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    WHY SO SERIOUS?
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    ASCOLI PICENO. CERTI UOMINI NON CERCANO QUALCOSA DI LOGICO, COME I SOLDI. NON SI POSSONO NE' COMPRARE NE' DOMINARE. NON CI SI RAGIONA E NON CI SI TRATTA. CERTI UOMINI VOGLIONO SOLO VEDER BRUCIARE IL MONDO.
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    Predefinito DRESDEN 13/14 feb 1945. La Barabrie Democratica.

    DRESDA 1945: UN INUTILE MASSACRO!
    13-14 febbraio 1945

    SPAVENTOSO CINISMO di un’azione militare del tutto ingiustificata. Nel febbraio del 1945 la Germania era sconfitta ma gli angloameriCani decisero ugualmente IL BOMBARDAMENTO DI DRESDA.





    UN INUTILE MASSACRO – 300.000 CORPI INCENERITI
    Macabro record di disumanità, non eguagliato neppure dai bombardamenti atomici sul Giappone. Dresda non era mai stata toccata seriamente dalla guerra, sia per la posizione geografica sia perché non aveva né industrie né impianti militari rilevanti.
    Ma l’importante era “terrorizzare” Ci riuscirono!

    Amburgo, ore 00 e 55 del 28 luglio 1943. “…Fu l’inizio di un nuovo attacco aereo. Il fosforo dilagò sull’asfalto. Bombe a benzina alzavano nell’aria fontane di fuoco alte venti metri. Fosforo già incendiato si riversò sulle rovine come un violento acquazzone. Sibilava e turbinava come un ciclone. Bombe più grosse e potenti sollevarono letteralmente in aria intere case…. Le persone uscivano urlanti dalle rovine. Torce viventi vacillavano e cadevano, si rialzavano e correvano sempre più in fretta… Alcuni bruciavano con fiamme biancastre, altri avvolti da fiamme di un rosso acceso. Alcuni si consumavano lentamente in una incandescenza giallo – blu, gli altri morivano in modo rapido e pietoso. Ma altri ancora correvano in circolo, o si agitavano a gambe all’aria, sbattendo la testa avanti e indietro e contorcendosi come serpi prima di ridursi a piccoli fantocci carbonizzati. Si muovevano, quindi erano ancora vivi… Il sergente, sempre così calmo, perse per la prima volta il controllo da quando lo conoscevamo. Proruppe in un acuto grido: “Fateli fuori, per Dio, accoppateli”… Sembra brutale. Era brutale. Ma meglio una morte rapida, data con un colpo di pistola, che una lenta, mostruosa agonia. Nessuno di loro aveva la minima possibilità di salvezza”.

    Per parlarvi di Dresda e del suo martirio abbiamo preferito parlarvi prima di Amburgo, perché fu in questa città che, come vedremo, per la prima volta si sviluppò una tecnica distruttiva che prese il nome di Feuersturm, tempesta di fuoco. Ad Amburgo successe per caso, un caso che fu studiato e analizzato, per essere poi applicato scientificamente sulla città di Dresda.

    E abbiamo voluto aprire il nostro studio con le parole di Sven Hassel, soldato di un reggimento corazzato di disciplina, che combatté su quasi tutti i fronti in cui fu impegnata al Germania e lasciò, coi suoi libri, una testimonianza impressionante. I libri di Sven Hassel furono definiti, anni fa, da un critico, libri di “bassa macelleria”. E’ verissimo, ma altro non potevano essere, dati gli argomenti. Sono gli stessi argomenti che tratteremo in questo lavoro. E’ una specie di discesa nell’orrore che non si vorrebbe mai percorrere, ma che non si può evitare, se si vuole fare della Storia e non dell’iconografia, in cui quelli che vincono sono i buoni.

    Dresda era, in assoluto, la più bella e romantica città della Germania, e una delle più belle e romantiche d’Europa. Aveva scorci di grande suggestione, palazzi barocchi e rococò, piccole case di legno e mattoni fulvi che risalivano al medioevo gotico, vicoli punteggiati di taverne e birrerie senza tempo. Priva di industrie primarie, Dresda viveva una vita culturale intensa e cosmopolita. Apparteneva al mondo, non solo alla Germania, e tanto meno alla Germania nazista.
    La distruzione arrivò su questa città nel febbraio del 1945, quando le sorti della guerra erano ormai segnate. Un uomo che senza dubbio la sapeva lunga, l’architetto Albert Speer, ministro tedesco degli armamenti e della produzione bellica, eccezionale organizzatore, grande amico di Adolf Hitler, non ebbe timori ad inviare a quest’ultimo, alla fine di gennaio del 45, un memorandum in cui prevedeva per la Germania la possibilità di resistere ancora per otto settimane. Sbagliava solo di un mese.

    Foto Dresda come era

    Dobbiamo perciò cercare di capire perché una città che era considerata un vero gioiello, che non aveva impianti industriali essenziali per la produzione bellica, che non rivestiva alcuna importanza sotto l’aspetto strategico, conobbe il più crudele attacco aereo di tutta la Seconda Guerra Mondiale, effettuato oltretutto quando la sua popolazione, di circa 630.000 abitanti, era raddoppiata per la grande affluenza di profughi che provenivano dalla Slesia, dalla Pomerania Orientale e dalla Prussica, incalzati dall’Armata Rossa.

