» deriva dalla sistemazione dei vari Martirologi generali risalenti ai primi secoli della Chiesa, ordinata nel 1580 da Gregorio XIII e pubblicata a Roma nel 1584 come edizione ufficiale della Chiesa universale, essa è un libro liturgico della Chiesa universale sin dalla sua prima edizione tipica e ne ha tutto il valore dogmatico, ha conosciuto varie revisioni ma solo accidentali (che non hanno alterato minimamente il suo valore dottrinale) nel 1586, 1589, 1630; nel 1681 «non si trattò che di un aggiornamento»
    (col. 256, contrariamente a quanto sostiene Introvigne), nel 1748, 1845, 1913, 1922.
    Nel 1962 vi fu quella di Giovanni XXIII la quale ha mantenuto il nome di «San Simonino da Trento crudelissimamente trucidato dagli ebrei in odio alla fede cattolica», come era stato introdotto nel 1584.
    Tale frase per quattro secoli è stata letta «in coro», ossia durante il culto pubblico, nella Chiesa universale per ordine dei Papi che l'hanno voluta mantenere nel «Martirologio Romano».
    Tuttavia, per Introvigne il fatto storico dell'omicidio rituale non sussiste.
    Come si può conciliare tale opinione con l'indefettibilità della Chiesa e l'oggetto secondario della sua infallibilità, ossia le leggi liturgiche universali?
    Secondariamente, per quanto riguarda i cinque martiri beatificati, occorre specificare che nei processi di beatificazione la Chiesa procede con i piedi di piombo.
    La beatificazione «è di ordine inferiore alla canonizzazione in cui l'infallibilità del Papa interviene e rende tale atto irreformabile. Non è questo il caso della beatificazione. Ma essa resta al di sotto della canonizzazione, il decreto più forte e importante che possa dare la Chiesa. Da che Roma si è riservata i decreti di beatificazione, essi restano immutabili de facto, come la canonizzazione lo è di diritto… Resta fermo che… la testimonianza dei decreti di beatificazione è la più importante che possa rispondere della verità storica di un fatto, e che l'atto che esprime tale testimonianza è l'atto della suprema autorità spirituale della Chiesa. Quindi negare la verità di tale atto affermato non sarà un'eresia ma un'affermazione temeraria» (P. Constant, «Les Juifs devant l'Eglise et l'histoire», Savahete edition, Parigi 1898, pagine 230-232).

    Anche i cardinali Francesco Roberti e Pietro Palazzini insegnano che «le sentenze di beatificazione non sono definitive, infallibili e irrevocabili. Però è sempre temerario sostenere in un dato caso che la Chiesa abbia realmente, in tal giudizio, errato» («Dizionario di Teologia morale», Studium, 1963, III edizione, I volume, pagina 188).
    L'obiezione che la beatificazione di Simonino da Trento sia equipollente non formale, poiché avvenuta nel 1588, mentre la beatificazione formale fu introdotta verso la fine del XVII secolo, non regge, poiché come dice la parola stessa «equipollente» equivale a «formale», ossia ha lo stesso valore dogmatico, anche se diversa è la procedura giuridica.
    Infatti, i dizionari etimologici spiegano che «equi» = uguale, «pollente» = esser forte, «equipollente» = equivalente quanto al valore o alla forza.
    Dunque la beatificazione equipollente ha lo stesso valore di quella formale; la distinzione è avvenuta quando con un decreto di Urbano VIII nel 1634 la Chiesa avocò solo ed esclusivamente al Papa le beatificazioni che divennero allora formali, mentre le beatificazioni antiche «ab immemorabili» ed anteriori di circa cento anni al 1634 vennero dichiarate equipollenti o equivalenti a quelle formali.
    Nell'«Enciclopedia Cattolica» (volume II, voce «beatificazione», col. 1096) si legge che «alle beatificazioni equipollenti vengono concessi tutti quegli atti di culto pubblico, con i quali si onorano i servi di Dio formalmente beatificati».
    Inoltre, per Simonino da Trento, Papa Benedetto XIV nella Bolla «Beatus Andreas» del 22 febbraio 1755 ha riassunto la storia del suo martirio scrivendo: «Nell'anno 1483, Simone da Trento fu messo crudelmente a morte dai giudei, in odio alla fede…».
    Lo stesso Benedetto XIV afferma che «i martiri come Simonino da Trento e Andrea da Rinn, che hanno ottenuto una beatificazione dai Pontefici, formale o equipollente che sia, … in linea teorica, potrebbero essere consacrati santi universali» (Tommaso Caliò, «L'omicidio rituale nell'Italia del Settecento», in «Rivista di Storia e Letteratura religiosa», anno XXXVIII, numero 3, L. Olschki, 2002, pagina 504).

