Pagina 1 di 6 12 ... UltimaUltima
Risultati da 1 a 10 di 52
  1. #1
    Forumista assiduo
    Data Registrazione
    24 Aug 2009
    Messaggi
    5,378
     Likes dati
    0
     Like avuti
    1
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito 7 febbraio, memoria del Beato Pio IX



    PIO . IX . P . M .
    IN . BEATORVM . INDICE
    NVNC . DEMVM . FELICITER. ADSCRIPTO
    QVOD . PERSPECTAM . VITAE . EXERCVERIT
    NEC . NON . EVANGELICAM . FORMAM . VIRTVTVM
    QVODQVE. DEIPARAM. VIRGINEM. MARIAM
    INMACVLATAM . EX . CATHEDRA . DEFINIERIT
    IVRA. DEI. ET. ECCLESIAE LIBERTATEM
    SVMMO . SIT . STVDIO . TVTATVS
    MAIOREMQVE. IN . EGENOS . LARGITATEM
    QVAM. QVIS. AESTIMARE. POSSIT. EFFVDERIT
    SENOGALLENSIS. POPVLVS
    VNA . CVM . ORBE . VNIVERSO
    PLAVSVS . IMPERTIT . MAXIMOS

  2. #2
    Forumista assiduo
    Data Registrazione
    24 Aug 2009
    Messaggi
    5,378
     Likes dati
    0
     Like avuti
    1
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito



    È stato molto amato, ma anche odiato e calunniato. In mezzo agli eventi turbinosi del suo tempo è brillata più vivida la luce delle sue virtù

    Ricordiamo il Beato Pio IX con parte dell'omelia che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha pronunziato in occasione della cerimonia di beatificazione.

    "Ascoltando le parole dell'acclamazione al Vangelo: "Signore, guidaci sul retto cammino", il pensiero è andato spontaneamente alla vicenda umana e religiosa del Papa Pio IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti. In mezzo agli eventi turbinosi del suo tempo, egli fu esempio di incondizionata adesione al deposito immutabile delle verità rivelate. Fedele in ogni circostanza agli impegni del suo ministero, seppe sempre dare il primato assoluto a Dio ed ai valori spirituali. Il suo lunghissimo pontificato non fu davvero facile ed egli dovette soffrire non poco nell'adempimento della sua missione al servizio del Vangelo. Fu molto amato, ma anche odiato e calunniato.

    Ma fu proprio in mezzo a questi contrasti che brillò più vivida la luce delle sue virtù: le prolungate tribolazioni temprarono la sua fiducia nella divina Provvidenza, del cui sovrano dominio sulle vicende umane egli mai dubitò. Da qui nasceva la profonda serenità di Pio IX, pur in mezzo alle incomprensioni ed agli attacchi di tante persone ostili. A chi gli era accanto amava dire: "Nelle cose umane bisogna contentarsi di fare il meglio che si può e nel resto abbandonarsi alla Provvidenza, la quale sanerà i difetti e le insufficienze dell'uomo".

    Sostenuto da questa interiore convinzione, egli indisse il Concilio Ecumenico Vaticano I, che chiarì con magisteriale autorità alcune questioni allora dibattute, confermando l'armonia tra fede e ragione. Nei momenti della prova, Pio IX trovò sostegno in Maria, di cui era molto devoto. Proclamando il dogma dell'Immacolata Concezione, ricordò a tutti che nelle tempeste dell'esistenza umana brilla nella Vergine la luce di Cristo, più forte del peccato e della morte.

  3. #3
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito 7 febbraio - Beato Pio IX Papa

    In onore di questo grande Pontefice, che si trovò a fronteggiare le spinte della Massoneria; che favorì lo spirito missionario, specialmente in Asia; che ricostituì la gerarchia cattolica in Inghilterra dai tempi dello scisma con il card. Wiseman; che proclamò il dogma dell'infallibilità pontificia in materia di fede e di costumu, nonchè il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, apro questo thread.
    Pur non costituendo tale memoria una festa mariana, nondimeno il fatto che a questo Sovrano Pontefice si debba uno dei più importanti dogmi legati a Maria (vale a dire l'Immacolato Concepimento della Vergine) giustifica l'inserimento del ricordo di questo Papa nella sezione mariana.

    Augustinus

    *****
    dal sito Pio IX:

    PIO IX

    L’Uomo - il Maestro - il Santo


    di Mons. Gherardini Brunero, Postulatore della causa di canonizzazione del Beato PAPA PIO IX



    PIO . IX . P . M .
    IN . BEATORVM . INDICE
    NVNC . DEMVM . FELICITER. ADSCRIPTO
    QVOD . PERSPECTAM . VITAE . EXERCVERIT
    NEC . NON . EVANGELICAM . FORMAM . VIRTVTVM
    QVODQVE. DEIPARAM. VIRGINEM. MARIAM
    INMACVLATAM . EX . CATHEDRA . DEFINIERIT
    IVRA. DEI. ET. ECCLESIAE LIBERTATEM
    SVMMO . SIT . STVDIO . TVTATVS
    MAIOREMQVE. IN . EGENOS . LARGITATEM
    QVAM. QVIS. AESTIMARE. POSSIT. EFFVDERIT
    SENOGALLENSIS. POPVLVS
    VNA . CVM . ORBE . VNIVERSO
    PLAVSVS . IMPERTIT . MAXIMOS

    *****

    Cap. 1: Profilo biografico

    Nella storia, ogni tanto, fan la loro comparsa straordinarie persone: straordinarie perché dotate di qualità non comuni e perché evidentemente chiamate a compiti altrettanto non comuni. Persone carismatiche, con doni proporzionati alla missione loro assegnata. Persone, quindi, della divina Provvidenza.

    Chi potrebbe mai dubitare che il Pontefice felicemente regnante, Karol Vojtyla, sia una di tali persone? La sua statura morale, la ricchezza carismatica che lo distingue e la coerenza con la quale ad essa corrisponde non lasciano dubbi sul compito divinamente affidatogli, non solo di "pascere la Chiesa di Dio" (At 20,28), ma di traghettarne la barca tra i marosi del tempo, il più felicemente possibile, dall’uno all’altro millennio.

    Si è stati testimoni di questo passaggio: la figura del vecchio e malandato Pilota ha giganteggiato dinanzi al mondo intero e si è consegnata alla storia come protagonista assoluto del passaggio stesso.

    E’ una figura che, per analogie storiche ma non personali, ne evoca un’altra, anch’essa protagonista al di sopra di altri: quella di Pio IX. Vistosamente diverso da Giovanni Paolo II per temperamento e per altre qualità naturali, non meno di lui ricco di grazia e di destino, proprio da lui, dal vecchio e malandato papa polacco, ha ricevuto l’aureola della santità ufficiale

    Anche Pio IX ebbe dalla divina Provvidenza un compito immane da svolgere e doni proporzionati a quel compito: in tempi anche più procellosi dei nostri, resistendo alla furia delle onde in rivolta e vincendola, traghettò egli pure il naviglio di Pietro da un’epoca ad un’altra. Il confronto tra i due Pontefici mette in evidenza difficoltà di pilotaggio incomparabilmente maggiori nel caso di Pio IX rispetto a quello di Giovanni Paolo II: questi è passato da un millennio all’altro, certo non senza avvertire l’urto di forze avverse (comunismo, secolarismo e la strisciante "inimica vis" che mai demorde); l’altro, sotto i colpi del liberalismo massonico ed anticlericale, portò la Chiesa da un mondo ad un altro salvando tutto il patrimonio della tradizione cattolica, rifiutando nettamente ogni attentato ad essa, ma con essa componendo, nei limiti del possibile, i valori del moderno e del nuovo. Non è né un caso, né un’esagerazione il fatto che l’ultima biografia del grande Pontefice porti come titolo: Pio IX; papa moderno.

    Fu, il suo, un pontificato epocale. Una mentalità, una cultura, una Weltanschauung stava consumando i suoi guizzi residui; egli non le permise di travolgere il patrimonio affidato alla sua tutela. Nasceva e s’imponeva una diversa visione delle cose e dinanzi ad essa tremò, ma senza mai capitolare. Alla visione incentrata in Dio e nella sua rivelazione tentava di sostituirsi quella incentrata nell’uomo, nella sua ragione, nella sua libertà e nei suoi diritti. Martire della prima, fu il primo papa che seppe saggiamente aprirsi alla seconda. Gli altri han continuato la sua strada.



    Le condizioni socio-politiche d’allora misero spesso le due mentalità in irriducibile contrasto, quasi che l’una volesse sostituirsi all’altra non solo come diversa nella sua genesi e nel suo orientamento, ma come alternativa, ed alternativa diametralmente opposta. Per divina disposizione, a Pio IX toccò in sorte di fronteggiare codesta enorme contrapposizione, ma anche d'assumerne alcuni elementi di sicuro valore (p. es. sul piano delle istituzioni sociali) e d’impedire che la scomposta affermazione di altri elementi ridondasse a danno di quel patrimonio, per la cui salvaguardia era al timone della Chiesa.

    Di questo Pontefice, che chiamar grande è poco, non ripercorrerò la lunga vicenda né mi soffermerò su di essa con intenti biografici. L’interesse biografico è già stato ampiamente soddisfatto ed "ogni lingua" (Rm 14,11; Ef 2,11) ha tessuto le lodi di papa Mastai Ferretti. Intere biblioteche, infatti, o parti di esse, son intitolate al suo nome.

    Qui l’interesse è volto, in perfetta continuità con l’evento della sua beatificazione, al perché di esso, cioè alla santità di cui l’evento stesso testimonia non senza provocarne l’approfondimento e l`analisi. S’intende, in altri termini, rispondere, sia pur brevemente, alla domanda che ognuno potrebbe porsi in questi giorni: perché beato? che senso ha per la Chiesa e per il mondo questa beatificazione?

    Ovviamente si dovrà procedere con ordine in mezzo alle non poche difficoltà di lettura del passato e interpretazione di esso.

    I - Dalla nascita al sacerdozio

    Benché il presente scritto prescinda dal genere biografico, la vita di papa Mastai ed i fatti salienti che lo videro in prima fila non possono esser ignorati del tutto.

    Egli dunque nacque a Senigallia il 13 maggio 1792, nono figlio di Girolamo Benedetto Gaspare dei conti Mastai Ferretti e di Antonia Caterina Maddalena Solazzi, del patriarcato locale. Dei figli maschi era il quarto, dopo Gabriele, Gaetano e Giuseppe. Fu battezzato il giorno stesso della nascita col nome di Giovanni Maria Battista Pellegrino Isidoro da uno zio, il canonico Angelo Mastai, poi vescovo di Pesaro.

    Era di delicata costituzione fisica, ma d’intelligenza sveglia e d’indole ottima. Appena poté, andò a messa ogni giorno con la pia mamma. Rivelò presto la sua devozione eucaristica e mariana. Fu dedito alla pratica dei "fioretti". Era stato cresimato il 6 giugno 1799 dall’Em.mo B. Honorati, vescovo di Senigallia, ed ammesso alla prima comunione nella cappella della Madonna della Speranza in cattedrale il 2 febbraio 1803.

    Ritratto giovanile di Giovanni Maria Mastai Ferretti nel periodo in cui era studente a Volterra. (Donazione Augusti Arsilli, 1976, di autore ignoto della scuola del purista anconetano Vincenzo Podesti)

    Il 20 ottobre di quel medesimo anno entrò nel Collegio dei Nobili, tenuto in Volterra dai Padri delle Scuole Pie. V rimase fino al 26 settembre 1809, dando prova d’ingegno vivace e d’esemplare comportamento.

    Lo zio Paolino Mastai, canonico vaticano, l’accolse presso di sé, quando, nel 1809, Giovanni Maria lasciò Volterra e venne a Roma per gli studi superiori presso il Collegio Romano. Il giovane conte, a quell’epoca, non aveva dato ancora la sterzata decisiva alla sua vita in direzione del sacerdozio. Era ancora "in stato secolare", come egli stesso s’esprime, quel 10 aprile 1810, quando, a conclusione d’un ritiro spirituale, gettò le basi di tutta la sua futura esistenza: lotta al peccato, fuga da ogni occasione moralmente pericolosa, studio "non per l’ambizione del sapere" ma per il bene altrui, abbandono di sé nelle mani di Dio. E non mancò di rivolgere a sé stesso un’esortazione finale, per impegnarsi con tutte le sue forze all’osservanza dei suoi buoni propositi: "Eseguisci il sistema divino che hai disegnato".

    Quel programma (o "sistema divino") era sintomatico della limpidezza interiore del giovane studente, già soprannaturalmente orientato, purtroppo non eran floride le sue condizioni di salute. Soffriva d’improvvisi attacchi che qualcuno considerò epilettici, anche se non si han prove sicure al riguardo. La cosa certa è che fu per questo costretto ad interrompere gli studi. Nel 1812, la malattia gli ottenne 1’esonero dalla chiamata di leva nelle Guardie d’onore del Regno. Chiese, invece, ed ottenne nel 1815 di far parte della Guardia Nobile Pontificia; ma a causa del suo male, ne fu presto dimesso. Paradossalmente, proprio in quello scorcio di tempo, San Vincenzo Pallotti gli vaticinò il supremo pontificato e la Vergine di Loreto lo liberò, sia pure in modo graduale, dal male che l’affliggeva.

    Sempre nel 1815 fu tra i volontari che prestavano la loro opera educativo-didattica ai ragazzi del Tata Giovanni, un istituto dove prenderà poi dimora e che gli resterà caro per tutta la vita. Nel 1816 ebbe una parentesi senigalliese come catechista in una memorabile missione popolare. Poco dopo, nella Chiesa dell’Orazione e Morte, dove aveva appena finito di servire una messa, si decise per il sacerdozio, ponendo fine ad un quinquennio d’ondeggiamenti. Vesti l’abito talare, riprese gli studi, ebbe gli ordini minori il 5 gennaio 1817, il suddiaconato il 20 dicembre 1818 ed il diaconato il 6 marzo 1819. Un mese dopo, il 10 aprile, per grazia personale di Pio VII, venne ordinato prete. Ed egli, con chiara consapevolezza del suo nuovo stato, s’impegnò formalmente con se stesso ad evitare la carriera prelatizia per rimanere sempre e soltanto al servizio della Santa Chiesa. Vi rimase di fatto, anche nella carriera e nonostante gli inarrestabilì scatti di essa.

    2 - Prete e vescovo

    Celebrò la sua prima messa ai suoi cari ragazzi del Tata Giovanni, nella Chiesa di Sant’Anna. Nominato rettore di quell’istituto, vi si fermò fin al 1823.

    Fu subito evidente con quale spirito fosse andato incontro al sacerdozio. Assiduo alla preghiera, al ministero della parola, alle sacre funzioni, al confessionale, il prete Mastai era ormai l’uomo per gli altri, specie per i più umili e bisognosi. Univa il raccoglimento alla disponibilità più generosa, I’unione con Dio all’attività del ministero vissuto sulla breccia, la vita contemplativa alla predicazione ed a qualunque altro servizio gli richiedessero le attese e le necessità delle anime. Foglietti provvidenzialmente sfuggiti alla distruzione costituiscono la più probante testimonianza della sua vita interiore di giovane prete, dei suoi spietati esami di coscienza, del suo rifugiarsi nel Cuore sacratissimo di Gesù ed in Maria.

    Nel 1823 parve prender concretezza il suo sogno segreto: farsi missionario. I1 3 luglio lasciò Tata Giovanni per accompagnare in Cile il Nunzio Apostolico S. E. Mons. Giovanni Muzi e vi restò fin al 1825. Per tale missione, il Segretario di "Propaganda Fide" l’aveva così presentato: "E’ difficile ritrovare persone che riuniscano tutti i requisiti che s’incontrano in questo rispettabilissimo sacerdote. Pietà singolare e soda, dolcezza di carattere, prudenza ed avvedutezza non ordinarie, zelo grandissimo accompagnato dalla scienza che in lui bene si trova in abbondanza,...desiderio di servire Dio e di essere utile al prossimo per le missioni presso gli infedeli".

    La madre ne fu profondamente addolorata, soprattutto per l’incognita della salute. Ma né la costernazione materna, né altre contrarietà fermarono l’ardente "missionario’`.

    La missione si rivelò più difficile del previsto e richiese soprattutto saggezza, prudenza e spirito di Fede. Eran le doti precipue del giovane Mastai, le uniche armi ch’egli impugnò per il bene della società cilena e l’onore di Dio. Non era un diplomatico; non lo sarà mai in tutta la vita. Era un prete. E come tale si comportò anche in un contesto diplomatico come quello della missione cilena.

    Sarebbe rimasto molto volentieri in quella terra ormai da lui amata. Ma Roma lo reclamò per altri e non meno delicati servizi. Obbedì serenamente.

    Nel 1825 fu eletto preside dell’Ospizio Apostolico di San Michele: un’opera complessa e grandiosa, ma per non pochi motivi non più all’altezza dei suoi compiti e bisognosa perciò di seria riforma. E’ quel che fece il Mastai con oculatezza pari all’intraprendenza. Gli esiti furon lusinghieri.

    Ma il campo nel quale egli prodigava i tesori di natura e di grazia di cui era straordinariamente dotato, restò sempre quello pastorale. Fu un vero apostolo.

    Aveva appena 35 anni, quando Leone XII, il 3 giugno 1827, lo destinò all’arcidiocesi spoletina. Il novello Pastore vi fece solenne ingresso il 7 luglio. L’obbedienza al successore di Pietro ne vinse la non formale resistenza, non si sentiva meritevole di tanto e soprattutto era convinto d’essere impari a quanto la responsabilità episcopale gli avrebbe richiesto. Ma il Papa fu fermo nel suo disegno e fece di lui, in quell’occasione, il seguente elogio: "Uomo commendevole per gravità, prudenza, dottrina, rettitudine di costumi, esperienza delle cose".

    L’elogio rivelava la grande fiducia del Pontefice nel suo collaboratore, il quale lo ripagò da par suo: a Spoleto fu un prodigio di zelo pastorale, che vinse diffidenze ed ostilità di prevenuti, questi a sé conciliando ed assimilando a quanti lo stimavano amavano e seguivano.

    Il suo zelo, peraltro, fu fecondato anche da non poche sofferenze. La rivoluzione nel febbraio del 1831, imperversò in tutta 1’Umbria, dopo aver preso le mosse dai ducati di Parma e di Modena, lasciando il segno del suo passaggio a Bologna e perfino a Roma. A Spoleto trovò la strada spianata da frodi e tradimenti, che resero ancor più pesante la difficile situazione sul cuore dell’Arcivescovo. Questi segui la vicenda, rivivendone intimamente il dramma. Con dolore acconsentì alla difesa, ma non allo spargimento di sangue fraterno. E quando la calma fu ristabilita, elargì a tutti, anche a chi non lo meritava, il suo paterno perdono.

    Dopo Spoleto l’attendeva un’altra non facile diocesi. Il vecchio card. Giacomo Giustiniani non aveva potuto far altro che dimettersi dalla guida della diocesi di Imola. E Gregorio XVI nulla di meglio intravide che trasferire ad essa lo zelante ed affermato vescovo di Spoleto: era il 22 dicembre 1832.

    Il compito, difficile oltre ogni ragionevole sospetto, non sgomentò il Mastai, il quale, della sua nuova diocesi, fece il teatro della sua fede invitta, della sua carità senza limiti, del suo instancabile zelo. Ad Imola, infatti, si confermò uomo di profonda preghiera, predicatore facondo e suasivo, col cuore aperto a tutti, di ogni ordine e ceto; ricercatore indefesso del bene soprannaturale, ma anche materiale, dei suoi diocesani; difensore strenuo della giustizia contro ogni intemperanza e sopruso; promotore d’opportune forme d’educazione giovanile; spiritualmente e materialmente vicino ai monasteri di vita contemplativa, alla cui importanza ed alle cui esigenze sarà anche in seguito sensibilissimo; infiammato per la devozione al Sacro Cuore di Gesù e alla Madonna; tutto premure, se pur fermo sui principi, per i suoi preti ed il suo seminario.

    Ritratto del Cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti (Pietro Gobbetti, sec. XIX)

    Aveva appena 48 anni, quando, il 10 dicembre 1840, gli fu conferito l’onore della sacra porpora.

  4. #4
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Continuazione ...

    3 - Papa

    Pur rifuggendo dagli onori per indole e per decisione, si trovò presto sotto il loro peso, tanto più grave quanto più alto fosse l’onore stesso.

    Il 1 giugno 1846 morì Gregorio XVI; due settimane dopo, il 14, cinquantadue cardinali si riunirono in conclave per eleggerne il successore. Sulla sera del 16, il card. Giovanni Maria Mastai Ferretti era già papa con il nome di Pio IX. Rimarrà sul soglio di Pietro per 32 anni, dando vita al più lungo pontificato della storia.

    Ritratto di PIO IX (Alessandro Capalti 1817-1868)

    Non è stato, e non è facile, per l’incrocio di circostanze varie e segnatamente per la presenza di passioni politiche, darne un giudizio univoco. Qualcuno definì Pio IX una "figura complessa", c’è perfino chi lo giudica mediocre e non adatto all’altissimo compito, gli uni e gli altri dando prova di non poca superficialità e di scarsa informazione. Come ieri, così anche oggi la passione e l’emotività sono spesso una griglia deformante nei riguardi della sua figura e del suo operato. Il pontificato di Pio IX fu indubbiamente difficile, tra i più difficili in tutto l’arco della storia ecclesiastica; il santo Pontefice lo visse tutto raccolto nella sua autocoscienza di Vicario di Cristo, che non gli consenti mai né transazioni né compromessi, pagando di persona la sua coerenza.

    Sta qui, in gran parte, la spiegazione delle difficoltà da lui incontrate e delle obiezioni che gli vennero mosse. Al di sopra delle une e delle altre, giganteggia il suo animo di prete, di pastore e di padre.

    Il 16 luglio 1846, dimostrando per 1’ennesima volta il sentire cristiano che l’animava, promulgò l’amnistia per tutt’i detenuti politici. Di qualche mese dopo è la sua prima enciclica: la Qui pluribus, del 9 novembre, un documento impressionante per la sua chiarezza, il suo realismo, la sua ampia visione degli incombenti pericoli e dei necessari rimedi. "In nuce" c’era già tutto Pio IX, almeno sul piano magisteriale. I punti essenziali del Vaticano I vi erano anticipati; gli errori di fondo eran nettamente percepiti e condannati; la delimitazione tra verità ed errore in materia di fede e della sua traduzione morale era decisamente segnata ed altrettanto quella tra Chiesa e società segrete.

    Che non si trattasse di miopia culturale e di spirito reazionario è comprovato dal fatto che, poco dopo, il 13 marzo 1847, concesse per decreto ampia e sorprendente liberta di stampa.

    Il 5 ottobre fu la volta della Guardia civica, nel quadro di altre aperture liberali Pio IX si rivelava in tal modo un sovrano saggio ed aperto, capace d’indiscussa fedeltà alla tradizione, ma non per questo meschinamente ottuso dinanzi alla cultura emergente. Il suo acuto discernimento, pur intuendone i pericoli, ne colse anche i pregi. Ed a tale discernimento restano legati i suoi primi atti di governo, i più difficili proprio perché i primi: I’istituzione del Municipio, del Consiglio comunale e della Consulta di Stato, rappresentativa di tutte le province, ed infine dello Statuto. Ben nota e fin da allora non ben capita fu l’allocuzione del 10 febbraio 1848, che conteneva l’implorazione: "Benedite, Gran Dio, I’Italia e conservatele sempre questo dono di tutti preziosissimo, la Fede".

    Un’altra allocuzione, di portata storica, fu quella del 29 aprile. Confermando in essa il suo "paterno amore" per tutt’i popoli e non per quello italiano soltanto, Pio IX si alienò l’animo dei più accaniti liberali. A poco valse la sua convinta difesa dell’indipendenza italiana in un dispaccio all’imperatore d’Austria; per non pochi, più facinorosi e prevenuti che patrioti, egli fu semplicemente un traditore. Ed anche in seguito perfino nei libri di scuola, non gli han perdonato un tradimento che non c’era mai stato.

    Il 15 novembre fu ucciso il capo del governo, Pellegrino Rossi, nove giorni dopo lo stesso Pio IX si vide costretto a lasciare la sua Roma, rifugiandosi a Gaeta.

    Le cose in effetti si facevano ogni giorno più difficili. Il 9 febbraio 1949 venne proclamata la Repubblica Romana. L’augusto Esule prima si trasferì a Portici (4 settembre), quindi rientrò nell’Urbe e si stabili in Vaticano (12 aprile 1850), dando da allora in poi un’ancor più definita impronta pastorale al suo pontificato. Tutte le genti e tutti i non prevenuti sentivano d’aver in Lui un vero padre, così come, per i suoi sudditi, fu un sovrano amabilissimo.

    Subito riordinò il Consiglio di Stato (12 settembre 1850), istituì la Consulta per le Finanze, elargì una nuova e più ampia amnistia. Il giorno 20 ristabilì la regolare gerarchia cattolica in Inghilterra; altrettanto fece, tre anni dopo, per l’Olanda.

    L’11 marzo 1853 condannò le dottrine gallicane ed il 28 giugno fondò il Seminario Pio. Anche le Catacombe, nel maggio del 1854, furon oggetto della sua generosa sollecitudine; nello stesso tempo istituì la Commissione d’Archeologia Cristiana e ne nominò il presidente nella persona del grande Giovanni Battista de’ Rossi. E’ poi doveroso aggiungere che il 1854 sarebbe rimasto scolpito a caratteri d’oro nella storia personale di Pio IX ed in quella della Chiesa cattolica per la solenne proclamazione dogmatica dell’Immacolato Concepimento di Maria (8 dicembre); in questo dogma, oltre che in quello sull’infallibilità papale (18 luglio 1870), il magistero di papa Mastai raggiunse il suo vertice. E non basta, il 1854 è degno di nota anche per la ricostruita Basilica di San Paolo, distrutta dall’incendio del 15 luglio 1823.

    Le iniziative magisteriali, contestualmente a quelle sociali e politiche, si succedevano con ritmo incalzante, confermando insieme la prudenza e l’apertura del grande Pio. I1 3 aprile 1856 egli approvò il piano della strada ferrata nello Stato pontificio la cui prima attuazione (tratta Roma-Civitavecchia) venne inaugurata il 24 aprile 1859. Il Papa visitò i suoi territori dal 4 maggio al 5 settembre 1857, ovunque accolto da popolazioni in tripudio. Tra il 1855 ed il 1866 inviò missionari tra gli Esquimesi ed i Lapponi del Polo nord, in India, in Birmania, in Cina ed in Giappone. Intensificò le relazioni diplomatiche in Europa e nel mondo. Continuò la sua carità, ora alla luce del sole, ora nascosta, quotidiana, minuta ma significativa. Giorno dopo giorno, era al suo posto, con il cuore e con le mani aperte per chiunque, persone ed opere, avesse avuto bisogno di Lui.

    L’orizzonte però s’ottenebrava. I moti risorgimentali, le annessioni piemontesi che smantellavano lo Stato pontificio, l’usurpazione delle Legazioni con discutibili plebisciti e vessazioni anche più sottili perché giuridicamente camuffate da alta e responsabile considerazione per la Chiesa e per la Sede Apostolica, obbligarono Pio IX a porsi sulla difensiva a tutela della libertà e dei diritti inalienabili dell’una e dell’altra. Mantenne sempre, peraltro, il suo sguardo attento al bene delle anime come "suprema legge" del suo e d’ogni altro ministero ecclesiastico. Nel 1862 eresse un dicastero speciale per gli affari con i cristiani di rito orientale e 1’8 dicembre 1864 emanò una delle sue più famose encicliche, la Quanta cura seguita dal non meno famoso Syllabus, per condannare l'insieme degli errori moderni.

    Le sempre crescenti difficoltà politiche avevan l’effetto d’impegnarlo ancora di più, se possibile, nella cura pastorale. I1 29 giugno 1867 celebrò con straordinaria solennità il XVIII centenario del martirio di Pietro e Paolo. I1 2 maggio 1868 approvò la "Società della Gioventù Cattolica Italiana", fondata il 29 giugno 1867 da M. Fani e G. Acquaderni. L'11 aprile 1869, ricorrendo il suo giubileo sacerdotale, ebbe dal mondo intero uno straordinario omaggio di gratitudine e d’attaccamento alla sua venerata persona.

    C’è, tra i suoi fasti, un avvenimento d’eccezione: il Concilio Ecumenico Vaticano I, ch’Egli apri il 7 dicembre 1869 e chiuse il 18 luglio 1870.

    Con la caduta di Roma (20 settembre 1870) e la perdita dello Stato, amareggiato ma non domo Pio IX si chiuse in volontaria prigionia in Vaticano. Resistette alla Legge per le Guarentigie, celebrò il giubileo del suo pontificato (23 agosto 1871), approvò l’"Opera dei Congressi" (1874), consacrò la Chiesa al Sacro Cuore di Gesù (16 giugno 1875), disciplinò la partecipazione dei cattolici italiani alla vita politica (29 gennaio 1877), restaurò la regolare gerarchia in Scozia (29 gennaio 1878).

    Già minato nella sua salute, tenne il suo ultimo discorso ai parroci dell’Urbe il 2 febbraio 1878. Pochi giorni dopo, esattamente il 7, a 85 anni, spirò piamente.

    Cap. 2: L’Uomo

    Dire dunque di Lui che fu eccezionale, è dire una verità sulla quale soltanto il settarismo e la prevenzione osano d’eccepire. Occorre però precisare meglio sia la portata della sua eccezionalità, sia i livelli specifici sui quali essa s’impone alla serena ed obiettiva considerazione.

    Non credo che tale eccezionalità sia da qualcuno intesa nel senso d’una proiezione del personaggio oltre i limiti della documentazione storica e della sua stessa condizione umana; e neanche nel senso d’una sua eccellenza in tutt’i settori dell’umano. Era anch’Egli un uomo: con doti eccelse, si, ma anche con il loro limite il quale, non riducendone le dimensioni, lo caratterizza come quel "singolo" uomo. Doti e limite son così ampiamente documentati, che di Lui si conosce ormai tutto, e solo secondo questa documentazione bisogna parlarne. Non si può dire, p. es., che fu un politico nato, solo perché lo si è detto eccezionale; ma non si dirà nemmeno che fu un politico fallito, solo perché dovette assistere al frantumarsi del suo Stato. Sarà peraltro opportuno che anche il giudizio sul suo operato politico, probabilmente al di sotto di tutti gli altri suoi meriti, venga vagliato al filtro documentale, non a quello ideologico o a quello emozionale.

    Sbaglierebbe però, ed alcuni di fatto hanno sbagliato, chi prendesse spunto dal ricordato limite per un giudizio genericamente riduttivo su Pio IX, o peggio per l’attenuazione se non anche la negazione d’ogni valore al suo governo ed alla sua politica. I meriti di Lui restano nella loro intatta realtà, anche se dai documenti risultano più accentuati in un campo e meno in altri. Alla critica storica spetta di far luce a tale riguardo.

    Mi pare di poter sostenere che l’eccezionalità di Pio IX, grazie appunto alla critica storica, è oggi un giudizio scientificamente fondato, riguardante tanto le qualità umane di Lui quanto le sue virtù. Delle une parlerò in questo capitolo; alle altre andrà la mia attenzione strada facendo.

    I - L "imperterrita serenità"

    Parlando di documentazione, non bisogna ignorare quella iconografica, là ovviamente dove esista. E nel nostro caso esiste; addirittura in abbondanza. Di Pio IX si conserva anzi il dagherrotipo della prima fotografia d’un papa.

    L’impressione che se ne ricava è quella d’una persona di bell’aspetto anche in età avanzata, dai tratti regolari, lo sguardo sereno, il volto non privo di forza accattivante ed il portamento in pari tempo aristocratico e semplice. Dall’insieme si sprigiona una nota di maestosità, che tuttavia non incute timore. La documentazione iconografica conferma così quella scritta e testimoniale.

    Pio IX aveva in effetti un’innata dolcezza ed una singolare delicatezza d’animo, che si notavano in ogni suo gesto e movimento. Armonizzava insieme dolcezza e delicatezza, qualora ciò fosse stato necessario, con una virile energia ed una forza irriducibile.