    Ma prima di fare ciò, cerchiamo di chiarire in cosa consista il fenomeno fisico, di spaventosi effetti distruttivi, che passò alla Storia con il nome di “tempesta di fuoco”. Dobbiamo tornare ad Amburgo, la città che ebbe l’indesiderabile onore di sperimentare per prima questo fenomeno. Amburgo era un obiettivo militare primario; su questo non vi era discussione. La presenza dei cantieri che producevano quasi la metà dei sommergibili tedeschi basterebbe questa qualifica; ma Amburgo possedeva anche molte industrie pesanti, in massima parte collegate agli armamenti di terra, ed inoltre era anche un nodo vitale di comunicazioni. Il suo porto era il più attivo di tutta l’Europa continentale.
    Il maresciallo dell’aria Sir Arthur Harris, comandante del bomber Command della RAF (l’aeronautica brittanica) non voleva correre rischi e pianificò una di quelle operazioni di massa che erano tipiche delle sue teorie militari, peraltro avvalorate dai risultati di terribili distruzioni già effettuate sulla Ruhr e su Aquisgrana. In quattro successive incursioni effettuate tra la notte del 24 e quella del 27 luglio 1943, 2.350 bombardieri inglesi e ameriCani scaricarono complessivamente su Amburgo più di 9.000 tonnellate di bombe, di cui circa la metà incendiarie. I morti furono oltre 50.000.

    La grande quantità di bombe incendiarie sganciate su un’area relativamente limitata e ricca di fabbricati addensati e infiammabili e la mancanza di vento naturale sulla zona, portarono alla formazione di una corrente ascensionale di aria calda di inaudita potenza e temperatura. L’aria surriscaldata, a temperature dai 600 fino a 1.000 gradi, saliva verso il cielo e l’aria fredda circostante si precipitava a colmare il vuoto lasciato a livello del suolo, surriscaldandosi a sua volta. Il fenomeno si esaurì in tre ore, durante le quali si generarono venti diretti verso il centro dell’immane fornace a velocità fino a 300 km/ora. Chi veniva ghermito da questo vento non poteva oppure alcuna resistenza, ed era scaraventato al centro della zona incendiata, a temperature che volatilizzavano tutto.

    “La decina di migliaia di incendi si fusero in una sola gigantesca fiammata; dalla periferia un vento artificiale, sempre più violento, puntò verso il centro, infuocandosi e raggiungendo una velocità di 300 chilometri all’ora; chi si trovava all’aperto, sparì trascinato nel cielo; a terra, intanto, tutto bruciava con tale violenza che venne meno l’ossigeno necessario alla respirazione”.

    Dove il soffio rovente era solo di 300-400 gradi furono ritrovati poi cadaveri carbonizzati ridotti a circa un metro di lunghezza. Via via che si allontanava dall’inferno la temperatura scendeva sui cento gradi e il vento non era più in grado di trascinare. Ma il colore eccessivo bruciava le vie respiratorie , uccidendo per soffocamento che non era già morto nei rifugi per la mancanza di ossigeno causata dagli incendi. Infine, ci furono coloro che furono colpiti direttamente dagli schizzi del fosforo delle bombe incendiarie: pattuglie di soldati non poterono far altro che abbattere questi infelici per limitarne le sofferenze, come leggevamo in apertura, nell’impressionante testimonianza di Sven Hassel.
    Lo spostamento d’aria causato dalla corrente ascensionale fu di tale potenza da far oscillare i bombardieri pesanti Lancaster ed Halifax che incrociavano a 5.000 metri di quota. Circa il 70% delle vittime di Amburgo furono causate dalla tempesta di fuoco. Un orrore che sembrava giustificare il nome dato in codice al bombardamento di Amburgo: operazione Gomorra.

    Le bombe incendiarie potevano essere caricate a benzina, oppure a termite, un composto di ossido di ferro e alluminio granulare, in grado di sviluppare un calore che fonde il ferro, o infine di fosforo o di fosgene.
    Lo sviluppo della tempesta di fuoco colse di sorpresa americani e brittanici, ma quando ne fu chiara la meccanica Sir Harris, il già citato comandante del Bomber Command non si pose eccessivi problemi. Da tempo sosteneva la necessità di portare la maggior distruzione possibile sul suolo tedesco, per fiaccare la resistenza del popolo tedesco, oltre che per distruggere fabbriche ed impianti militari, e quindi il risultato della tempesta di fuoco fu per lui solo positivo. Il capolavoro di ipocrisia di questo alto ufficiale fu una dichiarazione secondo la quale egli riconosceva e rispettava l’unica convenzione internazionale in tema di guerra aerea, ossia quella stipulata dopo la Grande Guerra, che vietava il lancio di ordigni a gas da aerei e dirigibili. In effetti su Amburgo non fu lanciato alcun gas tossico: che bisogno ce ne sarebbe stato, lanciando già migliaia di tonnellate di esplosivi e di spezzoni incendiari?