    Il cardinale Prospero Lambertini (divenuto in seguito Papa Benedetto XIV), nella sua opera «De servorum Dei beatificatione» (1734), si era già pronunciato sul culto di Simonino «affermando con chiarezza che il piccolo martire, ucciso dagli ebrei in odio alla fede, poteva considerarsi beato con forma equipollente essendo un culto attestato da tempo immemorabile e avendo Sisto V concesso, nel 1588, l'Ufficio e la Messa propri» (Tommaso Caliò, articolo citato).
    Mentre per Introvigne nel XVI secolo (e quindi solo riguardo al beato Simonino) «l'istituto della beatificazione non esisteva» (ivi, pagina 36).
    Egli non fa la dovuta distinzione tra beatificazione equipollente (che riguarda Simonino) e beatificazione formale (che riguarda gli altri quattro martiri).
    Infine, quanto ai casi di Andrea da Rinn (beatificato da Benedetto XIV nel 1753), di Cristoforo de La Guardia e di Domenichino del Val (beatificati da Pio VII nel 1805), di Lorenzino da Marostica (beatificato da Pio IX nel 1867), siamo di fronte a casi di beatificazione formale, la quale «de facto» non viene ad essere annullata, ma con la conclusione della Sacra Congregazione dei Riti nel 1965 si è deciso di proibire gli atti di culto pubblico verso i beati (che tali erano e tali restano) per motivi di dialogo ecumenico con l'ebraismo, conformemente al decreto «Nostra Aetate» del Concilio Vaticano II.
    E' vero - come afferma Introvigne - che per quanto riguarda i martiri dei giudei per omicidio rituale non vi sono state canonizzazioni (ivi, pagina 63), ma vi sono state beatificazioni formali che ammettevano la possibilità di eventuali canonizzazioni «de jure», come riconoscono i professori Caliò, Miccoli e Taradel.
    Affermare con Introvigne che il martirio di Lorenzino da Marostica è «non verosimile» o addirittura che quello di Cristoforo de La Guardia è «forse inesistente» è teologicamente parlando «temerario».
    Riguardo ai suddetti beati martiri, si può leggere con profitto l'interessante libro di Ruggero Taradel «L'accusa del sangue. Storia politica di un mito antisemita» (Editori Riuniti, 2002, specialmente pagine 186 - 191), che sebbene sia contrario alla tesi dell'omicidio rituale, è stato redatto in maniera molto seria ed approfondita.

    Dopo Pio IX, che nel 1867 ha beatificato Lorenzino Sossio, Leone XIII ha dovuto occuparsi della questione dell'omicidio rituale nel 1899 - 1900.
    Un certo lord Russel scrisse una lettera a Papa Pecci nel novembre del 1899 per invitarlo a dichiarare l'infondatezza della tesi dell'omicidio rituale.
    L'«Osservatore Romano» (il giornale sul quale i comunicati del Vaticano vengono pubblicati ufficialmente) pubblicò un articolo di risposta in cui si asseriva la fondatezza dell'omicidio rituale
    (Osservatore Romano, 23 novembre 1899, «L'omicidio rituale giudaico»).
    Tuttavia la pratica venne girata al Sant'Uffizio il 4 dicembre del 1900 e venne affidata a monsignor Raffaele Merry del Val.
    La questione non venne risolta immediatamente da Roma e il 26 marzo del 1900 il cardinale
    Vaughan trasmise una nuova petizione al cardinale del Val, il quale dopo aver informato Leone XIII, dietro suo ordine, la girò al Sant'Uffizio.
    La Suprema Congregazione si riunì il 25 luglio del 1900 e alla richiesta di dichiarare infondata l'accusa di omicidio rituale rispose con una risoluzione approvata dal papa il 27 luglio, in cui si asseriva che «la dichiarazione di infondatezza dell'omicidio rituale non poteva essere concessa, poiché gli omicidi rituali che si vorrebbero negare sono invece realmente accaduti» (confronta G. Miccoli, in «Storia d'Italia», Annali XVI, «Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo», Einaudi, 1997, pagine 1525-1544).
    Mi sembra di poter affermare,senza timore di esagerare, che la veridicità della tesi dell'omicidio rituale sia storicamente e dogmaticamente certa e che non è corretto parlarne come si trattasse di mito o favola folcloristica.

    don Curzio Nitoglia
    (cappellano delle suore della Fraternità san Pio X a Velletri)

    FONTE

 

 
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