    Bella era la sua voce e robusta. Cantasse o parlasse, affascinava la gente. Un testimone lo ricorda proprio per questo, senza esclusione, beninteso, d’altri motivi: "Non ho mai udito un oratore che avesse così calda e squillante la voce, così sovrani il gesto e lo sguardo". I1 fascino della sua voce e di tutta la sua persona non colpiva soltanto i suoi amici ed estimatori, suscitandone o confermandone l’entusiasmo; ma incideva anche sul sospettoso e talvolta astioso atteggiamento dei suoi dichiarati avversari.

    L’indole sua, il temperamento, il carattere depongono a favore di quella "imperterrita serenità" che Giuseppe Toniolo, del quale pure è oggi in corso la causa di beatificazione, rilevò nel papa marchigiano poco prima del suo pio decesso. In queste due parole, il cui accostamento dà ragione dell’animo forte e soave poco sopra affermato, sta forse la più obiettiva raffigurazione di Giovanni Maria Mastai Ferretti sul piano naturale. Su tale raffigurazione concorda in genere la critica, eccezion fatta per pochi ed irrilevanti giudizi o diversi o contrari: anche il sole ha le sue ombre a conferma della sua luce. Depone infatti per la sua fortezza quell’aggettivo "imperterrita" in cui è pienamente riconoscibile il Pio IX che, senza mezzi termini, denuncia i soprusi subiti, non si piega all’ingiustizia, condanna gli errori, difende la Fede, la Chiesa, la Sede Apostolica. I1 sostantivo "serenità" lo riproduce qual effettivamente era: non "una canna agitata dal vento" (Mt 11,8), non 1’uomo sopraffatto da avvenimenti incontrollabili o, almeno in apparenza, più grandi di Lui, non il fallito che tira i remi in barca e si lascia andare rassegnato alla deriva, ma l’uomo che, forte della propria autocoscienza, innalza una diga di coerenza e di soprannaturale fiducia dinanzi al dilagare delle cose avverse.

    E di cose avverse fu lastricato il suo lunghissimo ministero papale. Il predecessore Gregorio XVI, a suo modo anch’egli grande, gli aveva lasciato un’eredità pesante. Intransigente, autoritario ed anche ostinato, Gregorio aveva combattuto invano sia la vaga religiosità del romanticismo, sia le rivendicazioni antidogmatiche del naturalismo razionalistico, sia il subdolo (quando non era burbanzosamente scoperto) accerchiamento delle sette segrete. La massoneria imperversava; nelle sue avide mani era ormai ogni potere; la presenza d’una Chiesa dotata non solo del potere spirituale, ma anche di quello temporale, era per essa non più sopportabile. E così, sul pontificato di Gregorio XVI soffiarono venti fortissimi, che ne provocarono reazioni decisamente autoritarie. Non si trattava di qualche leggero e piacevole zefiro, o di qualche movimento di fronda, erano venti che travolgevano: discordie dinastiche; difficoltà diplomatiche; filosofie in antitesi col pensiero cattolico, teorie teologiche e filosofico-politiche, come il gallicanesimo ed il febronianismo, in contrasto con l’ecclesiologia cattolica e con il diritto pubblico ecclesiastico, contro il primato petrino e contro il suo universale magistero, protestanti e cattolici in lotta, specialmente in Svizzera; I’America latina dilaniata dalla rivoluzione; le idee eversive di Hermes, Guenther e del semirazionalismo in genere. Si, questi erano i venti, questo l’asse ereditario che piombò d’improvviso sulle spalle del card. Giovanni Maria Mastai Ferretti e che avrebbe fatto impallidire chiunque altro, non lui: "Ecce indignus servus tuus, fiat voluntas tua", esclamò con le lacrime agli occhi nel divenire Pio IX, arieggiando Lc 1,38 in cui Maria assicura a Dio la sua totale disponibilità: "Sono la tua serva; fai di me quanto hai deciso di fare".

    Il cambiamento di rotta, rispetto a quella di Gregorio XVI, non fu un calcolo. Fu l’effetto della sua innata affabilità, della sua dolcezza, della sua mitezza, della sua inclinazione alla comprensione e alla clemenza. La gente lo capì e ne fece il più celebrato personaggio dell’epoca, l’uomo più popolare del suo tempo.

    La clemenza non era acquiescenza. Né poteva risolversi in cedimento. Dolce e mite, comprensivo e clemente, Pio IX fronteggiò sempre l’eversione rivoluzionaria e non si dette mai per vinto dinanzi alle sue prepotenze. Fu proprio dinanzi ad esse che emerse la "imperterrita serenità" dell’uomo superiore: concesse senza scendere a patti compromissori, resistette senza violentare l’innata mitezza. L’amnistia generale, da Lui decretata nel 1849, e gli altri provvedimenti sociali che la contornarono e le fecero seguito son la riprova della "soave fortezza" di questo troppo spesso non capito e talvolta bistrattato Pontefice.

    E’ facile scorgere, come concause d’un siffatto atteggiamento, un’intelligenza acuta e penetrante ed una volontà pronta e conseguente. Intelligenza e volontà che, in Lui, si sintetizzano con l’unità e l’armonia della sua "imperterrita serenità". Vedeva la sostanza delle cose, le controllava agevolmente, spesso le antivedeva e decideva: esattamente come avviene in ogni persona di chiaroveggente ingegno e di risoluta determinazione.

    La grandezza non comune di Pio IX maturò in codesta sintesi. Riconobbe i tempi e ne lesse i segni. Capì di dover accompagnare e pilotare il naviglio di Pietro in una turbolenta fase di transizione tra la cultura imperante fin alla rivoluzione francese e quella dei tempi nuovi, non ancora compiutamente evolutisi. Il trapasso non era per nessuno neanche per Pio IX, di facile gestione, non privo essendo d’incognite, di scogli non facilmente superabili e dei correlativi pericoli. Si può perfino convenire, con il senno del poi, che avrebbe potuto esser gestito meglio. Pio IX lo gestì da Pio IX: con una fedeltà che Egli, lungimirante come non pochi, antepose alla lungimiranza; con la difensiva più che con il pionierismo, combattendo a spada tratta l’errore, dovunque affiorasse, per assicurare alla Fede e alla Chiesa un presente ed un domani conformi ai fasti del passato.

    2 - Sentimenti ed affetti

    Ogni epistolario, così come ogni diario, è sempre una finestra aperta sulle più recondite pieghe dell’animo e della vita intima di chi scrive. Pio IX non fa eccezione. In ogni sua missiva si scopre qualcosa di Lui. Ed altrettanto in quei fogli, numerosissimi e vari, che, sottratti alla dispersione o al cestino, hanno permesso alla critica la ricostruzione storica di vicende giornaliere e della temperie nella quale esse si svilupparono. Si sono così conosciuti particolari interessantissimi anche se non roboanti, relativamente a ciò ch’Egli senti pensò e fece, improvvise stimolazioni sui suoi stati d’animo, vibrazioni intensissime della sua sensibilità e personalità, perfino qualche zona d’ombra, appena percepibile, della sua umana natura.

    Non poche delle dette lettere e degli scritti sopra accennati permettono una concreta e realistica visione di particolari momenti che segnarono la vita di Pio IX e quasi una partecipazione ai medesimi; una maggiore e sempre più obiettiva conoscenza della sua famiglia e dei rapporti con essa mantenuti; le ripercussioni che ebbe sul suo animo la morte del padre, della madre e dei fratelli; le sollecitudini ed i gestì di non discutibile carità (mai del resto scantonati nel privilegio e nel nepotismo), da Lui compiuti in più d’una occasione a favore di fratelli parenti ed amici.

    Da tutto l’insieme emerge un’ulteriore pennellata per una definizione più puntuale della sua immagine, della sua indole, del suo mondo interiore, insomma dei suoi sentimenti ed affetti.

    Quando non eran in gioco i diritti di Dio, la libertà della Chiesa e della Sede Apostolica, il bene delle anime e la giustizia, prevaleva in Pio IX la tendenza a temperare ogni spigolosità, a scusare le altrui miserie, a presumere una bontà di fondo, almeno intenzionale, anche in chi lo contrastasse. Si capisce molto bene, tuttavia, che quel suo fare conciliante né indicava, di per sé, una natura imperturbabile, né era del tutto alieno da una forte disciplina interiore. Pio IX aveva, infatti, conosciuto ben presto i suoi difetti e su di essi esercitò sempre un controllo che qualcuno, mal interpretando le sue facezie, le battute spiritose e la capacità di rilevare con immediatezza i punti deboli delle persone e delle cose, stenta ancor oggi a riconoscergli. Non era certo colpa sua se aveva occhi per vedere ed orecchi per intendere. Quando s’accorgeva della piega che le circostanze prendevano, non esitava a manifestare il timore che "sotto ci sia qualche giraccio", che responsabili ne fossero i soliti giochi di potere, che le beghe l’avevano profondamente "turbato", anche se si ricomponeva presto nella sua "imperterrita serenità". Non s’equivochi tra questo `imperterrita" e 1’"imperturbabile" poco prima accennato: questo è dello stato d’animo che non s’increspa mai, quello della serenità raggiunta con l’autocontrollo e la costante disciplina.

    L’innata dolcezza non neutralizzava in Lui la vivacità temperamentale, gli capitava perfino, in qualche rara occasione, di rispondere alle sollecitazioni indiscrete con uno scatto improvviso; qualcuno parla d’irascibilità e di collera. Qualche altro perfino di sarcasmo. Ma l’analisi della documentazione riconduce quei rari fenomeni alle loro effettive dimensioni. Pio IX si controllava. Riportava tutto ciò che sapesse di screzio "al petto dell’amicizia" e l’annullava con la sua carità.

    D’altra parte, quella sua immediatezza che gli rendeva rapida l’intuizione e la percezione, e ne accelerava di conseguenza l’espressione, non riguardava i casi gravi; non di rado il tutto non era che una battuta di spirito dinanzi alle piccole cose d’ogni giorno.

    Direi allora: immediato si, ma non impulsivo. Ed ancor meno irriflessivo. Grazie infatti alla riflessione, si facevano strada in Lui la chiarezza, la comprensione, la carità. Metteva a fuoco le situazioni e le altrui posizioni giudicandole secondo la loro realtà, cercava di capirne le motivazioni anche se non tutte poteva scusarle, su tutte però stendeva il manto della carità e là dove s’arrestava la sua capacità d’intervento, tutto rimetteva nelle mani di Dio.

    La carità non era per Lui un pretesto per tacere, al contrario il suo parlar chiaro era vera carità, come quando scriveva al nipote Luigi: "Siccome avete mantenuta la relazione mi pare indubitato il dovere che vi resta d’adempiere. Me ne furono fatte premure nei febbraio ed io ve ne scrivo in luglio. Vedete che scrivo veramente a caso pensato".

    A parte questi doverosi puntini sulle "i", fu sempre, con i suoi interlocutori parenti o no, d’una dolcezza squisita, anche se ferma e mai goffa. Parlavo chiaro, quando era il momento di parlar chiaro: "Protesto di non farne più parola, né di ritornare su questo argomento con chi che sia". Ma sulla chiarezza prevaleva sempre il nobile sentire e soprattutto la bontà del cuore: "Il desiderio di tornare a vedervi è grande", "Divertitevi nel vostro gabinetto, ricordatevi di me qualche volta e crediatemi (sic, ed è spesso ricorrente) costantemente..."; "Voglio credere che i vostri cari figli stiano tutti bene, e ardisco pregarvi di darci un bacio a mio nome". Piccoli ma significativi attestati di quanto vivo fosse il suo sentimento di premuroso affetto per chiunque, a qualunque titolo, fosse entrato in contatto con Lui.

    Mantenne con i familiari e i parenti un rapporto improntato al rispetto non formale dei legami di sangue, ossia alla sincerità e verità dell’amore. "Vi benedico e vi abbraccio", era la conclusione più ricorrente delle sue lettere. Ma proprio nel culto di tale verità, non volle mai immischiarsi nelle grandi manovre matrimoniali sociali e finanziarie della sua nobile famiglia. Qualche consiglio, qualche modesto e raro aiuto finanziario tratto dal suo peculio personale ed in casi di provata impellente necessità ("In questo caso ho già stabilito l’aiuto da darti"), o un defilarsi garbato ma fermo: "Il Papa ha sempre dichiarato che niuna parte vuol avere in questo matrimonio"; "Mi dispiace di non poter secondare i vostri desideri; per cui troverete maniera di rassegnarvi". Riemergeva insomma, anche dalle sue relazioni con familiari e parenti, quell’autocoscienza papale, che gli ricordava i "figli" avuti dalla Divina Provvidenza e per i quali, prima che per altri, fossero anche del suo sangue, si dichiarava disposto a dare tutto quanto possedeva. Del resto, come "potrebbe somministrare denari" chi "vive di soccorsi"?

    Non permetteva comunque che qualche suo giustificato rifiuto pregiudicasse l'armonia del rapporto: "Io non ho intenzione di irritarmi con chi che sia e solo desidero ardentemente la concordia e la pace in Famiglia". Aveva però una spina nel cuore e ne soffriva immensamente. Sua sorella Maria Isabella, sposa d’Isidoro Benigni e madre di Giovanni, s’era separata dal marito per incompatibilità di carattere. Era lei la spina: "Per le cose mie domestiche, niun motivo di doglianza...quello che mi affligge si è la causa ..di questa mia sorella". Un risvolto non esaltante, che peraltro dà, sul piano affettivo la misura d’un Uomo veramente superiore.

    3 - Bonomia ed ilarità

    Desidero insistere ancora sulla sfaccettatura d’una personalità da qualcuno "equivocata" in base ad alcuni del suoi tratti meno convenzionali.

    Parlando d’un nobile e per giunta non dei nostri giorni, si è indotti ad immaginarlo tutto compreso del suo alto lignaggio e delle distanze che lo separano dalla gente comune. Trattandosi però del conte Giovanni Maria Mastai Ferretti, papa Pio IX, il ritratto da fare è esattamente l’opposto.

    Un papa tra la gente oggi non fa più meraviglia; Giovanni Paolo II ci ha abituati ad una forse programmata rottura degli schemi burocratici ed anche se non si può pensare d’andar liberamente a stringere la mano del Pontefice, è spettacolo frequente quello del Pontefice che stringe la mano ai più vicini, ai lati che fiancheggiano il suo passaggio.

    Lo schema, a dir il vero, era già stato infranto: Paolo VI, Giovanni XXIII, Pio XII lo fecero in diverse occasioni. Nessuno può evocare, senza commuoversi, la bianca figura del Pastor Angelicus imbrattata di sangue in mezzo alla popolazione di San Lorenzo, dove un bombardamento era appena cessato. Pio IX non conobbe limiti a questo immediato contatto con la sua gente. Ogni occasione era buona per abbandonare la carrozza ed intrattenersi bonariamente con i suoi Romani, o per cancellare il cerimoniale fastoso ed imponente dei tempi passati a tutto vantaggio della comunicazione in alto ed in basso. Quasi ogni giorno rinnovava questa comunicazione diretta e non aspettava d’esser in campagna o fuori porta, come il cerimoniale gl’imponeva, per scender di carrozza, camminare a piedi, fermarsi con i primi incontrati, interessarsi ai loro problemi, ascoltarne gli umori, lasciar loro una buona parola e non soltanto quella.

    Di fatto si poteva incontrarlo al Pincio, al Corso o in Piazza del popolo, al centro o in periferia, nell’atto di rispondere ad un saluto, di colloquiare affabilmente, d’ascoltare con paterno interesse chiunque avesse avuto bisogno d’esporgli il suo caso. A distanza di pochi metri, il segretario distribuiva danaro ai poveri: una scena tanto frequente da esser considerata un copione.

    Era tanta l’affabilità del Pontefice, tanta la sua semplicità e tanto l’interesse prestato alla consueta litania di suppliche e lagnanze, che la gente si sentiva invogliata a rivolgergliele. Questo atteggiamento era indubbiamente dettato da un animo aperto e buono, condiscendente e compassionevole, ma Lui, Pio IX, l’aveva anche temprato in tal modo fin da giovane, quando prestava la sua opera tra i ragazzi di Tata Giovanni, e più tardi, quando gli fu affidato il difficile complesso di San Michele, dove toccò con mano la sofferenza e la solitudine dei poveri.

    Per essi non rifuggiva nemmeno da qualche gesto fuori le righe. Come quando entrò personalmente nel negozio d’un vinaio, acquistò un buon fiasco ad Orvieto e lo regalò ad un ragazzo piangente dinanzi ai vetri rotti del fiasco scivolatogli di mano. Altre volte, per evitare che i beneficiati si sentissero in obbligo di ringraziarlo, riusciva a far loro pervenire l’aiuto nel modo più anonimo, perfino calandolo da una finestra o introducendolo furtivamente da una porta.

    A testimonianza del suo legame con la gente, è da tener presente anche il ragguardevole elenco di fondazioni ed istituzioni varie, volute per sollevare i poveri dalle necessità materiali e morali: dalla fame, dall’ignoranza, dalla solitudine, dalla malattia, dal bisogno. Segno anch’esse del "cuor ch’egli ebbe".

    Richiamo infine l’attenzione su un aspetto tra i non meno rilevanti della personalità di Pio IX e nel quale affrettati o prevenuti critici han trovato materia per riserve ed accuse da suggerire all’"avvocato del diavolo". Tale aspetto trova la sua spiegazione nel quadro di quell’immediatezza che fu già rilevata e sottolineata. Alludo alla sua arguzia, alla sua ilarità, al suo umorismo. Ne nascevano battute anche pungenti, o salaci, che o sconcertavano l’interlocutore o lo mandavano in visibilio. Dicono che l’arguzia sia tra le caratteristiche dei marchigiani; certo è che Pio IX ne era abbondantemente dotato. E ne faceva uso non raro, specie se si trattava d’addolcire l’atmosfera un po’ troppo tesa, di sollevare l’ilarità altrui, di sdrammatizzare qualche momento difficile. In certi casi, basta una parola per troncare un discorso, sviare l’attenzione, suscitare una provvidenziale risata. Pio IX, a questo riguardo, era un vero maestro.

    Nella sua vita abbondano gli aneddoti legati al suo umorismo. Non posso raccontarne molti; ne segnalo alcuni a solo titolo esemplificativo .

    Sono noti, p. es., quelli che ebbero per protagonista un certo Mons. Casali, un buon uomo, ma non un pozzo di scienza né una mente acuta. Un giorno, mentre si parlava dinanzi a Pio IX di Papa Sisto V, il buon Casali se ne usci in quest’esclamazione: quelli si che eran veri papi ! Pio IX, nient’affatto offeso, replicò: se lo dice lui ! E quando Mons. Casali riferì al Pontefice d’aver ricevuto uno schiaffo dalla madre, Pio IX domandò: uno solo? Ve ne doveva dare almeno due, uno anche per conto mio!

    Ad un benedettino che smaniava per la porpora rivelò: ho intenzione di far cardinale un benedettino. Si fermò per tenere in tensione il buon padre, poi continuò: il suo cognome incomincia con la P. Si dà il caso che con la P incominciasse quello dell’aspirante cardinale (Pescetelli), il quale però si senti andar il sangue in acqua, quando il Papa concluse: ma non è un italiano.

    Ad un genitore che Gli chiedeva di sistemare il figlio di modesto ingegno, Pio IX dette la seguente assicurazione: ho trovato, ne faremo un impiegato della Reverenda Camera Apostolica!

    Equivocando un giorno sul significato metaforico di "pettinare", mise le mani sui capelli d’una piccola accompagnata dalla mamma, vi nascose 2000 scudi e, con riferimento al padre che aveva ridotto la famiglia in miseria, invitò la bambina a farsi pettinare soltanto dalla mamma.

    Aveva la bocca piena e masticava a quattro palmenti un avventore uscito da un’osteria per vedere Pio IX che passava, e gridarGli: "Santità, muoio di fame". E il Papa:"lo vedo, lo vedo!".

    Un prete di Romagna, per il quale Pio IX aveva pagato di tasca propria un corso di Esercizi Spirituali in riparazione di sfuriate romagnole, al Papa che lo invitava a non commetterne mai più rispose: non dubiti, Padre Santo, ho imparato a mie spese. Ma il Papa corresse: vorrete dire a mie spese.

    Durante un’udienza, Gli fu presentata una signora dal cui cappello svettavano altissime piume. Appena seppe che si chiamava Guerrieri, osservò: già, me n’ero accorto dal cimiero!

    Un friggitore, sfrattato dal Municipio, fermò la carrozza di Pio IX e Lo pregò di poter continuare a friggere. Il Papa, avuta una penna ed un foglio di carta, emanò il più faceto rescritto di tutta la sua vita: frigga come vuole, frigga dove vuole, frigga quanto vuole.

    A chi Gli faceva notare che il Concilio sarebbe costato ogni giorno un numero esorbitante di scudi, Pio IX rispose: non so se da questo Concilio il Papa uscirà fallibile o infallibile, so però che ne uscirà fallito!

    Continuare? sarebbe piacevole, ma non aggiungerebbe più nulla alla definizione della sua fisionomia, ormai ben tratteggiata. "Ecco l’uomo", disse un giorno Pilato di Nostro Signor Gesù Cristo (Gv 19,5); "questo è 1’uomo", si può ora dire di Giovanni Maria Mastai Ferretti.

    4 - Due questioni a parte

    Alcuni storici e personalità pubbliche di Senigallia non esitarono a fare di Pio IX il giustiziere spietato ("sordo non pure ad ogni voce di giustizia, si anche ad ogni richiamo di pietà che gli veniva dal dolce luogo natio") del colonnello della Guardia civica Gerolamo Simoncelli. I fatti son tristemente noti. Due sentenze, l’una del 31dicembre 1851 e 1’altra del 21 febbraio 1852, con votazione quasi plebiscitaria fanno del Simoncelli il capo indiscusso d’una fazione operante a supporto della "Compagnia Infernale o degli Ammazzarelli". Per la carica da lui ricoperta, che ne faceva non tanto un uomo d’ordine quanto il responsabile dell’ordine pubblico, su di lui furon fatti ricadere, prima che su altri, i misfatti della "Compagnia Infernale" e per essi venne condannato a morte insieme con altri 12 imputati. Il Sovrano, cioè Pio IX, indubbiamente avrebbe potuto graziare il Simoncelli allo stesso modo che graziò, per le condizioni della sua famiglia, il Simonetti. Tentativi a tale scopo non mancarono, ed alcuni autorevolissimi; ce ne fu uno perfino della sorella di Pio IX, Teresa Mastai Giraldi. Le sentenze ebbero però attuazione e gl’imputati vennero messi a morte.

    Bisogna, al riguardo, procedere con somma cautela. Non consta che la domanda di grazia sia mai stata avanzata dal Simoncelli in persona; a suo favore intervennero le sorelle, non lui. Il silenzio significò pertinacia, non pentimento; e la grazia si concede ai pentiti. Consta d’altra parte che Pio IX era ben disposto alla grazia, solo aspettando che il colpevole gliela richiedesse. Nel silenzio di lui, di fronte a ben due sentenze univoche sulla colpevolezza personale dell’imputato, lasciò (forse a malincuore) che la legge avesse il suo corso. Si noti una circostanza: non firmò il decreto di condanna.

    L'uomo d’oggi resta esterrefatto: una conseguenza dell’imperante buonismo"? Si, ma anche d’una radicalmente diversa mentalità, di quella comune e di quella giuridica. Sta di fatto che la pena di morte urta contro le fibre più sensibili e delicate della coscienza umana. Oggi in genere la escludiamo. Ma allora? Era legge, come legge era al tempo dei predecessori Gregorio VI, Sisto V e San Pio V. Più che legge, era convinzione morale universale che fosse legittimo cautelarsi contro l’ingiusto aggressore del bene comune anche con la pena di morte. E Pio IX, in questa così come in altre occasioni, non potè sottrarsi al dovere di tutelare la giustizia e quindi il bene comune: l’ordine pubblico, la legge dello Stato, la difesa degli uccisi. Perché lo si giudica con la sensibilità morale e con le acquisizioni giuridiche di oggi per fatti avvenuti in un altro contesto storico e secondo la logica della sua cultura? Se c’è qualcosa d’ingiusto, è proprio questo mancato trasferirsi nel contesto e nella cultura d’allora per giudicarne fatti e persone in base a parametri di giudizio odierni.

    L’altro fatto è quello, non meno delicato, riguardante Edgardo Levi Mortara, un ebreo battezzato clandestinamente, nel 1852, da Anna Morisi che prestava servizio presso la famiglia israelitica dei Mortara a Bologna. Il piccolo Edgardo aveva diciassette mesi circa, quando fu colto da malattia allora giudicata mortale e fu, per questo, battezzato dalla solerte fantesca. Risaputa la cosa nel 1858, per incarico della Congregazione dell’Inquisizione alcuni gendarmi il 24 giugno prelevarono Edgardo e, da Bologna, lo condussero a Roma. Pio IX l’accolse con paterna bontà dichiarandosi suo padre adottivo e provvedendo al suo futuro. A sue spese lo fece studiare presso l’Istituto dei Catecumeni in Roma e quando il giovane Mortara raggiunse l’età della discrezione, gli domandò se volesse ritornare in famiglia. Avutane risposta negativa, gli continuò la sua alta protezione. A tredici anni il Mortara fu aspirante presso i canonici regolari di san Pietro in Vincoli e poco dopo (1866) novizio. Professò i voti semplici il 17 novembre1867 a Sant’Agnese fuori le mura ed emise la professione solenne il 31 dicembre 1871 nel Tirolo austriaco. Insegnò poi scienze sacre in Italia e all’estero e predicò indefessamente in varie lingue. Morì a Roma nel 1940 all’età di 89 anni, senz’aver mai perso i contatti con la sua famiglia e mantenendo sempre la più filiale gratitudine a Pio IX, dal quale aveva tanto ricevuto.

    Sulla vicenda l’anticlericalismo dell’epoca e non soltanto quello montò il "caso" Mortara. Non mi riferisco ai ben comprensibili tentativi della famiglia per riavere Edgardo ma allo scatenarsi dell’odio liberale e massonico contro Pio IX, "reo" d’aver soppresso il diritto naturale per una "discutibile" questione di fede. Non potendo agire direttamente contro di Lui, fu processato ed incarcerato il P. Feletti, che aveva disposto il prelievo d’Edgardo, nel 1870 lo stesso Mortara, quotidianamente pedinato dalla polizia, preferì emigrare, senza che ciò attutisse il rumore del suo "caso", un rumore che Pio IX in persona chiamò una bufera universale contro di me e la Sede Apostolica", orchestrata da organismi internazionali ebraici ed appoggiata dall’anticlericalismo americano, belga francese, svizzero e perfino russo. Anche la Chiesa anglicana ci mise lo zampino.

    La ragione è che si volle idolatrare ed assolutizzare il diritto naturale d’un minorenne alla propria famiglia, e di questa che a tutto poteva pensare fuorché alla perdita del proprio figlio. Non si volle riflettere sulla logica evangelica della salvezza eterna, come prima e suprema legge, alla quale anche il diritto naturale è subordinato.

    Oggi, come allora, del "caso" Mortara si fa un argomento contro il presunto antiebraismo di Pio IX. L’accusa ha del risibile. Se c’è un Papa che ha protetto ed aiutato oltre ogni limite gli Ebrei, è proprio lui, Papa Mastai Ferretti. Fin dal 1848, agli albori cioè del suo pontificato, li ammise come "non più stranieri" alle elemosine papali; li proclamò suoi figli; li sottrasse all’umiliante corteo annuale che li portava in Campidoglio per un tributo di legge; e nella pasqua di quell’anno fece abbattere le porte e le catene del ghetto, questo poi allargando e ripristinando. Le provvidenze a favore degli Ebrei, inoltre, furon tali e tante che alcuni di essi non esitarono a chiedersi se non fosse proprio lui l’atteso Messia.

    E’ davvero il caso di ripetere: "Ecco l’Uomo" (Gv 19,5).

    Cap. 3: Il Maestro

    Un’attenzione particolare va riservata al magistero di Pio IX, non senza dimenticare che l’espressione più nobile di esso è la sua stessa vita: una lezione luminosa di dedizione a Dio ed alla Chiesa.

    Un po’ per la sua bonomia, un po’ perché non fu uno studioso, qualcuno potrebbe pensare che Pio IX abbia dato vita ad un pontificato scialbo dal punto di vista magisteriale. Niente di più errato. Pio IX aveva il fiuto dell’errore e l’occhio clinico per individuarlo a prima vista. Ed aveva pronto, in pari tempo, l’antidoto. Non tutti sanno che la ripresa del tomismo nei seminari e nelle università, prima che di Leone XIII fu merito di Pio IX.

    Ciò che sorprende in un uomo divorato dallo zelo per le anime e non dal fascino d’una cattedra universitaria, è l’informazione. Già da vescovo e da cardinale sapeva riconoscer di lontano la matrice di certe storture dottrinali, giudicandole "una meschina fusione dei pensieri di Potter, La Mennais e Bunsen". Sapeva anzi distinguere "dal primo e dal terzo", accaniti antiromani, il secondo, il cui equivoco consisteva in un erroneo concetto di tradizione. Sapeva del giansenismo ed era capace di riconoscerne i sintomi anche in teologi, e perfino in vescovi, che vi s’ispiravano più o meno scopertamente, in Italia e all’estero.

    Non era cieco neanche dinanzi agli errori teologico-politici, che attanagliavano il clero della sua epoca. Non suscita dunque alcuna meraviglia che gran parte del suo pontificato si caratterizzi sul piano magisteriale, a difesa del deposito della Fede e a proposta d’indirizzi sicuri.

    1 - L'Immacolata Concezione

    Era ancora a Gaeta, esule e vittima della prepotenza politica, quando mise in moto il progetto relativo alla definizione dogmatica dell’immacolato concepimento di Maria. Non si trattava d’un fatto puramente devozionale e non era in gioco il suo personale trasporto per la Vergine Santa. Si trattava di sapere se Maria fosse stata concepita senza peccato originale e se ciò facesse parte della rivelazione cristiana.

    Una consultazione mondiale fu allora promossa con l’enciclica Ubi primum. I vescovi di tutto il mondo dovevan pronunciarsi sulla legittimità e sull’opportunità o meno d’una definizione dogmatica a tale riguardo. 593 furon le risposte, delle quali 8 soltanto negative, 2 incerte, 35 favorevoli con riserva e tutte le altre, cioè la stragrande maggioranza, pienamente a favore.

    Che Maria fosse stata concepita senza peccato originale era solo una pia credenza, diffusa peraltro in tutta la Chiesa, ma priva del vincolo dogmatico. Presente nella preghiera liturgica, variamente intesa dai grandi teologi del passato dei quali alcuni non ne erano stati entusiasti, accolta ed approfondita dalla scuola francescana, garantita per così dire da un avallo preternaturale (le apparizioni a S.ta Caterina Labouré) e successivamente confermata da un altro evento preternaturale (le apparizioni a S.ta Bernadette Soubiroux) la pia credenza s’apprestava a rivestirsi di portata dogmatica, quando il parere quasi unanime dei vescovi confortò il progetto di papa Mastai.

    Più di sei anni, tuttavia, furono ancora necessari, sei anni di preghiera, di studio e di riflessione, prima che con l’Ineffabilis Deus Pio IX promulgasse il nuovo dogma mariano. Ad una preliminare commissione teologico-consultiva, altre 4 ne seguirono di cardinali, vescovi e teologi per trattare adeguatamente l’argomento da tre distinti punti di vista: la definibilità, I’opportunità, la redazione del testo.

    Anche in tale occasione, Pio IX rivelò una prudenza pari alla fermezza del suo intento. Sottomise al giudizio di 16 teologi il primo abbozzo del testo, redatto da G. Perrone. Altri 7 vennero di volta in volta preparati analizzati e valutati. Bisognava che ci fosse provata chiarezza non solo sull’esistenza "ab antiquo" della pia credenza nella Chiesa universale, ma anche sul tenore delle risposte ricevute e delle obiezioni prima ed allora sollevate. In particolare, occorreva superarne due, senza dubbio gravi: il silenzio neotestamentario e l’universalità del peccato originale.