    Torniamo ora nel 1945; era il settimo anno in cui l’Europa era in guerra. Il mostro nazista era ormai vacillante, e leggevamo sopra la profezia del ministro tedesco Speer, che escludeva qualsiasi possibilità di vittoria e si limitava a calcolare il tempo che restava alla Germania prima di soccombere. Nel giugno dell’anno precedente la più grande operazione militare della Storia aveva visto gli alleati prender terra in Normandia e da lì iniziare a smantellare le resistenze della fortezza Europa. Da Est intanto le armate sovietiche andavano guadagnando terreno ed erano a soli 160 chilometri dal centro della Germania. Questo soprattutto terrorizzava le popolazioni tedesche, consce dei sentimenti dei russi che avevano sperimentato i comportamenti delle SS in territorio sovietico ed ora avanzavano in territorio tedesco con una sinistra scritta in cirillico sui carri armati: Vendetta!

    In questo quadro di sfacelo generale la Germania mostrava però ancora doti di resistenza incredibile. Nel gennaio 1945 Goering riuscì ancora ad organizzare l’operazione Grande Colpo, che distrusse 196 aerei anglo-americani e ne danneggiò circa 400 bombardando campi di aviazione ormai stabilmente occupati dalla RAF e dall’USAAF in Francia, Belgio e Olanda. All’operazione parteciparono 800 aerei tedeschi, caccia Messerschmitt 109 e Focke Wulf 190, oltre a qualche caccia a reazione. Erano canti del cigno, come un canto del cigno fu anche la controffensiva terrestre condotta dal generale Von Rundstedt. Ma erano comunque fatti d’armi che davano la sensazione agli alleati di una guerra senza fine, dal finale scontato, ma che rischiava di essere ancora troppo lontano.

    In questo clima Dresda viveva in una specie di limbo. Non era mai stata toccata seriamente dalla guerra, sia per la posizione geografica sia perché non aveva né industrie né impianti militari rilevanti. Un solo bombardamento, nell’ottobre dell’anno precedente, aveva causato poco più di 400 morti, una cifra quasi irrisoria nella tragica contabilità bellica.
    Nonostante l’affollamento di profughi di cui dicevamo, Dresda riusciva ad avere quantità di cibo abbastanza soddisfacenti. E molti profughi si dirigevano verso quella città proprio perché era ormai convinzione generale che fosse il posto più tranquillo in cui attendere la fine della guerra, nella speranza di veder arrivare gli americani, o gli inglesi, o gli australiani, o chiunque fosse, prima dei temutissimi soldati sovietici. Circolava addirittura la voce, del tutto priva di fondamento ma tanto bella da poterla credere vera, di un accordo segreto tra la RAF e la Luftwaffe: gli inglesi si impegnavano a non bombardare Dresda, e i tedeschi si impegnavano allo stesso modo per Oxford.
    Del resto l’aviazione alleata continuava a martellare la Germania, nella quale ormai 45 delle principali città erano praticamente distrutte, ma lo faceva con una certa logica militare.

    Dopo la prima fase delle incursioni vengono organizzate altre operazioni per colpire le fabbriche di carburanti sintetici e le reti di trasporti. Gli obiettivi principali del gennaio 1945 furono le raffinerie di Dortmund, il centro ferroviario di Vohwinkel, le industrie di Norimberga e Hannover.
    A Dresda si poteva stare tranquilli, anche perché gli americani, più sensibili degli inglesi a considerazioni umanitarie non avrebbero mai accettato la distruzione di una città d’arte amata in tutto il mondo. Come l’accordo segreto tra RAF e Luftwaffe, anche questa era una voce tanto infondata quanto bella da credere…
    A Dresda si poteva quindi anche festeggiare il carnevale. Il 13 febbraio 1945 era martedì grasso, e la sera il Circo Sarassini aveva dato uno spettacolo speciale, al quale erano intervenuti anche tantissimi bambini, nei loro costumi carnevaleschi.
    Purtroppo gli abitanti di Dresda non potevano sapere che il tempo delle considerazioni umanitarie, ma anche di quelle logiche, era passato. Diversi fattori concomitanti portarono al bombardamento della città capitale della Sassonia.

    La resistenza della Germania, che aveva dell’incredibile, unita alla lunghissima durata della guerra, aveva di certo ormai portato ad una nausea psicologica anche i militari e i politici più ligi alle regole minime da rispettare anche in guerra. Ogni atto poteva essere buono per abbreviare la guerra, anche di un solo giorno. Crediamo sia legittimo affermare che lunghi anni a contatto continuo con morte e distruzione possano offuscare anche le menti più lucide. E infatti fin dall’estate dell’anno precedente RAF e USAAF avevano elaborato il piano Thunderclap (colpo di tuono), il cui scopo dichiarato era quello di portare il massimo caos in Germania, con bombardamenti indiscriminati sulle città, in particolare approfittando dei problemi che già avevano le autorità tedesche per controllare le fiumane di profughi da Est, creando nuovi e irresolubili problemi di approvvigionamento e di ordine pubblico.

    A questa visione distruttiva, sulla quale senza dubbio giocava il desiderio ormai incontrollabile di farla finita, si aggiungeva un’esigenza di cinica politica di potenza tra alleati. Inglesi e americani erano uniti in una innaturale alleanza con i sovietici, e la diffidenza reciproca si palesava sempre di più, ora che l’Armata Rossa avanzava sul territorio del Reich. I russi dovevano vedere, bene e senza equivoci, quale fosse la potenza militare occidentale: quello che oggi poteva toccare a Berlino o a Dresda, domani poteva toccare a Mosca. Del resto i sovietici avevano già manifestato la loro contrarietà agli attacchi aerei su quelle zone della Germania che consideravano un loro territorio di caccia, e che sarebbero infatti, dopo la guerra, divenute la Repubblica Democratica Tedesca.

    In questo dialogo insensato tra nemici che erano alleati perché c’era un nemico comune da distruggere, i cittadini di Dresda avrebbero presto pagato un conto che non era di loro competenza, vittime di cinismo e di quella malattia, lo ribadiamo, che aveva preso ormai gli alleati, anch’essi contagiati, al pari dei tedeschi, da una troppo lunga consuetudine con la morte e la distruzione.
    E l’avallo alla politica del massacro fu data dallo stesso primo ministro inglese Winston Churchill, in una nota scritta al ministro dell’Aviazione, Sir Archibald Sinclair. Gli americani furono presto contagiati da questo clima, e l’Ottava Armata Aerea bombardò a tappeto Berlino il 3 febbraio: 937 fortezze volanti, scortate da 613 caccia, causarono 25.000 morti in una città dove c’era da stupirsi che ci fossero ancora vivi da uccidere.

    Alle ore 22:08 di martedì grasso (13 febbraio 1945) le sirene di allarme vennero a interrompere i clown che si stavano esibendo nel carosello finale allo spettacolo carnevalesco del Circo Sarassini. Gli spettatori si allontanarono in ordine e quasi svogliatamente: era così ferma la convinzione che Dresda fosse esente da pericoli, che tutti credevano ad un eccesso di zelo dei funzionari del partito incaricati della protezione della città. Del resto, non c’era praticamente contraerea a Dresda; gli ultimi cannoni da 88, il miglior pezzo di artiglieria tedesco, erano stati trasferiti da diverse settimane a Est, per essere usati in funzione controcarro contro l’armata sovietica.

    Ma non era un eccesso di zelo. Due soli minuti dopo il cielo incominciava ad affollarsi: i primi quadrimotori Lancaster dell’83 squadriglia inglese lasciavano cadere grappoli di bengala che illuminavano a giorno la città, poi seguirono pochi Mosquitos, agili cacciabombardieri il cui compito era quello di individuare con bombe segnaletiche rosse l’epicentro del bombardamento, lo stadio sportivo. I Mosquitos fecero egregiamente il loro compito: nel centro esatto dello stadio si levava ora una luminosa colonna rossa. I bombardieri avevano il loro bersaglio.

    Dalle 22:13 alle 220 i Lancaster scaricarono sulla città le terribili bombe dirompenti da 1.800 a 3.600 libbre. Poi si allontanarono in direzione di Strasburgo, volando bassi per sfuggire ai radar tedeschi.
    I soccorsi iniziarono ad affluire dalle città vicine, mentre gli abitanti escono lentamente dei rifugi. Erano quello che attendevano gli alleati: far uscire la gente, far arrivare i soccorsi, e tornare a colpire.

    La “Tecnica del massacro”.

    Ore 01:28 del 14 febbraio. La seconda ondata arriva, indisturbata come la prima. Altri 529 Lancaster portano nelle stive 650.000 bombe: per lo più sono tutti ordigni incendiari. È l’inizio dell’inferno. Bombardamento a destra e a sinistra delle zone già colpite dal primo attacco gli inglesi riescono a provocare la tempesta di fuoco. Dalle case già sventrate dalle bombe dirompenti viene aspirato ogni oggetto e ogni persona che si trovi nel primo chilometro dell’immane incendio. Si ripete Amburgo, ma questa volta scientificamente e con effetti enormemente superiori. Il vento a 300 Km/ora trascina nella fornace ogni cosa, persona, animale. Persino vagoni ferroviari, distanti più di tre chilometri, vengono rovesciati. Il pilota di un Lancaster rimasto indietro racconterà: “C’era un mare di fuoco che secondo i miei calcoli copriva almeno un centinaio di chilometri quadrati. Il calore era tale che si sentiva fin nella carlinga; eravamo come soggiogati di fronte al terrificante incendio, pensando all’orrore che c’era là sotto…”

    Chi non ha il coraggio di uscire dai rifugi dopo il primo attacco, non per questo si salva. Molti faranno la fine dei topi, soffocati nei rifugi, privi di ossigeno, divorati dall’immane rogo.
    Nell’anno precedente nei rifugi antiaerei di Dresda era stata presa la precauzione di rendere abbattibile le pareti tra rifugio e rifugio, in modo da poter facilmente creare una sorta di galleria sotterranea, che permettesse una via di fuga se lo stabile sopra il rifugio in cui ci si trovava era crollato. Questa precauzione sarebbe stata efficace con un bombardamento ordinario, ma all’inferno di fuoco scatenato su Dresda non era opponibile nulla, se non il trovarsi a una distanza sufficiente per non essere trascinato dal vento e divorato dalle fiamme, o per morire asfissiato per mancanza di ossigeno.