    I lavori delle commissioni e dei singoli teologi furono intensi, accompagnati dall’interessamento personale del Papa e dalla sua ininterrotta preghiera. Con Lui pregavano tante altre persone, alle quali Egli stesso s’era rivolto; in particolare, le claustrali. A quattro giomi dalla proclamazione, il testo non era ancora perfettamente a posto e si deve ai suggerimenti diretti di Pio IX il superamento definitivo delle difficoltà.

    8 dicembre 1854. Con una solennità inaudita, nella patriarcale basilica di S. Pietro in Vaticano, alla presenza di 53 cardinali, 43 arcivescovi e 99 vescovi, accorsi appositamente per testimoniare il consenso della Chiesa universale, il Santo Padre, non senza commozione, definì come dogma di fede l’immacolato concepimento della Vergine Maria. Tre anni dopo il Papa stesso rievocò quel momento paradisiaco: "Quando iniziai a leggere il decreto...sentii la mia voce incapace di farsi capire dall’immensa moltitudine che riempiva la basilica vaticana. Ma quando arrivai alla formula, Dio donò alla voce del suo Vicario una forza tale e tale vigore soprannaturale, da farla risuonare in tutta la basilica. Ero così impressionato d’un tale divino soccorso, che dovetti interrompermi un momento per dar libero sfogo alle mie lacrime".

    Questo dogma, sia ben chiaro, s’impone all’attenzione critica e alla Fede della Chiesa non per le lacrime di Pio IX, ma per il suo contenuto pienamente conforme alla Fede e per il valore dottrinario della sua formulazione. Pio IX capiva l’interconnessione dell’Immacolata con le altre verità rivelate ed ebbe il coraggio, la fermezza e la coerenza d’insistere su una siffatta connessione per far diventare dogma una pia ed antichissima credenza. Aveva anche capito che l’Immacolata s’articolava direi organicamente con l’Assunta, questa dipendendo da quella; ma a chi lo sollecitava per procedere anche alla definizione dogmatica di Maria assunta corpo ed anima nella gloria celeste, rispose di non esserne degno, anche se sicuro che ciò si sarebbe avverato più tardi.

    A scanso d’equivoci, sembra ora opportuno sostare dinanzi al testo per coglierne il significato autentico.

    Esso s’apre con l’appello all’autorità che dà garanzia dogmatica al magistero papale: "Per l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e nostra". Anche dal punto di vista della formulazione tecnica, si è di fronte ad un esordio magisteriale. L’intervento del Papa si giustifica in base al fatto ch’esso dipende non da una decisione privata del Pontefice stesso (e per tale motivo ho tradotto "nostra" invece che "la nostra"; quell’articolo indicativo potrebbe in effetti distinguere l’autorità del Papa da quella di Cristo e degli Apostoli Pietro e Paolo, mentre si tratta della medesima ed unica autorità), ma da una decisione "pubblica", dovuta cioè alla sua "persona pubblica", ovvero al suo ufficio magisteriale di Capo Maestro e Pastore supremo della Chiesa, al quale lo Spirito Santo assicura l’autorità stessa di Cristo capo Maestro e Pastore.

    "Noi dichiariamo affermiamo e definiamo". Linguaggio classico, che troverà conferma, poco dopo, nella "Pastor aeternus" del Vaticano I. Nel "noi" non risuona un semplice plurale maiestatico, ma la limpida coscienza dell’ufficio papale: pertanto, non la sola rappresentatività di tutta la Chiesa, ma la responsabilità universale che tutta la coinvolge, in ogni tempo, in ogni dove, nella professione del dogma mariano.

    "Che la dottrina, secondo la quale la Beatissima Vergine Maria. fin dal primo istante in cui venne concepita, per singolare grazia e privilegio di Dio, in considerazione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia del peccato originale, è da Dio rilevata ed è pertanto fermamente e costantemente". Sta qui il contenuto dottrinale della definizione piana, dove peraltro occorre far una distinzione: il contenuto rigorosamente dogmatico è quello relativo alla dottrina in quanto rivelata e perciò "credenda"; la specificazione di tale dottrina indica i limiti di ciò che fu rivelato e che bisogna credere: non al di sopra, non al di sotto di essi. Da notare anche la contraddizione di qualche antica e moderna traduzione del "praeservatam immunem" con "affrancata"; se affrancata dal peccato, Maria non ne sarebbe stata immune.

    2 - Il Vaticano I

    Procedo per sommi capi, impossibile essendo, ora, un’esposizione analitica completa sul magistero di Pio IX. Sarebbe di grande interesse il soffermarsi sul peso magisteriale delle sue non poche encicliche; ma è di gran lunga maggiore l’interesse che collega il peso suddetto all’evento epocale la cui sola memoria basta ad immortalare il grande Pontefice: parlo del Concilio Ecumenico Vaticano I.

    Ne parlo non per tesserne la storia, ormai investigata in ogni suo più piccolo particolare, ma per documentarne quel peso magisteriale al quale prima accennavo, e che ridonda in ultima analisi a merito di Colui che quel Concilio volle, aprì, diresse e promulgò.

    Apertura del Concilio Vaticano I del 1869

    Anche il progetto d’un Concilio ecumenico nacque a Gaeta nel 1849. Nel 1863 fu il card. Wiseman a parlarne con Pio IX. E questi, il 6 dicembre 1864, confidò la sua speranza ai 15 cardinali della Congregazione dei Riti. L’anno successivo entrò in azione una commissione cardinalizia. E così, di commissione in commissione, di consulta in consulta, non assenti nemmeno alcune contromanovre da parte sia di circoli massonici ed anticlericali, sia d’ecclesiastici d’avanguardia, s’arrivò all’apertura del Concilio: 7 dicembre 1869.

    Fu davvero un Concilio Ecumenico: 55 cardinali, 6 patriarchi, sei abati "nullius", 24 abati generali, 29 generali di ordini e congregazioni religiose, 964 vescovi. E’ risaputo che non tutto il materiale preparato venne di fatto discusso ed approvato. I venti di guerra e le condizioni politiche italiane determinarono la chiusura precoce del Concilio (18 luglio 1870) e due sole furono le Costituzioni dogmatiche approvate: la "Dei Filius" e la "Pastor aeternus".

    L’una fu discussa per oltre un mese e concluse il suo itinerario con miglioramenti e varianti di carattere formale e teologico. Altrettanto avvenne per l’altra, anche se l’incerto clima politico ne condizionò almeno in parte la discussione.

    La "Dei Filius", approvata in sessione plenaria il 24 aprile 1870, fu promulgata seduta stante da Pio IX, evidentemente compiaciuto e grato al Signore. Nel prologo si passavano in rassegna i principali errori dell’epoca moderna, con particolare riferimento a quelli sull’esegesi biblica, sul razionalismo e sul naturalismo, donde si cade "nell’abisso del panteismo, del materialismo e dell’ateismo". In evidenza, ovviamente, venivan messi anche gli errori teologici che confondevano i confini della natura e della grazia e si discostavano dall’insegnamento tradizionale della Chiesa

    Dopo il prologo, quattro brevi capitoli sulla genuina Fede cattolica: Dio Creatore dell’universo; La Rivelazione divina, la Fede, la Fede e la ragione. Il contenuto di questi quattro capitoli trova poi la sua formulazione dogmatica in 18 canoni che infliggono la scomunica a chiunque osi negarne il contenuto dottrinale, diffondendo e sostenendo dottrine ad esso contrarie.

    Non mancarono, qua e là, delle critiche: vescovi poco convinti, teologi d’ispirazione liberale e neogallicana, storici il cui metro per valutare la vita della Chiesa prescindeva dal soprannaturale. La maggior parte dei destinatari, però, gioì con Pio IX perché il Concilio aveva raggiunto uno dei suoi scopi principali: aveva non solo condannato gli errori, ma a questi aveva contrapposto la verità immutabile della rivelazione divina.

    La seconda Costituzione dogmatica del Vaticano I, la "Pastor aeternus", è comunemente conosciuta come la costituzione sulla Chiesa; in realtà i tempi ristretti dei lavori conciliari furon la causa del loro "cursus in fine velocior". I Padri stessi, o alcuni di essi, non vedevan l’ora di far ritorno alle loro sedi. Ne fecero le spese soprattutto i temi ecclesiologici, dei quali si discusse ed approvò solo una piccola parte (il cap. XI dello schema "de Ecclesia"), riguardante la dottrina del Romano Pontefice. La si articolò in tre capitoletti, ai quali fu poi aggiunto il cap. IV sull’infallibilità papale.

    In quella fase conciliare, infallibilisti ed antinfallibilisti misero in atto sottili ed accorte manovre, capaci di portare la questione dell’infallibilità al centro dell’interesse conciliare. Come sempre in casi del genere, le posizioni andavano dal si al no passando attraverso sfumature varie, il cui scopo era quello di mediare gli estremi.

    Il 6 marzo 1870 fu consegnato un progetto, frutto di lunghe discussioni, che s’aggiungeva al cap. XI poco sopra ricordato e che ebbe subito il massimo interesse dei Padri conciliari. Proseguiva intanto la discussione del cap. XI sull’ufficio primaziale del vescovo di Roma. 139 furono gli emendamenti proposti e poi discussi ed approvati. Alla fine, il testo ebbe il gradimento comune circa la dottrina che stabiliva come dogma di Fede che al solo Pietro il Signore donò il primato sulla Chiesa universale; che tale primato è per divina disposizione transpersonale, da trasmettere cioè ai legittimi successori del principe degli Apostoli; e che esso consiste non in una supervisione o nella posizione del "primus inter pares", ma in una vera e propria giurisdizione.

    La questione di fondo rimaneva, tuttavia, quella del progetto aggiuntivo sulla infallibilità papale. Le proposte s’accavallavano a vicenda. Quelle favorevoli incontravano la resistenza d’una minoranza teologicamente agguerrita e non incline al facile cedimento. Nuovi gallicani e frange non indifferenti di conciliarismo mitigato pretendevano almeno questo: che prima di procedere ad una definizione dogmatica, nella quale pertanto fosse impegnata l’infallibilità dell’asserto, il Papa avesse l’assenso dei vescovi, per la ragione che essi concorrono con Lui al governo della Chiesa. La maggioranza rispondeva che all’esercizio dell’ufficio petrino, uno ed indiviso, non ha parte l’episcopato, con la conseguenza che il Papa di per se stesso, e non mediante il consenso dei vescovi o della Chiesa, è capace di definizioni infallibili.

    Il 4 luglio, per la sesta volta in quattro mesi, fu proposta una formula aperta ad alcuni emendamenti, ma ferma sulla sostanza. Una maggioranza schiacciante l’approvò il 13; ma la minoranza non si dette per vinta. Valendosi dell’ampia libertà concessa da Pio IX a chiunque volesse o avesse da eccepire, Mons. Dupanloup suggerì al Papa d’approvare, si, come decisione conciliare la dottrina dell’infallibilità sulla quale confluiva il parere della maggior parte dei Padri, ma d’astenersi dal promulgarla per non turbare gli spiriti già molto preoccupati. Insomma, si voleva metter la mordacchia a Pio IX, il quale non era affatto disposto a lasciarsela mettere.

    Arrivò il 18 luglio. Su 535 presenti, 2 soltanto si dissero contrari, una quarantina di vescovi aveva lasciato Roma, un po’ per la precarietà della situazione politica, un po’ per non partecipare alla plenaria. Non senza commozione ma fermo sulle sue posizioni, Pio IX rassicurò i confratelli nell’episcopato sui rapporti tra l’episcopato stesso e l’infallibilità, nel senso che questa suprema prerogativa dell’autorità papale, anziché schiacciare quella episcopale, è a tutela e garanzia di essa.

    In realtà, non si trattava della divinizzazione d’un uomo né dell’assorbimento, da parte sua, delle responsabilità e prerogative dei vescovi. Il Papa, chiunque fosse, anche dopo la definizione dogmatica della sua infallibilità restava l’uomo che era e come era: con i suoi pregi ed i suoi difetti. In quanto dottore privato, può sempre cadere in errore come ogni altro privato dottore. Ma in quanto Capo supremo, Maestro e Pastore di tutta la Chiesa, in ciò che riguarda le verità da credere e da incarnare nel tessuto quotidiano, gode d’uno speciale carisma, cioè di quell’infallibilità che rende le sue decisioni irreformabili di per sé e non per il consenso della Chiesa.

    Tale formula entrò come quarto capitolo nella "Pastor aeternus". Ognuno dei quattro capitoli venne quindi specificato da un canone dogmatico. Si chiudeva in tal modo, con una evidentissima vittoria della Divina Provvidenza che guida i passi degli uomini verso i suoi traguardi, oltre che con l’oscurarsi dell’orizzonte politico internazionale ed italiano, il Concilio Ecumenico Vaticano I. Esso fu pure, in ultima analisi, la vittoria di Pio IX. A me piace considerarlo, per le sue due Costituzioni dogmatiche, una perla del magistero piano.

    3 - Il Sillabo

    Affronto per ultima, anche se cronologicamente avrei dovuto parlarne prima, una delicata questione, causa di non rari malintesi e d’infondate accuse sia contro Pio IX sia contro la Chiesa: la questione del Sillabo.

    Il 9 giugno 1862, ad un buon terzo dell’episcopato mondiale convenuto a Roma per la beatificazione di 26 martiri giapponesi, Pio IX tenne una ben nota allocuzione sui "terribili mali" che affliggevano la Chiesa e la stessa società civile. Fu, da parte sua, l’ennesima denuncia del razionalismo, del panteismo, dell’ateismo e di ciò che tra breve sarebbe stato chiamato modernismo. In particolare eran direttamente colpiti quanti giudicavano la divina rivelazione "imperfetta e soggetta ad un progresso continuo ed indefinito, conforme al progressivo sviluppo della ragione umana". Pio IX colpiva inoltre chi riduceva a favole i miracoli e le profezie dei Libri Sacri, chi nei misteri della Fede null’altro vedeva che il risultato d’investigazioni filosofiche, chi dava per scientificamente accertato che Antico e Nuovo Testamento contenessero soltanto dei miti e che lo stesso Cristo fosse "mito e finzione".

    Come si chiamassero i colpiti da Pio IX era implicito nelle sue parole: David F. Strauss in Germania; Emesto Renan in Francia; altri seguaci dell’uno e dell’altro. Il Papa voleva impedire che i loro errori si propagassero nei Seminari e nelle Università, magari sotto il titolo di progresso scientifico.

    Era insomma un Sillabo "in nuce". Del resto il Sillabo, cioè l’elenco dei principali errori del tempo, era cominciato prima di Lui. Pur tacendo altri nomi, una menzione va fatta per Gregorio XVI, anch’egli invitto difensore della Fede contro l’attacco portatole dal razionalismo illuministico, dal secolarismo e dall’ateismo di varia estrazione. Pio IX ne segui le orme già con la sua prima enciclica (Qui pluribus del 9 novembre 1846), autentico anticipo della Quanta cura e dello stesso Sillabo. Chi non fa questo collegamento corre il rischio di fermarsi ad un’immagine di Pio IX che intraprende il suo pontificato con sentimenti e propositi difformi dalla sua spiritualità e non in linea con le sue preoccupazioni pastorali. Al contrario, l’alba di questo pontificato, con la Qui pluribus, s’illuminava di quella severa vigilanza magisteriale che, già presente nell’animo del giovane prelato a Roma, in Cile, a Spoleto e ad Imola, accompagnerà il suo non facile pilotaggio del naviglio petrino e si evidenzierà in modo speciale proprio con il Sillabo.

    Sembra che il suggerimento di catalogare e condannare pubblicamente gli errori moderni sia stato rivolto a Pio IX per la prima volta, già nel 1849, dal card. Gioacchino Pecci, il futuro Leone XIII: un collegamento significativo, che annulla sul nascere troppo precipitose contrapposizioni dei due Pontefici. Nel 1851 toccò ad un laico di Torino Emiliano Avogadro della Motta, a sollecitare dal Papa la pubblica condanna dei numerosi e perniciosi errori moderni. E nel maggio di quel medesimo anno, Pio IX ordinò un primo sondaggio su vasta scala in ordine ad una tale prospettiva.

    Nuove indagini vennero condotte tra il 1859 ed il 1860. L’esito si concretò in 79 proposizioni condannabili, raccolte sotto il titolo "Syllabus errorum in Europa vigentium". La prospettiva andava verso il suo epilogo; ma il cammino non era stato ancora percorso per intero.

    L’episcopato, nella sua grande maggioranza, assecondava Pio IX e procedeva nella stessa direzione. E’ nota la pastorale di Mons. Gerbert, vescovo di Perpignano: una nuova raccolta di errori. Pio IX, anzi, decise di rifarsi ad essa per la redazione del suo Sillabo, cioè di quello ufficiale. Nominò nel maggio del 1861 una commissione speciale perché esaminasse le 85 proposizioni di Mons. Gerbert. La commissione lavorò alacremente e, dopo decine di sedute, il documento ufficiale era pronto. Il Papa l’esaminò e lo fece consegnare ai vescovi presenti in Roma per la già ricordata beatificazione dei martiri giapponesi.

    Come si vede, Pio IX non era l’uomo dei "colpi di testa". Prudente e rispettoso delle idee altrui fino allo scrupolo, chiedeva ai vescovi ch’esprimessero liberamente il loro pensiero su un problema di tanta importanza e di tanta incidenza nell’atmosfera culturale del tempo. E circa un terzo dei vescovi interpellati, pur d’accordo sull’essenziale, giudicò inopportuna l’iniziativa.

    Nel contempo, e precisamente nel dicembre del 1862, visto 1’aggravarsi della situazione in ambito teologico e filosofico, il Papa condannò l’abate Jacob Frohschammer, professore di filosofia all’università di Monaco, perché accordava "alla ragione umana forze che non le competono affatto", traendone la conseguenza d’una libertà senza freni, con pregiudizio per "i diritti, le funzioni e l’autorità della Chiesa". Tale condanna s’inseriva nel contesto d’altre severe prese di posizione nei confronti di tutta la corrente liberaloide tedesca, ma anche francese e belga. Il tempo era ormai maturo per una condanna a più vasto raggio, la qual cosa avvenne 1’8 dicembre 1864 con 1’enciclica Quanta cura e con il Sillabo. Questo, anche perché non datato, seguiva l’enciclica come un suo allegato. Ne faceva parte, dunque.

    L’enciclica richiamava ancora una volta l’attenzione del mondo cattolico sui pericoli che correva la Fede cristiana a causa del propalarsi, a livelli sempre meno controllabili, d’errori gravissimi. Ancora una volta era messo a fuoco il naturalismo, che sopprime ogni legame tra società e religione; la libertà di coscienza e di culto, che già sant’Agostino aveva definito "libertà di perdizione"; l’estromissione della Chiesa da ogni compito educativo nei confronti dei giovani, che veniva riservato soltanto allo Stato; la sottomissione di essa, privata dei suoi nativi diritti temporali, allo Stato stesso; la negazione della divinità di Cristo. Pio IX parlava a tale riguardo d’ "insolenza criminale" e di "cospirazione...contro il Cattolicesimo e la Sede Apostolica".

    Il Sillabo, richiamandosi ai precedenti atti papali d’analogo contenuto, condensava in 80 proposizioni, queste distinguendo in 10 settori, tutte riguardanti la "cospirazione" sopra accennata. In particolare cadevano sotto condanna:

    - il naturalismo, il panteismo ed il razionalismo assoluto;

    - il naturalismo moderato, con riferimento a Gunther, Frohschammer, Dollinger ed altri;

    - l’indifferentismo ed il latitudinarismo;

    - il socialismo, il comunismo, le società segrete ed altre società clerico-liberali;

    - le idee eversive della natura della Chiesa e negatrici dei suoi diritti;

    - gli errori sulla natura della società civile, specie su quello che asservisce la Chiesa allo Stato;

    - gli errori relativi alla morale naturale e cristiana;

    - gli errori sul matrimonio cristiano;

    - gli errori sul potere temporale del Romano Pontefice;

    - gli errori che sottopongono il Papa e la Chiesa al progresso, al liberalismo, ed alla moderna civilizzazione.

    Come si sa, tanto l’enciclica quanto e soprattutto il suo elenco degli errori moderni suscitarono (e tuttora suscitano) un’infinità di critiche. Ne risenti la stessa causa di beatificazione, almeno nel senso che anche tali critiche contribuirono ad allungarne smisuratamente i tempi. Dico smisuratamente, perché le critiche si son poi rivelate, tutto sommato, infondate. A giustificarle non era certo sufficiente il taglio netto dell’espressione formale e meno ancora qualche sbrigativa ricostruzione delle posizioni condannate. Era ed è del pari riduttivo il giudizio sul Sillabo inteso come forma puramente negativa del magistero di Pio IX. Gli elementari criteri d’ermeneutica insegnano che da una dottrina condannata si desume la vera, d’altra parte, di magistero al positivo è pieno il pontificato di papa Mastai.

    Bisogna inoltre capir bene che cosa Pio IX intendesse colpire: non il sacrario inviolabile della coscienza, ma l’indifferentismo religioso e non si riesce a spiegare come e perché un teologo del calibro di Y. Congar, senza calarsi nell’atmosfera piana, abbia messo in antitesi il Sillabo e la dichiarazione Dignitatis humanae del Vaticano 2. Chi infatti si colloca nell’ottica di Pio IX, non solo non contrappone i due documenti, ma potrebbe perfino individuare un passaggio logico (alludo alla "logica della Fede") dall’uno all’altro.

    E’ doveroso infine osservare un’altra fondamentale legge interpretativa: nessuno è autorizzato a leggere con gli occhi d’oggi i fatti di ieri. Lo storico in questo si distingue dal cronista: ricupera la mentalità e la cultura del periodo studiato e dei protagonisti in esso operanti. Se qualcuno non lo fa, il suo Pio IX resta sospeso all’alea della manomissione, dell’incomprensione, ed in ultima analisi della falsificazione.

    Cap. 4 - Il Santo

    La spiritualità di Pio IX, già ben definita negli anni della giovinezza (che pur conobbe in Lui alti e bassi e non fu priva di pericoli e tentazioni) venne affinandosi nel tempo. E’ una legge comune: nessuno nasce con l’aureola. Quando Pio IX morì, l’accompagnava alla tomba non solo l’odio bieco ed astioso dell’anticlericalismo piazzaiolo, ma anche e soprattutto una fama di santità, diffusissima e al di sopra di ogni sospetto. "E’ morto un santo", fu il grido che attraversò l’orbe cattolico; e non mancarono riconoscimenti in tal senso anche da parte acattolica. Don Bosco, che gli era stato vicino e lo conosceva a fondo, pronosticò subito la gloria degli altari.

    Dopo un esame minuzioso e lungo quasi un secolo, la Chiesa scioglie oggi ogni riserva e lo proclama pubblicamente beato.

    Il lettore, tuttavia, ha diritto di sapere su quali basi.

    1 - Un vero prete

    Sono innumerevoli le grazie attribuite al grande Pontefice sia prima, sia dopo la sua morte. Certo, nessuna di esse può esser addotta a fondamento della sua santità, anche se è un indice della richiesta "Fama sanctitatis": il fondamento unico ed irrefragabile della santità è "la perfezione della carità". E’ questa l’angolatura dalla quale occorre posare lo sguardo su Pio IX, nel chiedersi se fosse o meno un vero santo.

    Tuttavia, nel complesso delle grazie sopra accennate ce n’è una che, attentamente analizzata e valutata dalla Consulta Medica della Congregazione per le Cause dei Santi, è stata dichiarata miracolo. La detta Consulta, infatti, I’ha definita naturalmente e scientificamente inspiegabile. Da questa base è poi partito il giudizio teologico per approdare al miracolo e riconoscere in esso il dito di Dio, ossia l'avallo soprannaturale del giudizio di santità.

    Sopra ho accennato alla perfezione della carità; santo infatti non è colui che va in estasi e sposta le montagne, ma colui che ama Dio al di sopra di tutto e di tutti e tutti gli altri per amore di Dio. E proprio questa è la nota che rifulge nella personalità di Pio IX: amava Dio immensamente, intensamente e, sotto certi aspetti, fanciullescamente traducendo il suo medesimo amore di Dio in amore del prossimo, di qualunque prossimo anche dei suoi nemici. Fu così nel fervore dei suoi anni verdi, preludio di ciò che sarebbe maturato negli anni del suo ministero vescovile e papale, fino alla vecchiaia e alla morte.

    Pio IX vegliardo. Foto di Enrico Battista Canè, 1877. Dall'album conservato nel Museo Pio IX al Palazzo Mastai di Senigallia.

    Visse il suo eccezionale momento storico, così ricco d'eventi che cambiarono il corso della storia in Italia, nella Chiesa e nel mondo, in perfetta amorosa unione con Dio ed altrettanto amorosa disponibilità per gli altri. In mezzo a vicende che oltrepassavano di gran lunga il limite dell'ordinario, oggetto non di rado d'accuse ingenerose e di lotte a tutto campo, continuava a dar il suo alto esempio d'amor di Dio e del prossimo, in tutto e per tutto abbandonato alla divina Provvidenza. Tale abbandono, che a qualcuno è sembrato debolezza, "mancanza di senso politico, pericoloso misticismo, attesa inerte e passiva". era la sua arma politica. Non soggiaceva alla prepotenza, ma la collocava nel Cuore del suo Cristo e tutto risolveva in un atto d'amore.

    Quando poi parlava del divino Amore, voce e gesti s'infiammavano a tal punto che l'uditorio ne rimaneva conquiso e commosso.

    Il suo amore per il prossimo come riflesso e testimonianza di quello per Dio non era mai puramente verbale, ma concreto e risolutivo. Mite, buono e comprensivo, a quanti ne avessero bisogno lasciava dietro i suoi passi un aiuto che superava talvolta le attese. E' risaputa la sua carità per le claustrali e le religiose in genere; ma anche per i poveri, i perseguitati, i prigionieri. Lenì più volte i deleteri effetti della guerra, sottrasse alla cattura da parte degli Austriaci non pochi rivoluzionari in fuga, raccomandò e per quanto era in suo potere Egli stesso concesse condoni e riduzioni di pene. Visitò gli ammalati e non esitò ad assistere personalmente i colerosi dei vari ospedali. Non solo disse parole di pace e di perdono ai garibaldini, prigionieri dopo la battaglia di Mentana in Castel Sant'Angelo, ma li rifornì anche di cibo e di vestiario ed infine li fece rimetter in libertà. Ho già ricordato che passeggiava per Roma con accanto il Segretario, nelle cui mani era sempre una borsa per sovvenire ai bisognosi che incontrava.

    Pensò perfino a forme di pensionamento, non ancora previste nemmeno dagli ordinamenti più avanzati dell'epoca, per quei civili e militari della vecchia amministrazione pontificia, che dopo l'occupazione di Roma non avevano aderito al nuovo governo.

    Ma fu soprattutto un prete. Un prete vero, perché "uomo di Dio" (2 Tm 3,17) tutto preso dal suo amore e votato al bene degli altri. Per i preti ebbe sempre speciali preoccupazioni. Curò la formazione sacerdotale, promosse i seminari, caldeggiò i buoni studi. Certo, non poté risolvere tuttti problemi da Lui incontrati, benché tutto facesse quant'era nelle sue possibilità per risolverli. Ebbe anch'egli, come uomo, i condizionamenti della sua natura; e come papa, i problemi immani dell'epoca in trapasso, cui rispondeva come sapeva e poteva. Ma su una cosa dovrebbero tutti concordare sostenitori e critici: sul fatto che fu prete esemplare, specchio delle più belle virtù sacerdotali e cristiane.

    Specie negli ultimi anni del suo pontificato, crebbe la considerazione comune della sua santità in base alle sue virtù. Peccato, umanamente parlando, che il riconoscimento ufficiale di esse sia venuto così tardi!

    2 - Pio di nome e di fatto

    Se la carità ebbe tanto rilievo nella sua vita, fu perché tutto il complesso delle sue virtù trovò in essa la sua radice e la sua sintesi. Fu vibrante d'amore, quindi fu pieno di fede e di speranza, proiettato in Dio e sicuro del suo aiuto, da Lui solo attendendo la soluzione umanamente impossibile dei suoi gravissimi problemi. Dio solo cercava quando opponeva un irremovibile no all'onda montante del liberalismo anticlericale, del secolarismo che addormentava il senso religioso dell'esistenza e dell'ormai diffuso ateismo. Dio era la sola motivazione del suo tetragono atteggiamento di resistenza agli eventi inarrestabili, per cui anteponeva i diritti della Chiesa, della religione cristiana e delle Sede Apostolica, della stessa legge naturale ad ogni prospettiva secolarizzante. Fu e visse soltanto come "homo Dei".

    Incarnò nel suo tenore quotidiano la pietà non soltanto come ragione del suo personale rapporto con Dio, la Vergine Immacolata, San Giuseppe ed altri Santi, ma anche come punto di riferimento e faro del suo senso pratico, del suo dovere d'ogni giorno e degli imprevisti che, pure ogni giorno, s'affacciavano sull'ingresso della sua stanza di lavoro.

    "Non è un mistico - è stato scritto - o un asceta nel senso stretto dei termini quantunque le sue effusioni spirituali, che si rintracciano dovunque nelle sue lettere e nei suoi discorsi, possano talora farlo pensare, ma è un uomo che aspira del continuo alla perfezione". Forse si voleva soltanto osservare che era non privo di qualche difetto, ma deciso ad emendarsene, tanto da aspirare "del continuo alla perfezione". Lo strumento da Lui a tal fine adoperato, il rimedio assunto, continua il medesimo biografo, "è la preghiera; in ogni evenienza prega e fa pregare; Egli è principalmente l'uomo della preghiera...Tale sarà sempre fino alla morte".

    Da questa sua qualità di orante discendono alcuni indirizzi particolari che, nulla togliendo all'insieme e nulla al centro della sua religiosità, la specificano e ne definiscono le componenti varie. Fin da giovane, il Mastai si rivelò devotissimo del Sacro Cuor di Gesù e fin dai primissimi anni del suo ministero episcopale s'impegno a diffondere questa devozione. Ne percepiva con chiarezza il senso teologico. Sapeva che ogni omaggio al Sacro Cuore ridondava sulla persona adorabile di Cristo e sulla sua umanità sacrosanta. Ne derivava non solo il suo devoto atteggiamento, ma anche lo zelo con cui ne parlava ed operava. E' qui praticamente impossibile riferire quanto Egli fece per il Sacro Cuore; ma non posso tacere su alcuni discorsi da Lui tenuti agli albori del suo presbiterato e come piattaforma del suo sviluppo futuro. Si tratta di due tridui, già nei quali il Sacro Cuore si poneva in evidenza come un chiaro coefficiente della sua spiritualità, la quale pertanto già preludeva alle caratteristiche e dimensioni che avrebbe assunto in seguito. E quante opere videro la luce, da Lui promosse o da Lui approvate, riguardanti il Sacro Cuore: confraternite, chiese, famiglie religiose. Si capisce così la ragione per la quale consacrò al Sacro Cuore la Chiesa.

    Un altro aspetto non meno significativo del suo orientamento spirituale è la devozione alla Madonna. Anche questa seppe ben radicare in opportune ragioni teologiche ed innestare sul suo costume personale, come un'espressione tipica di esso. Era una delle devozioni nate nel suo animo fin dalla fanciullezza; e fu il suo distintivo per tutta la vita. Avrebbe potuto ben dire anch'Egli: "Totus tuus"; era davvero tutto di Maria. A Lei riferiva tutto quanto ebbe una speciale rilevanza nella sua lunga giornata: la guarigione da una malattia che per qualcuno fu epilessia, anche se la fondatezza di tale diagnosi non fu mai dimostrata, la vocazione sacerdotale, l'episcopato spoletino ed imolese; la stessa porpora cardinalizia. Sotto il manto della Vergine Immacolata e segnatamente della Madonna di Loreto Egli pose poi il suo ministero papale. Tutta la sua esistenza si svolse in atmosfera mariana.

    Si conoscono, inoltre, i suoi discorsi giovanili su Maria Assunta in cielo. Col loro impianto biblico-teologico, già preludevano al suo futuro e ben consolidato convincimento circa il vincolo esistente tra Immacolata Concezione ed Assunzione. Ho già ricordato codesto convincimento. Nel 1864 ne parlò una volta alla Regina di Spagna, che già pregustava la gioia d'una nuova definizione dogmatica: "Non c'è dubbio che l'Assunzione...è una conseguenza del dogma della sua Concezione Immacolata...io non mi credo degno istrumento per pubblicare come dogma anche questo secondo Mistero; ma tempo verrà..." La medesima speranza aveva del resto espresso in altre occasioni, anche molto prima.