    Il bagliore della colonna di fuoco di Dresda era visibile a oltre trecento chilometri. All’alba del 14 febbraio finalmente la tempesta di fuoco andava acquietandosi, mentre una colonna di fumo alta oltre cinque chilometri sovrastava la città. I sopravvissuti iniziavano ad aggirarsi inebetiti, ma il martirio non era ancora finito. Gli americani non potevano essere da meno degli inglesi: alle 12 di quel giorno 311 Fortezze Volanti B17 si presentarono nel cielo di Dresda, sganciando 771 tonnellate di bombe. Il nodo ferroviario era l’obiettivo ufficiale, ma di fatto il bombardamento fu eseguito a casaccio e causò pochi danni, perché ormai era rimasto poco da distruggere.

    In totale su Dresda erano state sganciate 2.702 tonnellate di bombe. Un quantitativo non enorme, se confrontato con quello lanciato su altre città tedesche. Ma la preferenza data alle bombe incendiarie, che rappresentarono circa il 70% degli ordigni lanciati, causò la più spaventosa tragedia della guerra: i morti accertati furono 135.000, ma il conto più accreditato fa salire a circa 300.000 il numero delle vittime. Bisogna tener conto del fatto che non era possibile alcuna opera di identificazione per le vittime di molti rifugi antiaerei che, per ragioni igieniche, vennero spianati con le ruspe e ricoperti di calce e cemento, così come non fu possibile accertare il numero preciso delle vittime aspirate dalla tempesta di fuoco nella zona centrale dell’incendio, perché di loro non restò assolutamente nulla. Nella zona intermedia, dove la temperatura aveva raggiunto i livelli di forno (200-300 gradi) molti corpi si erano fusi con l’asfalto della strade. Dresda era anche sovrappopolata per il grande afflusso di profughi, moltissimi dei quali non ancora censiti.

    Gli incendi proseguirono per altri cinque giorni, poi si spensero da soli. Non esisteva la possibilità di fare alcuna opera di spegnimento, essendo distrutte le reti idriche e quelle elettriche.
    Per tre giorni le autorità chiusero il centro di Dresda e bruciarono i cadaveri che ancora non erano stati sepolti o interrati con calce e cemento. Il rischio di epidemie era troppo grande per dare spazio alla pietà per i defunti.
    Questo fu Dresda: un orribile massacro, che non trovò alcuna giustificazione dal punto di vista militare. Fu il macabro record di disumanità, non eguagliato neanche dai bombardamenti atomici sul Giappone, che causarono “solo” 150.000 morti.

    Con la follia nazista il mondo conobbe senza dubbio le mostruosità più atroci, e tutt’oggi ci interroghiamo per capire, se mai lo capiremo, fino a quali abissi può arrivare l’uomo.

    Ma se l’abisso della crudeltà ci spaventa, non meno quello dell’ipocrisia ci lascia sgomenti.

    Quando nell’ottobre del 1946 la Corte Internazionale di Norimberga giudicò i caporioni nazisti colpevoli di crimini contro l’umanità, su quei giudici aleggiavano dei fantasmi: Erano le centinaia di migliaia di morti innocenti, che chiedevano una Giustizia che, evidentemente, non è di questo mondo.
    Noi siamo i padroni.
    Noi siamo gli schiavi.
    Siamo ovunque
    e da nessuna parte.
    Regniamo sui fiumi di porpora.

  2. #2
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    Churchill fu un criminale. Come si dovrebbe chiamare, altrimenti, chi ordinò nel corso della seconda guerra mondiale il bombardamento su Dresda?

    "Fu un inevitabile prezzo da pagare per la liberazione dell’Europa e del mondo dalla barbarie nazista": così gli anglo-americani giustificarono e giustificano la terribile azione aerea compiuta sulla città tedesca nel febbraio del 1945. Essi -i "liberatori"- quel massacro se lo sarebbero risparmiato volentieri, ma vi furono costretti -così si scusano- per poter offrire alle future generazioni un mondo nuovo: "Bisognava piegare il Terzo Reich, e bisognava anche dare una lezione alla popolazione tedesca che lo aveva sostenuto, e aiutato a portare il mondo sull’orlo dell’abisso. A Dresda morirono tante persone, è vero, ma quante ne avevano uccise i tedeschi? e quante ne sono state risparmiate dall’accelerazione della caduta del nazismo a cui quel bombardamento contribuì? Sì, furono uccise tante persone -conclusero e concludono i governanti democratici installati a Londra e a Washington (... e a Roma)- ma lo si fece per il bene dell’umanità."

    I fatti raccontano tutt’altra storia.