    In un certo senso, Maria era nel suo cuore; la causa di Lei faceva parte di Lui, perciò non poteva non parlarne e lo faceva non senza personale trasporto.

    La storiografia ricorda anche la sua devozione a San Giuseppe, che culminò, l'8 dicembre 1870, con la proclamazione del verginale Sposo di Maria a patrono della Chiesa universale.

    Ma il giudizio sulla sua spiritualità né si evince del tutto da queste sue devozioni, né s'esaurisce in esse. Queste, anzi, potettero sussistere solo grazie alla qualità teologale della sua vita. Era davvero "I'uomo di Dio" tutto proteso verso di Lui; Dio, a sua volta, era nell'intimo del suo Servo fedele: la sua forza, la sua luce, la ragione unica del suo essere ed operare. Se qualcuno continuerà a valutarlo prescindendo da questo rapporto, continuerà pure a non capirlo e a diffonderne un'immagine irreale.

    E' un rapporto, del resto, che traspare da tutte le sue scelte: non solo, e son le più importanti, da quelle decise sul soglio di Pietro, ma anche da quelle anteriori, queste pure colme dello stesso significato. Son le scelte che hanno in Dio il loro senso e la loro motivazione. Si, la loro causa immediata, che forse sarebbe meglio chiamare occasione, è riconoscibile nei gravi problemi che Pio IX dovette affrontare, nelle non facili relazioni inteme ed esterne della Chiesa, nelle mire nemmeno tanto coperte del mondo massonico ed anticlericale, ma la causa profonda è quella che tutto riconduceva a Dio e alla "pietas" filiale del novello Beato verso di Lui.

    Non posso terminare questo paragrafo senza accennare, almeno di sfuggita, ad un'altra componente della sua spiritualità: la direzione delle anime. Figurano tra queste molte religiose: Sr. Castellano di Spoleto, Sr. Rosa Felice Mayer di Fognano, Sr Maria Nazarena Zampieri di Santo Stefano in Imola, Sr. Chiara Teresa del Sacro Cuore di Maria di Montefalco. E tante altre ancora. Logicamente, tale direzione non si fermò alle Religiose. Erano i virgulti del giardino di Dio, dovunque si trovassero, ad esser da Lui coltivati. Giovani, seminaristi, preti, personalità insigni o no, trovarono nella persona del Mastai il "cultore" illuminato e pio. Il fatto è che il Santo comunica sempre, per via diretta o per le articolazioni misteriose della Comunione dei Santi, i segreti e i benefici della santità. E Pio IX, in codesta comunicazione, si distinse egregiamente.

    3 - La Causa di Beatificazione

    Ufficialmente ebbe inizio nel 1907 e terminò nel 1999 con la lettura del decreto d'approvazione del miracolo attribuito all'intercessione del Ven. Servo di Dio Papa Pio IX. In seguito alla sua beatificazione, s'apre un'altra fase, I'ultima o della canonizzazione, che gli darà il titolo di Santo.

    Al di fuori dell'ufficialità, il Terzo Ordine francescano di Vienna, l'8 febbraio 1878, ad appena 24 ore dalla morte del santo Pontefice, espresse l'augurio che "il Padre di tutta la cristianità potesse esser beatificato senz'alcun indugio". Tale era anche l'augurio di tutto l'episcopato austriaco, come risulta da lettere inviate a Roma uno o due giorni dopo il luttuoso 7 febbraio. Ed in ultima analisi era anche l'augurio di tutto l'Orbe cattolico, perfino in quei suoi strati che non avevan sempre condiviso alcune scelte di politica ecclesiastica di papa Mastai, ma non nutrivano alcun dubbio sulla sua santità.

    Un'istanza simile a quella del Terzo Ordine francescano, al quale Pio IX apparteneva, fu rivolta all'arcivescovo di Palermo da fedeli di quella diocesi. Altra riprova della "Fama sanctitatis" di cui il Pontefice godeva sua vita natural durante e che non s'era spenta dopo la sua morte.

    In forma canonicamente corretta ed ufficiale, la prima vera istanza di beatificazione fu quella dell'episcopato veneto, del 24 maggio 1878, cioè ad appena quattro mesi dalla morte di Pio IX. In essa si legge che papa Mastai esercitò le virtù teologali e morali "in modo così elevato da meritare d'esser proposto come modello ed esser venerato come santo". Seguirono analoghe domande da parte dei vescovi canadesi, del vescovo di Napoli e dei vescovi d'altre diocesi. Da allora in poi, una vera pioggia di "Lettere postulatorie" s'è riversata sulla Santa Sede.

    Leone XIII rimase però esitante. La questione politica era ancora aperta. Non parve invece esitante San Pio X il quale, nel cinquantenario del dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, promosse le inchieste preliminari sulla fama di santità e sul suo fondamento (virtù in grado eroico e miracoli) del proprio predecessore Pio IX.

    Tre anni dopo, nel 1907, ebbe inizio il vero processo informativo, il cui primo postulatore fu Mons. Antonio Cani. Dal 1907 al 1922 vennero escussi 83 testi. Dal 1908 al 1915 fu celebrato un processo rogatoriale a Senigallia con l'escussione di 16 testi. Nel 1916 il processo rogatoriale di Spoleto arricchì la causa d'altri 24 testi. Ad Imola, ancora un processo rogatoriale che, protrattosi dal 1908 al 1916, raccolse le testimonianze d'altri 29 testi; infine quello di Napoli, dal 1907 al 1913, fu confortato dalla disponibilità di ben 91 testi. Nel complesso si trattò di 243 testimonianze "de visu vel de auditu a videntibus", tutte cioè di persone che avevano avuto rapporti col Servo di Dio o conservavano il ricordo di testimoni diretti, rilasciate da ecclesiastici e da non pochi laici, sull'attendibilità dei quali nessuna ombra è possibile sollevare.

    L'enorme materiale raccolto confluì quindi in una ponderosa positio: ben 12 grossissimi volumi.

    Nel 1952 il patrono della causa, Mons. Giuseppe Stella, ne estrasse il Summarium: 1159 pagine che, esaminate in ogni loro particolare, portarono il 7 dicembre 1954 al decreto per l'introduzione della causa, cioè per la fase apostolica del processo.

    Questa fu celebrata dal 1955 al 1956 con 1'escussione d'altri 19 testi sulle virtù in grado eroico e sui "miracoli" di papa Mastai. Il postulatore d'allora, Mons. Alberto Canestri, pubblicò un ragguaglio di ben 133 "miracoli" attribuiti all'intercessione del Servo di Dio Papa Pio IX.

    Il 25 ottobre 1956 ci fu un altro dei previsti adempimenti: l'esumazione e il riconoscimento della salma. Tra i presenti si notarono il card. vicario Micara, il prefetto della Congregazione dei Riti card. Cicognani, il prefetto della Congregazione dei Religiosi card. Valeri, il postulatore Mons. Canestri ed altri prelati. Con manifesta gioia degli astanti, il venerato corpo fu trovato intatto ed il fatto fu rilevato anche dai rappresentanti della stampa quotidiana, li presenti. Il 23 novembre le sacre spoglie vennero nuovamente ricomposte nella tomba.

    La causa riprese il suo corso. Tre sedute (o congregazioni) dovevano esser dedicate all'esame delle virtù in grado eroico: l'antepreparatoria, la preparatoria e la generale. La prima si tenne il 2 ottobre 1962; la seconda il 28 maggio 1963; ma la terza tardò a riunirsi.

    Morto nel 1971 Mons. Canestri, il 31 maggio gli subentrò nell'incarico di postulatore Mons. Antonio Piolanti, già Rettor Magnifico della Pontificia Università Lateranense. La causa ne ebbe subito un nuovo impulso e nuova vitalità. Nel 1972 Mons. Piolanti fondò la rivista Pio IX, che avrebbe dato un contributo inestimabile, se pur indirettamente, alla causa in atto. Poco dopo, nel 1975, fece la sua comparsa il primo volume della collana Studi piani, fondata anch'essa e diretta dall'infaticabile Postulatore.

    Dopo che quattro cardinali (Pietro Parente, Sergio Guerri, Umberto Mozzoni e Pietro Palazzini) il 6 novembre 1973 inoltrarono una supplica al papa Paolo VI perché disponesse la ripresa della causa, il promotore generale della Fede P. Pérez Femandez, sollecitato ancora dai card. Palazzini e Parente, fece conoscere le 13 obiezioni emerse durante le sedute antepreparatoria e preparatoria; era il 15 aprile del 1974. La postulazione nominò allora un nuovo Patrono nella persona dello svizzero avv. Carlo Snider il quale, il 7 ottobre 1984, presentò una risposta esauriente ed ineccepibile, anche sul piano metodologico, ad ognuna delle 13 obiezioni.

    Poté aver luogo allora la terza congregazione, quella generale, che 1'11 dicembre 1984 si pronunciò affermativamente sul quesito: "Se consti che il Servo di Dio Giovanni

    Maria Mastai Ferretti papa Pio IX abbia esercitato in grado eroico le virtù teologali della Fede, della Speranza e della Carità verso Dio e verso il prossimo; le virtù cardinali della Prudenza, della Giustizia, della Temperanza e della Fortezza; nonché le virtù con esse collegate". Avutane risposta affermativa, il Santo Padre Giovanni Paolo 2 ordinò allora il decreto sull'eroicità delle virtù che, firmato dal Card. Palazzini, prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, e da S. E. Mons. Traiano Crisan, segretario, fu reso di pubblica ragione il 6 luglio 1985. Da quel momento il Servo di Dio Pio IX era di fatto e di diritto insignito del titolo di "Venerabile".

    Non era ancora, però, "Beato". Le cose, tuttavia, se pur lentamente s'avviarono verso l'epilogo da tutti sperato. I1 15 gennaio 1986 la Consulta medica della Congregazione per le cause dei Santi attestò l'inspiegabilità naturale e scientifica della guarigione di Sr. Marie-Thérèse de St-Paul, carmelitana di Nantes, la quale si dichiarava miracolosamente (cioè d`improvviso, completamente, senza ricadute né uso di farmaci) guarita da grave malattia ossea.

    Quando tutto pareva ormai pronto, un nuovo sussulto di scrupolosità portò alla costituzione (nel 1987) d'una nuova speciale commissione di 7 membri, che avrebbero dovuto pronunziarsi sull'opportunità della beatificazione. Al termine della quarta seduta, la commissione passò alla votazione: 5 membri di essa furono per il si, uno per il si con riserva ed uno solo nettamente negativo. Bastò questo per bloccare di nuovo, se pur momentaneamente, la felice conclusione d'un iter quasi centenario.

    Finalmente il 21 dicembre 1999 papa Vojtyla promulgò il decreto sul miracolo di cui sopra e, successivamente, stabilì il giorno tanto atteso della beatificazione: il 3 settembre del 2000,1'anno del Grande Giubileo.

    Iter concluso? Come ho detto, quello della beatificazione ne apre un altro che si concluderà, a Dio piacendo, con la canonizzazione. Si può solo sperare che non duri quanto il precedente.

    Osservazioni conclusive

    Tra gli scopi di questa pubblicazione, dichiarati in partenza, c'era anche quello di sapere che senso la beatificazione di Pio IX potesse avere per la Chiesa e per il mondo d'oggi. Non mi pare che, per rispondere alla domanda, ci sia bisogno di molta fatica.

    I - Non c' è dubbio che, nella beatificazione di Pio IX, sia anzitutto doveroso scorgere un atto di giustizia. Un atto, cioè, con cui la Chiesa Gli rende giustizia dinanzi al mondo e alla storia, perché ognuno capisca.

    Mi spiego. "Atto di giustizia" non significa che Pio IX avesse acquisito un diritto alla sua beatificazione; "atto di giustizia" si, ma non in questo senso. Per quanto grandi, o addirittura eccezionali possano esser i meriti e le virtù d'un cristiano, mai costui, o altri per lui, potrà rivendicare un suo diritto all'onore degli altari. Davanti a Dio anche il santo è spoglio di diritti, perché Dio stesso dona ciò per cui premia. E quando ciò la Chiesa riconosce nella vita d'un suo figlio, non ne riconosce i diritti, ma la grazia e la fedeltà ad essa. Inoltre, alla Chiesa spetta soltanto il compito d'indagare su tale fedeltà e di decidere poi se, con riferimento al grado eroico della fedeltà stessa, quel suo figlio possa (non debba) esser proclamato santo. Così è avvenuto per ogni santo; così anche per Pio IX. La sua beatificazione, dunque, non appartiene alla giustizia distributiva e retributiva, che riconosce gli altrui diritti e dà a ciascuno il suo.

    Il concetto di giustizia, tuttavia, non è univoco, ma complesso. C'è anche la giustizia che risponde al sentimento naturale del giusto e si chiama equità, perché è applicata in considerazione non dei soli principi astratti, ma anche della loro concreta e possibile attuazione nel tempo. Essa ristabilisce l'ordine eventualmente violato, riconferma la verità prima taciuta o esagerata, riconosce meriti o demeriti ingiustamente ignorati o non obiettivamente valutati.

    Il chiedersi quante valutazioni malevole, deformanti la verità o assolutamente infondate han colpito Pio IX dagli anni della sua giovinezza ad oggi, è del tutto superfluo. Bastò la notizia della sua beatificazione perché subito e sempre di nuovo 1' "inimica vis" del settarismo preconcetto rispolverasse accuse vecchie ed inconsistenti, perdendo perfino la faccia con l'inaudita impudenza di dettar legge al Papa o quanto meno insegnargli l'atteggiamento da tenere.

    Questa è la giustizia alla quale, moralmente parlando, Pio IX aveva diritto ed alla quale la Chiesa ha voluto corrispondere dinanzi ai suoi figli e al mondo intero. La beatificazione, in effetti, ristabilisce la giusta visione delle cose, superando e neutralizzando ogni visione distorta di esse. La beatificazione diventa pertanto, sulla base della verità provata, anche un giudizio di merito circa la figura e l'opera del Mastai sottraendolo al morso della denigrazione sistematica, riaffermando la cristallina moralità delle sue scelte e della sua vita, riproponendo in benedizione il suo ricordo.

    2 - Va detto, peraltro, che la beatificazione di Pio IX ha significati più propri. Esattamente come qualunque altra beatificazione, sebbene con tonalità specifiche e personali.

    Quando la Chiesa proclama un beato o lo canonizza, non a caso procede ordinariamente sulla via delle virtù cristiane eroicamente esercitate. Nel giudizio della Chiesa, il beato ed il santo assurgono a luminosi esemplari di testimonianza cristiana, d'esperienza teologale nella fede, nella speranza e nella carità, ad autentici eroi delle virtù cardinali, dell'umiltà, della povertà, castità ed obbedienza. Ogni nuovo iscritto nell'albo dei beati e dei santi ne esce, per così dire, con la sua carica forte e discreta d'esemplarità, per collocarsi accanto ad ognuno di noi come modello da ammirare ed imitare. Ed ognuno, per qualche sua peculiare ragione, oltre che per quell'esemplarità che è comune a tutti, ieri oggi e domani: la fedeltà al comandamento nuovo dell'amore (Gv 13,34).

    Anche Pio IX, per il solo fatto d'esser proclamato beato, viene innalzato sul piedistallo ed additato a modello di tutto il popolo di Dio. Anche in Lui l'esemplarità va oltre il limite dei valori comuni ad ogni santo. C'è anche in Lui una specificità che ne definisce l'immagine e la singolarizza nello sconfinato firmamento dei santi e dei beati. Non si tratta d'una sola qualità particolare; la sua è una specificità talmente ricca che è anche poco agevole restringerla in poche parole. Penso alla fedeltà eroica del suo rapporto con il patrimonio delle verità rivelate; alla sua incrollabile Fede, matrice dell' "imperterrita serenità" già ricordata; al suo abbandono nelle mani della divina Provvidenza, tanto più insistente e significativo, quanto piu difficile fosse la contingenza negativa che lo suggeriva; al suo trasporto d'amore per il Padre e i fratelli; alla nota eucaristico-mariana della sua spiritualità; al suo indomito impegno per la Chiesa e la Sede apostolica, dettato soltanto da motivi di Fede; alla sua invitta difesa dei diritti di Dio e del suo Vicario in terra: sono questi gli aspetti salienti della sua specificità, questi i motivi per i quali la sua dolce e mite figura s'impone all'ammirazione di tutti e all'imitazione dei cristiani.

    3 - Per motivi diversi, che talvolta sembrano aver rovesciato la situazione di oggi rispetto a quella di papa Mastai, non meno urgente appare la "invitta difesa" alla quale ho sopra accennato, ammirevole anch'essa ed imitabile secondo lo spirito e la prassi d'assoluta gratuità con cui la mise in atto Pio IX. Nessun segno in Lui di quell'orgoglio dinastico che, entro i limiti della giustizia e dell'equità, giustifica la difesa della corona ereditata. Nessuna montatura nazionalista e "sciovinista". Egli non difendeva il suo, ma quell'indipendenza anche temporale che consentiva alla Chiesa di comunicare liberamente col mondo e diffondere ovunque la Fede.

    Né ha molta importanza il fatto che, edotti dall'esperienza storica, si sia oggi capito quanto poco bisogno la Chiesa avesse, anche allora, del potere temporale e d'una più o meno grande autonomia geografica per la libertà della sua azione evangelizzatrice. Pio IX non poteva rendersi conto di ciò che solo in seguito si sarebbe acquisito. Parlava da uomo del suo tempo, con una visione delle cose nettamente diversa da quella attuale e soprattutto con la chiara consapevolezza di chi, avuto un patrimonio culturale e spirituale da salvaguardare, fa di tale salvaguardia un suo punto d'onore. Tutta la sua intelligenza infatti, la sua sagacia, la sua forza d'animo Egli impegnò a tal fine.

    4 - Giovanni Spadolini, eminente uomo politico e statista di non piccolo spessore che sia pur impropriamente ricorreva all'aggettivo "laico" per definirsi estraneo a qualunque posizione confessionale, riconobbe che "Pio IX mostrava di comprendere che una rinascita cattolica sarebbe partita soltanto da Roma e che solo Roma, sia pure la Roma ideale del magistero vaticano, poteva assicurare l'unità di tutte le falangi cattoliche inquiete, divise e ondeggianti, poteva scongiurare tutte quelle molteplici tendenze economiche, geografiche, politiche che favorivano gli scismi, che guardavano alle chiese nazionali, che puntavano verso la riduzione del cattolicesimo ad una cappellania degli Stati". E scrisse ancora: "Il merito storico di Pio IX fu quello d'aver compreso che la causa del Papato poteva esser salvata sul piano universalistico della Fede e che nessuna combinazione diplomatica sarebbe riuscita ad evitare il particolarismo degli Stati, a scongiurare il trionfo delle nazionalità, a prevenire il successivo definirsi e differenziarsi dei blocchi".

    E' questo un giudizio che ribalta, nonostante la non familiarità del "laico" Spadolini con la proprietà del linguaggio "cattolico", i giudizi d'inettitudine politica troppo spesso formulati contro Pio IX. Il grande politico e storico dell'epoca moderna seppe, come non molti altri, penetrare a fondo nell'animo di papa Mastai per trame motivi d'ammirazione e di valutazioni obiettive e serene. Capì lo stretto legame tra politica e Fede che caratterizzò il pensiero e l'azione di Pio IX; e capi pure che qualunque fosse la scelta politica da compiere, Egli non avrebbe mai potuto discostarsi con essa e per essa dall'universalismo della Fede.

    La visione universalistica di Pio IX è oggi il titolo dell'azione pastorale e culturale della Chiesa. Anche per questo la Chiesa celebra in Lui il servo fedele che le apri le strade del futuro.

    Appendice

    Martedì, 4 aprile 2000, nella Cripta della stupenda Basilica romanica di S. Lorenzo fuori le Mura, in Roma, da poco riportata al suo originario splendore, s'effettuò il pio adempimento del rito che precede ogni beatificazione e canonizzazione: la ricognizione dei resti mortali del Ven. Servo di Dio Pio IX. Lì, infatti, il Papa dell'Immacolata e del Concilio Vaticano I aveva deciso d'esser sepolto, per rimaner sempre accanto ai suoi figli sino al giorno della risurrezione finale.

    Il Tribunale Diocesano di Roma era presente per competenza nelle persone del Presidente, il Rev.mo Mons. Dr. Gianfranco Bella; del Promotore di Giustizia Sac. Giuseppe D'Alonso; e del Cancelliere Cav. Giuseppe Gobbi.

    Con il Postulatore della Causa, Mons. Brunero Gherardini, eran pure presenti S.E. Rev.ma il sig. Card. Jorge Arturo Medina Estévez, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti; I'Ecc.mo Segretario della medesima, Mons. Francesco Pio Tamburrino; il Vescovo emerito di Senigallia, Mons. Odo Fusi Pecci unitamente ad una rappresentanza di sacerdoti senigalliesi; alcuni membri della Curia Romana, tra i quali S. E. Rev.ma Mons. Luigi De Magistris, Reggente della Penitenzieria Apostolica e Mons. Carlo Liberati, ufficiale della Congregazione per le Cause dei Santi. Il Rev.mo Capitolo Vaticano era rappresentato dai Cann. Mons. Jesus Irigoyen e Michele Basso; i Padri Cappuccini, alla cui custodia è affidata la tomba del novello Beato, daiRev.di PP. Marco Luigi Volpi e Sergio Martina. Presenti eran pure alcuni ecclesiastici stranieri e la ND Patrizia Flaminia Torlonia, nipote di Papa Mastai Ferretti.

    Alle ore 10,15, dopo una breve preghiera, il Rev.mo Mons. Bella dette lettura degli atti in base ai quali si poteva procedere alla ricognizione ed autorizzò l'inizio del rito. La bara, in tutto corrispondente ai dati descritti nel rogito del 1956, fu fatta estrarre dal loculo in cui giaceva e, quindi, venne processionalmente portata in una sala interna del Convento, riservata dai PP. Cappuccini per le operazioni del caso.

    Qui giunti, Mons. Bella, d'accordo con il Chiar.mo Prof. Amaldo Capelli anatomo-patologo della Facoltà di Medicina dell'Università del Sacro Cuore in Roma, e con la collaborazione dell'Ill.mo Dr. Comm. Nazareno Gabrielli, del Gabinetto ricerche scientifiche dei Musei Vaticani, dispose l'apertura della cassa funebre, consistente in una robusta ricopertura di rame a protezione della vera cassa di legno. Niente di particolarmente pregiato; il tutto, anzi, rivelò la caratteristica della semplicità, così cara a Pio IX.

    Ad un tratto la commossa attesa dei presenti esplose in un canto liturgico: tolti i sigilli e sollevato il coperchio, la Venerata Salma apparve, serenamente composta e perfettamente conservata. Così era stata riscontrata anche nella precedente ricognizione del 1956, alla quale aveva partecipato, unica fra tutti i presenti, anche la ricordata principessa Torlonia.

    Il Rev.mo Postulatore prese, intanto, in custodia le trentadue monete di bronzo che testimoniano il più lungo pontificato della storia, la croce pettorale e l'anello in non perfetto stato di conservazione, perché, riportato il tutto al suo primo splendore, possa esser nuovamente inserito nella nuova cassa sepolcrale.

    Ogni fase della complessa ricognizione venne ovviamente fotografata per l'opportuna documentazione. Nei giorni successivi, a varie riprese, gl'illustri periti sopra menzionati provvidero alla pulizia generale, mediante trattamento chimico, della Salma che, rivestita di nuovi indumenti a sostituzione dei precedenti che Pio XII aveva messo a disposizione nel 1956, venne poi deposta (2 giugno 2000) in una ammirevole urna di cristallo e riportata nella cripta di San Lorenzo, in posizione più consona alla venerazione dei fedeli.

  5. #5
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    IL PENSIERO SU PIO IX
    DI S.E. REV.MA MONS. LORIS FRANCESCO CAPOVILLA

    ESPRESSO NEL TEMA
    "GIOVANNI XXIII E PIO IX"


    Abbiamo inviato i nostri Inserti Mensili su Pio IX a S.E. Mons. Capovilla, chiedendogli anche un suo scritto per illustrare la venerazione di Papa Giovanni XXIII verso Pio IX. L'Ecc.mo Presule ci ha inviato una sua preziosa lettera e l'articolo sulla profonda devozione di Papa Roncalli a Papa Mastai, memorie che pubblichiamo.

    "Reverendo Monsignore Angelo Mencucci, vice presidente Comitato Pio IX, Senigallia, ho letto a verbo ad verbum i sette Inserti de La Voce Misena sul bicentenario della nascita di Pio IX, con esultanza, trepidazione e fiducia. I fondi redazionali, scaturiti dalla fede e dalla devozione, dalla mente e dal cuore di lei, meritano il plauso e il consenso di tutti gli ammiratori del Papa Marchigiano per la chiarezza, la forza persuasiva, la sincerità, l'ardore mistico di cui sono pervasi. Per chi nell'intimo è già convinto dell'opportunità di mettere "la lucerna sul moggio" (mt 5, 15) non occorrono ulteriori elaborazioni; per chi teme le reazioni scomposte del mondo laico, i tempi non saranno mai maturi".

    Nel corso delle celebrazioni centenarie dell'unità d'Italia, l'11 aprile 1961, ricevendo in udienza il presidente del consiglio, on. Amintore Fanfani, Giovanni XXIII, con meraviglia dell'ambiente stesso Vaticano, esaltò esplicitamente Pio IX: "... Ad osservare con attenzione serena il corso degli avvenimenti del passato più o meno lontano, torna bene il motto: La storia tutto vela e tutto svela. Ai figli d'Italia, per cui negli anni più accesi del movimento per l'unità nazionale certa letteratura, alquanto scapigliata, fu motivo di turbamento, non può sfuggire che astro benefico e segno luminoso, invitante al trionfo del magnifico ideale, fu papa Pio IX, che lo colse nella sua significazione più nobile e, da parte sua, lo vivificò come palpito della sua grande anima così retta e così pura. Tutto il resto di quel periodo storico fu, nei disegni della Provvidenza, preparazione alle pagine vittoriose e pacifiche dei patti Lateranensi, che la saggezza di un altro Pio, dal motto felicissimo Pax Christi in regno Christi avrebbe segnato a celebrazione finale della vera e perfetta unità di stirpe, di lingua, di religione, che era stato il sospiro degli italiani migliori" (SD, 111, 205).

    Subito dopo quell'incontro, nel prendere visione dei primi commenti di agenzia stampa, Giovanni XXIII annotava nella sua agenda personale:

    "Giornata solenne. Visita del Capo del Governo prof. Amintore Fanfani a Papa in forma ufficiale, anche in commemorazione del centenario dell'unità d'Italia. Tutto riuscì bene: con dignità, con saggezza, con discrezione per il mio indirizzo, circa il quale mi attendo dalla stampa d'opposizione ben altro trattamento. È la prima volta, dopo un secolo, che viene dal Vaticano una parola di compiacimento in buona aria cristiana, circa l'unità d'Italia come hanno compiuto e ormai senza rimpianti. Due cose bene intese: la storia tutto vela e tutto svela e il richiamo dei Patti Lateranensi: dunque di Pio IX (1848) a Pio XI (11 febbraio 1929). Questo è un altro passo felice nel cammino della santa chiesa. Sic semper Deus me adiuvet. Così Dio mi aiuti sempre ".

    Strano a dirsi: nessuna reazione irritata da parte della stampa laica sul richiamo di Pio IX, nessun risentimento da parte di chicchessia.

    Prima di quella data e dopo, Giovanni XXIII, nei suoi discorsi e nelle sue conversazioni pastorali, fece pubblicamente il nome di Pio IX non meno di cinquanta volte.

    Nei miei appunti trovo annotato un lamento del Papa sulla critica di un incontentabile prelato italiano, convinto che i cattolici stessero per scivolare all'incontro e all'abbraccio di ideologie aberranti: "Direi a quel vescovo: le virtù teologali e cardinali sono sette. Lei ne ha cinque. Le mancano carità e prudenza". Notevole il panegirico (tale può definirsi) che Giovanni XXIII fece di Pio IX alla festa dell'Immacolata 1960 a Santa Maria Maggiore: "In questo 8 dicembre, che tutti gli anni ricorda la solenne e più che centenaria proclamazione del dogma soave e luminosissimo dell'Immacolata il mio pensiero corre spontaneo a colui che di esso fu voce autorevole, infallibile oracolo. La soave figura del mio predecessore Pio IX, di grande di santa memoria, mi è particolarmente venerata e cara, perchè egli nutrì per la Vergine un amore tenerissimo e si applicò sin dai giovani anni allo studio ed alla penetrazione del privilegio dell'immacolato concepimento di Maria santissima"

    Richiamava poi il ricordo del mosaico dell'Immacolata della cappella del coro della Basilica Vaticana: "È appunto questa immagine, così nobile ed imponente, che Pio IX con incomparabile solennità incoronò 1'8 dicembre 1869 in occasione dell'apertura del Concilio Vaticano I. Ed è motivo di tenerezza e di spirituale compiacimento per il mio spirito il ricordo viva di aver assistito, mezzo secolo dopo la definizione dogmatica, esattamente 1'8 dicembre 1904, e di aver seguito coi miei occhi di sacerdote novello, il gesto di Pio X, che rinnovava l'atto dell'incoronazione con un serto più splendente di gemme preziose, raccolte dalla pietà mariana da tutti i punti della terra.

    Questo breve excursus storico mi riconduce alla mitissima figura del pontefice Pio IX. La luce di Maria immacolata posata sopra di lui mi fa com

    prendere il segreto di Dio nel servizio altissimo e santo che egli diede alla Chiesa. Trentadue anni di pontificato gli permisero di toccare tutti i punti della cattolica dottrina, di volgersi paterno e suadente ai figli suoi del mondo intero per un richiamo sollecito, affettuoso, instancabile di disciplina, di onore, di coraggio, in faccia alle accresciute difficoltà, agli attacchi velati o aperti, alle sfide gettate alla religione, proprio allora quando da persone di alta fama si proclamava moribonda o già morta.

    Pio IX seppe contro speranza credere alla speranza (Rm 4, 18), e tenere radunato, con incrollabile fermezza e infinita amorevolezza, il gregge spaurito e incerto; e così mite che egli era, non ebbe timore davanti alle macchinazioni tenebrose delle sette, non vacillò di fronte alle opposizioni, non indietreggiò in faccia alle calunnie.

    La sua figura si leva alta e indicatrice davanti a me e mi propone la via giusta. Io ci tengo, con l'aiuto di Dio, ad imitarlo e lo imiterò nel proseguire il mio apostolico ministero: con calma, con mitezza, con inespugnabile pazienza, ardore di speranza e di vittoria spirituale, qualunque cosa mi accada. I1 volgersi delle circostanze di umane convenienze, talora propizie, tal altra avverse o silenziose alle mie intraprese, non potrà né esaltarmi oltre misura, né deprimere le mie energie, che contano sopra tutto su l'intercessione della Madre Immacolata di Gesù, mater Ecclesiae, madre della Chiesa e madre mia dolcissima".

    Dalla devozione di Pio IX per l'Immacolata, veniva spontaneo a Giovanni XXIII riallacciarsi al fervore di iniziative nell'attesa del Concilio Vaticano II: "Due anni or sono, la mia voce tremava di commozione al primo annuncio del Concilio, ed ha suscitato sempre maggior zelo di partecipazione e di interesse all'evento, ormai avviato con ritmo costante e sicuro, così da corrispondere sempre meglio all'ispirazione del mio cuore e all'ansiosa attesa del mondo cristiano. [...] I1 Concilio Vaticano II non è ancora aperto ufficialmente, ma il lavoro preparatorio, che comporta la elaborazione dell'immenso materiale già proposto allo studio delle dieci commissioni, è in assetto di attività ed è già inizio di Concilio. Leggevo ieri nel breviario le parole di Isaia profeta: "ini consilium: coge concilium". Dacci un consiglio, prendi una decisione (Is. 16, 3). Esse sono già in esecuzione. E sopra questo lavoro, posto sotto gli auspici di Maria Immacolata, come mi sembra ben armoniosa e cara la voce di Pio IX, a cui quella del suo sesto successore umilmente ma fervidamente fa coro: Tu, o madre dell'amore, della conoscenza e della santa speranza, regina e difenditrice della Chiesa, ricevi nella tua materna fede e tutela noi, le consultazioni nostre, e impetraci con le tue preghiere presso Dio, che siamo sempre di un solo spirito e di un solo cuore" (DMC, 111, 71-80).

    Sono sprazzi di oratoria pastorale, scintille scoccate da un cuore ardente; cuore di chi credeva a ciò che diceva. Rileggere e rimeditare questo panegirico gioverebbe anche ai sapienti (in nessun modo vorremmo mancare di rispetto), ma freddi costruttori di sillogismi e di teoremi. L'ora di Pio IX vuol forse scoccare con l'apertura dell'anno santo imminente. Dio voglia.

    Al caro mgr. Mencucci e collaboratori, il mio cordiale e riconoscente ossequio fraterno.

    † Loris Francesco Capovilla

    ----------------------------------------------------------------------------

    Mencucci A. , Brunetti M. (a cura di), Atti senigalliesi nel Bicentenario della nascita di Pio IX, Senigallia, 1992, pp. 245-248.

    Fonte: PIO IX

  6. #6
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito CAUSA DI BEATIFICAZIONE

    Ufficialmente ebbe inizio nel 1907 e terminò nel 1999 con la lettura del decreto d'approvazione del miracolo attribuito all'intercessione del Ven. Servo di Dio Papa Pio IX. In seguito alla sua beatificazione, s'apre un'altra fase, I'ultima o della canonizzazione, che gli darà il titolo di Santo.

    Al di fuori dell'ufficialità, il Terzo Ordine francescano di Vienna, l'8 febbraio 1878, ad appena 24 ore dalla morte del santo Pontefice, espresse l'augurio che "il Padre di tutta la cristianità potesse esser beatificato senz'alcun indugio". Tale era anche l'augurio di tutto l'episcopato austriaco, come risulta da lettere inviate a Roma uno o due giorni dopo il luttuoso 7 febbraio. Ed in ultima analisi era anche l'augurio di tutto l'Orbe cattolico, perfino in quei suoi strati che non avevan sempre condiviso alcune scelte di politica ecclesiastica di papa Mastai, ma non nutrivano alcun dubbio sulla sua santità.

    Un'istanza simile a quella del Terzo Ordine francescano, al quale Pio IX apparteneva, fu rivolta all'arcivescovo di Palermo da fedeli di quella diocesi. Altra riprova della "Fama sanctitatis" di cui il Pontefice godeva sua vita natural durante e che non s'era spenta dopo la sua morte.

    In forma canonicamente corretta ed ufficiale, la prima vera istanza di beatificazione fu quella dell'episcopato veneto, del 24 maggio 1878, cioè ad appena quattro mesi dalla morte di Pio IX. In essa si legge che papa Mastai esercitò le virtù teologali e morali "in modo cosi elevato da meritare d'esser proposto come modello ed esser venerato come santo". Seguirono analoghe domande da parte dei vescovi canadesi, del vescovo di Napoli e dei vescovi d'altre diocesi. Da allora in poi, una vera pioggia di "Lettere postulatorie" s'è riversata sulla Santa Sede.

    Leone XIII rimase però esitante. La questione politica era ancora aperta. Non parve invece esitante San Pio X il quale, nel cinquantenario del dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, promosse le inchieste preliminari sulla fama di santità e sul suo fondamento (virtù in grado eroico e miracoli) del proprio predecessore Pio IX.

    Tre anni dopo, nel 1907, ebbe inizio il vero processo informativo, il cui primo postulatore fu Mons. Antonio Cani. Dal 1907 al 1922 vennero escussi 83 testi. Dal 1908 al 1915 fu celebrato un processo rogatoriale a Senigallia con l'escussione di 16 testi. Nel 1916 il processo rogatoriale di Spoleto arricchì la causa d'altri 24 testi. Ad Imola, ancora un processo rogatoriale che, protrattosi dal 1908 al 1916, raccolse le testimonianze d'altri 29 testi; infine quello di Napoli, dal 1907 al 1913, fu confortato dalla disponibilità di ben 91 testi. Nel complesso si trattò di 243 testimonianze "de visu vel de auditu a videntibus", tutte cioè di persone che avevano avuto rapporti col Servo di Dio o conservavano il ricordo di testimoni diretti, rilasciate da ecclesiastici e da non pochi laici, sull'attendibilità dei quali nessuna ombra è possibile sollevare.

    L'enorme materiale raccolto confluì quindi in una ponderosa Posido: ben 12 grossissimi volumi.

    Nel 1952 il patrono della causa, Mons. Giuseppe Stella, ne estrasse il Summarium: 1159 pagine che, esaminate in ogni loro particolare, portarono il 7 dicembre 1954 al decreto per l'introduzione della causa, cioè per la fase apostolica del processo.

    Questa fu celebrata dal 1955 al 1956 con 1'escussione d'altri 19 testi sulle virtù in grado eroico e sui "miracoli" di papa Mastai. Il postulatore d'allora, Mons. Alberto Canestri, pubblicò un ragguaglio di ben 133 "miracoli" attribuiti all'intercessione del Servo di Dio Papa Pio IX.

    Il 25 ottobre 1956 ci fu un altro dei previsti adempimenti: l'esumazione e il riconoscimento della salma. Tra i presenti si notarono il card. vicario Micara, il prefetto della Congregazione dei Riti card. Cicognani, il prefetto della Congregazione dei Religiosi card. Valeri, il postulatore Mons. Canestri ed altri prelati. Con manifesta gioia degli astanti, il venerato corpo fu trovato intatto ed il fatto fu rilevato anche dai rappresentanti della stampa quotidiana, li presenti. Il 23 novembre le sacre spoglie vennero nuovamente ricomposte nella tomba.

    La causa riprese il suo corso. Tre sedute (o congregazioni) dovevano esser dedicate all'esame delle virtù in grado eroico: l'antepreparatoria, la preparatoria e la generale. La prima si tenne il 2 ottobre 1962; la seconda il 28 maggio 1963; ma la terza tardò a riunirsi.

    Morto nel 1971 Mons. Canestri, il 31 maggio gli subentrò nell'incarico di postulatore Mons. Antonio Piolanti, già Rettor Magnifico della Pontificia Università Lateranense. La causa ne ebbe subito un nuovo impulso e nuova vitalità. Nel 1972 Mons. Piolanti fondò la rivista Pio IX, che avrebbe dato un contributo inestimabile, se pur indirettamente, alla causa in atto. Poco dopo, nel 1975, fece la sua comparsa il primo volume della collana Studi piani, fondata anch'essa e diretta dall'infaticabile Postulatore.

    Dopo che quattro cardinali (Pietro Parente, Sergio Guerri, Umberto Mozzoni e Pietro Palazzini) il 6 novembre 1973 inoltrarono una supplica al papa Paolo VI perché disponesse la ripresa della causa, il promotore generale della Fede P. Pérez Femandez, sollecitato ancora dai card. Palazzini e Parente, fece conoscere le 13 obiezioni emerse durante le sedute antepreparatoria e preparatoria; era il 15 aprile del 1974. La postulazione nominò allora un nuovo Patrono nella persona dello svizzero avv. Carlo Snider il quale, il 7 ottobre 1984, presentò una risposta esauriente ed ineccepibile, anche sul piano metodologico, ad ognuna delle 13 obiezioni.

    Poté aver luogo allora la terza congregazione, quella generale, che l'11 dicembre 1984 si pronunciò affermativamente sul quesito: "Se consti che il Servo di Dio Giovanni

    Maria Mastai Ferretti papa Pio IX abbia esercitato in grado eroico le virtù teologali della Fede, della Speranza e della Carità verso Dio e verso il prossimo; le virtù cardinali della Prudenza, della Giustizia, della Temperanza e della Fortezza; nonché le virtù con esse collegate". Avutane risposta affermativa, il Santo Padre Giovanni Paolo 2 ordinò allora il decreto sull'eroicità delle virtù che, firmato dal Card. Palazzini, prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, e da S. E. Mons. Traiano Crisan, segretario, fu reso di pubblica ragione il 6 luglio 1985. Da quel momento il Servo di Dio Pio IX era di fatto e di diritto insignito del titolo di "Venerabile".

    Non era ancora, però, "Beato". Le cose, tuttavia, se pur lentamente s'avviarono verso l'epilogo da tutti sperato. I1 15 gennaio 1986 la Consulta medica della Congregazione per le cause dei Santi attestò l'inspiegabilità naturale e scientifica della guarigione di Sr. Marie-Thérèse de St-Paul, carmelitana di Nantes, la quale si dichiarava miracolosamente (cioè d`improvviso, completamente, senza ricadute né uso di farmaci) guarita da grave malattia ossea.

    Quando tutto pareva ormai pronto, un nuovo sussulto di scrupolosità portò alla costituzione (nel 1987) d'una nuova speciale commissione di 7 membri, che avrebbero dovuto pronunziarsi sull'opportunità della beatificazione. Al termine della quarta seduta, la commissione passò alla votazione: 5 membri di essa furono per il si, uno per il si con riserva ed uno solo nettamente negativo. Bastò questo per bloccare di nuovo, se pur momentaneamente, la felice conclusione d'un iter quasi centenario.

    Finalmente il 21 dicembre 1999 papa Vojtyla promulgò il decreto sul miracolo di cui sopra e, successivamente, stabilì il giorno tanto atteso della beatificazione: il 3 settembre del 2000,1'anno del Grande Giubileo.

    Iter concluso? Come ho detto, quello della beatificazione ne apre un altro che si concluderà, a Dio piacendo, con la canonizzazione. Si può solo sperare che non duri quanto il precedente.

    Tratto da: GHERARDINI B., Pio IX. L'Uomo, il Maestro, il Santo, 2000.

    ----------------------------------------------------------------------------

    DECRETO SULLE VIRTU' EROICHE
    DEL SERVO DI DIO PIO IX


    6 luglio 1985

    Sulla DOMANDA

    se consta che Pio IX abbia praticato le Virtù Teologali della Fede, della Speranza, della Carità verso Dio e il prossimo, e inoltre le Virtù Cardinali della Prudenza, della Giustizia, della Temperanza e della Fortezza e di quelle ad esse annesse, in grado eroico, si risponde che il seguente DECRETO:

    1. - Pio IX fu veramente un Sommo Sacerdote

    "Il gran Sacerdote che durante la vita ha riparato l'edificio e nei suoi giorni ha fortificato il Tempio" (Sir 59,1).

    Questi encomi di Simone figlio di Osia convengono giustamente al Pontefice Pio IX che per tanti anni governò e resse la Chiesa di Cristo. Nel suo lungo Pontificato rifulsero parimenti fortezza e sapienza. Infatti per compiere il suo ufficio supremo non si risparmiò nessuna fatica, nessuna veglia; emise molti e importanti documenti, dotato di grande vigilanza onde proporre sempre la illuminata dottrina della divina verità.

    Inoltre molto operò e molto anche soffrì, sì che a lui veramente convengono le parole del Vangelo: "Il Buon Pastore dà la vita per le sue pecore". (Giov. 10,11).

    2. - L'elogio di Leone XIII

    Subito dopo la sua morte un elogio con parole molto giuste fu pronunziato da Leone XIII, suo immediato successore nella Cattedra di S. Pietro, nella sua prima allocuzione ai Cardinali. Egli, quasi oppresso dal grave peso del Pontificato che gli era stato conferito, così si espresse: "La debolezza delle nostre forze è profondamente impari a sopportare un incarico tanto grande, che invero avvertiamo anche più grande quanto più luminosa e celebre è la fama del Nostro predecessore Pio IX d'immortale memoria, diffusa in tutto il mondo.

    Quell'insigne reggitore del gregge cattolico combatté sempre con animo invitto per la verità e per la giustizia e colle sue grandi fatiche nel governare la cristianità adempì pienamente ai suoi doveri in maniera esemplare; non solo fece onore a questa Sede Apostolica con lo splendore delle sue virtù, ma colmò pure talmente tutta la Chiesa di amore e d'ammirazione per Lui, che, come egli superò tutti i Pontefici per la lunghezza del suo Pontificato, così forse riscosse più di tutti gli altri grandissime testimonianze di pubblico ossequio e venerazione". (Atti di Leone XII, vol. 1, pag. 37-38 - Allocuzione del 13 maggio 1878 ai Rev. Cardinali, nel Palazzo Vaticano).

    3. - Giovinezza di Pio IX

    Con queste profetiche parole, Leone XIII prevenne quasi la futura Causa di Beatificazione e Canonizzazione.

    Papa Pio IX nacque a Senigallia, nelle Marche, il 13 maggio 1792. Suo padre si chiamava Girolamo dei Conti Mastai-Ferretti; sua madre, Caterina Solazzi.

    Nello stesso giorno della nascita ricevette il Battesimo e nacque alla vita soprannaturale. Gli fu imposto il nome Giovanni-Maria. Fu educato fin dall'infanzia dalla piissima sua madre, dimostrò una tenera devozione al SS. Sacramento dell'Altare ed arse di soave amore per la Beatissima Vergine Maria. Perfezionò questa educazione religiosa con lo studio delle lettere, in cui fece grandi progressi, presso il Collegio S. Michele (detto dei Nobili) diretto dai Padri delle Scuola Pie, a Volterra, dall'ottobre 1803 all'ottobre 1809.

    Incline alla vocazione sacerdotale, ricevette la tonsura e fu accettato tra gli aspiranti al Sacerdozio. Ma fu colpito dal male della epilessia e - costretto ad interrompere gli studi - fu dimesso dal Collegio.

    Alquanto incerto sul suo futuro stato, fece un pellegrinaggio al Santuario della Beatissima Vergine di Loreto e ottenne gradualmente la grazia della guarigione.

    Con grazia personale del papa Pio VII allora regnante, compì a Roma gli studi filosofici e teologici e il 10 Aprile 1819 fu ordinato Sacerdote; fin dall'inizio fece il prossimo di rimanere al di fuori di ogni carriera prelatizia, desiderando solo di cercare la gloria di Dio e la salvezza delle anime.

    4. - Missione in Cile e vescovo

    Prima e dopo l'ordinazione sacerdotale si dedicò ad una profonda vita spirituale, attingendo abbondantemente l'ardore religioso non solo dalla preghiera e dagli esercizi spirituali, ma anche da pie conversazioni con sacerdoti e dalla adesione al Terzo Ordine Francescano.

    Ebbe fino all'anno 1823 l'incarico di Rettore dell'Ospizio detto in romanesco "Tata Giovanni" e conseguì intensi frutti nell'educazione cristiana degli orfani; in seguito intraprese il difficile viaggio verso l'America Meridionale come addetto della Nunziatura Apostolica guidata dall'Arcivescovo Giovanni Muzi, Visitatore Apostolico; si recò in Cile, sperando di rimanervi come missionario.

    - nel 1825, di ritorno da questo viaggio, fu eletto Preside dell'Ospizio Apostolico di S. Michele. Ma per breve tempo, giacché il Sommo Pontefice Leone XII, conoscendo a fondo le virtù e le esimie doti del Canonico Mastai-Ferretti, lo promosse alla Sede Arcivescovile di Spoleto. Ivi ben presto così rifulsero la sua diligenza e il suo zelo pastorale che dopo cinque anni - con gran dolore della Diocesi di Spoleto - fu trasferito nell'anno 1832, dal Sommo Pontefice Gregorio XVI al più difficile impegno di governare la Chiesa di Imola in Emilia.

    5 - Elezione a Sommo Pontefice

    Nel 1840 il medesimo Pontefice lo elesse nel Sacro Collegio dei Cardinali. Continuò il Suo ministero di Vescovo di Imola, suscitando col passare del tempo sempre più ammirazione.

    Non è perciò da meravigliarsi che alla morte di Gregorio XVI con un brevissimo Conclave egli sia stato eletto Papa, il 16 Giugno 1846, col plauso di tutto il mondo. In questo officio superò per la lunghezza del tempo tutti gli altri Romani Pontefici e non fu inferiore a nessuno di essi nelle virtù.

    La fama della santità di Pio IX non ebbe inizio soltanto dopo la sua elezione al Pontificato. Se si considera attentamente il suo zelo per le anime, la sua assoluta dedizione nell'educare i giovanetti più poveri e nello intraprendere il difficilissimo viaggio verso l'America coll'intenzione di rimanervi a fare il missionario, appare che nel suo animo c'era un'indole eroica. Infatti quando egli era a Genova e si accingeva a partire per le regioni dell'America, così scrisse di lui il Card. Luigi Lambruschini che lo conosceva bene: "Molte cose ha operato Dio in quel purissimo cuore e lo inonda di un profluvio di suprema carità". (Lettera del 2 aprile 1825 in Manzini - ll Card. Luigi Lambruschini - Edit. Vaticana, 1960- pag. 392).

    6. - La caduta del potere temporale

    Bisogna sinceramente riconoscere che i tempi in cui la Divina Provvidenza affidò a Pio IX la guida di tutta la Chiesa furono i più tempestosi fra tutti.

    Ma il Servo di Dio non solo pilotò con costanza la nave della Chiesa attraverso gl'irruenti marosi di quel secolo ma, allorché fu privata del potere temporale per violenza altrui, egli la configurò in una nuova e migliore forma apostolica. Infatti la Chiesa, spogliata del potere civile, divenne più sollecita delle cose di Dio e, sotto la guida del Papa, riuscì a consolidarsi nell'unità interna, mentre, animata di nuovo fervore, si innalzò talmente che, dal tempo di Pio IX fino ai nostri giorni, la Sede Apostolica non ha mai raggiunto un maggiore prestigio.

    Si può dire che Pio IX abbia instaurato il Pontificato moderno e con esito tanto felice da far apparire verifiche le profetiche parole di Cristo: "E le porte dell'inferno non prevarranno contro di lei". (Matteo, 16-18).

    7. - Prodigiosa operosità pastorale

    Riprodusse nella sua vita l'immagine del vero Pastore non solo custodendo e alimentando il gregge a lui affidato, ma aumentandolo grandemente. Nel corso degli anni del suo Pontificato ingrandì la Chiesa in modo mirabile. Oltre ad aver costituito il patriarcato Latino nella Santa Città di Gerusalemme, eresse 29 Sedi Metropolitane, fondò 133 Sedi Episcopali, 3 Prefetture Apostoliche e 3 Delegazioni Apostoliche. Nelle terre di Missione istituì 33 nuovi Vicariati Apostolici e 15 Prefetture; ricostituì la Sacra Gerarchia in Inghilterra ed in Olanda. Ebbe una cura speciale per le Missioni e diede ad esse un nuovo impulso, specialmente in America Latina.

    Donò il primo Cardinale all'America Settentrionale favorì le tradizioni e i riti della Chiesa Orientale. E manifestò segno del suo favore verso di essa fu la Canonizzazione di San Giosafat Vescovo e Martire.

    Pose le prime basi della Congregazione per le Chiese Orientali istituendo la Sezione autonoma per gli Orientali nella Sacra Congregazione di Propaganda Fide. Ebbe la massima cura per una conveniente preparazione e formazione spirituale e intellettuale del Clero. Fondò moltissimi Seminari, sia a Roma, sia in tutto il mondo. Fra questi bisogna ricordare il SEMINARIO PIO, costruito a sue spese. Parimenti ebbe la massima cura della vita religiosa. Innumerevoli nuove istituzioni trovarono in Pio IX non solo un fautore, ma quasi un autore, tanto che, ad esempio la Società Salesiana di S. Giovanni Bosco riconosce il Servo di Dio Pio IX come secondo fondatore. Rinnovò gli Istituti e gli Ordini Religiosi più antichi e sembrò quasi avere infuso in essi nuova vita.

    8. - Difesa di popoli oppressi

    Difese i popoli oppressi, come ad esempio i Polacchi, con grande coraggio, nei discorsi e nelle azioni. Proclamò con energia i diritti e la libertà della Chiesa non per ambizione, nè per desiderio di dominio, ma soltanto per rimuovere gli ostacoli che impedivano la piena potestà e libertà del Sommo Pontefice (cfr: Leone XIII, Atti, vol. 1, Lettera Enciclica "Inscrutabili Dei Consiglio - 12 maggio 1878, PP. 51-52).

    9. - Atti di supremo magistero

    L'opera più importante del Servo di Dio Pio IX è però il Concilio Vaticano I, che gettò le fondamenta dell'Ecclesiologia, portata poi a perfezione dal Concilio Vaticano II, per mezzo del Primato e del magistero infallibile del Romano Pontefice (cfr. Concilio Vaticano II "Lumen Gentium", III, 18).

    Un altro merito del Servo di Dio Pio IX, per il quale non c'è lode adeguata, è la solenne definizione del dogma dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, che commosse e allietò intensamente tutta la Chiesa e favorì vivamente la pietà cattolica. La devozione Mariana infatti porta con se necessariamente la devozione verso Gesù Eucaristia: ogni Santuario Mariano è sempre stato anche un centro di culto dell'Eucaristia.

    Nè è da dimenticare il fatto che Pio IX ha dichiarato S. Giuseppe Patrono Universale della Chiesa. Fra l'esultanza di tutto il popolo di Dio; ne derivò un grande aumento della devozione cristiana.

    Bisogna aggiungere che questo piissimo Pontefice onorò con la corona dei Santi innumerevoli seguaci di Cristo che si erano distinti per la virtù della loro vita, e conferì il grande titolo di Dottore della Chiesa a tre illustri Vescovi, quali S. Ilario di Poitiers, S. Francesco di Sales e S. Alfonso de' Liguori.

    10. - Azione Cattolica e rinnovamento degli studi

    Sono da ricordare infine tre cose che dimostrano il suo ardente zelo per il progresso della Chiesa nei nostri tempi: la fondazione cioè dell'Azione Cattolica, il vigore con il quale promosse le Leghe Cattoliche degli Operai, il rinnovamento e il riordinamento degli studi ecclesiastici per una maggiore formazione del Clero sulle orme di S. Tommaso; scelta che i suoi Successori ampliarono più diffusamente.

    11. - Pio IX "Uomo di Dio"

    La fonte però di tutte queste opere di Pio IX sta nella sua ardente vita spirituale. Difatti, fin dall'inizio del suo sacerdozio si era proposto: "Tutto il mio operare in Dio, con Dio e per Iddio".

    Tutto ciò che fece ed insegnò deve dunque essere esaminato solamente tenendo conto di questo principio e tutto deve essere giudicato con questo criterio. Se qualcuno, sia pur senza volerlo fare di proposito, dimentica questa sua intenzione fondamentale e la separa dalla sua attività, proferisce un giudizio riduttivo ed erroneo.

    Come Sacerdote, come Vescovo e come Sommo Pontefice il Servo di Dio, senza interruzione e in modo continuo, apparve e fu veramente "UOMO di DIO"; uomo di preghiera assidua, senz'altro desiderio che la gloria di Dio il bene della Chiesa e la salvezza delle anime; e non cercava niente altro se non compiere in tutte le cose la volontà di Dio e a quella aderiva con tutta l'anima, per quanto grandi fossero le sofferenze che doveva sopportare. Questo solo fu sempre la regola principale della sua vita e della sua attività pastorale.

    Mirando solo a questo, egli cercò di risolvere problemi talvolta difficilissimi che nel più alto ministero pastorale non raramente fu costretto ad affrontare:

    "NON VOGLIO SCOSTARMI UN APICE DALLA DIVINA VOLONTA"' (A. Serafini - Pio IX - Vaticano 1958, pag. 1682).

    Proprio perché volle aderire alla volontà di Dio accettò per obbedienza l'Episcopato, sebbene con animo trepidante; e con timore e tremore si assoggettò al peso del Sommo Pontificato. Nella totale adesione alla divina volontà sopportò sempre con animo forte le più gravi aggressioni contro la Sede Apostolica. Sempre camminando sotto lo sguardo di Dio, come se lo vedesse coi propri occhi, trovò nella preghiera un sostegno in tutte le difficoltà e i dolori che veramente trasformarono il suo lungo pontificato in una lunga Via Crucis.

    12. - Profonda devozione alla Madonna SS.

    La devozione alla Madonna in certo modo si deve considerare la principale caratteristica della spiritualità del Servo di Dio Pio IX; e questa non fu altro che una via più facile a Cristo. Egli era solito accostarsi al Sacro Cuore di Gesù per mezzo di Maria, nell'augusto Sacramento dell'Eucaristia, adorando il quale era solito trascorrere non breve tempo, ora nella Cappella privata, ora in luogo pubblico quando gli era possibile.

    Questa devozione alla beata Vergine Maria ebbe da lui la più grande manifestazione nel 1854 quando definì solennemente la verità dell'Immacolata Concezione dinanzi a moltissimi Vescovi convenuti a Roma da ogni parte del mondo; la stessa Beatissima Vergine, come scendesse luminosamente dal cielo, confermò maternamente questa definizione, quando nella sua apparizione a Lourdes in Francia disse: "IO SONO L'IMMACOLATA CONCEZIONE".

    13. - Carità animatrice della religiosità cristiana

    La devozione nasce dalla fede e riconduce alla fede la quale opera per mezzo della carità. Quando più la carità è grande, tanto più è operosa. "L'amore verso Dio non è ozioso. Se c'è fa grandi cose. Se rifiuta di operare, non è amore. La testimonianza dell'agire infatti è la prova dell'amore". (San Tommaso - Sull'epistola agli Ebrei - lett. 12 - Ed. CAI num. 211).

    Dalla carità verso Dio e verso il prossimo ha origine tutta la operosità di Pio IX. Dalla carità gli venne la fortezza, per mezzo della quale sostenne tutte le avversità con animo sereno, tanto che il suo buon umore rimase proverbiale.

    Poiché egli era il Sommo Pontefice, la sua vita spirituale si trasfuse nel popolo cristiano per mezzo delle sue parole e delle due azioni. Gli storici specializzati non esitano a dire che sotto il regno di Pio IX il popolo cristiano aveva riscoperto lo stesso Cristo come centro di tutta la spiritualità cattolica. (Cfr. Aubert-Martina - ll Pontificato di Pio IX, vol. II, pag. 714).

    Dato a Cristo il posto principale e alla Vergine il compito di guida e ausiliatrice, egli rinnovò dalle fondamenta la religiosità dei cattolici, sì da farla rifiorire. Questa restaurazione interna rinforzò nel contempo la coesione della Chiesa sì da renderla pronta ad affrontare i nuovi difficilissimi tempi.

    Perciò al Servo di Dio Pio IX convengono chiaramente e pienamente le parole del Signore: "Dice Gesù a Simon Pietro: Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Gli risponde: Sì, Signore, tu lo sai che ti amo. Gli dice: Pasci le mie pecore". (Giovanni 21,15 e segg.).

    14. - Fama di Santità in vita e dopo morte

    La sua fama di santità che era già universalmente riconosciuta quando ancora era in vita, fu conclamata apertamente anche da Santi oggi canonizzati.

    La sua morte, il 7 febbraio 1878, fu considerata dalla Chiesa come la morte di un Santo. Dopo la sua morte, la fama della sua santità e dei suoi miracoli si è conservata integra ed anzi è aumentata sempre, come risulta soprattutto in lettere si può dire numerosissime, inviate a Leone XIII e ai suoi Successori, nelle quali la canonizzazione di questo Pontefice "angelico" veniva insistentemente richiesta da Vescovi della Chiesa e da fedeli.

    15. - Inizio della Causa di Beatificazione

    San Pio X diede inizio alla Causa di Beatificazione e autorizzò l'inizio dei processi diocesani a Roma. Spoleto Senigallia, Imola e Napoli. In essi furono interrogati 243 testimoni.

    I1 7 dicembre 1954, poi, su istanza del Rev.mo Mons. Alberto Canestri, Postulatore della Causa, osservate le prescrizioni canoniche su tale materia, il Papa Pio XII firmò di propria mano, come di norma, la istituzione della Commissione per la introduzione della Causa di Beatificazione.

    Concluso il Processo Apostolico, il 28 giugno 1956 fu fatta l'esumazione del Servo di Dio il 23 settembre 1956, nella Basilica Patriarcale di San Lorenzo fuori le Mura dove il corpo incorrotto del grande Pontefice si osserva in un sepolcro artisticamente ornato.

    16. - Esame sulle sue virtù Teologali e Cardinali

    Tutto ciò compiuto secondo le norme canoniche si iniziarono presso la Sacra Congregazione dei Riti: I'esame e la discussione delle virtù teologali e cardinali e quelle ad esse collegate, del medesimo Servo di Dio Papa Pio IX; dapprima, il 2 ottobre 1962 nella Congregazione detta "Antepreparatoria" poi il 28 maggio 1963, nella Congregazione detta "Preparatoria" avendo come "Ponente" l'Eminentissimo card. Benedetto Aloisi Masella.

    Fu presentata poi la relazione al Sommo Pontefice Paolo VI il 6 luglio dello stesso anno e Sua Santità decretò benignamente che si dovesse procedere ad ulteriori passi.

    Ad istanza del Rev.mo Mons. Antonio Piolanti, attivissimo nuovo Postolatore della Causa, 1'11 dicembre 1984 si tenne la Congregazione Ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi che - relatore il Card. Francesco Carpino - diedero il voto affermativo sul seguente dubbio: "Se consti delle virtù teologali, Fede, Speranza e Carità, sia verso Dio, sia verso il prossimo, nonché delle virtù cardinali, Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortezza e di quelle ad esse connesse del Servo di Dio Papa Pio IX, esercitate in grado eroico, per lo scopo di cui si tratta nella presente Causa".

    17. - Decreto sulla eroicità delle Sue virtù

    Fatta una fedele relazione di tutte queste cose al Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, Sua Santità accolse i voti dei Padre Cardinali e Vescovi e ordinò che si preparasse il decreto sulle Virtù.

    Fatto questo secondo il consueto rito canonico e convocati oggi i Cardinali e il sottoscritto Prefetto, nonché il Cardinale "Ponente" della Causa e me, Vescovo Segretario, e gli altri che si devono convocare secondo l'uso, il Beatissimo Padre dichiarò: "Consta delle Virtù teologali, Fede, Speranza e Carità sia verso Dio che verso il prossimo, nonché delle Virtù cardinali, Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortezza e di quelle ad esse collegate, del Servo di Dio Papa Pio IX, esercitate in grado eroico per lo scopo di cui si tratta".

    Ingiunse inoltre che questo Decreto diventasse di pubblica ragione e fosse trascritto negli Atti della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi.

    Roma, 6 luglio 1985

    Card. Pietro Palazzini, Prefetto

    † Traiano Crisan, Segretario

    Arcivescovo di Divresto (Dalmazia)

    *********

    MIRACOLO PROPOSTO PER
    LA BEATIFICAZIONE DI PIO IX
    ROMANA
    CANONIZATIONIS
    Ven. Servi dei
    PII PAPAE IX
    Summi Pontificis
    (1792-1878)


    ***
    RELAZIONE sulla Seduta della Consulta Medica della S.C. per le Cause dei Santi del 15 gennaio 1986 sul caso clinico proposto per la Beatificazione del suddetto Ven. Servo di Dio.

    Il 15.1.1986, alle ore 8,30, nella sala del Congresso della S.C. per la Cause dei Santi, si è riunita la Consulta Medica per l'esame della guarigione di Suor Marie-Thérèse de St-Paul.

    La seduta si è tenuta alla presenza del Rev.mo Mons. Fabiano Veraja, Sottosegretario della S. Congregazione e del Rev.mo Mons. Antonio Petti, Promotore Generale della Fede.

    La Consulta Medica era composta dal Presidente, Prof. Raffaello Cortesini-Finali e dai componenti Dott. Antonio Bonatti, Prof. Dante Costanzo, Prof. Franco De Rosa, Prof. Francesco Santori.

    Segretario il Dott. Marcello Meschini.

    ... Omissis ...