    All’inizio del 1945 il destino militare della Germania di Hitler era ormai segnato: gli anglo-americani la stringevano sul Reno e dal Nord Italia, le truppe di Stalin sull’Oder. A Dresda non vivevano solo i suoi 630mila abitanti di "razza teutonica" e, in buoni rapporti reciproci, alcune decine di migliaia di prigionieri inglesi. Nelle sue strade, nelle sue stazioni, nei suoi ricoveri la splendida città ospitava, stracolma, centinaia di migliaia di sfollati provenienti dalle regioni della Germania dell’Est.

    Il 13 e il 14 febbraio gli aerei da guerra alleati ne fecero una città morta.

    I vertici militari e governativi inglesi e statunitensi dissero che gli obiettivi dell’azione militare erano stati lo scalo ferroviario di Dresda e le sue industrie militari. Queste e quello però furono appena scalfiti dalle bombe. "Si è stupiti -scrisse il 22 febbraio 1953 in un suo editoriale il giornale di Monaco Suddeutsche Zeitung- per la straordinaria precisione con cui furono distrutte le zone residenziali della città, ma non le installazioni importanti (dal punto di vista militare e industriale, n.). La stazione centrale di Dresda (dove s’erano affollati i profughi e che non rappresentava lo snodo principale -collocato in periferia- per il trasporto merci e truppe, n.) era piena di pile di cadaveri, ma le linee ferroviarie erano solo lievemente danneggiate e dopo un breve periodo furono di nuovo in funzione."

    Le bombe furono lanciate di proposito da ben altra parte, nel corso di tre incursioni scientificamente temporizzate. La prima, durata dalle 22.13 alle 22.30 del 13, servì per innescare nei quartieri proletari e nel centro della città una tempesta di fuoco. Il terribile fenomeno era già stato scatenato dalla Raf nell’estate del 1943 ad Amburgo e in seguito in altri centri minori della Germania. Si era sempre trattato, però, di un’imprevista conseguenza del bombardamento. Nell’incursione su Dresda, invece, essa fu pianificata a tavolino. Furono lanciati a tal fine due tipi di bombe: da un lato le block buster che, con i loro spostamenti d’aria, servirono a tirar giù i muri e i tetti dei fabbricati; dall’altro lato gli spezzoni incendiari, che appiccarono il fuoco ai mobili, alle stoffe e alle travi in legno degli interni. Il diluvio fu concentrato ossessivamente negli stessi punti, in un’area molto ristretta, in modo da surriscaldare l’atmosfera, produrre violente correnti ascensionali e risucchiare l’aria dalle zone vicine con un vento infernale a bassa quota.

    L’effetto voluto si realizzò.

    Già alle 22.30 un vento caldo cominciò ad alitare verso il centro di Dresda a 60-70 chilometri all’ora. Le vittime -fino a quel momento- erano "solo" poche migliaia. Sotto terra, nei rifugi, quasi tutti i cittadini e gli sfollati erano vivi. Attendevano lì il cessato allarme. E fu la loro rovina. Alle 23.00 il vento di fuoco aveva superato i 130 chilometri orari, a mezzanotte i 200. I piccoli incendi si fusero in un solo rogo, alimentato da un colossale mantice atmosferico. L’uragano di fuoco portò la temperatura a valori così alti che gli organismi umani nascosti nei rifugi si dissolsero o furono arrostiti. Nei ricoveri più profondi, l’ondata termica non superò i livelli di guardia, ma l’aria, satura di monossido di carbonio, divenne presto irrespirabile, e centomila e più larve di esseri umani agonizzarono in preda al soffocamento progressivo, fino alla morte per disidratazione e per avvelenamento. La seconda incursione su Dresda non era ancora incominciata.

    Ebbe il via all’1.23 del 14 coll’obiettivo di alimentare la tempesta di fuoco e di lasciare sul terreno i soccorsi nel frattempo giunti dalle città vicine. (È la tecnica del doppio colpo che le democrazie occidentali avevano da poco inventato e che hanno riutilizzato -sempre per il bene dell’umanità, naturalmente!- nella primavera scorsa contro i popoli jugoslavi.) A mezzogiorno del 14 febbraio, la terza incursione: come avvoltoi, i caccia "Mustang" statunitensi si fiondarono sulla città in fiamme e, a volo radente, mitragliarono le colonne di profughi che cercavano di fuggire dall’inferno di Dresda: "Ogni volta che colonne di gente entravano o uscivano dalla città, arrivavano loro addosso i caccia, a crivellare strade, uomini e mezzi a colpi di mitragliatrici e di cannoncini." (Irving D., Apocalisse a Dresda. I bombardamenti del febbraio 1945, Verona, Mondadori, 1965, p. 257).

    Morirono 135.000 persone (documenti tedeschi arrivano a conteggiarne 300.000).