    La lunga relazione sulla Consulta Medica espone innanzitutto lo stato di salute della suora di 37 anni con sintomatologia dolorosa durata 11 anni a causa di frattura di rotula con notevole diastasi dei frammenti "ab initio" con pseudoartrosi; sono inoltre espressi i pareri medico-legali e degli altri componenti della Consulta Medica; dopo la discussione collegiale viene proposta la definizione conclusiva che riportiamo testualmente:

    Prognosi: "Riservata quoad valetudinem" (5 su 5).

    Terapia: "Inadeguata per mancata effettuazione di terapia ortopedica chirurgica e per insufficiente immobilizzazione" (5 su 5).

    Modalità di guarigione: "Scomparsa dei dolori e miglioramento, della funzionalità dell'arto verificatisi improvvisamente dopo circa undici anni di persistenza della sintomatologia dolorifico-funzionale. Guarigione rapida, completa e duratura, non spiegabile secondo le attuali conoscenze mediche" (5 su 5).

    Il Segretario
    Dott. Marcello Meschini
    N. 348/113

    Romae, die 4-Feb.-1986

    Il Presidente
    Prof. Raffaello Cortesini-Finali
    REVISA Fabianus Veraja Subsecret.

    La relazione della Consulta Medica è stata approvata dal Collegio dei Teologi (Congressus Peculiaris) incaricato dalla Congregazione della Causa dei Santi il 9 maggio 1986.

    In data 20 dicembre 1999 il miracolo attribuito a Pio IX: è stato promulgato con Decreto della Congregazione della Causa dei Santi ed approvato dal Santo Padre Giovanni Paolo II.

    Con questo provvedimento la Causa di Beatificazione di Pio lX è completa e il giorno della sua Beatificazione fu fissato per il 3 Settembre 2000.

    Tratto da FARAONI V., MENCUCCI A., "Vita del Venerabile PIO IX", Foggia, 2000, pp. 132-144.

    --------------------------------------------------------------------------

    Il Vescovo Diocesano di Senigallia S.E. Mons. Giuseppe Orlandoni, avuta notizia della prossima beatificazione di Papa PIO IX, così ne dava comunicazione al clero ed ai fedeli della Città e della Diocesi:

    La Diocesi di Senigallia accoglie con profonda gioia e gratitudine l'annuncio ufficiale che Papa Pio IX sarà proclamato Beato, domenica 3 settembre 2000, dal Santo Padre Giovanni Paolo II, in Piazza San Pietro a Roma.

    L'annuncio è stato dato a Roma, lunedì 7 febbraio, nel corso di una solenne Concelebrazione eucaristica nella Basilica di San Lorenzo, in occasione del 122 anniversario della morte del Papa senigalliese. Alla celebrazione hanno partecipato Cardinali, Vescovi, sacerdoti e fedeli laici.

    La Diocesi di Senigallia era presente con il Vescovo Mons. Giuseppe Orlandoni, il Vescovo Emerito Mons. Odo Fusi Pecci e il Vescovo Emerito della Diocesi di Fano, Fossombrone, Cagli, Pergola Mons. Mario Cecchini, alcuni sacerdoti, una rappresentanza dell'Opera Pia "Mastai Ferretti" guidata dal Presidente Luciano Verzolini e un folto gruppo di fedeli.

    La beatificazione di un figlio di questa terra, il primo Pontefice marchigiano ad essere elevato agli onori degli altari, riempie di gioia il cuore dei credenti, che vedono in lui un intercessore e un modello di santità.

    La comunità cristiana si raccoglie in preghiera per elevare al Signore un inno di lode e di ringraziamento per il dono che Egli fa alla Chiesa di un nuovo Beato.

    La gratitudine della Diocesi si estende alla Congregazione delle Cause dei Santi, alla Postulazione della Causa del Servo di Dio Giovanni Maria Mastai Ferretti e a tutti coloro che hanno contribuito a mettere in luce la figura e la santità di vita di Pio IX.

    Mentre ci si prepara al fausto giorno della Beatificazione, la Chiesa di Senigallia, anche riconoscente per le numerose opere benefiche istituite da Papa Mastai a favore della sua città natale e diocesi, invita tutti i suoi figli e i cittadini a onorare il nostro grande Pontefice e concittadino con preghiere e con la più approfondita conoscenza, attraverso la documentata ricerca storica, della sua eccezionale personalità.

    Senigallia, 8 febbraio 2000

    Giuseppe Orlandoni
    Vescovo

    Fonte: PIO IX

  7. #7
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Quanta cura e Sillabo

    Con quanta cura e pastorale vigilanza i Romani Pontefici Predecessori Nostri, eseguendo l’ufficio loro affidato dallo stesso Cristo Signore nella persona del Beatissimo Pietro, Principe degli Apostoli, e l’incarico di pascere gli agnelli e le pecore, non abbiano mai tralasciato di nutrire diligentemente tutto il gregge del Signore con le parole della fede, di educarlo con la salutare dottrina e di rimuoverlo dai pascoli velenosi, a tutti ed a Voi in particolare, Venerabili Fratelli, è chiaro e manifesto. Invero i predetti Nostri Predecessori dell’augusta Religione cattolica – difensori e garanti della verità e della giustizia, sommamente solleciti della salute delle anime – non ebbero a cuore niente di più che individuare e condannare, con le loro sapientissime Lettere e Costituzioni, tutte le eresie e gli errori i quali, avversando la divina nostra fede, la dottrina della Chiesa cattolica, l’onestà dei costumi e l’eterna salute degli uomini, spesso suscitarono gravi tempeste e funestarono in modo devastante la cristiana e la civile repubblica. Pertanto i suddetti Nostri Predecessori con apostolica forza continuamente resistettero alle nefande macchinazioni di uomini iniqui che, schizzando come i flutti di procelloso mare la spuma delle loro fallacie e promettendo libertà mentre sono schiavi della corruzione, con le loro opinioni ingannevoli e con i loro scritti perniciosissimi si sono sforzati di demolire le fondamenta della Religione cattolica e della società civile, di levare di mezzo ogni virtù e giustizia, di depravare gli animi e le menti di tutti, di sviare dalla retta disciplina dei costumi gl’incauti, e principalmente la gioventù impreparata, e di corromperla miseramente, di imprigionarla nei lacci degli errori e infine di strapparla dal seno della Chiesa cattolica.

    Intanto, come a Voi, Venerabili Fratelli, è ben noto, poiché per un’arcana decisione della divina provvidenza, non certo per qualche Nostro merito, fummo innalzati a questa Cattedra di Pietro, vedendo Noi con estremo dolore del Nostro animo l’orribile procella sollevata da tante prave opinioni e i gravissimi, e non mai abbastanza lacrimabili danni che da tanti errori ridondano sul popolo cristiano, per dovere del Nostro Apostolico Ministero, seguendo le vestigia illustri dei Nostri Predecessori, alzammo la Nostra voce e con parecchie Lettere Encicliche divulgate per mezzo della stampa, con le Allocuzioni tenute nel Concistoro e con altre Lettere Apostoliche condannammo i principali errori della tristissima età nostra, e stimolammo la Vostra esimia vigilanza episcopale, ammonimmo con ogni Nostro potere ed esortammo tutti i figli della Chiesa cattolica a Noi carissimi che avessero in sommo abominio l’infezione di una peste così crudele e la fuggissero. Specialmente poi con la Nostra prima Lettera Enciclica del 9 novembre 1846 e con due Allocuzioni (delle quali una fu tenuta da Noi nel Concistoro del 9 dicembre 1854, e l’altra in quello del 9 giugno 1862) condannammo le mostruose enormità delle opinioni che segnatamente dominano in questa nostra età, con grandissimo danno delle anime e con detrimento della stessa civile società, le quali non solo avversano la Chiesa cattolica, la sua salutare dottrina e i suoi venerandi diritti, ma altresì la sempiterna legge naturale scolpita da Dio nei cuori di tutti e la retta ragione; da tali opinioni traggono origine quasi tutti gli altri errori.

    Ma quantunque non abbiamo omesso di bandire spesso e di riprovare i più capitali errori di tal fatta, nondimeno la causa della Chiesa cattolica, la salute delle anime a Noi divinamente affidate e il bene della stessa società umana richiedono assolutamente che di nuovo eccitiamo la Vostra pastorale sollecitudine a sconfiggere altre prave opinioni, che scaturiscono dai predetti errori come da fonte. Tali false e perverse opinioni tanto più sono da detestare, in quanto mirano in special modo a far sì che sia impedita e rimossa quella salutare forza che la Chiesa cattolica, per istituzione e mandato del suo divino Autore, deve liberamente esercitare fino alla consumazione dei tempi, sia verso i singoli uomini, sia verso le nazioni, i popoli e i supremi loro Principi: esse operano affinché sia tolta di mezzo quella mutua società e concordia fra il Sacerdozio e l’Impero, che sempre riuscirono fauste e salutari alle cose sia sacre, sia civili . Infatti Voi sapete molto bene, Venerabili Fratelli, che in questo tempo si trovano non pochi i quali, applicando al civile consorzio l’empio ed assurdo principio del naturalismo (come lo chiamano) osano insegnare che "l’ottima regione della pubblica società e il civile progresso richiedono che la società umana si costituisca e si governi senza avere alcun riguardo per la religione, come se questa non esistesse o almeno senza fare alcuna differenza tra la vera e le false religioni". Contro la dottrina delle sacre Lettere della Chiesa e dei Santi Padri, non dubitano di affermare "essere ottima la condizione della società nella quale non si riconosce nell’Impero il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della Religione cattolica, se non in quanto lo chieda la pubblica pace". Con tale idea di governo sociale, assolutamente falsa, non temono di caldeggiare l’opinione sommamente dannosa per la Chiesa cattolica e per la salute delle anime, dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di venerata memoria chiamata delirio , cioè "la libertà di coscienza e dei culti essere un diritto proprio di ciascun uomo che si deve proclamare e stabilire per legge in ogni ben ordinata società ed i cittadini avere diritto ad una totale libertà che non deve essere ristretta da nessuna autorità ecclesiastica o civile, in forza della quale possano palesemente e pubblicamente manifestare e dichiarare i loro concetti, quali che siano, sia con la parola, sia con la stampa, sia in altra maniera". E mentre affermano ciò temerariamente, non pensano e non considerano che essi predicano "la libertà della perdizione" , e che "se in nome delle umane convinzioni sia sempre libero il diritto di disputare, non potranno mai mancare coloro che osano resistere alla verità e confidano nella loquacità della sapienza umana, mentre la fede e la sapienza cristiane debbono evitare questa nociva vanità, in linea con la stessa istituzione del Signor Nostro Gesù Cristo" .

    E poiché nei luoghi nei quali la religione è stata rimossa dalla società civile o nei quali la dottrina e l’autorità della rivelazione divina sono state ripudiate, anche lo stesso autentico concetto della giustizia e del diritto umano si copre di tenebre e si perde, ed in luogo della giustizia vera e del diritto legittimo si sostituisce la forza materiale, quindi si fa chiaro il perché alcuni, spregiando completamente e nulla valutando i principi certissimi della sana ragione, ardiscono proclamare che "la volontà del popolo manifestata attraverso l’opinione pubblica (come essi dicono) o in altro modo costituisce una sovrana legge, sciolta da qualunque diritto divino ed umano, e nell’ordine Politico i fatti consumati, per ciò stesso che sono consumati, hanno forza di diritto". Ma chi non vede e non sente pienamente che una società di uomini sciolta dai vincoli della religione e della vera giustizia non può avere altro proposito fuorché lo scopo di acquisire e di accumulare ricchezze, e non può seguire nelle sue operazioni altra legge fuorché un’indomita cupidigia di servire alle proprie voluttà e comodità? Conseguentemente questi uomini, con odio veramente acerbo, perseguitano le Famiglie Religiose, quantunque sommamente benemerite della cosa cristiana, civile e letteraria, e vanno dicendo che esse non hanno alcuna ragione di esistere, e con ciò applaudono le idee degli eretici. Infatti, come sapientissimamente insegnava Pio VI, Nostro Predecessore di venerata memoria, "l’abolizione dei regolari lede lo stato di pubblica professione dei consigli evangelici, lede una maniera di vita raccomandata nella Chiesa come consentanea alla dottrina Apostolica, lede gli stessi insigni fondatori che veneriamo sopra gli altari, i quali non ispirati che da Dio istituirono queste società" . Ed affermano altresì empiamente doversi togliere ai cittadini e alla Chiesa la facoltà "di potere pubblicamente erogare elemosine per motivo di cristiana carità", e doversi abolire la legge "che per ragione del culto divino proibisce le opere servili in certi determinati giorni" con il fallace pretesto che quella facoltà e quella legge contrastano con i principi della migliore economia pubblica. Né contenti di allontanare la religione dalla pubblica società, vogliono rimuoverla anche dalle famiglie private. Infatti, insegnando e professando il funestissimo errore del Comunismo e del Socialismo dicono che "la società domestica, cioè la famiglia, riceve dal solo diritto civile ogni ragione della propria esistenza, e che pertanto dalla sola legge civile procedono e dipendono tutti i diritti dei genitori sui figli, principalmente quello di curare la loro istruzione e la loro educazione". Con tali empie opinioni e macchinazioni codesti fallacissimi uomini intendono soprattutto eliminare dalla istruzione e dalla educazione la dottrina salutare e la forza della Chiesa cattolica, affinché i teneri e sensibili animi dei giovani vengano miseramente infettati e depravati da ogni sorta di errori perniciosi e di vizi. Infatti, tutti coloro che si sono sforzati di turbare le cose sacre e le civili, e sovvertire il retto ordine della società e cancellare tutti i diritti divini ed umani, rivolsero sempre i loro disegni, studi e tentativi ad ingannare specialmente e a corrompere l’improvvida gioventù, come sopra accennammo, e nella corruzione della medesima riposero ogni loro speranza. Pertanto non cessano mai con modi totalmente nefandi di vessare l’uno e l’altro Clero da cui, come viene splendidamente attestato dai certissimi monumenti della storia, tanti grandi vantaggi derivarono alla cristiana, civile e letteraria repubblica; e vanno dicendo che "il Clero, come nemico del vero ed utile progresso della scienza e della civiltà, deve essere rimosso da ogni ingerenza ed ufficio nella istruzione e nella educazione dei giovani".

    Altri poi, rinnovando le prave e tante volte condannate affermazioni dei novatori, ardiscono con rilevante impudenza sottomettere all’arbitrio dell’autorità civile la suprema autorità della Chiesa e di questa Sede Apostolica, ad essa affidata da Cristo Signore, e di negare alla Chiesa e alla Sede Apostolica tutti i diritti che a loro appartengono intorno alle cose che si riferiscono all’ordine esterno. Infatti costoro non si vergognano di affermare che "le leggi della Chiesa non obbligano in coscienza se non quando vengono promulgate dal potere civile; che gli atti e i decreti dei Romani Pontefici relativi alla Religione e alla Chiesa hanno bisogno della sanzione e dell’approvazione, o almeno dell’assenso, del Potere civile; che le Costituzioni Apostoliche con le quali sono condannate le associazioni clandestine, sia che in esse si esiga, sia che non si esiga il giuramento di mantenere il segreto, e con le quali sono fulminati di anatema i loro seguaci e fautori, non hanno vigore in quelle contrade dove siffatte associazioni sono tollerate dal governo civile; che la scomunica inflitta dal Concilio di Trento e dai Romani Pontefici a coloro i quali invadono ed usurpano i diritti e i beni della Chiesa si appoggia alla confusione dell’ordine spirituale col civile e politico, per promuovere il solo bene mondano; che la Chiesa non deve decretare nulla che possa costringere le coscienze dei fedeli in ordine all’uso delle cose temporali; che alla Chiesa non compete il diritto di reprimere con pene temporali i violatori delle sue leggi; che sia conforme alla sacra teologia ed ai principi del diritto pubblico attribuire e rivendicare al governo civile la proprietà dei beni posseduti dalle Chiese, dalle Famiglie Religiose e dagli altri luoghi pii".

    Né arrossiscono di professare apertamente e pubblicamente le parole e i principi degli eretici, da cui nascono tante perverse sentenze ed errori. Essi ripetono che "la potestà ecclesiastica non è per diritto divino distinta ed indipendente dalla potestà civile, e che questa distinzione e questa indipendenza non possono essere mantenute senza che da parte della Chiesa non si usurpino i diritti essenziali della potestà civile". Né possiamo passare sotto silenzio l’audacia di coloro che, intolleranti della sana dottrina, pretendono "che si possa, senza peccato e pregiudizio della professione cattolica, negare l’assenso e l’obbedienza a quei decreti e a quelle disposizioni della Sede Apostolica che hanno per oggetto il bene generale della Chiesa, i suoi diritti e la sua disciplina, purché essi non tocchino i dogmi della fede e dei costumi". Quanto ciò grandemente contrasti con il dogma cattolico della piena potestà del Romano Pontefice, divinamente conferitagli dallo stesso Cristo Signore in ordine a pascere, reggere e governare la Chiesa universale, non è chi apertamente e chiaramente non vegga ed intenda. Noi dunque, in tanta perversità di depravate opinioni, ben memori del Nostro apostolico ufficio e massimamente solleciti della santissima nostra religione, della sana dottrina e della salute delle anime affidateci da Dio, e del bene della stessa società umana, abbiamo ritenuto di dovere nuovamente elevare la Nostra apostolica voce. Pertanto, tutte e singole le prave opinioni e dottrine espresse nominatamente in questa Lettera, con la Nostra autorità apostolica riproviamo, proscriviamo e condanniamo; e vogliamo e comandiamo che esse siano da tutti i figli della Chiesa cattolica tenute per riprovate, proscritte e condannate.

    Ma, oltre a queste, Voi ben sapete, Venerabili Fratelli, che nel presente tempo altre empie dottrine d’ogni genere vengono disseminate dai nemici di ogni verità e giustizia con pestiferi libri, libelli e giornali sparsi per tutto il mondo, con i quali essi illudono i popoli e maliziosamente mentiscono. Né ignorate come anche in questa nostra età si trovino alcuni che, mossi ed incitati dallo spirito di Satana, pervennero a tanta empietà da non paventare di negare con scellerata impudenza lo stesso Dominatore e Signore Nostro Gesù Cristo ed impugnare la sua Divinità. E qui non possiamo astenerci dall’elogiare con massime e meritate lodi Voi, Venerabili Fratelli, che in nessun modo tralasciaste di elevare con tutto zelo la Vostra voce episcopale contro tanta nequizia.

    Pertanto, con questa Nostra Lettera riprendiamo con tanto affetto il discorso con Voi che, chiamati a partecipare della Nostra sollecitudine, Ci siete di sommo conforto, letizia e consolazione in mezzo alle gravissime Nostre angosce, per l’egregia religione e pietà per cui Vi siete segnalati, e per quel meraviglioso amore, per la fedeltà e per l’osservanza con cui, stretti a Noi ed a quest’Apostolica Sede con cuori concordi, Vi sforzate di adempiere strenuamente e diligentemente al Vostro gravissimo ministero episcopale. In verità, dall’esimio Vostro zelo pastorale Ci aspettiamo che, impugnando la spada dello spirito, che è la parola di Dio, e confortati nella grazia del Signore Nostro Gesù Cristo, vogliate con rinforzate cure ogni giorno più provvedere a che i fedeli affidati alla Vostra sollecitudine "si astengano dalle erbe nocive che Gesù Cristo non coltiva perché non sono piantagione del Padre" . Né mancate d’inculcare sempre agli stessi fedeli che ogni vera felicità ridonda negli uomini dall’augusta nostra religione, dalla sua dottrina e dalla sua pratica: è beato quel popolo il cui Signore è il suo Dio (Sal 144,15). Insegnate "che sul fondamento della fede cattolica restano saldi i regni , e nulla è così mortifero, così vicino al precipizio, così esposto a tutti i pericoli, come il credere che ci possa bastare di aver ricevuto, quando nascemmo, il libero arbitrio, e non occorra domandare più altro al Signore: questo è dimenticare il nostro creatore e rinnegare, per mostrarci liberi, la sua potenza" . Né trascurate parimenti d’insegnare "che la reale potestà non fu data solamente per il governo del mondo, bensì soprattutto per il presidio della Chiesa , e nulla vi è che ai Principi e ai Re possa recare maggior profitto e gloria quanto, come un altro sapientissimo e fortissimo Nostro Predecessore, San Felice, inculcava a Zenone imperatore: lasciare che la Chiesa cattolica... si serva delle sue leggi, e non permettere che alcuno si opponga alla sua libertà... Giacché è certo che sarà loro utile che, quando si tratta della causa di Dio, si studino, secondo la Sua legge, non di anteporre ma di sottoporre la regia volontà ai Sacerdoti di Cristo" .

    Ma se fu sempre necessario, Venerabili Fratelli, ora specialmente, in mezzo a così grandi calamità della Chiesa e della società civile, in tanta cospirazione di avversari contro il cattolicesimo e questa Sede Apostolica, e fra così gran cumulo di errori, è assolutamente indispensabile che ricorriamo con fiducia al trono della grazia per ottenere misericordia e trovare benevolenza nell’aiuto opportuno. Perciò abbiamo ritenuto giusto eccitare la devozione di tutti i fedeli affinché, insieme con Noi e con Voi, con fervidissime ed umilissime preci preghino e supplichino incessantemente il clementissimo Padre della luce e delle misericordie; nella pienezza della fede ricorrano sempre al Signore Nostro Gesù Cristo, che ci redense a Dio nel Sangue Suo; e caldamente e continuamente implorino il Suo dolcissimo Cuore, vittima della Sua ardentissima carità verso di noi, perché coi vincoli del Suo amore attiri tutto a se stesso, e tutti gli uomini, infiammati del Suo santissimo amore, camminino rettamente secondo il Cuore Suo, in tutto piacendo a Dio e fruttificando in ogni opera buona. Ed essendo, senza dubbio, più gradite a Dio le preghiere degli uomini se questi ricorrono a Lui con l’animo mondo da ogni macchia, perciò abbiamo creduto giusto aprire con apostolica liberalità i celesti tesori della Chiesa affidati alla Nostra dispensazione, perché gli stessi fedeli più intensamente accesi alla vera pietà e lavati dalle macchie dei peccati nel Sacramento della Penitenza, con maggiore fiducia volgano a Dio le loro preghiere e conseguano la Sua grazia e la Sua misericordia.

    Dunque con questa Lettera, con la Nostra autorità Apostolica, a tutti e ai singoli fedeli del mondo cattolico di ambo i sessi concediamo l’Indulgenza Plenaria in forma di Giubileo per il periodo solamente di un mese, fino a tutto il prossimo anno 1865, e non oltre, da stabilirsi da Voi, Venerabili Fratelli, e dagli altri legittimi Ordinari, nello stesso modo e forma in cui all’inizio del sommo Nostro Pontificato lo concedemmo con l’apostolica Nostra Lettera in forma di Breve del 20 novembre 1846 e mandata a tutto il vostro Ordine episcopale, la quale comincia "Arcanae Divinae Providentiae consilio", e con tutte le stesse facoltà che con detta Lettera furono da Noi concesse. Vogliamo però che si osservino tutte quelle cose che sono prescritte in detta Lettera, e si eccettuino quelle che dichiarammo eccettuate. Ciò concediamo, nonostante le cose contrarie, qualunque siano, ancorché degne di speciale ed individua menzione e deroga. E perché siano eliminati ogni dubbio e difficoltà, abbiamo disposto che Vi si mandi copia di tale Lettera.

    "Preghiamo, Venerabili Fratelli, dall’intimo del cuore e con tutta l’anima, la misericordia di Dio, perché Egli stesso disse: "Non disperderò la mia misericordia da loro". Domandiamo e riceveremo, e se vi saranno indugio e ritardo nel ricevere, poiché peccammo gravemente, bussiamo, perché a chi bussa verrà aperto, purché alla porta si bussi con le preghiere, con i gemiti e con le lacrime nostre, con le quali bisogna insistere e durare; e se sia unanime la nostra orazione... ciascuno preghi Dio non solamente per sé, ma per tutti i fratelli, così come il Signore ci insegnò a pregare" . E perché il Signore più facilmente si pieghi alle preghiere Nostre, Vostre e di tutti i fedeli, con ogni fiducia adoperiamo presso di Lui come interceditrice l’Immacolata e Santissima Vergine Maria, Madre di Dio, la quale uccise tutte le eresie nell’universo mondo, e madre amantissima di tutti noi "è tutta soave... e piena di misericordia... a tutti si offre indulgente, a tutti clementissima; e con un sicuro amplissimo affetto ha compassione delle necessità di tutti" ; come Regina che sta alla destra dell’Unigenito Figlio suo, il Signore Nostro Gessù Cristo, in manto d’oro e riccamente vestita, nulla esiste che da Lui non possa impetrare. Domandiamo anche l’aiuto del Beatissimo Pietro, Principe degli Apostoli, e del suo Coapostolo Paolo e di tutti i Santi che, divenuti già amici di Dio, pervennero al regno celeste e, coronati, posseggono la palma; sicuri della loro immortalità, sono solleciti della nostra salvezza.

    Infine, invocando da Dio, con tutto l’animo, su di Voi l’abbondanza di tutti i doni celesti, come pegno della singolare Nostra benevolenza verso di Voi, con tanto amore impartiamo l’Apostolica Benedizione che viene dall’intimo del Nostro cuore a Voi stessi, Venerabili Fratelli, ed a tutti i Chierici e Laici fedeli affidati alle Vostre cure.

    Dato a Roma, presso San Pietro, 1’8 dicembre dell’anno 1864, decimo dopo la dogmatica Definizione dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria Madre di Dio, anno decimonono del Nostro Pontificato.


    --------------------------------------------------------------------------------

    SILLABO

    DEI PRINCIPALI ERRORI DELL’ETÀ NOSTRA, CHE SON NOTATI NELLE ALLOCUZIONI CONCISTORIALI, NELLE ENCICLICHE E IN ALTRE LETTERE APOSTOLICHE DEL SS. SIGNOR NOSTRO PAPA PIO IX



    I - Panteismo, naturalismo e razionalismo assoluto

    I. Non esiste niun Essere divino, supremo, sapientissimo, provvidentissimo, che sia distinto da quest’universo, e Iddio non è altro che la natura delle cose, e perciò va soggetto a mutazioni, e Iddio realmente vien fatto nell’uomo e nel mondo, e tutte le cose sono Dio ed hanno la sostanza stessissima di Dio; e Dio è una sola e stessa cosa con il mondo, e quindi si identificano parimenti tra loro, spirito e materia, necessità e libertà, vero e falso, bene e male, giusto ed ingiusto.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    II. È da negare qualsiasi azione di Dio sopra gli uomini e il mondo.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    III. La ragione umana è l’unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male indipendentemente affatto da Dio; essa è legge a se stessa, e colle sue forze naturali basta a procurare il bene degli uomini e dei popoli.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    IV. Tutte le verità religiose scaturiscono dalla forza nativa della ragione umana; laonde la ragione è la prima norma, per mezzo di cui l’uomo può e deve conseguire la cognizione di tutte quante le verità, a qualsivoglia genere esse appartengano.

    Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

    Encicl. Singulari quidem, 17 marzo 1856.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    V. La rivelazione divina è imperfetta, e perciò soggetta a processo continuo e indefinito, corrispondente al progresso della ragione umana.

    Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    VI. La fede di Cristo si oppone alla umana ragione; e la rivelazione divina non solo non giova a nulla, ma nuoce anzi alla perfezione dell’uomo.

    Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    VII. Le profezie e i miracoli esposti e narrati nella sacra Scrittura sono invenzioni di poeti, e i misteri della fede cristiana sono il risultato di indagini filosofiche; e i libri dell’Antico e Nuovo Testamento contengono dei miti; e Gesù stesso è un mito.

    Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.



    II - Razionalismo moderato

    VIII. Siccome la ragione umana si equipara colla stessa religione, perciò le discipline teologiche si devono trattare al modo delle filosofiche.

    Alloc. Singulari quadam perfusi, 9 dicembre 1854.

    IX. Tutti indistintamente i dommi della religione cristiana sono oggetto della naturale scienza ossia filosofia, e l’umana ragione, storicamente solo coltivata, può colle sue naturali forze e principi pervenire alla vera scienza di tutti i dommi, anche i più reconditi, purché questi dommi siano stati alla stessa ragione proposti.

    Lett. all’Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 dicembre 1862.

    Lett. al medesimo Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

    X. Altro essendo il filosofo ed altro la filosofia, quegli ha diritto e ufficio di sottomettersi alle autorità che egli ha provato essere vere: ma la filosofia né può, né deve sottomettersi ad alcuna autorità.

    Lett. all’Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 dicembre 1862.

    Lett. al medesimo Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

    XI. La Chiesa non solo non deve mai correggere la filosofia, ma anzi deve tollerarne gli errori e lasciare che essa corregga se stessa.

    Lett. all’Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 dicembre 1862.

    XII. I decreti della Sede apostolica e delle romane Congregazioni impediscono il libero progresso della scienza.

    Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

    XIII. Il metodo e i principi, coi quali gli antichi Dottori scolastici coltivarono la teologia, non si confanno alle necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze.

    Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

    XIV. La filosofia si deve trattare senza aver riguardo alcuno alla soprannaturale rivelazione.

    Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

    N. B. – Col sistema del razionalismo sono in massima parte uniti gli errori di Antonio Günther, che vengono condannati nella Lett. al Card. Arciv. di Colonia, Eximiam tuam, 15 giugno 1847, e nella Lett. al Vesc. di Breslavia, Dolore haud mediocri, 30 aprile 1860.



    III - Indifferentismo, latitudinarismo

    XV. È libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera.

    Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    XVI. Gli uomini nell’esercizio di qualsivoglia religione possono trovare la via della eterna salvezza, e conseguire l’eterna salvezza.

    Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

    Alloc. Ubi primum, 17 dicembre 1847.

    Encicl. Singulari quidem, 17 marzo 1856.

    XVII. Almeno si deve bene sperare della eterna salvezza di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo.

    Alloc. Singulari quadam, 9 dicembre 1854.

    Encicl. Quanto conficiamur, 17 agosto 1863.

    XVIII. Il protestantesimo non è altro che una forma diversa della medesima vera religione cristiana, nella quale egualmente che nella Chiesa cattolica si può piacere a Dio.

    Encicl. Noscitis et Nobiscum, 8 dicembre 1849.



    IV - Socialismo, comunismo, società segrete, società bibliche, società clerico-liberali

    Tali pestilenze, spesso, e con gravissime espressioni, sono riprovate nella Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846; nella Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849: nella Epist. Encicl. Nostis et Nobiscum, 8 dicembre 1849; nella Alloc. Singulari quadam, 9 dicembre 1854; nell’Epist. Quanto conficiamur, 10 agosto 1863.



    V - Errori sulla Chiesa e suoi diritti

    XIX. La Chiesa non è una vera e perfetta società pienamente libera, né è fornita di suoi propri e costanti diritti, conferitile dal suo divino Fondatore, ma tocca alla potestà civile definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti entro i quali possa esercitare detti diritti.

    Alloc. Singulari quadam, 9 dicembre 1854.

    Alloc. Multis gravibusque, 18 dicembre 1860.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    XX. La potestà ecclesiastica non deve esercitare la sua autorità senza licenza e consenso del governo civile.

    Alloc. Meminit unusquisque, 30 settembre 1861.

    XXI. La Chiesa non ha potestà di definire dommaticamente che la religione della Chiesa cattolica sia l’unica vera religione.

    Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

    XXII. L’obbligazione che vincola i maestri e gli scrittori cattolici, si riduce a quelle cose solamente, che dall’infallibile giudizio della Chiesa sono proposte a credersi da tutti come dommi di fede.

    Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

    XXIII. I Romani Pontefici ed i Concilii ecumenici si scostarono dai limiti della loro potestà, usurparono i diritti dei Principi, ed anche nel definire cose di fede e di costumi errarono.

    Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

    XXIV. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, né alcuna temporale potestà diretta o indiretta.

    Lett. Apost. Ad Apostolicae, 22 agosto 1851.

    XXV. Oltre alla potestà inerente all’episcopato, ve n’è un’altra temporale che è stata ad esso concessa o espressamente o tacitamente dal civile impero il quale per conseguenza la può revocare, quando vuole.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    XXVI. La Chiesa non ha connaturale e legittimo diritto di acquistare e di possedere.

    Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856.

    Lett. Encicl. Incredibili, 17 settembre 1863.