    I vertici anglo-americani dissero che effettuarono il bombardamento su Dresda per venire incontro a una richiesta dei vertici sovietici. Falso. Semmai, esso fu messo in cantiere -alla vigilia della conferenza di Yalta- per spaventare l’Urss: oggi toccava a Dresda, domani poteva toccare a Mosca, se l’Urss non avesse accettato di venire incontro ai piani di dominazione globale degli Usa e della Gran Bretagna in Europa centrale, nei Balcani e in quell’Asia in cui avanzava poderosa la rivoluzione cinese e quella delle masse lavoratrici dell’Estremo Oriente. Tuttavia il bersaglio centrale del bombardamento di Dresda fu un altro: colpire -per usare le parole della direttiva al "comando bombardieri" del 14.2.42- "il morale della popolazione civile tedesca e, in particolare, degli operai dell’industria".1

    Churchill e Roosevelt cominciavano a guardare al dopoguerra. Erano preoccupati che i lavoratori dell’Europa scendessero in lotta per regolare i conti col nazi-fascismo in profondità e ne attaccassero le radici, che stanno non nella follia di due persone ma in quella civiltà capitalistica a cui i "liberatori" anglo-americani non erano meno legati di Hitler e Mussolini. Erano preoccupati di non raggiungere il vero obiettivo per cui erano entrati in guerra contro la Germania: eliminare il brigante-Hitler (da essi aiutato a farsi strada) che voleva sostituirsi al loro dominio sul mondo, sostituirsi a lui e ai suoi alleati nello sfruttamento del proletariato europeo e nel tentativo di ridurre a colonia la Russia e l’Oriente. Erano preoccupati dai moti insurrezionali che percorrevano la Jugoslavia e l’Estremo Oriente. Il comportamento del proletariato tedesco sarebbe stato decisivo. Esso poteva dissotterrare le tradizioni rivoluzionarie di cui aveva gloriosamente dato prova all’indomani della prima guerra mondiale e fungere da coagulo per la rabbia sedimentata nei lavoratori europei dalle sciagure della nuova carneficina imperialista.

    In vista di questa possibilità per essi pericolosa, gli alleati non si limitarono ad occupare il cuore dell’Europa con tre milioni di soldati, ed essere così pronti ad ogni evenienza. Vollero mandare un chiaro avvertimento preventivo alla massa dei lavoratori "teutonici": l’azione su Dresda servì a questo. Come d’altronde gli altri bombardamenti che martellarono durante tutto il conflitto le città tedesche (e della penisola italiana): essi miravano non solo a indebolire lo schieramento militare capeggiato dalla Germania, ma anche (bis in idem) a far vedere alla massa dei lavoratori l’alternativa davanti alla quale essi stavano andando incontro: "O accettate di sottomettervi a noi, i nuovi padroni dell’Europa, o accettate di legarvi a noi e alla nostra conquista dell’Oriente e usufruire in cambio delle ‘delizie’ che vi riserverà la nostra civiltà, oppure vi stermineremo con la potenza di fuoco di cui vi stiamo dando un assaggio." Nell’azione su Dresda lo scopo terroristico era solo più scoperto che altrove.

    Che essa non avesse niente a che fare con il bene dell’umanità se ne rese conto anche una parte degli stessi piloti inglesi. Quando questi ultimi ricevettero gli ordini, non pochi fra loro non credettero alle proprie orecchie. Per motivarli, i vertici militari inventarono vere e proprie menzogne ("attaccherete il quartier generale dell’esercito tedesco a Dresda", "uno stabilimento di gas venefici", "un quartier generale della Gestapo" e via falsificando). Molti puntatori, nel corso del secondo attacco, nauseati, dirottarono i piloti in aperta campagna e fecero sganciare le bombe dove supponevano sarebbero state inoffensive. "L’incredibile bagliore [della tempesta di fuoco, n.], visibile a 320 km di distanza -scrisse un pilota ebreo del 3° Gruppo -, divenne sempre più intenso via via che ci avvicinavamo al bersaglio. Da più di 6.000 metri riuscivamo a scorgere nell’immane rogo dei particolari che non erano mai stati visibili fino ad allora. Per la prima volta in tante operazioni provai pietà per la popolazione là sotto" (Irving D., op. cit., p. 201). Un altro pilota dello stesso gruppo ricorda: "Eravamo così sconcertati davanti al terrificante incendio, che per parecchi minuti continuammo a volteggiare in posizione di attesa, prima di dirigerci verso casa, totalmente soggiogati al pensiero dell’orrore che ci doveva essere là sotto." (ib., p. 206).

    Lanciato l’avvertimento su Dresda e preoccupato che esso potesse trasformarsi in un boomerang per l’orrore suscitato nelle popolazioni europee, Churchill inviò ai capi di stato maggiore un nuovo promemoria che ne inchioda le responsabilità: "Mi sembra che sia arrivato il momento in cui la politica di bombardare le città tedesche soltanto per aumentarvi il terrore, anche se sotto altri pretesti, dovrebbe essere riesaminata. (...) Il ministro degli esteri mi ha parlato a questo riguardo, e io sento il bisogno di una più esclusiva concentrazione sugli obiettivi militari, come il petrolio e le comunicazioni, a preferenza di atti di terrorismo e di voluta distruzione, per quanto impressionanti." (ib., p. 324, s.n.).