    XXVII. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice debbono essere assolutamente esclusi da ogni cura e da ogni dominio di cose temporali.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    XXVIII. Ai Vescovi, senza il permesso del Governo, non è lecito neanche promulgare le Lettere apostoliche.

    Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856.

    XXIX. Le grazie concesse dal Romano Pontefice si debbono stimare irrite, quando non sono state implorate per mezzo del Governo.

    Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856.

    XXX. L’immunità della Chiesa e delle persone ecclesiastiche ebbe origine dal diritto civile.

    Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

    XXXI. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, siano esse civili o criminali, dev’essere assolutamente abolito, anche senza consultare la Sede apostolica, e nonostante che essa reclami.

    Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

    Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856.

    XXXII. Senza violazione alcuna del naturale diritto e delle equità, si può abrogare l’immunità personale, in forza della quale i chierici sono esenti dalla leva e dall’esercizio della milizia; e tale abrogazione è voluta dal civile progresso, specialmente in quelle società le cui costituzioni sono secondo la forma del più libero governo.

    Epist. al Vescovo di Monreale Singularis Nobisque, 29 sett. 1864.

    XXXIII. Non appartiene unicamente alla ecclesiastica potestà di giurisdizione, qual diritto proprio e connaturale, il dirigere l’insegnamento della teologia.

    Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

    XXXIV. La dottrina di coloro che paragonano il Romano Pontefice ad un Principe libero che esercita la sua azione in tutta la Chiesa, è una dottrina la quale prevalse nel medio evo.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    XXXV. Niente vieta che per sentenza di qualche Concilio generale, o per opera di tutti i popoli, il sommo Pontificato si trasferisca dal Vescovo Romano e da Roma ad un altro Vescovo e ad un’altra città.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    XXXVI. La definizione di un Concilio nazionale non si può sottoporre a verun esame, e la civile amministrazione può considerare tali definizioni come norma irretrattabile di operare.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    XXXVII. Si possono istituire Chiese nazionali non soggette all’autorità del Romano Pontefice, e del tutto separate.

    Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.

    Alloc. Iamdudum cernimus, 18 marzo 1861.

    XXXVIII. Gli arbìtri eccessivi dei Romani Pontefici contribuirono alla divisione della Chiesa in quella di Oriente e in quella di Occidente.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.



    VI - Errori che riguardano la società civile, considerata in sé come nelle sue relazioni con la Chiesa

    XXXIX. Lo Stato, come quello che è origine e fonte di tutti i diritti, gode un certo suo diritto del tutto illimitato.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    XL. La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene ed agl’interessi della umana società.

    Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

    Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.

    XLI. Al potere civile, anche esercitato dal signore infedele, compete la potestà indiretta negativa sopra le cose sacre; perciò gli appartiene non solo il diritto del cosidetto exequatur, ma anche il diritto del cosidetto appello per abuso.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    XLII. Nella collisione delle leggi dell’una e dell’altra potestà, deve prevalere il diritto civile.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    XLIII. Il potere laicale ha la potestà di rescindere, di dichiarare e far nulli i solenni trattati (che diconsi Concordati) pattuiti con la Sede apostolica intorno all’uso dei diritti appartenenti alla immunità ecclesiastica; e ciò senza il consenso della stessa Sede apostolica, ed anzi, malgrado i suoi reclami.

    Alloc. In Concistoriali, 1° novembre 1850.

    Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.

    XLIV. L’autorità civile può interessarsi delle cose che riguardano la religione, i costumi ed il governo spirituale. Quindi può giudicare delle istruzioni che i pastori della Chiesa sogliono dare per dirigere, conforme al loro ufficio, le coscienze, ed anzi può fare regolamenti intorno all’amministrazione dei Sacramenti ed alle disposizioni necessarie per riceverli.

    Alloc. In Concistoriali, 1° novembre 1850.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    XLV. L’intero regolamento delle pubbliche scuole, nelle quali è istruita la gioventù dello Stato, eccettuati solamente sotto qualche riguardo i Seminari vescovili, può e dev’essere attribuito all’autorità civile; e talmente attribuito, che non si riconosca in nessun’altra autorità il diritto di intromettersi nella disciplina delle scuole, nella direzione degli studi, nella collazione dei gradi, nella scelta e nell’approvazione dei maestri.

    Alloc. In Concistoriali, 1° novembre 1850.

    Alloc. Quibus luctuosissimis, 5 settembre 1851.

    XLVI. Anzi, negli stessi Seminari dei Chierici, il metodo da adoperare negli studi è soggetto alla civile autorità.

    Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

    XLVII. L’ottima forma della civile società esige che le scuole popolari, quelle cioè che sono aperte a tutti i fanciulli di qualsiasi classe del popolo, e generalmente gl’istituti pubblici, che sono destinati all’insegnamento delle lettere e delle più gravi discipline, nonché alla educazione della gioventù, si esimano da ogni autorità, forza moderatrice ed ingerenza della Chiesa, e si sottomettano al pieno arbitrio dell’autorità civile e politica secondo il placito degli imperanti e la norma delle comuni opinioni del secolo.

    Epist. all’Arciv. di Frisinga Quum non sine, 14 luglio 1864.

    XLVIII. Può approvarsi dai cattolici quella maniera di educare la gioventù, la quale sia disgiunta dalla fede cattolica, e dall’autorità della Chiesa e miri solamente alla scienza delle cose naturali, e soltanto o per lo meno primieramente ai fini della vita sociale.

    Epist. all’Arciv. di Frisinga Quum non sine, 14 luglio 1864.

    IL. La civile autorità può impedire ai Vescovi ed ai popoli fedeli di comunicare liberamente e mutuamente col Romano Pontefice.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    L. L’autorità laicale ha di per sé il diritto di presentare i Vescovi e può esigere da loro che incomincino ad amministrare le diocesi prima che essi ricevano dalla S. Sede la istituzione canonica e le Lettere apostoliche.

    Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856.

    LI. Anzi il Governo laicale ha diritto di deporre i Vescovi dall’esercizio del ministero pastorale, né è tenuto ad obbedire al Romano Pontefice nelle cose che spettano alla istituzione dei Vescovati e dei Vescovi.

    Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

    Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

    LII. Il Governo può di suo diritto mutare l’età prescritta dalla Chiesa in ordine alla professione religiosa tanto delle donne quanto degli uomini, ed ingiungere alle famiglie religiose di non ammettere alcuno ai voti solenni senza suo permesso.

    Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856.

    LIII. Sono da abrogarsi le leggi che appartengono alla difesa dello stato delle famiglie religiose, e dei loro diritti e doveri; anzi il Governo civile può dare aiuto a tutti quelli i quali vogliono disertare la maniera di vita religiosa intrapresa, e rompere i voti solenni; e parimenti, può spegnere del tutto le stesse famiglie religiose, come anche le Chiese collegiate ed i benefici semplici ancorché di giuspatronato e sottomettere ed appropriare i loro beni e le rendite all’amministrazione ed all’arbitrio della civile potestà.

    Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

    Alloc. Probe memineritis, 22 gennaio 1855.

    Alloc. Cum saepe, 27 luglio 1855.

    LIV. I Re e i Principi non solamente sono esenti dalla giurisdizione della Chiesa, ma anzi nello sciogliere le questioni di giurisdizione sono superiori alla Chiesa.

    Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

    LV. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.

    Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.



    VII - Errori circa la morale naturale e cristiana

    LVI. Le leggi dei costumi non abbisognano della sanzione divina, né è necessario che le leggi umane siano conformi al diritto di natura, o ricevano da Dio la forza di obbligare.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    LVII. La scienza delle cose filosofiche e dei costumi, ed anche le leggi civili possono e debbono prescindere dall’autorità divina ed ecclesiastica.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    LVIII. Non sono da riconoscere altre forze se non quelle che sono poste nella materia, ed ogni disciplina ed onestà di costumi si deve riporre nell’accumulare ed accrescere in qualsivoglia maniera la ricchezza e nel soddisfare le passioni.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    Epistola encicl. Quanto conficiamur, 10 agosto 1863.

    LIX. Il diritto consiste nel fatto materiale; tutti i doveri degli uomini sono un nome vano, e tutti i fatti umani hanno forza di diritto.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    LX. L’autorità non è altro che la somma del numero e delle forze materiali.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

    LXI. La fortunata ingiustizia del fatto non apporta alcun detrimento alla santità del diritto.

    Alloc. Iamdudum cernimus, 18 marzo 1861.

    LXII. È da proclamarsi e da osservarsi il principio del cosidetto non-intervento.

    Alloc. Novos et ante, 28 settembre 1860.

    LXIII. Il negare obbedienza, anzi il ribellarsi ai Principi legittimi, è cosa logica.

    Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

    Alloc. Quisque vestrum, 4 ottobre 1847.

    Epist. Encicl. Nostis et Nobiscum, 8 dicembre 1849.

    Lett. Apost. Cum catholica, 26 marzo 1860.

    LXIV. La violazione di qualunque santissimo giuramento e qualsivoglia azione scellerata e malvagia ripugnante alla legge eterna, non solo non sono da riprovare, ma anzi da tenersi del tutto lecite e da lodarsi sommamente, quando si commettano per amore della patria.

    Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.



    VIII - Errori circa il matrimonio cristiano

    LXV. Non si può in alcun modo tollerare che Cristo abbia elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    LXVI. Il Sacramento del matrimonio non è che una cosa accessoria al contratto, e da questo separabile, e lo stesso Sacramento è riposto nella sola benedizione nuziale.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    LXVII. Il vincolo del matrimonio non è indissolubile per diritto di natura, ed in vari casi può sancirsi per la civile autorità il divorzio propriamente detto.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

    LXVIII. La Chiesa non ha la potestà d’introdurre impedimenti dirimenti il matrimonio, ma tale potestà compete alla autorità civile, dalla quale debbono togliersi gl’impedimenti esistenti.

    Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

    LXIX. La Chiesa incominciò ad introdurre gl’impedimenti dirimenti, nei secoli passati non per diritto proprio, ma usando di quello che ricevette dalla civile potestà.

    Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

    LXX. I canoni tridentini, nei quali s’infligge scomunica a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire gl’impedimenti dirimenti, o non sono dommatici, ovvero si debbono intendere dell’anzidetta potestà ricevuta.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    LXXI. La forma del Concilio Tridentino non obbliga sotto pena di nullità in quei luoghi, ove la legge civile prescriva un’altra forma, e ordina che il matrimonio celebrato con questa nuova forma sia valido.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    LXXII. Bonifazio VIII per primo asserì che il voto di castità emesso nella ordinazione fa nullo il matrimonio.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    LXXIII. In virtù del contratto meramente civile può aver luogo tra cristiani il vero matrimonio; ed è falso che, o il contratto di matrimonio tra cristiani è sempre sacramento, ovvero che il contratto è nullo se si esclude il sacramento.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    Lett. di S. S. Pio IX al Re di Sardegna, 9 settembre 1852.

    Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

    Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.

    LXXIV. Le cause matrimoniali e gli sponsali di loro natura appartengono al foro civile.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

    N. B. – Si possono qui ridurre due altri errori, dell’abolizione del celibato de; chierici, e della preferenza dello stato di matrimonio allo stato di verginità. Sono condannati, il primo nell’Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846, il secondo nella Lettera Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.



    IX - Errori intorno al civile principato del Romano Pontefice

    LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e cattolica.

    Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

    LXXVI. L’abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa.

    Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.

    N. B. – Oltre a questi errori censurati esplicitamente, molti altri implicitamente vengono riprovati in virtù della dottrina già proposta e decisa intorno al principato civile del Romano Pontefice: la quale dottrina tutti i cattolici sono obbligati a rispettare fermissimamente. Essa apertamente s’insegna nell’Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nell’Alloc. Si semper antea, 20 maggio 1850; nella Lett. Apost. Cum catholica Ecclesia, 26 marzo 1860; nell’Alloc. Novos, 28 settembre 1860; nell’Alloc. Iamdudum, 18 marzo 1861, e nell’Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.



    X - Errori che si riferiscono all’odierno liberalismo

    LXXVII. In questa nostra età non conviene più che la religione cattolica si ritenga come l’unica religione dello Stato, esclusi tutti gli altri culti, quali che si vogliano.

    Alloc. Nemo vestrum, 26 luglio 1855.

    LXXVIII. Però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia lecito avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno.

    Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

    LXXIX. È assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l’ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste dell’indifferentismo.

    Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

    LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà.

    Alloc. Iamdudum cernimus, 18 marzo 1861.



    Anello del Beato Pio IX

    Tiara del Beato Pio IX

  8. #8
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito SILLABO E MODERNITÀ di Manlio Brunetti

    1. Genesi e fine dottrinale

    Il Sillabo ormai ha centoventott'anni: non troppi, se è ricordato ancora in tutte le opere storiche sull'Ottocento europeo; ma troppi comunque, da poter essere vivo nella coscienza popolare ed ecclesiale.

    Riparlarne oggi, quando tanti argomenti attuali sarebbero da mettere sul tappeto, parrebbe hobby da antiquariato, da archeologia teologica. Ma il Sillabo mette in causa Pio IX, e Pio IX ci riguarda; il Sillabo investe il Magistero pontificio, ogni giorno più attivo sulla nostra cultura, e ripropone il capitolo, mai chiuso, del rapporto fra cattolicesimo e civiltà moderna.

    Pio IX nel Sillabo avrebbe condannato tutti i principi fondamentali del Liberalismo (libertà di pensiero, di stampa, di coscienza, di culto; la laicità dello Stato; la indipendenza di principi e di metodi della scienza; la ricerca del progresso...). Gli stavano suggerendo di conciliarsi e concordarsi col progresso, col Liberalismo, con la moderna civiltà - come hanno fatto poi Giovanni XXIII nella Pacem in terris e Paolo VI -; invece colpì d'anatema anche questa invocazione.

    Si presenta così la domanda: poteva Pio IX essere il papa: il custode e garante dell'ortodossia cattolica, il supremo maestro della fede e della morale e, insieme, condividere e accreditare il Liberalismo?

    Se fosse stato obiettivamente possibile, allora Pio IX fu miope e ritardò, se proprio non fece indietreggiare, il cammino della Chiesa; se invece non si poteva essere cattolici e liberali (di quel Liberalismo), allora gli si dovrà riconoscere, storicamente, coerenza intellettuale e morale - che è fattore di umana grandezza.

    Quindici anni - o, limitandoci ai tempi operativi, almeno dodici - ha impiegato il Sillabo a nascere; e sono ormai definitivamente accertate le vicende e le fasi attraverso cui si è giunti alla sua promulgazione 1'8 dicembre 1864: consultazione di Vescovi; commissioni preparatorie di Cardinali e teologi; bozze, schemi, istruzioni, memorie preparati da Vescovi, teologi, rettori di università famose; sospensioni e riprese di lavori a seguito di emergenze politiche, a fughe di documenti, ad interventi critici, a pressioni dissuasorie od esortative. Sappiamo ormai tutto (1), come forse di nessun altro Documento magisteriale.

    Ciò che si ricava perentoriamente da tutta la massa d'informazioni storiche in nostro possesso è che:

    1) Il Sillabo fu immaginato e promulgato come atto dovuto del Magistero ecclesiastico, della missione propria del Papato di custodire e garantire l'ortodossia cattolica, in conformità e in ossequio ad una autorevole tradizione, che continuerà anche dopo Pio IX.

    2) Ragioni e circostanze particolari, come in Francia la politica antiecclesiastica di Napoleone III e in Italia del Piemonte; l'occupazione delle Legazioni dell'Umbria e delle Marche; la soluzione anticlericale della questione risorgimentale; ed il bisogno, ovunque, di riaccreditare la diminuita autorità del Papa...: possono aver avuto qualche influenza su tempi e modi della elaborazione, mai però sul merito del Documento, la cui prima idea risale al 1849, a prima cioè di tutte quelle vicissitudini, e il cui destinatario non è la Francia o l'Italia, ma la Chiesa universale ("A tutti i venerabili fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi che hanno la grazia e la comunione della Sede Apostolica").

    3) Così che la tesi di una genesi e giustificazione politica del Sillabo (2) risulta gratuita e antistorica.

    La conoscenza documentaria di tutte le faticose controversie attraversate dal Documento è senza dubbio illuminante dal punto di vista ermeneutico, e non lo è di meno l'accurata disamina delle interpretazioni, appropriazioni, manipolazioni sopravvenute (3). Ma ciò su cui si ha da pronunciare il giudizio storico-teologico non sono né le une né le altre, bensì il Documento così com'è, nel suo genere letterario, con la sua struttura, il suo lessico, la sua sintassi, col significato che inside e promana nelle e dalle parole che lo costituiscono, con le caratteristiche che gli sono proprie e bisogna mostrare.

    2. Natura teologica del Sillabo

    Si tratta di un documento teologico sia nella sostanza che nella forma o tecnica di redazione, nel senso che:

    a) consiste in giudizio e valutazione di tesi o idee filosofiche, politiche e sociali, non secondo criteri intrinseci logico-filosofici; non sulla base dell'evidenza o della logica dimostrazione dei rapporti in esse correnti fra soggetto e predicato; né sulla base di effetti ottenibili da loro applicazione in ordine all'individuo o alla società; ma sub specie veritatis revelatoe (alla luce della verità rivelata), in rapporto ai dati della fede: se coerenti o meno, quelle idee e tesi, con le certezze cristiane e se capaci di favorire il cammino della salvezza, di mandare la Chiesa avanti verso Dio "in sé sicura ed anche a lui più fida" (4).

    b) È redatto nel linguaggio e nei moduli propri della teologia: di una teologia che si vale delle categorie e dei procedimenti propri della filosofia aristotelico-tomista, recentemente e da Pio IX stesso rimessa in auge nella cultura cattolica.

    Ne segue che indebita, impropria, deviante sarà ogni lettura ed interpretazione del Sillabo fuori dell'ottica teologica e senza gli idonei strumenti ermeneutici.

    Nell'ambito dei documenti magisteriali teologici il Sillabo costituisce un genere particolare, inusitato e, nel suo insieme, unico. Si tratta, infatti, di un "Elenco dei principali errori dell'età nostra": di un elenco di 80 proposizioni, secche, stringate, essenziali, la più lunga delle quali, la 47 a, è di una cinquantina di parole e le più corte, la 55a, 63a, 74a, di cinque parole.

    Le 80 proposizioni, non recano, nessuna, la cosiddetta nota teologica che, cioè, la qualifichi come eretica, temeraria, scandalosa, offensiva delle orecchie pie ecc.; ma sono giudicate e condannate tutte insieme nel Titolo genericamente come errori.

    Proprio per questa novità di struttura e anche per il fatto d'essere presentato dal card. Antonelli, autorità non magisteriale; non risultandone, appunto, dalla forma l'autorità e il tipo di assenso da esigere: il Sillabo è legato ad una Enciclica, la Quanta Cura - documento indubbiamente magisteriale - e con essa, in rapporto con essa, va accolto e letto.

    Credo che proprio per queste ragioni, e per altra che subito dirò, l'enciclica Quanta Cura contenga essa stessa un elenco di proposizioni errate, il maggior numero delle quali un po' diverse, ma solo sul piano espressivo (e verosimilmente attinte ad una bozza del 1862), recitate però in un tessuto espositorio, dimostrativo e parenetico, mentre il Sillabo è, come già detto, un elenco di proposizioni secche, appena aggruppate sotto dieci titoli o in dieci paragrafi. Reduplicazione senza dubbio cosciente, a far intendere l'inscindibilità del Sillabo dalla Quanta Cura e l'equivalente valore.

    3. Di chi le proposizioni?

    Ci si potrebbe chiedere, adesso, donde vengano, di chi siano quelle 80 proposizioni che i due Documenti condannano come errori.

    Esse sono ricavate dalle Encicliche e da Documenti, molteplici, che Pio IX aveva già pubblicato per esporre insegnamenti vari e segnalare via via opinioni contrarie alle verità professate nella Chiesa. Minuziosamente il Sillabo, e puntualmente, indica, dopo ogni proposizione, le fonti piane di provenienza.

    Quanto, dunque, contiene il Sillabo era stato già tutto condannato. E rimane difficile da spiegare, altrimenti che per ignoranza o per malafede, la sorpresa e l'indignazione contro il Sillabo, quando né altrettale né altrettanta se n'era avuta nei confronti delle Encicliche. Di nuovo c'era solo che tanti diversi errori, già singolarmente condannati in diversi Documenti, ora erano elencati e condannati insieme, tutti in una volta in unico Documento.

    Ma, pur sapendo che quelle proposizioni errate sono immediatamente desunte da fonti piane, resta da affermare che, in quelle prima e nel Sillabo poi, esse erano pervenute da opere e trattati, o da comportamenti e provvedimenti tradotti in testi, di Illuministi, Razionalisti, Semirazionalisti, Giurisdizionalisti, Socialisti, Massoni, Liberali...; non sempre tali quali erano uscite dalle loro penne, ma riformulate teologicamente ed uniformate stilisticamente.

    Così che, tali e quali sono nei Documenti del '64, (Quanta Cura e Sillabo) paradossalmente non sono di altri che dei redattori di questi Documenti; e per gran parte di esse, qualora non soltanto le proposizioni ma i loro assertori si fossero voluti condannare, difficilmente su persone definite, nome e cognome, sarebbe potuta cadere la censura.

    Non sarebbe stato meglio, allora, riproporre, anche nel loro contesto immediato, le proposizioni autentiche, cioè del loro proprio e riconoscibile autore?

    A parte il fatto che ciò non sarebbe stato sempre possibile essendo non poche tesi ricostruite da fatti, leggi, prowedimenti, per interpretazione, esplicitazione e reductionem ad principia, la ragione della procedura del Sillabo sta nel suo destinatario e nel suo scopo: voleva essere, ed è, un documento indirizzato ai Vescovi al fine pastorale di indicare loro le idee da cui tener lontani i credenti, al fine di indicare gli errori, non di colpire gli erranti, e semmai mettere in causa proprio e solo coloro che precisamente quelle idee e tesi professassero.

    4. La religione della libertà

    Quanta Cura e Sillabo non si limitavano a questo: a stralciare da contesti immediati delle frasi, a formularne dove mancassero esplicite, a dare a tutte una veste formulare medesima. Riconducevano e riordinavano a sistema proposizioni sparse, slegate fra loro e appartenenti a sfondi ideologici disparati (razionalismo, illuminismo, positivismo storicistico ecc.), in modo da lasciar trasparire e far cogliere, come in filigrana, una tessitura compatta, anzi la matrice remota unica donde tutte promanano. Questa: invece che la religione di Dio (da cui discendono agli uomini diritti e doveri, precetti morali e sociali, salvezza da coercizioni e decadimenti...), la religione della libertà che, intesa come libertà dalla religione, equivale ad assolutizzazione ed infinitizzazione della soggettività, ossia della coscienza, del pensiero, delle libertà individuali.

    Non si insisterebbe mai troppo su questa caratteristica di sistematicità dei due Documenti Piani, diciamo pure ormai globalmente del Sillabo: di sganciare le singole e disparate tesi della cultura laica mediottocentesca dai loro prossimi e provvisori contesti storici e locali, per collegarle invece tra loro (orizzontalmente) e radicarle (verticalmente) alla loro comune matrice, e situarle in quello che ritiene essere il loro vero orizzonte: il liberalismo filosofico.

    Fu un'operazione metodologicamente necessaria e culturalmente preziosa.

    Bisogna infatti ricordare che diversa era nei Paesi Occidentali la accezione di Liberalismo; diverse le idee, i contenuti, i sentimenti, i valori, le prospettive che quell'orientamento e le sue parole d'ordine evocavano.

    In Italia si sapeva che Progresso, Libertà e Nuova Civiltà significavano (anche) ferrovie, illuminazione delle strade a gas e tutte le altre migliorie così interessanti per Pasolini, Minghetti, Cavour. Ma gli Italiani probabilmente non ponevano tali cose in cima ai loro pensieri; quei termini nel loro significato controverso stavano per laicismo ed anticlericalismo, soppressione dei conventi e dei monasteri e costrizione ad educazione laica. In Inghilterra invece Progresso e Nuova Civiltà volevano dire anzitutto la grande Esposizione del 1851, mentre Liberalismo era più vicina a quella italiana, significando, per moltissimi, i principi e le gesta della Rivoluzione del 1789. In America, infine, in quella parole si vedeva indicato quanto vi era di più sacro, e rara o assente vi era la connotazione antireligiosa ed anticristiana.

    Ebbene, il Sillabo, redigendo le tesi di questo vario Liberalismo e riconducendole a una sola radice:

    1) ne forniva una precisa ed esclusiva chiave di lettura e di interpretazione; 2) ne indicava perentoriamente, a chi non se ne fosse accorto, non volesse vedere o intendesse nascondere, ambito e contenuti opposti alla fede e alla morale cattolici.

    Come dire che: quelle tesi liberali che - soltanto quelle che e nella misura in cui - si riconducevano ed equivalevano al principio ultimo del liberalismo filosofico anticristiano erano condannate come contrarie alla fede cattolica.

    5. Lettura sistematica

    Si può comprendere come, concepito e redatto in chiave di sistema, il Sillabo vada letto e giudicato nel suo insieme, ossia: né leggendone e giudicandone le tesi una separatamente dalle altre, né, tanto meno, prescindendo dallo sfondo od orizzonte ideologico, dalla matrice filosofico-teologica, da cui tutte e ciascuna provengono, in relazione a cui tutte e ciascuna pigliano significato.

    Perchè si capisca meglio e concretamente, al proposito dirò che talune tesi (così come prodotte nel Sillabo), prese isolatamente - qualora, cioè, non si tenesse conto della sistematicità, del contesto - potevano essere assunte e fatte proprie sia da liberali radicali che da cattolici (liberali e conservatori) e sono oggi accettabili o accettate. Ne traduco (in lessico e sintassi attuali) alcune:

    15° Ogni uomo è libero di abbracciare e professare quella religione che, alla luce della ragione, riterrà vera.

    16° Praticando qualsiasi religione gli uomini possono conseguire la salvezza.

    78° Ovunque a ciascuno per legge deve essere concessa libertà di culto.

    18° Il protestantesimo non è che una forma diversa della medesima vera religione di Cristo e in esso, ugualmente che nella Chiesa cattolica, si può piacere a Dio.

    (Alcuna di queste proposizioni è stata, addirittura, la rivendicazione vittoriosa del cattolicesimo nei confronti dei regimi comunisti).

    Cambia però il senso di queste proporzioni; esse non saranno più accettabili dal cattolico, qualora si leggano - come si hanno da leggere - in correlazione a queste altre:

    1° Non c'è nessun Dio distinto dal mondo

    2° Non si può ammettere (razionalmente) alcun intervento di Dio sugli uomini e sul mondo

    3° La ragione umana non ha bisogno di ammettere Dio; essa è l'arbitra unica del vero e del falso, del bene e del male, ed è totalmente autonoma

    4° Tutte le verità religiose sono soltanto verità di ragione

    6° Rivelazione e fede contraddicono alla ragione e sono di ostacolo alla perfezione dell'uomo

    7° Profezie, miracoli, Sacra Scrittura e Gesù Cristo stesso sono favole e miti

    40° La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene e agli interessi della umanità.

    Così pure, fuor di contesto, sarebbero accettabili proposizioni come:

    27° Clero e papa debbono essere esclusi da ogni cura e dominio di cose temporali

    76° L'abolizione del potere temporale gioverebbe moltissimo alla libertà e prosperità della Chiesa

    32° Il clero va giudicato dalla comune magistratura per eventuali reati civili o penali

    33° È giusto che anche i chierici facciano il servizio militare

    77° Oggi non è più giusto ed utile che la religione cattolica sia ritenuta l'unica religione di stato

    55° Chiesa e Stato debbono essere separati.

    Diventano invece contrarie alla dottrina cattolica, quando si leggano alla controluce delle proposizioni:

    19° La chiesa non è una vera e perfetta società completamente libera, né ha diritti suoi propri che le siano stati conferiti dal suo divino Fondatore; ma spetta al Potere Civile definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti dentro i quali possa esercitarli

    20° Il potere ecclesiastico non paò essere esercitato senza il permesso e il consenso del Governo civile

    39° Lo Stato, come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un diritto tale che non ammette confini

    42° Nel conflitto fra legge dello Stato e legge della Chiesa prevale il diritto dello Stato

    44° L'autorità civile può intervenire nelle cose concernenti la religione, la morale, la coscienza e l'amministrazione dei sacramenti

    49° e dettarne norme circa 1'esistenza, la sostanza

    51° e le forme, nonché i beni

    54° delle Professioni e degli Ordini religiosi.

    Quanto detto sinora è l'indispensabile premessa per un giudizio sul Sillabo più illuminato, più equo di quanti ne siano stati già formulati.

    E un verdetto di moda, pronunciato una volta, allora, dopo l'8 dicembre 1864, e ripetuto instancabilmente, acriticamente, purtroppo anche da teologi (da Dollinger, a Kung, ad Hasler, a Tillard, a P. De Rosa) che Pio IX col Sillabo "abbia condannato a suon di elenchi, senza alcun barlume di riflessione ecclesiastico-teologica, le idee fondamentali della civiltà moderna": libertà di pensiero, di stampa, di coscienza, di culto, di ricerca scientifica, esigendo l'incondizionata sottomissione dell'uomo, della scienza, dello Stato all'autorità della Chiesa (5).

    In verità la Quanta Cura condanna come "opinione sommamente ruinosa per la Chiesa cattolica e per la salute delle anime - chiamata delirio e libertà di perdizione dal nostro predecessore Gregorio XVI - quella secondo cui:

    a) la libertà di coscienza e di culto è un diritto proprio di ciascun uomo. ...

    b) i cittadini hanno diritto ad una libertà totale, che non deve essere ristretta da alcuna autorità ecclesiastica o civile,

    c) e possano manifestare pubblicamente i loro pensieri a parole, a mezzo stampa, in ogni modo...".

    E il Sillabo condanna, nella prop. 3°, il principio per cui la ragione è criterio unico ed autonomo di verità; e, nella prop. 79°, chi non ritiene pericolosa per la fede e per la morale la libertà di pensiero, di opinione e di culto.

    6. Giudizio storicizzato

    Ma, per capire esattamente queste condanne e non cadere volgarmente in equivoco, bisogna osservare e ricordare l'ultima caratteristica strutturale dei due Documenti piani: quella della storicità.

    Il giudizio di Pio IX sulle famose libertà è storicizzato: non verte su quelle in sé e per sé, astrattamente considerate, in assoluto, o come avrebbero potuto intenderle i cattolici; bensì "nel senso preciso in cui le intendevano i nemici della Chiesa" in quel preciso momento storico (6): cioè nella precisa prospettiva del liberalismo illuministico, nell'orizzonte della religione della libertà, nell'accezione e nella interpretazione romantica (fuor d'ogni limite, infinitivamente, sino all'al di là del bene e del male, per dirla in termini di poco dislocati) a cui Quanta Cura e Sillabo le riconducevano.

    Chi legge, dunque, il Sillabo come esso richiede, ossia vedendone le proposizioni imbevute dello spirito proprio del liberalismo illuministico, non può più sostenere la reazionarietà di Pio IX relativamente ai principi liberali e progressisti. Vede bene - anche rifacendosi alle Encicliche donde le proposizioni sono estratte, come ad esempio all'Editto del 15-3-1847 dove si distingue accuratamente fra onesta libertà dello stampare dalla dannosa licenza - come il Mastai condanni non i principi in assoluto e in astratto, ma nella concretezza delle circostanze storiche e culturali. Non condanna, ad esempio, la libertà di pensiero, di parole, di stampa, di coscienza e di culto sic et simpliciter, ma respinge la sfrenata libertà di pensiero, quella, cioè, che non riconosce nemmeno la destinazione essenziale del pensiero alla verità, che per un cattolico è, non esclusivamente bensì fondamentalmente, la verità divina rivelata; non la libertà di parola in astratto, ma la libertà di parola che non tenga conto della suggestionabilità dei deboli, degli ignoranti o meno provveduti, e del pericolo di trarli in errore e far perdere loro il beneficio della fede; non la libertà di coscienza e di culto in astratto, cioè di chi non conosca o non sia riuscito, in buona fede, a convincersi della trascendente ed unica verità del Cristianesimo, ma quelle libertà in quanto rivendicate in nome di un totale indifferentismo religioso e di un intransigente agnosticismo...