    Cosa vogliamo dire con questo? Che se i bombardamenti anglo-americani fossero stati limitati agli obiettivi militari sarebbero stati legittimi? Che la crociata democratica contro il nazi-fascismo sarebbe stata accettabile se fosse stata condotta secondo le regole della cavalleria militare? Nient’affatto. Torniamo a denunciare il bombardamento di Dresda perché esso mostra -agli occhi che vogliono vedere!- il vero movente -criminale- che dettò la partecipazione alla seconda guerra mondiale da parte dell’Inghilterra e degli Stati Uniti. Mostra quanto sia stato suicida per i lavoratori contare su tali "generosi" paesi per portare avanti la lotta contro il nazi-fascismo. Mostra quanto fu delittuosa l’azione dello stalinismo che inchiodò il proletariato internazionale anti-fascista all’alleanza con le criminali democrazie occidentali e lo contrappose innaturalmente ai lavoratori che si ritrovarono dall’altra parte, dietro la bandiera del nazional-socialismo. Getta un fascio di luce sulle vere ragioni che oggi conducono la "Santa Alleanza" democratica a sbraitare contro Haider... Ed è per lanciare questo avvertimento che, su Churchill, noi confermiamo: fu un criminale.

    Nei mesi successivi al bombardamento su Dresda si tentò di ripulirne la fedina e di scaricare la responsabilità dell’azione terroristica sul comandante del "comando bombardieri", l’ufficiale -soprannominato "il macellaio"- A.T. Harris. Gli stessi documenti ufficiali attestano però che l’ordine partì direttamente dal governo, da Churchill in persona: nella serata del 25 gennaio 1945 -con una telefonata al segretario di stato per l’aviazione, Archibald Sinclair- il primo ministro inglese sollecitò lo sviluppo in grande stile dell’offensiva aerea terroristica sulle città della Germania orientale. Certo non fu questo l’ultimo servizio che Churchill rese al criminale per cui agiva, il capitalismo internazionale. Prima che la seconda guerra mondiale finisse, nell’agosto del 1945, contribuì a metterne in atto un altro: lo sganciamento di due bombe nucleari sulla popolazione di Hiroshima e Nagasaki.

    Si disse (e si dice ancora nei berlingueriani libri di testo adottati nelle scuole italiane) che la decisione fu presa per salvare le vite dei soldati americani e per abbreviare la fine della carneficina. Il governo giapponese aveva in realtà già offerto la resa nelle settimane precedenti con l’unica condizione -poi accettata dai governi anglo-americani- di conservare la figura dell’imperatore. Il vero scopo dei due nuovi massacri era quello di fermare l’avanzata dell’Armata Rossa verso la Mongolia e la Cina, e soprattutto far vedere agli sfruttati del mondo intero il tremendo potere distruttivo di cui disponevano gli imperatori democratici del mondo. Al solo pensiero della possibilità di "impressionare il mondo" con la nuova bomba, Churchill "aveva provato eccitazione", come confessò durante la conferenza di Potsdam al ministro della guerra statunitense H. L. Stimson. Niente male per una carriera che, d’altronde, aveva brillato sin dalla gioventù. Con la direzione, nel primo dopoguerra, dei massacri colonialisti compiuti in Iraq in difesa della monarchia installatavi da Londra. Con la partecipazione all’organizzazione delle armate bianche che tentarono di sgozzare la rivoluzione socialista in Russia. Con il sostegno dell’avvento del fascismo in Italia... Insomma, una grande figura nella galleria dei criminali capitalistici. È vero che tale galleria è tutt’altro che sguarnita, e che la posizione di primo piano dell’ex-primo ministro inglese è oggi insidiata da chi, Clinton e D’Alema in testa, praticarono il bombardamento terroristico per "impressionare il mondo" contro gli jugoslavi e gli iracheni. A Churchill, però, il ruolo che gli spetta.
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    Churchill: se fossi stato italiano, sarei stato fascista

    "Nazioni diverse hanno modi diversi di fare la stessa cosa. (...). Nessuna questione politica può essere giudicata indipendentemente dalla propria atmosfera e dal proprio ambiente. Se fossi stato italiano, sono sicuro che sarei stato con voi dal principio alla fine contro i bestiali appetiti e le passioni del leninismo. Ma in Inghilterra non abbiamo avuto ancora da affrontare questo pericolo sotto la stessa forma micidiale. Noi abbiamo il nostro modo particolare di fare le cose. Ma su una cosa non ho il minimo dubbio, e cioè che noi [fascisti e democratici uniti -n.] riusciremo, nella lotta contro il comunismo, a strozzarlo.

    "Dirò (...) qualche parola su un aspetto internazionale del fascismo. Esternamente, il vostro movimento ha reso un servizio al mondo intero. Il gran timore che ha sempre tormentato ogni capo democratico o socialista è quello di essere silurato o superato da qualche altro capo più estremista di lui. Si disse che una continua corsa verso la sinistra, una specie di fatale franamento verso l'abisso, fosse la caratteristica di tutte le rivoluzioni: l'Italia ha dimostrato che v'è un modo di combattere le forze sovversive, modo che può richiamare la massa del popolo ad una reale cooperazione con l'onore e gli interessi dello Stato."

    (W. Churchill, discorso all’Ambasciata inglese a Roma il 20.1.'27)
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