    7. Dottrina cattolica

    Vedrebbe, infine, che Pio IX, proprio a titolo della sua responsabilità di Maestro e di Pastore supremo e universale, non poteva procedere che come ha fatto, muovendosi su di un orizzonte culturale diverso, attenendosi cioè alla dottrina cattolica.

    Secondo questa, il pensiero ha un limite intrinseco: il consentiment all'essere, l'adaequatio ad rem, l'evidenza o la dimostrazione, la Rivelazione dimostrata possibile e storicamente accertata; la volontà un limite intrinseco: l'adesione al bene come a suo oggetto formale e fine: che poi non è un limite, ma la perfezione; la libertà un limite intrinseco (l'illuminazione dell'intelletto non deviato dalle passioni) e una condizione sine qua non (la dissoggettazione alla violenza cogente delle passioni o alla violenza esterna); la libertà d'espressione un limite intrinseco (l'ossequio alla verità) ed uno estrinseco (il rispetto della coscienza altrui e l'intenzione di far progredire nel vero e nel bene), e via dicendo.

    La posta in giuoco era tale, l'urgenza di ristabilire la verità e la libertà cattolica era tanta, che né timore d'impopolarità, né previsione di sconforti e ferite morali poterono trattenere Pio IX dall'intervenire contro quel liberalismo.

    Temettero i cattolici liberali - in ciò anche intimoriti dalle interpretazioni di cattolici intransigenti - che fossero state condannate anche le loro idee, d'essere stati anch'essi condannati. Ma ciò che il Sillabo condanna è chiarissimamente indicato: idee e tesi - che riguardino la religione, la Chiesa, i rapporti fra Chiesa e Stato, la libertà, la morale...- in quanto ispirate all'agnosticismo, all'indifferentismo religioso. Se il liberalismo cattolico non era questo, non era condannato.

    Il se dipende dal fatto che il cosiddetto liberalismo cattolico comprendeva posizioni molto diverse, difficili da ridurre a denominatore comune. Tutti sostenevano la necessità di conciliazione fra cristianesimo, e libertà e progresso. Ma il modo e i limiti in cui si intendeva quella conciliazione erano molto differenziati, fino a dare, taluni, l'impressione di essere sul punto di scivolare dal terreno delle concessioni pratiche, ammissibili, in quello dell'abbandono dei principi. Pio IX conosceva (non: perse di vista, come direbbe Aubert) la distinzione fra liberali puri e semplici e cattolici liberali. Ma vedeva anche le differenze fra questi ultimi. Si rendeva conto che svolgevano un compito utile e prezioso: di tentare lo sganciamente delle libertà civili dalla matrice illuministica irreligiosa, per assumerle nella civiltà cristiana; ma capiva pure quanto fosse rischiosa una critica interna del liberalismo radicale, che, a sua volta, nulla concedeva al cristianesimo, alla Chiesa. Facessero pure, i cattolici liberali, con molta cautela, la loro opera di ermeneusi e di teologia! Magari avessero trovato una via cristiana a quelle libertà (il vescovo Maret, ma lui solo e inascoltato)! Pio IX sentì che al Magistero ecclesiastico, pontificio, in quel momento e in quella situazione, incombeva altro compito: quello medicinale-pedagogico di indicare e condannare gli errori.

    Oggi ci accorgiamo, ad itinerario concluso (e ce lo ha ricordato Giovanni XXIII nella Pacem in Terris) come il liberalismo, anche nato da una filosofia naturalistica, poteva avere una evoluzione non necessariamente incompatibile col cattolicesimo. Ma in quel momento gli si opponeva diametralmente e ab extrinseco, contraddicendone i principi basilari. Non si poteva che respingerlo in tronco, ugualmente ab extrinseco, lasciando magari che le forze vitali del pensiero cattolico, rese più guardinghe e awertite dalla condanna papale, cimentandosi col pensiero liberale, ne valorizzassero l'anima di verità e lasciassero decantare l'errore.

    Dispiace constatare come al Silabo abbiano reagito nervosamente - non intendendo il dovere magisteriale e la preoccupazione pastorale del Papa - anche cattolici benemeriti come Montalembert, od abbiano arrecato, in buona fede e al nobile scopo di far smontare l'uragano della contestazione radicale, interpretazioni ingegnose ma sostanzialmente riduttive se non devianti, come il vescovo Dupanloup (7). E dispiace il dissenso di teologi e di storici cattolici attuali, di cui singolarmente espressivo e negativamente esemplare è questo passo:

    "Il documento, preparato durante quindici anni, passato per tante redazioni successive, oggetto di tante discussioni, non era riuscito a precisare in modo chiaro gli errori del tempo; e se aveva il merito di ribadire ancora una volta l'ordine soprannaturale, non rispondeva agli interrogativi sempre più urgenti sui limiti della libertà. Alla radice di tutte le ambiguità del Sillabo, che provocarono discussioni largamente inutili e costituirono un grave handicap di libertà di coscienza, sta l'assoluta mancanza di prospettiva storica e concreta dei consultori romani, e l'univocità con cui essi intendevano la libertà di coscienza. Per essi, come per Gregorio X VI, questa era solo un corollario dell'indifferentismo; sarebbe stato necessario un secolo per ricordare e accettare altri significati, ben diversi, della libertà di coscienza, fondata sulla dignità della persona umana.

    Intanto cattolico-liberali e intransigenti, sia pure con qualche sfumatura nuova, rimanevano sulle posizioni di prima: il Sillabo aveva fallito il suo scopo" (8). (Martina)

    8. Validità della ragione

    Purtroppo per chi tali righe ha vergato, non ci sono ambiguità nel Sillabo, né ci fu mancanza di prospettiva storica in chi lo propose. E quanto all'univocità non è da addebitare meno ai liberali di quanto non la si rimproveri ai cattolici.

    Infine, il Sillabo non ha fallito il suo scopo. Volle essere, e fu, la condanna di errori. E all'uomo serve che gli si additi l'errore non meno di quanto gli occorra la proposta della verità. Così il Sillabo concorse a che la cultura liberale evolvesse in senso non anticristiano, si lasciasse, anzi, permeare in profondità dalla tradizione cristiana.

    È vero però che da quell'8 dicembre acre si fece il rancore dei liberali contro il papa del Sillabo, e risentita, amara, non scevra di riserve l'adesione alla Chiesa dei cattolici moderati, deluso l'amore e l'entusiamo verso il papa, che si sarebbe atteggiato a nemico della civiltà moderna, ad anacronistico ripropositore della ierocrazia di un Innocenzo III, di un Bonifacio VIII.

    Ma non sarebbero passati cinque anni (1870: Concilio Vaticano I) che si sarebbe potuto capire come, paradossalmente, proprio dentro la cultura dell'Ottocento, donde più fervido pareva levarsi l'inno alla Ragione, se ne delimitava difatto il raggio e la portata d'azione; e proprio da parte di quel magistero ecclesiastico, da parte di quella fede cristiana che dal Razionalismo era stata messa in stato d'accusa, da parte di quel Pio IX che col Sillabo avrebbe negato libertà al pensiero, ne sarebbe venuta la più alta riaffermazione.

    Qual era poi quella libertà del pensiero che tanto fieramente si conclamava e reclamava, da paventare oppositori anche dove non erano? Qual era poi questa già dea Ragione, in nome della cui sovranità e indipendenza tanti credevano di dover combattere contro la Chiesa di Pio IX?

    Ma non l'aveva già, proprio Cartesio, il padre del Razionalismo, disancorandola dall'essere, ripiegata narcisisticamente su se stessa e costretta nella camicia di forza delle idee innate? E non erano proprio l'Illuminismo, il Criticismo Kantiano e, poco più tardi, al tempo di Pio IX, il Positivismo a tagliare le ali alla Ragione ed a rinchiuderla, lei che aveva spaziato per i cieli amplissimi della metafisica, dentro le sbarre sicure ma anguste della esperienza? E non era stato -recente e tuttora vitale al tempo del Sillabo - il Romanticismo a scoronare la Ragione del primato, del ruolo di misura e di guida nell'ambito delle facoltà umane, attribuendolo invece al sentimento, all'irrazionale? Ed anche l'Idealismo, nella pretesa di restituire infinità alla Ragione, non potrà far altro che insediare l'irrazionale nel centro dello spirito.

    L'inno al pensiero si smorzava, alla fine dell'Ottocento, in necrologio. Ormai al tanto deprecato dogmatismo succedevano problematicismo, relativismo, scetticismo (oggi il pensiero debole). E se il pensiero era stato sempre riconosciuto l'originale titolo di nobiltà dell'uomo, la dichiarata (non da Pio IX!) miseria del pensiero non avrebbe potuto che avviare all'umiliazione dell'uomo: agli orrori delle guerre e poi dei campi di sterminio, delle dittature, della miseria di interi continenti. E quando l'uomo non crede più in se stesso, non ha più fiducia nel pensiero, non ci si illuda che sia il momento della fede, dell'abbandono in Dio! Vana è la fede che pretenda innalzarsi sulle rovine, sulle ceneri della ragione.

    Tanto più umana ed utile all'uomo, la fede, quanto più forte si regge e s'innalza sulle spalle della ragione ("fundamenta eius in montibus altis").

    Pio IX comprese che per esaltare la fede occorreva riconoscere, ridare fiducia alla ragione, memore - lui, promotore della ripresa della filosofia scolastica - del grande effato tomistico: "fides non potest universaliter praecedere intellectum : non enim po s set homo as senti re credendo aliquibus propositis, nisi ea aliqualiter intelligeret" (la fede non può sempre e in tutto precedere la comprensione dell'intelletto: non potrebbe infatti un uomo assentire col credere a qualcosa che gli venga proposto, se non potesse in qualche modo capirlo) (9).

    E uscì dal Vaticano I - da quello stesso Concilio da cui usciì il dogma dell'infallibilità del papa, in cui volle vedersi l'atto conclusivo del Sillabo, la condanna finale della libertà di pensiero, sacrificata all'autorità assoluta di una testa sola - uscì dal Vaticano I la Costituzione dogmatica Dei Filius, in cui si riconosce alla ragione: di essere fatta per la verità, di potersi elevare alla conoscenza di Dio, di poter dimostrare possibilità e fatti che sono al fondamento della fede e in cui si afferma, non solo l'impossibilità di opposizione, ma l'aiuto reciproco fra fede e ragione, e si conclude:

    "è tanto lontano dall'intenzione della chiesa di opporsi al progresso della scienza, da aiutarlo e promuoverlo anzi in molti modi. Non ignora, infatti, né disprezza i vantaggi che ne derivano agli uomini; riconosce anzi che, come sono uscite, le scienze, da Dio, così possono a Dio ricondurre. E tanto meno vieta che tali discipline nel loro proprio ambito usino principi e metodi propri; ma riconosce questa loro giusta libertà; ed accuratamente si preoccupa che l'umano sapere non introduca in sé l'errore con l'opporsi alla dottrina rivelata..." (10).

    Così parlavano i teologi del Vaticano I, quelli stessi che avevano collaborato al Siltabo. Così diceva, sottoscriveva, avvolorava Pio IX, lo stesso papa che aveva emanato il Sillabo (non a contraddire, bensì a far capire il senso genuino di quel non lontano Documento).

    9. Chiesa e Liberalismo oggi

    Credo ci siano ragioni a che storici e teologi convengano esser effetto di ingenua e sprovveduta lettura del Sillabo l'opinione, e l'accusa a Pio IX, che egli abbia, condannando il Liberalismo del suo tempo, isolato la cultura cattolica dal mondo contemporaneo, provocato chiusure e ritardi che nemmeno il Vaticano II sarebbe riuscito a superare, gettato le radici della grave crisi del cattolicesimo d'oggi. Pio IX è stato quello che doveva essere, e così il Sillabo. La condanna di quel Liberalismo dipende dalla sua intrinseca incompatibilità col cattolicesimo: non con quel cattolicesimo - con una presunta interpretazione riduttiva o medievale che ne avrebbe data Pio IX -, ma con il cattolicesimo, del quale come Papa garantiva l'autenticità.

    Se fosse vero che, dopo Pio IX, Paolo VI e il Vaticano II hanno rappresentato la tardiva realizzazione del cattolicesimo liberale - quello che temette d'essere condannato, anche lui, dal Sillabo - cercando di governare la modernità, sarebbe anche vero che la crisi dei comunismi e la sconfitta del materialismo di Stato consentono alla Chiesa di concentrare la sua attenzione contro l'avversario tradizionale, figlio dei Lumi e del 1789: consentono, cioè, a papa Wojtyla di improntare il suo magistero all'antica polemica contro il liberalismo, che egli identifica oggi con la secolarizzazione, il consumismo, il primato di valori terreni...

    E se oggi la Chiesa cattolica - rinnovando la strategia rispetto a quella di Pio IX - non si riduce alla pura opposizione al secolarismo, figlio naturale del liberalismo filosofico, ma utilizza molti strumenti messi a punto dalla democrazia liberale (dalla rivendicazione dei Diritti Umani -elemento centrale del Magistero attuale - alle libertà civili: di pensiero, di stampa, di coscienza, di culto..., ai principi del diritto internazionale, ad alcuni meccanismi del capitalismo - cf. la "Centesimus annus", - ciò non si deve al fatto che il cattolicesimo si sia ravveduto nei confronti del Liberalismo o che il cammino della storia abbia smentito Pio IX, ma semplicemente al fatto che oggi abbiamo a che fare con un liberalismo economico e politico che in gran parte si è liberato dalla matrice filosofica illuministica e romantica. Abbiamo a che fare con un altro liberalismo rispetto a quello cui dovette opporsi il nostro papa Mastai.

    Difficile dire se questo sarebbe stato il cammino del liberalismo senza il Sillabo. È certo, comunque, che Pio IX non ha rallentato, ma mantenuto nella giusta rotta il cammino della Chiesa.

    ________________________________________________

    Mencucci A. , Brunetti M. (a cura di), Atti senigalliesi nel Bicentenario della nascita di Pio IX, Senigallia, 1992, pp. 25-37.

    Fonte: PIO IX

    Corpo di Pio IX a Senigallia il 2 febbraio 2001




  9. #9
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Com’è moderno il "Sillabo"

    Reazionario? Ma nel 1864 mettere in guardia dai pericoli delle ideologie più funeste del '900 era addirittura profetico

    "Pio IX lanciò un monito contro tutti gli "ismi" e solo noi, uomini del 2000, possiamo apprezzarne la lucidità"


    L'8 dicembre 1864, lo stesso giorno in cui dieci anni prima era stato proclamato il dogma dell'Immacolata Concezione, veniva pubblicata l'enciclica Quanta cura. Recava annesso un catalogo (in latino Syllabus) di dottrine, idee, teorie e affermazioni che la Chiesa condannava.
    Fosse uscita da sola, l'enciclica avrebbe avuto un effetto meno dirompente: si sa, le encicliche sono generalmente prolisse, avvolte in uno stile solenne e severo che stempera in qualche modo il rigore delle affermazioni. Ma quel repertorio di brevi proposizioni, secche, precise, terribili, ebbe l'effetto di un macigno piombato in un negozio di specchi. Non potevano esservi dubbi, né vi era spazio per erudite controversie di teologi: quelle 80 frasi erano lì, nero su bianco, seguite dal richiamo ai pronunciamenti pontifici che le fulminavano. Un pugno diretto allo stomaco del mondo moderno (anzi, al suo cuore), così come esso si era venuto sviluppando negli ultimi due secoli. La semplice impostazione di condanna (La Chiesa condanna chiunque affermi questo e quest'altro...) costituiva una sorta di prontuario per il credente: gli bastava fare il contrario per essere nella verità cattolica. Solo che in quel documento c'era l'universo intero, lo spirito della modernità era folgorato in toto, né rimaneva quasi spazio per altro.
    In genere si dice che a chi crede bastano poche parole; è chi non crede o per quelli paucae fidei che, sempre in genere, "questo linguaggio è duro" (Gv 6,60). Duro, quello del Sillabo, lo era senz'altro; ma, altrettanto sicuramente, chiaro ed efficace. Infatti, all'epoca tutti capirono perfettamente. E da allora le cose non sono più state le stesse, con implicazioni e complicazioni che tuttora perdurano, a 136 anni di distanza. Molti cattolici, infatti, considerano il Sillabo una sorta di scheletro nell'armadio, un momento della loro storia di cui vergognarsi e scusarsi. Per mettere in difficoltà un cattolico in una discussione basta a un certo punto scagliargli in faccia un "E il Sillabo?". Di solito l'effetto che si ottiene è paragonabile a quello, terroristico e paralizzante, che si aveva quando, in tempi neanche tanto remoti, si dava del "fascista" a qualcuno.
    Coloro che, quasi un secolo e mezzo fa, sostennero e difesero quel documento sono considerati, nella migliore delle ipotesi, "anime povere di vita che non sapevano nulla dei vasti orizzonti del mondo moderno". L'affermazione è di uno storico laico, Gabriele Pepe, ed è contenuta in un libretto dal titolo: Il Sillabo e la politica dei cattolici. Non vi sarebbe niente di strano, rispetto ai giudizi ancora correnti sul Sillabo, se queste parole non fossero datate Capodanno 1945, cioè a pochi mesi dalla fine dell'incubo peggiore che il "mondo moderno" (anzi, il mondo tout court) avesse mai conosciuto. Dopo lo spaventoso carnaio della seconda guerra mondiale, dopo i lager, dopo Hiroshima, dopo le purghe sovietiche, dopo l'Europa ridotta a un cumulo di rovine fumanti, forse era davvero il momento di chiedersi se il Sillabo non avesse avuto per caso ragione.
    Se cioè, quel vecchio Papa che un secolo prima era stato "sconfitto dalla storia" non avesse voluto lanciare un grido profetico alle generazioni presenti e future; un ultimo grido disperato, una messa in guardia tagliente e forte contro le ineluttabili conseguenze di certe premesse, contro gli abominevoli frutti che sarebbero cresciuti sui tronchi delle ideologie; un monito contro tutti gli "ismi" che si presentavano, allora, radiosi e gravidi di futuro. Se c'è qualcuno che può veramente capire e apprezzare la lucidità del Sillabo, quelli siamo proprio noi, uomini del Duemila. Noi, che possiamo mettere in fila e valutare tutti i disastri che sono venuti dopo e che hanno avuto come portato finale l'epoca in cui viviamo, contrassegnata dal nichilismo e dal rifiuto della vita. Il secolo seguito al Sillabo è stato definito, nella migliore delle valutazioni, "breve". Ma anche "del male" e "dei martiri", nonché "della morte di Dio" che ha portato con sé quella "dell'uomo". Si noti che tutte queste definizioni sono rigorosamente di mano laica. Man mano che si spegne la luce portata dal Cristo (riflessione del cardinale Ratzinger), tornano superstizione e schiavismo, suicidi e violenza diffusa, il vizio premiato e la virtù derisa...
    Ma è inutile fare l'elenco: basta leggere la cronaca quotidiana. Il sottofondo comune è la paura, paura del presente e, soprattutto, del futuro. Dalla stessa scienza si prendono le distanze: la diffusa preoccupazione ecologica e la sfiducia nella medicina ufficiale valgano per il tutto. Ma è una paura che gli uomini dell'Ottocento, abbagliati dalle promesse degli "ismi", non avevano. Anzi. In una parte di certo mondo clericale è invalso oggi l'uso di qualificare come "profetici" gesti, atteggiamenti, parole che altri potrebbero trovare, piuttosto, opinabili o magari, in qualche caso, insignificanti. "Profetico" vuol dire "capace, per ispirazione, di vedere e rivelare il futuro". Quanti, di quelli che criticano il Sillabo, possono dire di averlo letto e, magari, studiato? Forse troverebbero che quel vituperato e negletto documento della Chiesa docente fu realmente "capace, per ispirazione, di vedere e rivelare il futuro". Certo, non c'è scritto, per esteso, che il comunismo finisce invariabilmente nei gulag. Ma non è profetico già il solo averne inserito la voce nel 1864? Si faccia caso alla data; il Manifestocominciò a circolare clandestinamente solo durante la Comune di Parigi del 1871.
    Certa storiografia, anche di parte cattolica, ha opposto per lungo tempo il magistero di Leone XIII a quello di Pio IX, tanto "chiuso", questo, nei confronti del mondo moderno quanto quello sarebbe stato "aperto". Eppure fu proprio Leone XIII, quando era l'arcivescovo di Perugia Gioacchino Pecci, a lanciare l'idea di un Sillabo fin dal 1849, e a battersi e insistere affinché un "catalogo" di errori venisse stilato a modo di vademecum riassuntivo. Leone XIII lo si cita a proposito e a sproposito come il Papa della Rerum Novarum, senza mai ricordare che la terza parola dell'enciclica è cupiditas: "il desiderio smodatodi novità...". Così comincia, con una condanna perfettamente in linea con quelle del predecessore, la famosa enciclica leoniana.
    Giudicare il Sillabo senza conoscere niente del clima in cui maturò è come deridere i fucili ad avancarica avendo l'occhio sulle moderne armi al laser. Il susseguirsi degli eventi storici e la modifica di alcuni dati di partenza ha reso possibile alla Chiesa l'accantonamento e addirittura la rimozione di molte delle condanne contenute nel Sillabo. Ma quello scarno elenco vide la luce in una cittadella assediata e prossima alla fine, mentre antichissimi diritti venivano irrisi e schiacciati in nome di un "Progresso" che oggi non pochi storici - anche laici - cominciano a vedere nella sua giusta luce anche di sopraffazione politica e ideologica. Nessuno più osa negare che, a partire dai philosophes settecenteschi, la Chiesa da cui uscì il Sillabo aveva dovuto affrontare il giacobinismo, il bonapartismo e infine il liberalismo virulentemente anticattolico risorgimentale. Inquadrato storicamente, il Sillabo rivela, nel suo linguaggio, tutto l'orgasmo e l'angoscia di chi vedeva un mondo finire forse per sempre.
    Ma lo studio sereno e pacato non potrà non rivelare in esso il grido - ripetiamo, profetico - di un pastore che dice al suo gregge: state attenti, quel che vi sembra "sol dell'avvenire" si rivelerà puro veleno. La beatificazione in contemporanea di due papi, Pio IX e Giovanni XXIII, mostra tangibilmente che la Chiesa è sempre la stessa; cambia solo il modo di predicare un identico messaggio a uomini di epoche differenti. Ma è quanto meno singolare osservare quante voci si sono levate a dichiarare il "gradimento": questo Papa sì, quello no; ultima - ieri su La Repubblica - quella dello storico "laico" Lucio Villari. Tanto per cambiare, i più critici sono quelli a cui le beatificazioni dovrebbero importare meno, visto che sono dichiaratamente i più distanti dal credo cattolico.
    Ma chiunque abbia esperienza di dialogo sa che i difensori della "tolleranza" diventano virulentemente intolleranti quando sono i loro dogmi a venir messi in discussione. La "libertà" deve dunque venire difesa anche da se stessa? Deve essere tutelata a qualunque costo anche dalle critiche che essa stessa potrebbe generare? Ecco un bel paradosso su cui il pensiero cosiddetto laico potrebbe più utilmente esercitarsi anziché cercare di insegnare alla Chiesa il suo mestiere.

    Rino Cammilleri

    Avvenire - 26 agosto 2000

    Fonte: Contro la leggenda nera

  10. #10
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Il "caso Mortara" di Vittorio Messori

    Scorro una di quelle pubblicazioni presentate come di "incontro" tra cristianesimo ed ebraismo, mentre spesso si risolvono in un affannarsi di cristiani di oggi per attribuire ai cristiani di ieri tutte le infamie antisemite della storia. Già l'osservammo, qui: proprio quelli che più dicono di avere a cuore la giustizia si preoccupano solo dei loro contemporanei, dimenticando che c'è un dovere di giustizia anche verso coloro che ci hanno preceduti. Occorre essere giusti non solo verso i vivi, ma anche verso i morti: anzi, più che mai verso questi, perché non possono difendersi; e soprattutto se si tratta di fratelli in una fede della quale non solo noi (checché ne pensi la nostra risibile superbia di moderni) abbiamo capito da poco le esigenze. Nella pubblicazione cui mi riferisco, dei cattolici inveiscono tra l'altro contro la Chiesa ottocentesca che avrebbe compiuto scelleratezze come, testualmente, "il sequestro del figlio agli sventurati coniugi Mortara". Si dice che si tratta di una ignominia, per la quale si chiede perdono, promettendo che questo non potrà più avvenire. Ma allora, proprio per amore di verità e, dunque di giustizia, andiamo a vedere che cosa fu esattamente questo "caso Mortara" che riempì le gazzette ottocentesche di mezzo mondo e provocò addirittura passi diplomatici e interventi infiammati nei parlamenti d'Europa e delle Americhe. Ora l'episodio sembra dimenticato, ma di tanto in tanto càpita di ritrovarlo evocato. Non sarà dunque inutile informare i lettori dei dati corretti di un "caso" doloroso e drammatico, ma con un finale a sorpresa che - guarda caso - non è mai citato dagli accusatori.

    Girolamo Mortara Levi, ricco mercante ebreo di Bologna (allora negli Stati pontifici) ebbe nel 1851 dalla moglie, anch'essa ebrea, un figlio cui fu dato il nome di Edgardo. A undici mesi il bambino fu colpito da una gravissima malattia, per cui fu dato per ormai spacciato. Credendo che la morte fosse questione di ore, una domestica cattolica al servizio dei Mortara amministrò di nascosto (e di sua iniziativa, senza consultare alcuno) il battesimo al piccolo. Il quale ebbe però una sorprendente ripresa e tornò alla salute. Nel 1858 - quando Edgardo aveva 7 anni - una donna si presentò spontaneamente all'autorità ecclesiastica di Bologna per informare del caso. L'arcivescovo fece svolgere un'inchiesta minuziosa che constatò che il battesimo era sì illecito perché amministrato senza il consenso dei genitori, ma era valido, secondo la teologia e il diritto canonico. Dunque, con quel "segno oggettivo" che è il battesimo, il piccolo Edgardo era stato inserito - mistericamente ma realmente - nella comunità cristiana. Così, il bambino fu tolto ai genitori (cui fu data peraltro ogni facoltà di visitarlo quando volessero) e, a spese del papa stesso Pio IX, fu ospitato in un collegio romano. Gli ebrei piemontesi denunciarono il caso all'opinione pubblica prima interna e poi internazionale. La protesta, violentissima, partì dal Regno di Sardegna, perché il caso faceva molto comodo alla polemica contro il potere temporale dei papi: "Fino a quando i preti avranno responsabilità di governo saranno possibili barbarie del genere".

    Anche fuori d'Italia il caso, come accennammo, ebbe risonanze immense e gli ambasciatori facevano pressione su Pio IX, il quale, pur confessando la sua sofferenza, rispondeva di non poter agire diversamente, rimarcando tra l'altro che il caso increscioso aveva avuto origine da una illegalità dei Mortara. In effetti, le leggi dello Stato pontificio proibivano agli ebrei di assumere personale di servizio cattolico: e non certo (come sarà per nazisti e fascisti) per questioni "razziali", ma perché l'esperienza aveva dimostrato che in simili casi potevano nascere non solo pericoli per la fede dei domestici cristiani, ma anche situazioni drammatiche come quella verificatasi appunto a Bologna. Conformandosi al pensiero dei Padri, e poi dì san Tommaso, la Chiesa aveva sempre proibito che i figli minorenni di ebrei fossero battezzati senza il consenso dei genitori: l'autorità paterna (quale che sia la fede dei genitori) è un principio del diritto naturale che è tra i capisaldi del sistema cattolico. Ma il caso Mortara investiva il diritto soprannaturale: il battesimo validamente amministrato rende "cristiani" ex opere operato, imprime il carattere indelebile di "figlio della Chiesa". Non è la fede dei genitori, è la fede della Chiesa che - nel battesimo - è imputata al bambino. Dunque, poiché valida anche se illecita, l'azione di quella domestica (convinta che il piccolo stesse per morire) rendeva la Chiesa stessa come prigioniera del suo dovere di non respingere quel suo figlio inaspettato e di assicurargli un'educazione cristiana. Proprio per evitare questi casi, i papi avevano moltiplicato le condanne contro "battezzatori" irresponsabili e avevano preso cautele.

    Nel 1860, Bologna era annessa al Piemonte con un colpo di mano e il colonnello della gendarmeria pontificia che aveva materialmente tolto Edgardo ai genitori veniva arrestato e tratto in giudizio. Ma il piccolo era ormai a Roma e non sì poteva dunque liberarlo. L'occasione venne dieci anni dopo, con la breccia del venti settembre. Il giovane Mortara aveva ormai 19 anni, ma ai "piemontesi" precipitatisi nel convento dove pensavano fosse prigioniero, toccava la delusione dì sentirlo affermare che non solo non intendeva rinunciare alla sua vita cristiana, ma aveva deciso di farsi religioso nei Canonici Regolari Lateranensi. Risultò anche che due anni prima le autorità pontificie intendevano rimandarlo presso la sua famiglia, avendo ormai conosciuto bene il cristianesimo e potendo dunque scegliere liberamente. Ma era stato lui stesso a rifiutare. Anzi, proprio nella Roma dove i "liberali" che volevano prendere le sue difese sopprimevano le congregazioni religiose e i monasteri erano trasformati in stalle, caserme, prigioni, Edgardo Mortara (che aveva aggiunto al suo nome quello di Pio, in omaggio al papa che lo aveva fatto allevare nella Chiesa) sceglieva liberamente la via del sacerdozio. Ancor più: la sua insofferenza verso i "liberatori" fu tale che rifiutò ostinatamente di rispondere alla chiamata di leva nell'esercito italiano. I superiori dovettero farlo riparare all'estero, dove divenne apprezzato insegnante dì teologia e famoso predicatore. In grado di parlare in nove lingue moderne, fu instancabile annunciatore del vangelo in molti Paesi, tanto che alla sua morte qualcuno propose il processo di beatificazione. In particolare, dedicò i suoi sforzi alla conversione degli ebrei. In occasione del cinquantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, nel 1933, indirizzò proprio al popolo nel quale era nato un appello perché riconoscesse la verità del vangelo, dove diceva di avere trovato ciò che la sua anima religiosa di ebreo andava cercando. Morì a quasi novant'anni, nel 1940, in un monastero del Belgio. Sin sul letto di morte ebbe espressioni di tenerezza per i fratelli in Abramo e di ansia perché tardava il loro ingresso nella Chiesa.

    Storia drammatica e singolare, dunque, ma con un lieto fine, malgrado tutto. Una di quelle vicende in cui sembra di vedere all'opera un Dio che "sa scrivere dritto anche su righe storte". Non sarà inutile, per finire, ricordare le parole di Giacomo Martina, storico attento e pacato: "Mentre alcuni cattolici e quasi tutti i protestanti si stracciavano le vesti per la ferma volontà di Pio IX di educare nella religione cattolica chi vi era stato battezzato, nessuno protestava per l'aperta e violenta coazione nei territori polacchi soggetti alla Russia (ma anche in Inghilterra e nei Paesi scandinavi) a danno della libertà religiosa dei cattolici".

    © Le cose della vita, San Paolo, Milano 1995, p. 322.

    Fonte: Contro la leggenda nera

 

 
Pagina 1 di 6 12 ... UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. 10 febbraio - Beato Alojzije Viktor Stepinac
    Di Vandeano (POL) nel forum Tradizionalismo
    Risposte: 12
    Ultimo Messaggio: 11-02-20, 01:53
  2. 3 febbraio (2 febbraio) - Beato Stefano Bellesini
    Di vandeano2005 nel forum Tradizionalismo
    Risposte: 5
    Ultimo Messaggio: 03-02-19, 17:41
  3. Oggi si commemora Papa Pio IX (Beato)
    Di Cattivo nel forum Laici e Laicità
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 07-02-13, 16:40
  4. 28 Febbraio - Beato Stanislao Tymoteusz Trojanowski, Martire
    Di Vandeano (POL) nel forum Tradizionalismo
    Risposte: 4
    Ultimo Messaggio: 27-02-07, 17:49
  5. 21 Febbraio - Beato Natale Pinot
    Di Vandeano (POL) nel forum Tradizionalismo
    Risposte: 7
    Ultimo Messaggio: 20-02-07, 15:19

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito