Risultati da 1 a 9 di 9
  1. #1
    Becero Reazionario
    Data Registrazione
    31 Mar 2009
    Località
    Königreich beider Sizilien
    Messaggi
    18,031
     Likes dati
    33
     Like avuti
    90
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Post LIBRO/2 - Il 4° segreto di Fatima

    Il quarto segreto di Fatima
    Socci Antonio
    € 17.00




    articolo di commento tratto da:
    http://www.effedieffe.com/interventi...etro=religione


    Fatima: si dice quel che si può…
    Domenico Savino
    15/01/2007

    Dunque la notizia c’è ed è clamorosa.
    Il «quarto» segreto di Fatima non è una fissazione dei circoli fatimiti, dei tradizionalisti o del dottor Solideo Paolini.
    Esiste, è scritto su un unico foglio di 20-25 righe delle dimensioni di circa cm. 9 x 14, contenuto a sua volta in una busta di cm. 12 x 18; contiene espressioni dialettali tipiche della parlata del nord del Portogallo e fa riferimento ad una gravissima crisi di fede all’interno della Chiesa.
    Il segreto meglio o peggio custodito di tutto il XX secolo ad un certo momento è addirittura andato «perso» e c’è voluto l’intervento dell’ex-Segretario di Papa Giovanni XXIII monsignor Loris Capovilla per rintracciarlo: è conservato nel cassetto di destra della scrivania detta Barbarico nella stanza da letto del Papa, al contrario dei tre segreti di Fatima già svelati e che sono conservati negli archivi del Sant’Uffizio.
    E’ quanto emerge dall’ultimo esplosivo libro di Antonio Socci, «Il quarto segreto di Fatima», Rizzoli editore, stranamente silenziato da quasi tutti i media e i giornali.
    Si tratta di una sintesi minuziosa di quanto gli studiosi della materia hanno prodotto nel corso degli anni ed ha il pregio di raccontare in 250 pagine scritte in maniera brillante il più incredibile segreto velato e svelato della storia della cristianità moderna.
    L’indagine è condotta senza estremismi di alcun tipo e soprattutto partendo da un punto di partenza opposto.
    Scrive Socci: «Qui racconto il mio viaggio nel più grande mistero del XX secolo ed espongo il risultato a cui sono onestamente pervenuto. Risultato che sinceramente contraddice le mie convinzioni iniziali» (il lettore noterà questa evoluzione e questo cambiamento di giudizio dalle prime pagine alla conclusione). (1)
    In più Socci, con notevole onestà intellettuale, riconosce di avere in passato difeso a spada tratta le ragioni del Vaticano e la versione ufficiale, di avere liquidato tutte le dietrologie, di avere attaccato Messori su questi temi «ingenerosamente, soprattutto verso i tradizionalisti».
    Inoltre non esita a mostrarsi debitore verso certi autori facenti capo all’area tradizionalista, citando ripetutamente il testo del dottor Solimeo Paolini, «Fatima, non disprezzate le profezie», Edizioni Segno.
    Stando a quanto riferisce Socci il terzo segreto di Fatima si comporrebbe del testo già integralmente pubblicato nel 2000 e scritto su quattro fogli di diario e di un segreto rivelato ma non pubblicato, scritto su un solo foglio ed inserito in una busta distinta, contenente la parte del segreto «secretato» e che costituirebbe il seguito della frase tronca alla fine del secondo segreto: «In Portogallo, il dogma della fede sarà sempre conservato, etc.».

    E’ in questa parte del testo, che suor Lucia non riusciva a scrivere perché paralizzata dalla paura, che sarebbe stato preannunciato alla veggente il fatto che la Chiesa, a partire dal suo vertice, sarebbe stata colpita da una crisi che l’avrebbe condotta fin quasi all’apostasia.
    Una crisi che parte dal vertice umano della Chiesa, negli anni ‘60 e finisce con il trionfo del Cuore Immacolato di Maria Santissima (quindi riguarda il nostro tempo), che sembra collegata alle profezie degli ultimi tempi, alla Sacra Scrittura (soprattutto all’Apocalisse) e che forse prepara la via all’Anticristo (come forse sapevano misteriosamente i mandanti di Alì Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo II).
    In effetti quella frase relativa al Portogallo, seguito dall’«etc.», altro non è che un evidente rimando a qualcosa di cui si è scritto altrove e che prefigura una condizione in cui invece il dogma della fede verrà ad un certo punto perduto.
    La conferma expressis verbis dell’esistenza di questo «quarto» segreto viene da un uomo
    al di sopra di ogni sospetto per quel che diremo in seguito, monsignor Capovilla, ex-Segretario di Giovanni XXIII, in un colloquio col dottor Solideo Paolini e citato da Socci.
    Nel colloquio il plico contenente la parte del segreto svelato nel 2000 viene individuato «plico Bertone» e quello da lui personalmente visionato insieme a Giovanni XXIII «plico Capovilla».
    Ecco il testo del colloquio.
    Domanda Paolini: «Eccellenza il mio riferimento è a un testo scritto (il documento ufficiale vaticano), chiaro e a sua volta basato su appunti d’archivio!».
    Monsignor Capovilla: «Ma io giustifico, forse il plico Bertone non è lo stesso del plico Capovilla…» E io subito, interrompendolo: «Quindi entrambe le date sono vere, perché del terzo segreto ci sono due testi?». Qui c’è stata una breve pausa di silenzio, poi monsignor Capovilla riprese: «Per l’appunto!».
    Mille altri dettagli, indizi, apparenti contraddizioni, frasi allusive, discorsi di Papi e cardinali lasciano intravedere questa sconcertante realtà.
    Insomma il segreto mai svelato è in realtà più volte rivelato nel suo contenuto.
    In sintesi il testo reso noto nel 2000 sarebbe vero e nella sua immagine di una Chiesa perseguitata e sofferente e di un Papa colpito a morte, in un mondo devastato dalla guerra, avrebbe essenzialmente rivelato (rivelato, si badi!) il senso del segreto, che tuttavia non è stato integralmente pubblicato (pubblicato è diverso da rivelato!) nel suo contenuto completo, giacché, divulgato oggi, anziché nel 1960, come - secondo quanto ha rivelato suor Lucia avrebbe voluto la Madonna - renderebbe palese il «tradimento dei chierici», la presunzione di decidere le sorti della Chiesa senza avvalersi dell’aiuto soprannaturale della Madonna, un certo disprezzo intellettualistico per la «miseria» di quel messaggio, una certa spocchia razionalistica di una fede critica e - per l’appunto - a-dogmatica, tipica della riflessione teologica che, muovendo dalle posizioni protestanti, riuscì col Concilio a versare il Reno nel Tevere.
    Nell’occultamento del segreto una parte rilevante, anzi la parte centrale, l’avrebbe avuta proprio il Papa «buono», cioè Giovanni XXIII.

    L’aspetto sorprendente del libro di Socci è il giudizio severissimo proprio su Papa Roncalli (descritto come il Papa che perseguitò padre Pio e «recluse» suor Lucia), su un Concilio (il Vaticano II) che avrebbe potuto essere uno straordinario evento per la Chiesa se si fosse ispirato allo spirito di Fatima e che invece fu inaugurato da Giovanni XXIII - scrive Socci - «nell’ottobre 1962, con un discorso rimasto celebre per le sue infelici ironie sui bambini di Fatima: ‘A Noi sembra di dover dissentire da codesti profeti di sventura, che annunciano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo’».
    Evidentemente - prosegue Socci - riteneva che il suo spirito «profetico» fosse ben più arguto di quello della «Regina dei Profeti».
    «Infatti annunciò una splendida primavera per la Chiesa e abbiamo visto che gelido e buio inverno è arrivato».
    Socci così ci informa che quella frase pronunziata da Roncalli non sarebbe in realtà stata rivolta tanto contro la componente «conservatrice» del Concilio, come si poteva fin qui pensare, ma precisamente contro i tre pastorelli di Fatima.
    Ma non basta: nel mirino di Socci c’è anche Paolo VI «l’aristocratico Montini, l’intellettuale di formazione francese […] il Papa secondo il quale ‘la Chiesa non ha bisogno’ dell’aiuto straordinario della Madonna - sono parole di Socci! - e può fare a meno del suo materno soccorso», che di lì a poco dovette drammaticamente riconoscere - a pochi anni dalla fine del Concilio - che la chiesa era in preda all’«autodemolizione».
    Paolo VI addirittura gridò disperatamente la sua sensazione apocalittica «che da qualche parte sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio».
    Poi aggiunse amaramente: «Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E’ venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio».
    E’ a Roncalli che tutto andrebbe ricondotto, all’atteggiamento di colui che doveva rendere noto il terzo segreto di Fatima nel 1960 (secondo il volere della Madonna) e non lo fece.
    Sempre monsignor Capovilla ricostruisce così l’evento dell’apertura del terzo segreto: «Giovanni XXIII, (dopo aver parlato con tutti i collaboratori che aveva consultato) mi disse: ‘scrivi’».
    E scrissi sotto sua dettatura: «Il Santo Padre ha ricevuto dalle mani di monsignor Philippe questo scritto. Si è riservato di leggerlo il venerdì con il suo confessore. Essendoci locuzioni astruse, chiama monsignor Tavares, che traduce. Lo fa vedere ai suoi collaboratori più intimi. E alla fine dice di chiudere la busta con questa frase. Non dò nessun giudizio, silenzio di fronte a una cosa che può essere manifestazione del soprannaturale e può non esserlo».
    Questo pare sia stato scritto sopra la busta che contiene la parte mancante del terzo segreto di Fatima.
    «Locuzioni astruse» - commenta Socci - le liquidò così Giovanni XXIII.

    Era un modo furbesco per non dire che - semplicemente - a lui quelle parole della Madonna non piacevano, lo infastidivano, probabilmente lo impaurivano, disturbavano il suo beato ottimismo sulle sorti magnifiche e progressive.
    Così le cancellò.
    Le occultò, impedendo a tutta la Chiesa e all’umanità di ascoltare l’avvertimento accorato della Madre di Dio apparsa a Fatima o comunque impedì di fare i conti - laicamente - con il cuore del messaggio di Fatima.
    Erano parole tanto gravi - quelle della Vergine - che quel Pontefice, pur di negarle e nasconderle per sempre, ritenne che probabilmente non erano della Madonna, ma potevano essere «fantasie» di suor Lucia, che da quel momento cominciò a essere, su ordine del Vaticano, praticamente «muta e irraggiungibile».
    Così negli stessi anni in cui Papa Roncalli dava l’annuncio del Concilio (pensando di riformare lui la Chiesa) valutò il terzo tegreto - che forse lo metteva in guardia da quella svolta - come «un messaggio non soprannaturale».
    A questo punto, la rivelazione del segreto, che per espresso desiderio della Madonna doveva essere fatta nel 1960 è divenuta impossibile?
    Pubblicare adesso quel segreto diventerebbe uno scandalo?
    Mostrerebbe forse che la Chiesa, pur sapendo non ha voluto, pur potendo non ha osato, pur avvisata non ha creduto e che pertanto, pur senza modificare il dogma della fede, ha permesso con il Concilio e il Post-concilio che, «aggiornandolo», proprio il dogma della fede andasse perduto?
    Per questo - spiega Socci - «Ratzinger e Giovanni Paolo II nel Duemila hanno pubblicato di quel segreto quel che era possibile, cioè il testo della visione. Ma di fatto senza poter rimuovere quel macigno rappresentato dalla ‘bocciatura’ di Giovanni XXIII sulle parole della Madonna (cui si è associato di fatto Paolo VI)».
    Su questa linea il cardinale Sodano diede l’annuncio della pubblicazione del terzo segreto, anticipandone pure l’interpretazione.
    Si chiede Socci: «Non è chiaro perché l’interpretazione sia stata data dal segretario di Stato, che non è un’autorità dottrinale».
    Fatto sta che da quel momento, la linea è tracciata: «Il segreto - spiega Sodano - tratta della lotta dei sistemi atei contro la Chiesa e i cristiani e descrive l’enorme sofferenza dei testimoni della fede dell’ultimo secolo del secondo millennio. E’ una interminabile Via Crucis guidata dai Papi del ventesimo secolo… il ‘vescovo vestito di bianco’ che prega per tutti i fedeli è il Papa. Anch’egli, camminando faticosamente verso la croce tra i cadaveri dei martirizzati […] cade a terra come morto, sotto i colpi di arma da fuoco».

    Le molte e indiscutibili incongruenze del testo rispetto al secondo segreto sono superate, la drammaticità dell’annuncio attenuata, lo svolgersi dello stesso pare oramai alle spalle, il testo viene perfino adattato: nella profezia non è scritto che il Papa cade «come morto», è scritto «morto»!
    Socci, contro l’interpretazione della maggioranza, solleva il dubbio che la profezia non si sia affatto già compiuta, che il Papa colpito non sia Giovanni Paolo II e titola, senza punto interrogativo (!) e riferendosi a Ratzinger: La vita di questo Papa è in pericolo.
    Nel 2000, quando il segreto fu pubblicato, la presentazione era firmata da monsignor Bertone, mentre il commento teologico era affidato al cardinale Ratzinger rispettivamente il numero 2 (Segretario) e il numero 1 (Prefetto) della Congregazione per la Dottrina della Fede.
    Ricorda Socci «che la Congregazione per la Dottrina della Fede, cioè la massima autorità dottrinale (fino ad allora seconda solo al Papa!) va a dipendere dalla segreteria di Stato, l’autorità politica!» (è una delle tante follie del post-Concilio).
    Guarda caso dal Segretario di Stato, appunto da Sodano.
    Ratzinger, quale Prefetto della Congregazione, non può contraddire Sodano e infatti dice: «Innanzitutto dobbiamo affermare con il cardinal Sodano: le vicende cui fa riferimento la terza parte del segreto di Fatima sembrano ormai appartenere al passato».
    Notate bene quel: «Dobbiamo affermare»…
    Poi si domanda, usando la figura della domanda retorica, tipica del teologo: «Non doveva il santo Padre, quando dopo l’attentato del 13 maggio 1981 si fece portare il testo della terza parte del ‘segreto’, riconoscervi il suo proprio destino? Egli era stato molto vicino alla frontiera della morte ed egli stesso ha spiegato la sua salvezza con le seguenti parole: ‘... fu una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola e il Papa agonizzante si fermò sulla soglia della morte’ (13 maggio 1994). Che qui una ‘mano materna’ abbia deviato la pallottola mortale, mostra solo ancora una volta che non esiste un destino immutabile, che fede e preghiera sono potenze, che possono influire nella storia e che alla fine la preghiera è più forte dei proiettili, la fede più potente delle divisioni».
    Ma poi «è curioso - fa notare Socci - che Ratzinger inizi il commento che dovrebbe motivare l’identificazione del terzo segreto con la profezia dell’attentato al Papa, con queste parole che‘Nessun grande mistero viene svelato; il velo del futuro non viene squarciato’».
    Il cardinal Ratzinger, - ricorda ancora Socci - aveva rilasciato nel 1984 a Vittorio Messori un’intervista sulla rivista Jesus, edita dalle Edizioni Paoline, in cui affermava che la crisi della fede affligge la Chiesa in tutto il mondo.
    Rivelando di aver letto il terzo segreto, specificava che esso si riferisce ai «pericoli che minacciano la fede e la vita dei cristiani e, di conseguenza, la vita del mondo», affermando che il segreto si riferisce anche «all’importanza dei Novissimi [gli Ultimi Tempi/le Ultime Cose] e che «se non lo si pubblica - almeno per ora - è per evitare di far scambiare la profezia religiosa con il sensazionalismo…».
    Si domanda Socci perché, essendo l’attentato al Papa ormai avvenuto, quel segreto avrebbe dovuto generare sensazionalismi nel 1984 e non nel 2002 e se di conseguenza davvero Ratzinger facesse riferimento allo stesso testo, per opporre alle parole di allora («evitare di far scambiare la profezia religiosa con il sensazionalismo») quelle rassicuranti del 2000 («Chi legge con attenzione il testo del cosiddetto terzo segreto resterà probabilmente deluso o meravigliato. Nessun grande mistero viene svelato; il velo del futuro non viene squarciato»).

    Insomma dalla lettura del libro di Socci si capisce che, passando attraverso l’iniziale «no» di Roncalli, il resto è solo conseguenza: quel segreto non si può pubblicare, non se ne può parlare, è stato seppellito per sempre.
    E il motivo è presto detto.
    Esso preannunciava una crisi spaventosa della fede, che chi ha convocato il Concilio ha sottovalutato ed anzi ha irriso, ritenendo di riformare da sé la Chiesa: i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
    Svelare oggi quel segreto, anziché nel 1960 - come aveva chiesto la Madonna - potrebbe addirittura accentuare la crisi, a meno di non trovare il coraggio di fare questa volta un mea culpa non per i peccati passati della Chiesa, ma per quelli presenti.
    Da ciò ne deriverebbe senz’altro uno sconcerto tra i cristiani autentici, perché si sentirebbero ingannati, mentre coloro che si sono formati in una dimensione ecclesiale come quella attuale non avrebbero più le categorie mentali e spirituali per accogliere le «durezze» del dogma della fede.
    Inoltre i sostenitori della Chiesa conciliare e post-conciliare dovrebbero fare le valigie e andarsene.
    Figuriamoci! C’è chi, come il cardinal Sodano, non se ne vuole andare neppure dai suoi appartamenti e per sfrattarlo, il suo successore - il cardinal Bertone - ha dovuto chiamare gli imbianchini (come riporta sarcasticamente il quotidiano Italia Oggi del 10 gennaio).
    A proposito: è forse un caso che Ratzinger abbia sostituito Sodano proprio con Bertone?
    E dietro il trappolone che gli hanno teso in Polonia con il caso di monsignor Wielgus, c’è forse l’ex colonia cresciuta durante il Pontificato di Woityla, guidata proprio dall’ex-Segretario di Stato Sodano e dal Prefetto della Congregazione per i vescovi cardinale Giovanni Battista Re?

    Ma torniamo a Fatima e al suo quarto mistero: dunque la linea decisa con Woityla sarebbe la seguente.
    Si pubblica quello che si può pubblicare.
    Già… e per il resto?
    Il libro di Socci spiega che la parte ancora segreta del terzo segreto verrebbe a sua volta «segretamente» rivelata attraverso discorsi, omelie e interventi.
    Papa Wojtyla, nell’omelia della messa di beatificazione dei due pastorelli, il 13 maggio 2000, l’avrebbe in qualche modo rivelata citando un brano dell’Apocalisse: «Il messaggio di Fatima è un richiamo alla conversione, facendo appello all’umanità affinché non stia al gioco del ‘drago’, il quale con la ‘coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra’ (Apocalisse 12, 4)».
    Questo sarebbe il motivo dei toni straordinariamente severi che hanno accompagnato le omelie del cardinale Ratzinger, poi divenuto Benedetto XVI.
    Nella meditazione per la Via Crucis scritta poco prima di diventare Papa, ammoniva: «In quest’ora della storia, viviamo nell’oscurità di Dio».
    Toni scuri ma realistici colorano le riflessioni sulla realtà; ancora, la suggestiva immagine dei mali che affliggono la Chiesa: «Signore spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, che fa acqua da tutte le parti».
    La barca ha bisogno di un timoniere vigoroso che le faccia superare la tormenta.
    La riflessione incalza: «Vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli. Siamo noi stessi a tradirti ogni volta».
    Poi, appena eletto Papa, implora: «Cari amici - in questo momento io posso dire soltanto: pregate per me, perché io impari sempre più ad amare il Signore. Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il suo gregge - voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi».
    Il cardinal Sodano - precisa Socci - il 13 maggio 2000 aveva annunciato «che prossimamente verrà pubblicato il mitico terzo segreto di Fatima e contemporaneamente fa un’altra cosa: anticipa l’interpretazione teologica (che non sarebbe stata precisamente materia sua) di quel delicatissimo tema. Un vaticanista, Andrea Tornielli, esprime così la perplessità di tanti: ‘Ciò che è accaduto a Fatima il 13 maggio 2000 rappresenta dunque qualcosa di unico nella storia della Chiesa. E’ stata offerta l’interpretazione corretta prima del testo interpretato’».

    Proviamo a tradurre l’interpretazione politicamente corretta.
    Sarà ancora Ratzinger a dire in una intervista a La Repubblica il 27 giugno 2000, che su Fatima non ci sono definizioni ufficiali, né interpretazioni obbligatorie.
    Un precisazione solo teologica?
    Insomma quello che sembra è - da parte del Papa - il tentativo, anche nei toni della pastorale, di richiamare il messaggio allarmato della Madonna e, non potendo più pubblicarlo, cercare di realizzarlo.
    Quel riferimento che egli ha fatto alla barca di Pietro, come fa notare Socci, evoca il sogno di san Giovanni Bosco, conosciuto con il titolo di «Sogno delle due colonne», ove il santo vide una grande nave, la Chiesa, che era costretta ad una battaglia furibonda contro i suoi nemici: «Il Papa stava al timone e tutti i suoi sforzi erano diretti a portare la nave in mezzo a due colonne ove stava una grande Ostia consacrata e una statua della Madonna. A un tratto il Papa, colpito gravemente, cade. Subito è soccorso, ma cade una seconda volta e muore. Un grido di vittoria e di gioia risuona tra i nemici.[…] Senonchè, appena morto il Papa, un altro Papa subentra al suo posto. I piloti radunati lo hanno eletto così rapidamente che la notizia della morte del Papa giunge con la notizia della elezione del suo successore. Gli avversari cominciano a perdersi di coraggio. Il nuovo Papa, superando ogni ostacolo, guida la nave in mezzo alle due colonne, quindi con una catenella che pende dalla prora la lega a un’ancora della colonna su cui sta l’Ostia, e con un’altra catenella che pende a poppa la lega dalla parte opposta a un’altra ancora che pende dalla colonna su cui è collocata la Vergine Immacolata».
    Woityla, effettivamente ha caratterizzato il suo pontificato per la devozione mariana, Ratzinger sembra volerlo fare per la Liturgia, ripristinando l’uso dell’antico Messale.
    E’ questo che non vogliono i nemici interni ed esterni della Chiesa.
    Non crediate che sia per altri motivi che ritarda così tanto la pubblicazione del Motu proprio e non crediate neppure che un vecchio babbione come l’ex-Vescovo Milingo abbia trovato soldi e pubblicità perché è una star.
    La setta del reverendo (si fa per dire!) Moon che lo sostiene è così potente da poter piazzare un proprio uomo a capo dell’ONU.
    Maurizio Blondet ha spiegato che «il successore di Kofi Annan sarà - perchè così vuole l’America - il coreano Ban Ki-moon. Costui è membro della ‘Chiesa dell’Unificazione’, ossia la setta del ‘reverendo Moon’ (Sun Myung Moon), la potente organizzazione che da sempre sostiene politicamente e finanziariamente la famiglia Bush, nonché proprietaria del Washington Times, il secondo giornale di Washington, ultra-conservatore». (2)

    Il Papa è in queste condizioni: coi vescovi francesi che l’ostacolano sulla questione della liberalizzazione della Messa e impongono - pena la minaccia di una pubblica disobbedienza o addirittura di uno scisma - che il rientro dei seguaci di Lefebvre avvenga con l’accettazione piena del Vaticano II (il che è impossibile) e con il burattino Milingo che chiede per sé e i suoi una prelatura personale, cioè proprio la stessa soluzione che si pensava potesse consentire ai tradizionalisti di rientrare nella piena comunione con Roma.
    In queste condizioni, anzi proprio perché smaschererebbe la semina della zizzania nella Chiesa, il Segreto - a meno di un miracolo - non si potrà più pubblicare, ma solo richiamare e i pericoli in esso contenuti solo evocare.
    Papa Benedetto XVI il 1° gennaio 2007, parlando alla folla riunita in Piazza san Pietro ha espresso la sua «paura per una possibile catastrofe atomica. Ciò riporta gli animi indietro nel tempo alle ansie logoranti del periodo della cosiddetta ‘guerra fredda’. Dopo di allora si sperava che il pericolo atomico fosse definitivamente scongiurato e che l’umanità potesse finalmente tirare un durevole sospiro di sollievo.
    Purtroppo - prosegue il Santo Padre - ombre minacciose continuano ad addensarsi all’orizzonte dell’umanità».
    Il Pontefice sembra evocare un rischio imminente: «E’ in gioco il destino dell’intera famiglia umana!».
    Ed ha concluso proprio con un’invocazione a Maria santissima: «Alla Regina della Pace, Madre di Gesù Cristo ‘nostra pace’ (Ef 2,14), affido la mia insistente preghiera per l’intera umanità all’inizio dell’anno 2007, a cui guardiamo - pur tra pericoli e problemi - con cuore colmo di speranza».

    Un caso?
    Liberi di crederci o meno, ma il libro di Socci non può essere ignorato.
    Riprende obiezioni serie, pone dubbi motivati.
    In fondo anche chi si ostina a difendere la versione ufficiale, non può fare a meno di notare che le incongruenze mostrate ci sono e sono molte e ripetute.
    Andrea Tornielli, il più istituzionale tra i vaticanisti, su Il Giornale di domenica 14 gennaio nell’articolo «Fatima L’enigma del segreto dimezzato» prende atto che qualcosa non va e ammette: «E non si può escludere che le incongruenze siano dovute all’esistenza non di due testi diversi, ma di due copie distinte dello stesso segreto conservate in luoghi diversi». (3)
    Due copie!? Forse.
    Ma se sono identiche perché non sono state mostrate e pubblicate tutte e due?
    Forse perché nella copia secretata la frase «In Portogallo, il dogma della fede sarà sempre conservato», non è seguita semplicemente da un «etc»?

    Domenico Savino

    Note
    1) Tutte le citazioni in corsivo sono tratte dal libro di Socci.
    2) http://www.effedieffe.com/rx.php?id=1475%20&chiave=moon
    3) http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=139235&PRINT=S

    Copyright © - EFFEDIEFFE - all rights reserved.


    ***

    che ne dite?

  2. #2
    Becero Reazionario
    Data Registrazione
    31 Mar 2009
    Località
    Königreich beider Sizilien
    Messaggi
    18,031
     Likes dati
    33
     Like avuti
    90
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    allucinante anche la storia che il nuovo segretario ONU appartenga alla setta di Moon!

  3. #3
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Eh sì. Sarà allora pappa e ciccia con quell'apostata, sacrilego, libidinoso, sconcio, irritante, spergiuro, impuro, e chi più ne ha più ne metta, personaggio che corrisponde al nome di "mons." Milingo.

  4. #4
    più arcipreti, meno arcigay
    Data Registrazione
    03 Jun 2004
    Località
    Tra la verità e l'errore non c'è nessuna via di mezzo, tra questi due poli opposti non c'è che un immenso vuoto. Colui che si pone in questo vuoto è altrettanto lontano dalla verità di colui che è nell'errore (J. Donoso Cortes)
    Messaggi
    19,842
     Likes dati
    0
     Like avuti
    1
    Mentioned
    1 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    pur essendo devotissimo a Fatima, sono perplesso per una cosa: certi ambienti ultratradizionalisti usano queste profezie e prima il III, ora questo IV segreto, così come a suo tempo le profezie di La Salette contro i papi regnanti e contro il Vaticano II.

    e questo mi rende molto, molto perplesso sulla bontà delle intenzioni di costoro: usare la Madonna come arma contro un concilio ecumenico mi pare molto indegno.

  5. #5
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Fatima: una profezia ancora aperta

    Luigi Copertino


    28/10/2007

    Giovanni Paolo II (1920-2005) 264° papa della Chiesa cattolica

    L’intervista, apparsa su Zenit
    il 23 settembre 2007, a monsignor Loris Capovilla a proposito del presunto «Quarto Segreto di Fatima», invita alla riflessione.
    Perché delle due l’una: o monsignor Capovilla la racconta giusta in tale intervista o non l’ha raccontata giusta allo studioso degli eventi di Fatima, dottor Solideo Paolini, che ebbe modo di avere, sull’argomento, a suo tempo informazioni «riservate» proprio da monsignor Capovilla. Oppure, terza ipotesi, non la racconta giusta il Paolini.
    Ma vediamo un po’ i contorni della faccenda come li riporta Antonio Socci nel suo libro «Il Quarto Segreto di Fatima» (Rizzoli, 2006).
    Alle pagine 141-142 di tale opera, Socci racconta di un duplice contatto prima epistolare e poi telefonico tra Solideo Paolini e monsignor Capovilla.
    Il contatto tra i due ha origine dall’invio al Paolini da parte del prelato di un plico nel quale erano contenute le risposte a delle precise domande che lo stesso Paolini aveva in precedenza trasmesso a monsignor Capovilla in forma scritta, dopo un accordo in tal senso preso tra i due in un fugace incontro personale.
    Le domande poste dal Paolini al prelato riguardavano alcune discrepanze tra la versione ufficiale e quella «ufficiosa» relativa all’apertura da parte di Giovanni XXIII, di cui Capovilla era segretario, e, successivamente, da parte di Paolo VI della busta contenente il «Terzo Segreto».

    Scrive in proposito Socci: «Nel plico di monsignor Capovilla era contenuto anche un curioso biglietto autografo, dall’apparenza normalissima, che recitava: ‘14. VII. 2006 A.D. - Saluto cordialmente il dottor Solideo Paolini. Gli trasmetto alcuni fogli del mio archivio. Lo consiglio di procurarsi IL MESSAGGIO DI FATIMA, pubblicazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, Edizione Città del Vaticano, anno 2000. Cordialità benedicenti. Loris F. Capovilla’.
    Era curioso che il vescovo consigliasse ad uno studioso di Fatima di procurarsi la pubblicazione ufficiale del Vaticano sul Terzo Segreto. Era ovvio che la possedesse già. Non sarà stato allora un invito a leggere qualcosa in particolare di quella pubblicazione in relazione ai documenti inviati dallo stesso Capovilla? Così l’ha interpretato Paolini e infatti ha trovato il punto, o meglio ‘la frase’ (1).
    ‘Controllando appunto tale opuscolo con le carte d’archivio che il segretario di Giovanni XXIII mi ha mandato, balza agli occhi’ - dice Paolini - ‘principalmente questa contraddizione: nelle sue Note Riservate con tanto di timbro, si certifica che Papa Paolo VI lesse il segreto nel pomeriggio di giovedì 27 giugno 1963; mentre il documento ufficiale vaticano afferma: Paolo VI lesse il contenuto con il sostituto Sua Eccellenza monsignor Angelo Dell’Acqua, il 27 marzo 1965, e rinviò la busta all’Archivio del Sant’Uffizio, con la decisione di non pubblicare il testo. Mi chiedo dunque: 27 giugno 1963 o 27 marzo 1965?’.
    Potrebbe forse trattarsi di un errore? O la discrepanza nasconde la soluzione del giallo che fin qui abbiamo indagato? Con queste stesse domande Paolini prende il telefono e quello stesso giorno, alle ore 18,45, chiama direttamente monsignor Capovilla. Dopo alcuni saluti ‘gli faccio presente’ - racconta lo studioso - ‘il contrasto tra le sue Note Riservate e quanto asserito nel Messaggio di Fatima, cui egli stesso mi aveva rinviato. Risposta: ‘Ah, ma io le ho detto la verità. Guardi che sono ancora lucido!’.
    ‘Per carità, Eccellenza, ma come si spiega questa certificata discrepanza?’ A questo punto mi risponde con delle considerazioni che sembrano far riferimento a eventuali lapsus della memoria, interpretazioni di quanto si intendeva dire, al fatto che non stiamo parlando di Sacra Scrittura …Obietto: ‘Sì, Eccellenza, ma il mio riferimento è a un testo scritto (il documento ufficiale vaticano), chiaro e, a sua volta, basato su appunti d’Archivio!’.
    Monsignor Capovilla: ‘Ma io giustifico, forse il plico Bertone (il testo del Terzo Segreto reso noto nel 2000, ndr.) non è lo stesso del plico Capovilla (quello che il prelato dice essere stato letto in sua presenza da Giovanni XXIII e dal prelato stesso, su richiesta del Papa, siglato con il proprio nome, ndr) …’ . E io subito, interrompendolo: ‘QUINDI ENTRAMBE LE DATE SONO VERE PERCHE’ DEL TERZO SEGRETO CI SONO DUE TESTI?’. Qui c’è stata una breve pausa di silenzio, poi monsignor Capovilla riprese: ‘PER L’APPUNTO!’.».
    Adesso la promessa ‘frase’ diventa finalmente chiara. E davvero intrigante. Più che una ‘frase’ quella consegnata a Paolini è una vera bomba. Ciò che finora sospettavamo adesso viene apertamente affermato da un testimone chiave: esiste un Quarto segreto, ovvero una parte del Terzo Segreto (evidentemente il seguito delle parole della Madonna interrotte dall’ ‘etc.’) non ancora rivelata e che ha fatto un diverso percorso nei meandri delle stanze vaticane. Il segretario di Papa Giovanni lo rivela attraverso il particolare decisivo delle date e poi dicendo esplicitamente che esistono due testi diversi del Terzo Segreto».
    Fin qui il racconto di Socci, relata refero di quello del Paolini.
    Quali conclusioni dedurne?

    Il 21 settembre 2007 a Roma, presso l’Urbaniana, è stato presentato il libro del vaticanista Giuseppe De Carli, alla presenza del cardinal Bertone, nel quale si prende posizione contro i «fatimiti», ossia coloro che, come Socci e Paolini, sostengono l’esistenza del «Quarto Segreto», ancora non rivelato e che altro non sarebbe che il commento che la Madonna avrebbe accompagnato alla visione, quella del «vescovo vestito di bianco che cade a terra come morto», rivelata da Giovanni Paolo II nel 2000.
    Questo «Quarto Segreto» sarebbe, quindi, la continuazione del testo del Terzo Segreto, laddove esso si interrompe bruscamente, ed effettivamente senza senso e senza collegamento logico con la visione dell’uccisione del «vescovo in bianco», con la frase «In Portogallo si conserverà il dogma della fede, etc.».
    Frase che, a detta dei fatimiti, indica chiaramente che nel resto del mondo, ovvero nella Chiesa sparsa per il resto del mondo, il dogma della fede, al contrario, sarà perduto o comunque contestato o messo a dura prova.
    Insomma una crisi della fede che, pur allignando da tempo, si sarebbe manifestata apertamente a partire dagli anni sessanta del XX secolo, in coincidenza con il Concilio Vaticano II.
    Tesi che spiegherebbe anche l’invito della Madonna, testimoniato da suor Lucia, a non rendere noto il Terzo segreto prima del 1960 perché solo allora sarebbe stato più comprensibile.
    I detrattori della tesi dei fatimiti sostengono che questi in sostanza affermano che la Curia vaticana avrebbe clamorosamente mentito.
    Ma è poi vero che l’accusa alla gerarchia sarebbe proprio questa?
    Ed è poi vero che in fondo la gerarchia sia messa sotto accusa dai sostenitore dell’esistenza del «Quarto Segreto»?
    Chi scrive ritiene che la gerarchia non possa aver ingannato i fedeli nascondendo un messaggio celeste di capitale importanza per la Chiesa e l’umanità intera.
    Tuttavia, ci sembra anche che, a ben guardare, la tesi dei sostenitori del «Quarto Segreto», in primis Socci, non sia quella di un inganno.
    Essi, in sostanza, sostengono che i testi del segreto sono due, uno con la descrizione della visione, quella poi resa pubblica nel 2000 da Giovanni Paolo II, e l’altro con il commento di questa visione. Ci sarebbero varie fondate testimonianze dell’esistenza di due distinti testi.
    Tra queste, appunto, quella sopra citata di monsignor Capovilla.

    Quindi non pare che si sostenga un inganno da parte vaticana ma soltanto una imprudenza commessa all’epoca di Giovanni XXIII, ovvero quella di non aver creduto agli avvertimenti del Cielo sul pericolo di una crisi di fede all’interno della Chiesa (con ripercussioni tragiche sull’intera umanità).
    Avvertimenti che sarebbero stati contenuti nel testo non ancora rivelato.
    Questa imprudenza avrebbe poi messo in una situazione di stallo i Pontefici successivi ed in particolare Giovanni Paolo II ed, ora, Benedetto XVI che, pertanto, si sarebbero accordati per un «dire tra le righe».
    Dunque non un inganno ma un tentare da parte pontificia di far intendere la gravità della situazione interna alla Chiesa, e quindi nel mondo, senza proclamare apertamente che agli inizi degli anni ‘60 non si ebbe abbastanza fede negli avvertimenti del Cielo e senza creare allarmismi «apocalittici».
    Non sembra una tesi da scartare a priori, anche alla luce dell’innegabile crisi di fede intervenuta nel post-Concilio.
    Si rifletta, piuttosto, sul fatto che comunque, al di là di ogni tesi sul «Quarto Segreto», Fatima, di cui molti (incluso chi scrive) sono convinti che Medjugorie sia la continuazione, è una profezia ancora del tutto aperta.
    Infatti la promessa della finale vittoria del Cuore Immacolato di Maria non si è ancora avverata: l’umanità è sempre più in caduta libera verso il nichilismo globale.
    Del resto neanche la promessa sulla conversione della Russia si è ancora definitivamente avverata: se è vero che il comunismo è caduto e che la fede cristiano-ortodossa è fuoriuscita dalle catacombe, è altrettanto vero che la Russia di oggi non si è ancora convertita al ... cattolicesimo.
    Infatti, la Madonna, profetizzando la conversione della Russia, non poteva non riferirsi ad una conversione al cattolicesimo o comunque ad una riunione o riavvicinamento dell’ortodossia a Roma.
    Secondo alcuni poi il «trionfo del Cuore Immacolato di Maria» potrebbe alludere anche a qualcosa di più (2).

    Il cardinale Bertone ha affermato che la Chiesa deve essere prudente circa le apparizioni mariane, anche quelle in corso, perché questi eventi ed i veggenti che ne sono protagonisti tendono, oggi in modo particolare, ad essere posti dai mass media sotto i riflettori e quindi ad essere trasformati in spettacoli del mediasystem.
    La Chiesa fa bene, come da tradizione, ad essere prudente.
    Ma ci sembra che Bertone, il quale si riferiva anche a tutte le altre apparizioni mariane che attualmente si segnalano in tutto il mondo, non tenga conto di quanto ammoniva, circa due secoli fa, nella prima metà del XVIII secolo, San Luigi Grignon de Montfort.
    Il santo, ne «Il Trattato della Vera Devozione alla Santa Vergine ed il segreto di Maria», affermava che ai suoi tempi si era all’inizio di un'epoca di persecuzione alla Chiesa, che in questo tragico periodo della storia della salvezza sarebbe stata la Madonna ad aiutare i cristiani nella lotta contro
    L’«antico serpente» e che pertanto si sarebbero moltiplicate le apparizioni della Vergine, soprattutto verso la fine di tale periodo.
    Questo spiega anche quel «calendario mariano» che molti osservatori, come Vittorio Messori, hanno avuto modo di constatare: si tratta di una inspiegabile «coincidenza» tra le apparizioni mariane degli ultimi due secoli e i principali avvenimenti storici che hanno scandito questo periodo storico contrassegnato dalla progressiva scristianizzazione, da persecuzioni virulente alla Chiesa, da (finora) due guerre mondiali, dai totalitarismi rosso-bruni, dall’attuale neo-totalitarismo liberista succedaneo dei primi due (ossia dalla globalizzazione che sta realizzando il settecentesco sogno massonico della «repubblica universale»), dall’indotto «scontro di civiltà» nell’interesse dell’Eretz Israel con le conseguenti guerre in corso, preludio a chissà cosa nel prossimo o meno prossimo futuro.
    Certi prelati dovrebbero fare uno sforzo per aprire di più il cuore al Mistero: forse un po’ più di preghiera e un po’ meno di diplomazia e di burocrazia ecclesiale non guasterebbero.
    Per quanto invece riguarda Antonio Socci bisogna puntualizzare.

    Del noto giornalista apprezziamo la sincera devozione mariana ma non certe sue posizioni favorevoli al cattolicesimo liberale o alla causa politica di Israele da lui quasi identificata con la causa di una Chiesa appiattita sull’Occidente post(anti)cristiano ed americanocentrico e così ridotta, come vogliono gli «atei devoti» alla Marcello Pera o alla Giuliano Ferrara o ancora alla fu Oriana Fallaci, a cappellana di corte dell’«impero statunitense».
    Di Antonio Socci sono note le caratteriali intemperanze.
    Pare che anche all’Urbaniana, in occasione della presentazione del libro di De Carli, pur avendo dalla sua ampie ragioni, abbia tentato, non invitato, di intervenire durante l’intervento del cardinal Bertone andando in escandescenza e sfoggiando, tra l’altro, il look del patetico visionario in maniche di camicia in mezzo ad una folla in nero e in porpora.
    Spettinato, barbone, incolto, agitava - così raccontano testimoni dell’accaduto - documenti e cassette, divincolandosi dalla gendarmeria e gridando che doveva parlare con sua eminenza.
    Molto triste.
    Non è così che, nella Chiesa, si conducono le battaglie, pur magari sacrosante.
    Anche Lutero quando affisse le sue tesi alla porta della chiesa di Wittemberg aveva qualche ragione, vista la corruzione della Roma papale dell’epoca, e pensava di fare il bene della Chiesa. Ma con certe maniere si finisce, è l’implacabile regola della eterogenesi dei fini, per danneggiare le proprie buone ragioni.
    Le «buone battaglie» in tal modo ingaggiate e condotte finiscono per essere oscurate dai loro stessi sostenitori.
    Forse è stata la reazione alla condanna preventiva del media sistem o forse è stato l’eccesso di impulsività «messianica» di Socci.
    Il quale, non a caso, si è fatto prendere la mano dalla sua impulsività visionaria anche per la questione israelo-palestinese schierandosi completamente a favore di Israele e sostenendo, in un articolo apparso su Il Giornale 27/07/2005, con il titolo di «Israele e la Chiesa», ed ora riprodotto sul sito di Radio Maria, la fondatezza dell’esegesi che il giudaismo post-biblico più fondamentalista fa delle profezie veterotestamentarie (intese come annunci del ritorno degli ebrei dall’esilio all’Eretz Israel per l’instaurazione del promesso regno messianico di Israele).
    Socci, in quell’articolo, invocò anche il documento, del 2001, della Pontificia Commissione Biblica «Il popolo ebreo e le sue scritture nella Bibbia cristiana», senza rendersi conto che in tal modo una controversa svolta esegetica come quella del citato documento, che per fortuna non ha valore di magistero indefettibile, diventava, nelle sue parole, l’alibi dello «scontro di civiltà» pro USA e pro Israele (3).

    Tuttavia, al di là di Socci (del resto la tesi del «Quarto Segreto» fu con prudenza fatta propria in precedenza anche da Marco Tosatti, nel libro «Il segreto non svelato»), che la profezia di Fatima sia ancora aperta, e che lo sarà fin quando il Cuore Immacolato di Maria non avrà, come la dolce Madre Celeste ci ha promesso, trionfato, è cosa che si può tranquillamente affermare senza tema di smentita.

    Luigi Copertino
    ------------------------------------------------------------------------
    Note


    1) Qui il riferimento di Socci è al primo incontro tra Paolini e Capovilla durante il quale quest’ultimo invitò il primo a mettergli per iscritto le domande con la promessa, dopo la consultazione delle proprie carte d’archivio sulla faccenda, di una risposta contenente «qualcosa, magari una frase…»: così testuale nel libro di Socci.
    2) Molti, tra cui gli islamologi cattolici Louis Massignon e padre Giulio Basetti Sani o.f.m., ma anche lo scrittore cattolico Vittorio Messori (di quest’ultimo si vedano i capitoli XVI e XLIX del suo «Ipotesi su Maria», nei quali tra l’altro si mettono a confronto la devozione per Máryam Sempre Vergine del Corano con l’ingiuria di prostituta indirizzata alla Vergine contenuta nel Talmud), hanno osservato che il nome della località portoghese nella quale apparve la Santissima Vergine Maria non è casuale. Fatima, infatti, è anche il nome della figlia preferita di Maometto, alla quale, secondo un hadith il Profeta avrebbe detto «tu sarai la padrona delle donne del Paradiso, dopo Máryam» (commenta Messori: «Una superiorità, dunque, nello stesso Cielo mussulmano, di quella che i cristiani chiamano Regina Coeli»). La località portoghese delle apparizioni mariane che hanno illuminato il XX secolo deve il suo nome ad una giovane nobile fanciulla saracena, figlia del governatore del castello di Alcácer do Sal, così chiamata alla nascita dal padre in onore della figlia del Profeta. Questa nobile fanciulla rimase coinvolta nella secolare lotta che nella penisola iberica impegnava cristiani e mussulmani. Di lei infatti si innamorò un celebre paladino della Reconquista cristiana, don Golçavo Hermingués, che la sposò avendo ella accettato il battesimo. Una dolce storia d’amore interrotta però dalla precoce morte della giovane sposa. Don Golçavo, straziato dal dolore, abbandonò le armi e si fece monaco nell’abbazia cistercense di Alcobaça, dove ottenne di trasferire i resti mortali della giovane moglie. Qualche tempo dopo, l’abbazia fondò, a pochi chilometri, un piccolo monastero, superiore del quale fu nominato proprio don Golçavo, il quale fece deporre i resti mortali di Fatima nella nuova chiesa della località fino ad allora deserta e che, in tal modo, prese nome da colei che, nata mussulmana, morì esemplare sposa cristiana. Esiste tuttora una chiesa, dedicata alla Madonna, nella quale - si dice - siano state conservate a lungo le spoglie mortali della giovane Fatima. Dunque, sin dal medioevo, Dio aveva un disegno molto preciso su Fatima. Sicché non è azzardato avanzare l’ipotesi che, apparendo a Fatima, alla Cova da Iria, località che deve il suo nome ad una fanciulla mussulmana, battezzata, che portava il nome della figlia prediletta di Maometto, la Madonna abbia voluto implicitamente indicare, come effetto del futuro ma sicuro trionfo del Suo Cuore Immacolato, anche la finale conversione dei mussulmani a Cristo, Dio-Uomo (divino-umanità, del resto, secondo Massignon e Basetti Sani, già adombrata dallo stesso Corano: una verità al momento non evidente per gli islamici e che sarà loro chiara al momento dovuto, che solo Dio conosce nella Sua Infinita Sapienza).
    3) Il documento della Pontifica Commissione Biblica, cui si è richiamato Socci, non è atto di magistero e rivela la motivazione della svolta esegetica, in esso contenuta, sin dalla prefazione a firma del cardinale Joseph Ratzinger, all’epoca Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, dalla quale dipende la Pontificia Commissione in questione. In tale prefazione, il cardinal Ratzinger si chiedeva se dopo Auschwitz fosse ancora possibile sostenere da parte cristiana l’esegesi dell’Antico Testamento come preparazione e prefigurazione tipica del Nuovo Testamento. In altri termini, il cosiddetto «olocausto» sembra aver dato conferma all’esegesi talmudica del giudaismo post-biblico: Israele è il messia collettivo che nei secoli soffre, fino al culmine della Shoah (da qui poi la sua pretesa unicità), per la salvezza del mondo che coinciderà con la Pace Universale conseguente al ritorno degli ebrei in Terra Santa per l’inaugurazione dell’era messianica ossia del Regno futuro di Israele sul mondo cui i popoli gentili parteciperanno nel riconoscimento del primato spirituale israelita. Ratzinger, nella prefazione in questione, anticipa la risposta di parte cattolica, post-conciliare. Il criterio esegetico usato dalla Chiesa, sin dall’epoca apostolica e patristica, è quello della «prospettiva cristologica» sulla cui base, con San Paolo e contro Marcione, è fondata l’«Unicità della Scrittura», e quindi l’unicità dell’Alleanza gradualmente sviluppata nei due Testamenti. Ciò equivale a dire che l’intera Sacra Scrittura si deve interpretare alla Luce di Cristo perché Essa parla sempre e solo di Cristo, sia nel Vecchio Testamento che nel Nuovo. Ratzinger ricorda che i Padri della Chiesa usavano dire, in proposito, che «Vetus Testamentum in Novo patet et Novum Testamentum in Vetere latet». Fin qui il magistero ratzingeriano, e della Pontificia Commissione Biblica, non fa, tradizionalmente, una piega. Dove invece si ha la svolta è nell’affermazione, contenuta nel documento in questione e messa in rilievo anche nella prefazione di Ratzinger, per la quale «la lettura giudaica della Bibbia è una lettura possibile, che è in continuità con le Sacre Scritture ebraiche dell’epoca del secondo tempio ed è analoga alla lettura cristiana, che si è sviluppata parallelamente a questa» (numero 22). Con il che da una parte si ammette, contro duemila anni di contrario insegnamento ecclesiale, come legittima l’esegesi del giudaismo post-biblico e dall’altra si dà fondamento alla neo-teologia del «doppio soggetto messianico»: Cristo per i gentili ed il popolo ebraico per gli ebrei. In tale documento non si manca di ribadire, comunque, sulla scorta di San Paolo (Lettera ai Romani), la finale conversione degli ebrei ma in una prospettiva così poco chiara da dare l’inquietante impressione di rasentare, terribilmente, la prospettiva dei cristiano-sionisti americani per i quali la conversione finale degli ebrei sarebbe niente altro che il riconoscimento da parte degli ebrei dell’ebraicità «etnico-spirituale» di Cristo che tornerà a regnare, insieme con il risorto re Davide, sul popolo di Israele per inaugurare il millennio del capitolo 20 dell’Apocalisse, ossia il Regno messianico terreno promesso ad Israele come sua futura gloria sulle genti. E’ evidente il nodo epocale nel quale, come teologo ed esegeta, è costretto a muoversi Ratzinger, di cui apprezziamo sinceramente il «cuore» ossia la limpida fede e l’onestà intellettuale. Nodo rivelatosi anche nel suo ultimo libro «Gesù di Nazareth» ossia l’accettazione del metodo storico-critico, di matrice protestante, che costringe oggi la teologia e l’esegesi cattolica ad attraversare tale insidioso terreno per superarlo e ritrovare le ragioni della certezza di fede, oltre lo storicismo critico stesso. Una via, questa, scelta in età postconciliare che, se da un lato, sembra obbligata per l’esegesi cattolica sul piano scientifico (e proprio la scienza, dall’archeologia alla papirologia, dalla filologia alla critica testuale, etc., ha finito sempre più, in barba ai modernisti ed ai razionalisti, per confermare anche sul piano storico la Verità di Fede) dall’altro lato, però, presta troppo il fianco, con l’assolutizzazione della «scientificità» che poi non si riduce ad altro che a razionalismo, ad esegesi spurie come quelle protestanti o giudaico-postbibliche. Non a caso, il cardinal Carlo Maria Martini, campione dell’esegesi storico-critica e del primato della scrittura ebraica (il cosiddetto testo masoretico codificato, mediante la vocalizzazione del testo ebraico delle Scritture, dai rabbini un secolo dopo Cristo) sulla versione cosiddetta «dei Settanta» (la traduzione in greco dell’Antico Testamento effettuata un secolo prima di Cristo in età ellenistica), sulla quale ultima si fonda, però, la Sacra Scrittura cristiana (perché si trattava del testo in uso anche in Palestina ai tempi di Nostro Signore ed al quale Egli stesso si riferiva), ha criticato il citato libro di Ratzinger su Gesù ritenendolo nient’altro che l’espressione della grande fede del suo autore.
    Come dire: va bene, Ratzinger ci spiega le ragioni teologiche della sua fede cristiana ma queste sono altra cosa dalla «scienza» esegetica fondata sul metodo storico-critico e sul ritorno alle Scritture ebraiche (che - si ripete - sono però posteriori a quella greca «dei Settanta»: ma il cardinale Martini, da buon modernista, sorvola su questo particolare). Alla luce di quanto abbiamo detto, si capisce perché Ratzinger/Benedetto XVI, nel discorso di Ratisbona del 2006, nell’eroico tentativo di «svegliare» la memoria di fede della Chiesa cattolica, abbia definito provvidenziale la traduzione «dei Settanta» in quanto evento preordinato da Dio al superamento della ristrettezza ancora tribale dell’ebraismo del Vecchio Testamento (il quale tuttavia già conteneva in nuce tutto lo sviluppo successivo adempiutosi in Cristo: «Vetus in Novo patet et Novum in Vetere latet») nell’Universalità del cristianesimo per mezzo dell’Universalità del Verbo Incarnato che ha assunto, con l’Incarnazione, non tanto l’ebraicità in senso etnico, per quanto Cristo sia nato senza dubbio storicamente ebreo, quanto piuttosto la Natura Umana. L’allora cardinal Ratzinger, come è noto, lavorò a stretto giro di gomito con Papa Giovanni Paolo II, un Pontefice sicuramente mariano, che lo aveva chiamato da Monaco di Baviera, dove era arcivescovo, a presiedere la Congregazione per la Dottrina della Fede. Ora, si sa, Papa Wojtyla, anche per via delle sue esperienze di amicizia giovanile prima e durante l’occupazione nazista della Polonia, ha sempre avuto atteggiamenti di ampia e caritatevole apertura verso il mondo ebraico. Non che la cosa sia una novità nella storia della Chiesa: molti Pontefici e Santi, alcuni anche Dottori della Chiesa, hanno sempre manifestato misericordia e comprensione verso gli ebrei. La differenza sta semmai nel fatto che un tempo, nell’epoca della fede sicura e certa, alla misericordia si accompagnava sempre e comunque la preghiera di intercessione per gli «increduli giudei» affinché Nostro Signore si degnasse di sciogliere la durezza del loro cuore e li conducesse tutti a Sé. Ma al di là di quelle che potevano essere le personali intenzioni di Papa Wojtyla, l’espressione che egli usò verso gli ebrei nella sua visita, del 1986, alla sinagoga di Roma, quella oramai classica di «fratelli maggiori», rimane perfettamente, a dimostrazione che lo Spirito Santo agisce per mezzo della persona del Pontefice ma oltre le convinzioni proprie dell’uomo che riveste la «tiara» pontificia, nella linea ininterrotta della Tradizione. Infatti, nell’esegesi tradizionale della Chiesa il significato della primogenitura biblica è sempre stato chiaro: nella Sacra Scrittura il primogenito (Caino, Esaù), gonfio di superbia per la propria primogenitura ed invidioso del fratello minore, è sempre momentaneamente allontanato da Dio che, sovvertendo l’ordine naturale, antepone il minore al maggiore, finché quest’ultimo, compreso il proprio peccato di orgoglio, non riconosce umilmente la propria dipendenza dal Creatore ed è pertanto riammesso alla confidenza del Padre Celeste e ricongiunto nell’amore al fratello minore. La cosa, non a caso, non sfuggì alle orecchie ebraiche che ascoltarono Giovanni Paolo II in quell’occasione. Ed infatti, qualche tempo dopo, per bocca, tra gli altri, del rabbino Riccardo Di Segni, la comunità ebraica, pur ringraziando il Papa per quell’espressione, chiese, ed ottenne, che nei raduni ecumenici si usasse nei confronti degli ebrei l’espressione «fratelli prediletti». La svolta ecclesiale inaugurata da Giovanni Paolo II, che a molti è sembrata a torto apostasia, va ben meditata alla luce di una visione teologica della storia che, sappiamo, dovrà concludersi con la conversione finale di tutta l’umanità a Cristo, ebrei compresi. Se è vero che la costante ripetizione di un insegnamento da parte di un Pontefice può costituire indizio di magistero ordinario, e nel caso di specie è indubitabile che Giovanni Paolo II ha con costanza insegnato, sebbene non ex cathedra in atti ufficiali del magistero (e questo è molto importante sottolinearlo), la sussistenza in capo ad Israele di una qualche missione, finalizzata al finale destino di salvezza di tutta l’umanità, parallela a quella di Cristo, è però altrettanto vero che affinché un insegnamento inedito di un singolo Papa si consolidi fino a costituire magistero infallibile è necessario che tale insegnamento o venga elevato al rango di dogma, ma in tal caso non si tratterebbe di insegnamento pontificio ma di una verità sempre creduta dalla Chiesa e fino a quel momento non dogmatizzata, come è stato per il caso della Immacolata Concezione di Maria, oppure è necessario che l’insegnamento inedito venga costantemente ripetuto per un periodo di tempo, non decenni ma secoli, tale da consolidarlo alla pari degli altri insegnamenti che già costituiscono il corpus magisteriale. Ebbene, la nuova attenzione del magistero verso l’Israele post-biblico, iniziata con la «Nostra Aetate» (che però si può, a ben vedere, anche interpretare nella linea della Tradizione come richiamo alla misericordia verso gli ebrei non allontanati per sempre da Dio ma, pur induriti nel cuore, ancora amati a causa dei loro padri, come insegna san Paolo) e continuata appunto da Papa Wojtyla, è ben lungi dall’essere consolidata rispetto ai precedenti duemila anni di insegnamento, alquanto diverso, risalente agli stessi Apostoli e Padri della Chiesa, i quali certamente riconoscono al popolo ebraico un ruolo post-biblico che però - secondo il loro giudizio che sarebbe temerario, ed indice di mentalità storicista, affermare condizionato dalle polemiche del loro tempo - consiste nella testimonianza della verità del Vecchio Testamento costantemente accompagnata, tuttavia, dal rischio, come sottolinea tra gli altri San Girolamo, di scambiare, per cecità spirituale, l’Impostore dei tempi ultimi per il Messia. Tragico errore che condurrà l’Israele post-biblico ad una catastrofe epocale, la fine definitiva di ogni sua mal riposta speranza messianica, nella quale la ricostruzione o il tentativo di ricostruzione del Tempio sulla spianata delle moschee a Gerusalemme sarà, probabilmente, evento centrale. Da tale catastrofe deriverà però all’Israele post-biblico la grazia, per misericordia di Dio, di aprire finalmente il cuore al riconoscimento della Divino-Umanità Messianica ed Universale di Cristo. Questo perché, pur avendolo momentaneamente allontanato da Sé, Dio non ha tuttavia definitivamente abbandonato il popolo ebreo, in quanto Egli, il Creatore, è sempre fedele alle Sue promesse di salvezza, quelle appunto fatte al tempo dell’Antica Alleanza ai padri carnali di Israele, promesse che, però, non possono realizzarsi al di fuori di Cristo. Israele oggi sembra trionfare, e gli ebrei credono che si stiano realizzando le promesse bibliche come le leggono loro, ma in realtà esso sta correndo inesorabile verso la propria nemesi spirituale e storica. Quindi, alla luce di questo disegno di Dio, per la salvezza anche di Israele, diventa del tutto lecito ipotizzare che la nuova attenzione della Chiesa, inaugurata da Papa Wojtyla, verso l’Israele post-biblico, attenzione non adeguatamente ricambiata da parte ebraica (anzi più la Chiesa si apre e più l’orgoglio israelita, come quello di chi si crede ormai padrone della situazione e vede l’avversario di un tempo, esegeticamente sconfitto ed umiliato, andare a Canossa, si inalbera), sia segno della futura (quando e come solo Dio lo sa) conversione di Israele o, meglio, di quella parte di Israele che, come dice San Paolo (Lettera ai Romani), si è indurita e la cui riammissione costituirà una «resurrezione dai morti», ossia un evento chiaramente escatologico. Certo tale situazione sta creando non lievi difficoltà al gregge del Signore, sempre più indifeso dai lupi rapaci e sempre più disperso quasi fosse senza pastori, ma, forse, anche questo fa, necessariamente, parte del misterioso disegno che Dio sta scrivendo sulle pagine della storia per la salvezza del mondo in Cristo e che sembra ormai chiaro dover esso passare anche e principalmente per una prova epocale cui la Chiesa viene ora sottoposta e dalla quale Essa rinascerà ancora più ferma nella fede di sempre.

    FONTE

  6. #6
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Ecco il testo dell'intervista

    Intervista a monsignor Capovilla sul “Quarto Segreto” di Fatima

    ROMA, domenica, 23 settembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la trascrizione dell'intervista a monsignor Loris Capovilla, già Segretario di Papa Giovanni XXIII, realizzata in video e proiettata a Roma, il 21 settembre, in occasione della presentazione del libro del Cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone, “L'ultima veggente di Fatima. I miei colloqui con suor Lucia”, pubblicato da Rai Eri-Rizzoli.

    L'intervista è stata raccolta dal Vaticanista del Tg1, Giuseppe De Carli.

    * * *
    Eccellenza, Papa Giovanni seppe subito del “Terzo Segreto di Fatima”?

    Veramente del “Terzo Segreto” si parlava già prima dell'elezione di Papa Giovanni XXIII. Il 13 maggio 1956 l'allora cardinale Roncalli andò a Fatima per presiedere una grande celebrazione e per alimentare la grande devozione che aveva per il Cuore Immacolato di Maria. Andò su invito del nunzio Fernando Cento e del patriarca di Lisbona, il cardinale Emanuele Concalves Cezejeira.

    “Amo dirle – scriverà Roncalli al cofnratello lusitano il 12 giugno 1956 – che il mistero di Fatima ha suggellato nel mio spirito questa devozione al Cuore Immacoltato della grande Madre di Gesù e madre nostra: e confido che essa mi terrà buona compagnia durante questo lumen vespere della mia vita”. Papa Giovanni sale al soglio di Pietro il 28 ottobre 1958. In dicembre, Cento, divenuto nel frattempo cardinale, gli parlò di questo plico e gli accennò del segreto di Fatima che era stato mandato a Pio XII.

    Come reagì Papa Roncalli?

    Non aveva fretta nel leggerlo. Aveva altre priorità. Avviare il servizio petrino e indire il Concilio Vaticano II. Nell'agosto 1959 si trova a Castelgandolfo. E' un momento di calma, di tranquillità. Alla residenza estiva arriva il domenicano padre Pierre Paul Philippe col testo del “Terzo Segreto”. E' ansioso di conoscerne il contenuto. Non così il Papa: “Lo vedrò venerdì col mio confessore”.

    Il primo Papa che viene a conoscenza del “mistero del secolo” sceglie un contesto quasi sacramentale. Chi era il confessore?

    Era Alfredo Cavagna, ottantenne, teologo e giurista. Insieme aprono il plico. Il Papa suona e mi fa chiamare. Dice: “Stiamo dando un'occhiata al testo di suor Lucia ma non ci raccapezziamo. Può darci una mano?”. In quel momento sentii di essere un privilegiato, e lo affermo con molta umiltà. Io però non conoscevo la lingua portoghese. Devo aggiungere che, a volte, ho detto e scritto che nel testo c'erano espressioni dialettali. In realtà non lo erano. Il fatto è che io non conoscevo la lingua, ho interpretato male. Viene chiamato un minutante della Segreteria di Stato, il portoghese Paolo Tavares, un bravissimo e santo sacerdote. Lo chiamano dopo uno, due giorni. Fa una traduzione. Il Papa vede, legge, considera, prega.

    Lei ha letto anche la traduzione dal portoghese all'italiano?

    Sì, certamente.

    Monsignor Capovilla, questo è un punto estremamente importante. Il testo che lei ha letto corrispnde a quello che è stato presentato al mondo nel giugno 2000 dal cardinale Joseph Ratzinger e da monsignor Tarcisio Bertone?

    Ma certo! L'ho detto e lo ripeto volentieri adesso: quello è il testo. Parola per parola non lo ricordo, ma il nucleo centrale è il medesimo.

    Nel testo da lei letto nel 1959 si parla di un “vescovo vestito di Bianco” che cade ammazzato ai piedi di una grande croce?

    Sì, si parla di questo; questo è parso a noi il nucleo di quella rivelazione privata ricevuta dai bambini di Fatima.

    E perché, secondo lei, si continua a scrivere che Giovanni XXIII avrebbe letto non questo testo ma un altro testo, il cosiddetto “Quarto Segreto” che la Chiesa avrebbe tenuto finora nascosto?

    Come si può dire che è stato nascosto? Il “Terzo Segreto lo ha letto Giovanni XXIII; lo ha letto il suo confessore; lo ha visto il suo piccolo segretario; lo vede il cardinale Tardini; i due personaggi più importanti della Segreteria di Stato, monsignor Antonio Samorè e monsignor Angelo Dell'Acqua; tutti capi dei dicasteri a cominciare dal cardinale Ottaviani. In villeggiatura, al collegio di Propaganda Fide, c'è il cardinale Agagianian. Lo vede il segretario della Congregazione Sigismondi.

    E la conclusione di questa lettura collettiva?

    Che nessuno di quelli che avevano letto il testo aveva chiesto al Papa di pubblicarlo; di parlarne. Il Papa esita, poi decide: “L'ho visto, l'ho fatto leggere, lo richiudiamo”. Detta a me un testo da scrivere sulla busta. Non dà un giudizio. Rimanda ad altri e può voler dire: a una commissione, a una congregazione oppure al suo successore.

    Eccellenza, da quante righe poteva essere composta la terza parte del messaggio che lei ha letto con Papa Giovanni XXIII?

    Con esattezza non lo so.

    Erano quattro pagine?

    A me sembrava un messaggio abbastanza lungo, scritto in piccolo. Probabilmente quattro paginette. Non so se pagine o fogli. Ma è un particolare sul quale non mi sono soffermato.

    Non vorrei forzarle la mano e giungere a conclusioni affrettate, né suscitare altre polemiche. Possiamo affermare, dopo quello che ha detto, che il segreto letto da Giovanni XXIII non è il “Quarto Segreto” ma è, semplicemente, il segreto pubblicato e commentato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede?

    Le dirò di più. Quando ho sentito parlare di “Quarto Segreto” sono rimasto strabiliato. Non mi era mai passato per la testa che esistesse un quarto segreto. Nessuno me lo ha detto né io ho affermato una cosa del genere. Ho sempre sostenuto che non sarà l'ultima volta che il Signore si rivela attraverso la madre di Gesù o i santi. Per quanto riguarda Fatima, ho letto con molta gioia ciò che è stato puntualizzato dall'allora cardinale Ratzinger e che è stato egregiamente raccolto in un volume del cardinale Bertone. Ho avuto dal magistero della Chiesa l'insegnamento di cui ho bisogno. Quello che è stato detto rappresenta veramente un cibo spirituale per tutti noi.

    Eccellenza, lei ha seguito anche i primi anni di pontificiato di Paolo VI. Papa Montini lesse due volte lo stesso messaggio. E' così?

    Sì, è così.

    La prima volta a pochi giorni dalla sua elezione, il 27 giugno 1963; la seconda volta il 27 marzo 1965.

    Anche questo l'ho dimostrato. Il 27 giugno 1963 ero, la sera, presso le suore delle Poverelle in via Casilina. Mi telefona monsignor Dell'Acqua. Non si trova il plico di Fatima. Replico che probabilmente si trova nello scrittoio denominato “Barbarigo”, perché appartenuto a San Gregorio Barbarigo e regalato a Papa Giovanni dal Conte della Torre. Papa Giovanni lo teneva caro, nella camera da letto, come una reliquia. Sia a destra che a sinistra c'erano cinque o sei cassetti. Più tardi Dell'Acqua mi telefona e mi comunica che il plico è stato ritrovato. Il 28 giugno Papa Paolo mi chiama e mi chiede chi ha dettato le righe sulla busta. Spiego che è stato il Papa stesso a voler segnalare le persone che hanno conosciuto il testo. “Papa Giovanni non le ha detto altro?”, mi domanda Paolo VI. “No, Santo Padre, ha lasciato ad altri la decisione”. “Anche io farò altrettanto”, risponde Papa Montini. Si richiude la busta e non se è più parlato.

    Il 13 maggio 1967 Paolo VI andò a Fatima. Si racconta che suor Lucia incontrò a lungo il Papa, il che non risulta dalle immagini che abbiamo.

    Io ero presente a Fatima, feci da cerimoniere al Papa. Prima di iniziare la messa, il Papa, già con la mitria in testa e il suo pastorale in mano, mi chiama: “Senta, alla fine della messa suor Lucia verrà al seggio papale. Lei sia presente e ascolti quello che dico io e quello che mi dice la suora”. Ho fatto questo. Il Santo Padre fu di una grande benevolenza e delicatezza verso la religiosa. Suor Lucia domandava una conversazione privata. Ma il Papa non parlava portoghese né Lucia l'italiano. “Suor Lucia dica tutto al suo vescovo: sarà come lo dicesse a me”, fu la conclusione di Paolo VI. In seguito si sparse la notizia che la carmelitana avesse visto a lungo il Papa. Telefonai a monsignor Pasquale Macchi, segretario particolare di Paolo VI, che per scrupolo interpellò il vescovo Paul Marcinkus, allora in America, e organizzatore dei viaggi pontifici. Marcinkus confermò che l'incontro tra Paolo VI e suor Lucia non avvenne. Il colloquio non ci fu, neppure nel pomeriggio a Fatima. Ciò non significa che sia stata una mancanza di riguardo di Paolo VI nei confronti di suor Lucia. Paolo VI pronunciò a Fatima un discorso mirabile, completato dai Papi che sono venuti dopo. E oggi sono felice di aver letlo il libro del cardinale Bertone che, a mio avviso, corrisponde perfettamente a quello che la semplicità di questa suora ci ha voluto rivelare, attraverso la sua vita e attraverso Maria. Dice la Madonna: “Fate quello che vi dice Gesù”. Oggi ci direbbe: “Fate quello che vi dice il vicario di Gesù e sarete tutti più tranquilli e nella pace”.

    Fonte: Zenit, 23.9.2007

  7. #7
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

  8. #8
    Becero Reazionario
    Data Registrazione
    31 Mar 2009
    Località
    Königreich beider Sizilien
    Messaggi
    18,031
     Likes dati
    33
     Like avuti
    90
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    [OT] di Dreyer si sa niente?

  9. #9
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Socci, Fatima e gli idoli di stoppa

    Domenico Savino

    05/11/2007

    Giovanni XXIII nel 1958


    «Idolo di stoppa»: così Papa Giovanni XXIII, al secolo Angelo Roncalli, apostrofava padre Pio da Pietralcina, al secolo Francesco Forgione.
    Un beato contro un santo.
    Brutta storia per la Chiesa.
    Una vicenda raccontata da uno storico di famiglia ebraica, Sergio Luzzatto, che nel suo recentissimo e controverso libro (1) ci ha rivelato con un documento inedito il disprezzo che il Pontefice regnante nutriva «toto corde» verso quell'autentico mistero che fu padre Pio da Pietralcina: «Ove si consideri che la stoppa riveste da secoli nel cerimoniale pontificio il significato di simbolo della transitorietà umana e della caducità di ogni gloria terrena - scrive Luzzatto - tanto più sarà dato di misurare la severità della metafora applicata a padre Pio da Giovanni XXIII».
    Ma non basta: salito al trono di Pietro, allorquando le calunnie di natura sessuale sembravano sommergere fin dentro il confessionale la vicenda terrena del frate cappuccino stigmatizzato, «il 'Papa buono' si congratulerà con se stesso per una risoluzione vecchia di trentotto anni: 'Rammento bene - scriveva Roncalli nel 1960 - in occasione di un mio passaggio da Foggia verso la fine di novembre 1922 di avere rifiutato una prima occasione di recarmi a San Giovanni Rotondo non essendo di mio gusto quanto si diceva del fenomeno di padre Pio da Pietralcina. Egualmente evitai di recarmi colà due volte in occasione di mie due visite a Manfredonia: cosicché io non conobbi mai, né fui in alcun modo in rapporto personale con padre Pio: né [ricordo] di aver colto l'occasione di parlare o interessarmi di lui con chicchessia, pur deplorando sempre la mitomania creatasi intorno al suo nome, a parte le intenzioni' ». (2)
    Un pro-memoria per i posteri: quel Papa si gloriava di non credere alla «superstizione».
    E' uno spregio totale, assoluto, radicale non tanto verso padre Pio, quanto verso la dimensione del Mistero che fa la sua irruzione nella Storia.
    E' - diciamolo - il rifiuto di un Dio che s'intromette nella storia profana, che s'impiccia delle cose degli uomini, che indica alla Storia un cammino «altro», una direzione «altra» rispetto a quella della razionalità moderna: il Logos divino contro la Ragione dialettica.
    Solo così si può concepire il fastidio altrettanto radicale del Papa del Concilio verso Fatima e verso l'esortazione che la Santa Madre di Dio cercò disperatamente di inviare alla Chiesa attraverso i veggenti di Fatima: «profeti di sventura», li bollò Giovanni XXIII nell'allocuzione di apertura di un Concilio che avrebbe segnato per la Chiesa la più dolorosa lacerazione e la più tremenda autodemolizione dai tempi della Riforma protestante.
    «L'allocuzione inaugurale del Concilio Vaticano II costituisce un atto di rilevante significato storico, certamente il più importante del Pontificato di Giovanni XXIII, probabilmente uno dei più impegnativi della Chiesa cattolica nell'età contemporanea» si compiace non a caso Giuseppe Alberigo, il defunto patriarca dell'Officina bolognese, discepolo di Dossetti, maestro di Alberto Melloni e autore di uno studio particolarmente interessante su questo discorso (2).

    Con l'allocuzione di apertura del Concilio Vaticano II dell'11 ottobre 1962, titolata per amara ironia «Gaudet Mater Ecclesia», il «Papa buono» tra l'altro loderà se stesso, rifiutando sprezzantemente gli ammonimenti del Cielo: «Nell'esercizio quotidiano del Nostro ministero pastorale - dirà - Ci feriscono talora l'orecchio suggestioni di persone, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni esse non vedono che prevaricazione e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando; e si comportano come se nulla abbiano imparato dalla storia, che pur è maestra di vita, e come se al tempo dei concili ecumenici precedenti tutto procedesse in pienezza di trionfo dell'idea e della vita cristiana, e della giusta libertà della chiesa. A Noi sembra di dover dissentire da cotesti profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo».
    Definendo suggestioni le preoccupazioni di chi paventa giorni tragici per la Chiesa e sostituendo il Progresso alla Provvidenza, Papa Roncalli rimpiazza le fosche visioni che il Cielo gli aveva verosimilmente mostrato attraverso la Veggente di Fatima con l'orgoglio prometeico dell'uomo autore del proprio destino e delle «proprie magnifiche sorti progressive»: «Nel presente momento storico - proseguiva - la Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani che, per opera degli uomini e per lo più al di là della loro stessa aspettativa, si volgono verso il compimento di disegni superiori e inattesi; e tutto, anche le umane avversità, dispone per il maggior bene della chiesa».
    Ahimè, quale nuovo ordine di rapporti umani e quale mancato profeta fosse Roncalli lo mostra desolatamente il tempo presente.
    Ma davvero il Papa, parlando di «profeti di sventura», si riferiva ai veggenti di Fatima o non invece ai membri della Curia romana contrari all'idea del Concilio?
    La sensazione è che egli pronunci con soddisfazione quel discorso, ma è singolare che lo faccia proprio all'apertura di quell'assise importante.
    Oltrechè mostrare da subito da che parte egli intenda stare durante i lavori conciliari, pare quasi che egli si congratuli anche con se stesso, esattamente come nel suo diario si era già compiaciuto del fatto di non aver mai prestato fede al «fenomeno di padre Pio».
    Rileggendo quel discorso, la sensazione è certo che egli voglia mettere a tacere una volta per sempre chi all'interno della Curia avrebbe evocato contro il Concilio il messaggio di Fatima, ma anche che dica a se stesso: «Non mi ero sbagliato. Mi avevano paventato giorni orribili e invece non è successo niente. Avete visto?».

    Si saprà, poi, che suor Lucia avrebbe indicato nel 1960 la data per aprire e comprendere il senso del terzo Segreto di Fatima.
    Quando il Papa pronuncia l'allocuzione di apertura del Concilio Vaticano II e parla contro i «profeti di sventura» sono passati quasi tre anni anni: è l'11 ottobre 1962.
    Non vi è stata alcuna sventura fino a quel momento che abbia colpito la Chiesa, né il mondo.
    La stessa crisi di Cuba è successiva, seppure di pochissimo, a questo discorso.
    Quindi nell'allocuzione di apertura del Concilio, certamente Giovanni XXIII rimprovera l'ala conservatrice della Curia romana, ma la sensazione - rileggendo quel discorso - è che egli faccia implicitamente riferimento a qualcosa che era accaduto in precedenza.
    Per capire dobbiamo tornare ai giorni dell'annuncio del Concilio.
    Il 25 gennaio 1959 Giovanni XXIII è nella chiesa di San Paolo fuori le mura per la celebrazione conclusiva della settimana di preghiera per l'unità delle Chiese e ai pochi cardinali intervenuti annuncia: «Pronunzio innanzi a voi certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito, il nome e la proposta della duplice celebrazione: di un Sinodo diocesano per l'Urbe e di un Concilio generale per la Chiesa universale».
    A meno di tre mesi dalla sua elezione è una fretta strana quella del Papa e una data altrettanto strana quella del 25 gennaio!
    Pare infatti che all'inizio di quello stesso mese «suor Lucia - solitamente molto riservata e sottomessa - subito dopo l'elezione di Giovanni XXIII (il 28 ottobre 1958) pensi ad una sua iniziativa così clamorosa come un messaggio radiofonico al mondo. Il 1960 (l'anno in cui il messaggio di Fatima avrebbe dovuto essere rivelato nda) non era ancora arrivato. Cosa temeva? Cosa sapeva? Quale urgenza aveva? Non lo si è mai saputo. Perché nei primissimi giorni di gennaio 1959 un allarmato summit si riunisce in Vaticano e di fronte alla prospettiva che la Veggente di Fatima sveli al mondo cosa la Madonna le ha detto, per volere del Papa scatta ferrea la proibizione per la suora e il suo sostanziale isolamento dal mondo. Quindi si pensò di leggere subito il Terzo segreto, ma Giovanni XXIII disse: 'No, aspettate'. Prima volle annunciare la convocazione del Concilio Vaticano II». (3)
    Queste parole di Antonio Socci, tratte dal suo libro sul «quarto segreto di Fatima» non sono una pura congettura.
    Se oggi l'ex conduttore di Excalibur è silenziato dalle gerarchie vaticane ed espulso in malo modo dalle sale vaticane è conseguenza del fatto che certamente non è un veggente, ma neppure un visionario.

    L'opuscolo ufficiale del Vaticano, il Messaggio di Fatima riporta un messaggio che merita particolare attenzione: «Dal Diario di Giovanni XXIII, 17 agosto 1959: 'udienze: p. Philippe, commissario del Sant'Uffizio che mi reca la lettera contenente la terza parte del segreto di Fatima. Mi riservo di leggerla col mio confessore' ».
    Memorizzate la data: il 17 agosto 1959.
    A quella data, dunque, è certo che Papa Giovanni ancora non aveva aperto e letto il terzo segreto.
    Otto mesi prima, il 25 gennaio, aveva invece convocato il Concilio.
    Ma attenzione: per certo una settimana prima dell'annuncio del Concilio, il 18 gennaio 1959 probabilmente Papa Giovanni aveva già ricevuto un avvertimento a non procedere: la ricostruzione di Socci, secondo cui Lucia voleva parlare al mondo è molto di più di una supposizione.
    Lucia avrebbe fatto arrivare al Papa un disperato appello a fermarsi.
    Forse avvisata dalla Vergine dell'intenzione del Papa di convocare il Concilio, Lucia avrebbe predetto al Papa «giorni amari» per l'avvenire.
    In che modo ciò potè avvenire, se Lucia era murata viva nel suo convento?
    Forse facendo arrivare tramite il suo confessore al Papa la supplica di dare ascolto al messaggio della Vergine.
    Ma quale messaggio?
    Quello contenuto nel terzo segreto di Fatima?
    No, questo è certo!
    Fino ad agosto successivo il Papa quel segreto non lo avrebbe aperto, anzi neppure l'aveva visto.
    Ma quale allora?
    Probabilmente il «quarto», quello che non fa parte del corpus del Segreto, (che era invece custodito presso il Sant' Uffizio).
    Il «quarto segreto», ovvero una rivelazione a parte (è meglio chiamarla così), conservato nel cassetto di destra della scrivania detta Barbarigo nella stanza da letto del Papa.
    Il messaggio che conterrebbe la profezia di una crisi gravissima per la Chiesa e la cattolicità.
    Quel messaggio Giovanni XXIII lo lesse verosimilmente all'inizio di gennaio e in seguito a ciò sarebbe stato convocato il summit in Vaticano di cui parla Socci, per silenziare suor Lucia, ritenendola al pari di Padre Pio una mitomane o un'invasata.
    Non invento nulla.
    Lo fa capire Papa Giovanni stesso in un discorso, che tenne alla Comunità dell'Almo Collegio di Caprinica proprio il 18 gennaio 1959, una settimana esatta prima di indire il Concilio, in cui dirà: «Qualche pseudo-veggente ci avrebbe predetto anche giorni amari. Noi ci angustiamo certo per questo pronostico, e se i giorni amari dovessero venirCi dal Signore, li accetteremo con serenità e coraggio». (4)
    I giorni amari verranno.
    Toccherà a Paolo VI assaporarne sconsolato il gusto: «Aspettavamo la primavera ed è venuta la tempesta» - disse nel 1967.
    Poi quel grido angosciato: «Attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa».

    Perché Papa Giovanni agì cosi?
    Forse che il «Papa buono» aveva un animo malvagio?
    No, certo che no.
    Papa Giovanni - come ha benissimo dimostrato Arai Daniele su questo giornale - non agiva di suo. Era figlio dell'eresia modernista, della contaminazione con le categorie del mondo, sedotto dall'idea di una conciliazione impossibile tra la Chiesa e il secolo.
    Lo scontro durissimo, che nel diciannovesimo secolo si era consumato tra Chiesa e «mondo moderno», agli occhi profani lasciava intravedere il corso della Storia indirizzarsi verso una direzione «progressiva», cui la Chiesa avrebbe dovuto conformarsi e alla luce del quale avrebbe dovuto emendarsi e purificarsi dai suoi errori e dalle sue medievali ed oscurantiste «arretratezze»: contro questa blandizie la Chiesa aveva avuto già in Papa Pio IX un tenacissimo oppositore, nell'Enciclica «Quanta cura» e nel «Sillabo» il suo manifesto, nella Tradizione il suo vessillo, nella difesa dello Stato Pontificio il suo agone politico.
    Ma nonostante ciò, sotto l'influsso del liberalismo, delle teorizzazioni democratiche, delle dottrine socialiste, una parte del mondo cattolico si lasciò sedurre dalle suggestioni delle dottrine filosofiche moderne e cominciò a sviluppare una corrente di pensiero religioso, detta comunemente Modernismo, che portava all'interno delle chiese cristiane ed anche di quella cattolica alcune tipiche istanze del mondo moderno (libero arbitrio, libertà di pensiero, critica dell'autorità, adozione esasperata del metodo scientifico, trionfo del relativismo e del pluralismo, esaltazione della partecipazione, diritti delle donne, ecc.), postulando un allontanamento dalla Tradizione e dal principio di obbedienza, accompagnato da un approccio conciliante con la soggettività moderna e le sue rivendicazioni.
    L'opera di opposizione a queste teorie culminerà sotto il Pontificato di San Pio X dapprima nell'emanazione di uno speciale decreto, il «Lamentabili» (3 luglio 1907) e poi in una speciale Enciclica, la «Pascendi» (8 settembre 1907), nei quali chiaramente, sistematicamente e minuziosamente il sommo Pontefice espose e confutò tali errori dottrinali.
    Ma il tentativo di infiltrare continuamente la cattolicità e corrompere il clero alla causa modernista, indusse Papa Pio X a redigere e pubblicare, il 1° settembre 1910 il Giuramento Antimodernista, imposto a tutti i seminaristi prima del conferimento degli ordini maggiori, a tutti i professori di filosofia e teologia dei seminari e delle università, a tutti i confessori, i pastori d'anime, i predicatori e i superiori religiosi.
    Dal tempo della sua pubblicazione, questo Giuramento venne prestato da tutto il clero fino al Concilio Vaticano II, quando fu abrogato.

    Come scrive su questo sito Arai Daniele: «Giulio Andreotti ha scritto un libro su 'I quattro del Gesù. Storia di una eresia' (Rizzoli, Milano, 1999). Angelo Roncalli, Giulio Belvederi, zio della moglie di Andreotti, Alfonso Manaresi ed Ernesto Buonaiuti erano quattro seminaristi, stretti da amicizia e da una comune visione religiosa modernistica. Gli ultimi due hanno portato le loro idee eretiche così avanti da essere censurati e scomunicati (Manaresi e il Buonaiuti). Belvederi e Roncalli furono invece salvati dai loro protettori, nel caso di quest'ultimo l'allora vescovo di Bergamo Giacomo Radini Tedeschi, in odore di modernismo. Un altro compagno di Roncalli a Bergamo fu Nicola Turchi, che tradusse in italiano lo storico Duchesne, anch'esso censurato. Già in quegli anni precedenti l'evento di Fatima, si diffondeva nei seminari cattolici una deviazione modernistica, giustamente considerata eterodossa e perciò aperta all'eresia, consistente nel separare la storia dalla religione». (5)
    Roncalli inevitabilmente porterà l'errore modernista dentro di sé fin sul soglio di Pietro.
    Se non si tiene presente la presunzione modernista di incarnare lo spirito della Storia, di interpretare il volere del Cielo, di sentirsi chiamati ad una missione speciale, di voler restaurare in una mitica quanto inesistente purezza originaria la Chiesa, di depurarla di ogni superstizione e devozionalità oscurantista, per restituirla alla contemplazione della razionalità umana, l'agire di Roncalli verso Fatima e Padre Pio è incomprensibile.
    Ma diventa chiarissimo se si stagliano una figura «rozza e ignorante» come padre Pio o «una pastora analfabeta» come suor Lucia sullo sfondo dell'intellettualismo modernista: la loro Fede appare a chi si è abbeverato di tali suggestioni come una Fede deviata, corrotta dalla superstizione, dalla paura, dall'ignoranza.
    I «profeti di sventura» con le loro fosche visione, coi loro rapimenti estatici, con i loro messaggi soprannaturali, con le loro stigmate sanguinanti sono testimoni inquietanti di una «Aldilà», che non se ne vuole stare «al di là», che ha fatto e continua a fare irruzione nella Storia; sono, in sostanza, il segno di contraddizione rispetto alla pianificazione lineare di un'evoluzione dell'uomo che rivendica in piena autonomia il proprio destino da costruire.
    Chiaro allora che padre Pio o suor Lucia sono per tutti i modernisti d'ogni tempo, ieri come oggi, pietra d'inciampo, icone di un Cristo che continua nella semplicità dei segni di santità a parlare ai cuori degli umili e degli ultimi, dei disperati e degli affaticati, che non inseguono vacue quanto raffinate teologie o nuove ecclesiologie, ma cercano solo la salvezza dell'anima e il ristoro dagli affanni del mondo.

    Padre Pio e suor Lucia sono icone di una fede «di zappa e di battaglia», di bestemmie e kyrie eleison, di rosari ed empietà, di peccatori e salvati, di «latinorum» ed ignoranza: insomma di una Fede vera, autentica, semplice, quella del popolo di Dio, un popolo di peccatori redenti dal Suo sangue.
    Proprio quel popolo che inutilmente modernisti ed intellettuali (ieri come oggi) cercheranno di «educare alla Fede», quasi che essa fosse una scuola serale, cui gli ignoranti dopo il lavoro debbono ritornare, perché non hanno capito.
    Padre Pio e suor Lucia sono per questi razionalisti della Fede l'immagine di un Dio da emendare, di un Logos da aggiornare, di un Verbum da correggere, che parla al suo popolo col dialetto del Sannio di Francesco Forgione o quello lusitano di Lucia dos Santos, o addirittura che fa parlare la stessa Vergine nel dialetto di Corps, come nell'apparizione di La Salette.
    Scrive Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera del 25 ottobre scorso: «E' soprattutto la fede ascetica, mistica, quasi medievale di cui il cappuccino è stato il simbolo, per la Chiesa modernista di inizio secolo come per la Chiesa conciliare a cavallo tra gli Anni '50 e '60, a essere estranea alla sensibilità di Angelo Roncalli. Che, sempre il 25 giugno, annota ancora: 'Motivo di tranquillità spirituale per me, e grazia e privilegio inestimabile è il sentirmi personalmente puro da questa contaminazione che da ben 40 anni circa ha intaccato centinaia di migliaia di anime istupidite e sconvolte in proporzioni inverosimili' ». (6)
    Ecco perché leggendo il libro di Luzzatto o quello di Socci non è contro Roncalli come uomo che viene da scagliarsi, ma contro l'humus che lo ha nutrito, che lo ha - per così dire - «tirato su».
    Se i modernisti di oggi avessero davvero l'onestà di guardare alla Storia per ciò che essa è, dovrebbero almeno riconoscere che se la Chiesa non si è piegata ai totalitarismi del XX secolo, abdicando al nazismo come fecero i vescovi luterani, ciò lo si deve al fatto che la Chiesa era stata allenata nel secolo XIX a combattere il mondo moderno e da Tradizione antichissima aveva rivedicato sopra Cesare la legittimità del Suo potere e il Suo potere legittimante.
    Se ancora oggi la Chiesa non è allineata ai valori del mondo come invece lo sono gli pseudo-cattolici di matrice modernista, quali ad esempio il cardinale Martini e i suoi seguaci (e lo saranno ancor più a mano a mano che il Mondo glielo chiederà, fino rinnegare anche il proprio irenismo per sposare le guerre del Mondo), se ancora la Chiesa sa alzare talvolta la voce contro l'iniquità e la menzogna, questa è solo e ancora eredità di quella battaglia dello Spirito contro lo spirito del Mondo, che viene dal Vangelo e che ha trovato nella lotta al Modernismo, intrapresa e combattuta dai Papi fino al Vaticano II, l'ultima grande espressione.
    Se Lourdes e Fatima, San Giovanni Bosco, padre Pio, Santa Teresina e decine e decine di Santi straordinari furono generati in quel periodo, ciò non è altro che la ricompensa del Cielo, frutto di una radicamento assoluto nella Verità e nella Tradizione, che nella battaglia contro il modernismo temprò la Chiesa.

    Sono costretti ad ammetterlo perfino coloro che fino ad ieri, forse, dell'integralismo cattolico addirittura se ne vergognavano.
    L'attualità dell'Enciclica «Pascendi», ad un secolo esatto dalla sua promulgazione, è stata riconosciuta finanche da Bruno Forte, arcivescovo di Chieti e Vasto, teologo dei più famosi e con fama di progressista.
    In occasione dell'incontro dei membri e consultori europei del Pontificio consiglio della cultura e dei presidenti delle commissioni per la cultura delle conferenze episcopali d'Europa, tenutosi in Romania, a Sibiu, dal 3 al 5 maggio scorsi, Forte ha ammesso. «Se oltre la crisi dei mondi ideologici si profila il bisogno di un 'nuovo pensiero', capace di accogliere la novità indeducibile dell'avvenire, non meraviglia che alla grande svolta del superamento della 'ragione moderna' europea abbia contribuito in maniera considerevole proprio la coscienza cristiana. E' merito della reazione antimodernista e del rifiuto delle presunzioni ideologiche, ispirato al primato di Dio sul cuore e sulla vita, l'aver mantenuto viva l'alternativa cristiana nelle vicende drammatiche del 'secolo breve' (Eric Hobsbawm), segnato dalle grandi tragedie delle guerre mondiali, dei totalitarismi e dei genocidi, fra cui in primo luogo quello della Shoah. Contro le presunzioni dell'universo ideologico di destra e di sinistra, si leva il grido di denuncia della Chiesa e dei Papi […]. La motivazione ultima dell'opposizione alle presunzioni totalizzanti della ragione ideologica sta nella trascendenza di Dio, nel Suo essere irriducibile alla cattura degli interessi legati al potere e proprio così nel Suo offrirsi come il paladino dell'uomo e della sua libertà. […] Questo atteggiamento di alternativa a ogni riduzione ideologica e di testimonianza della sovranità trascendente di Dio caratterizza la presenza cristiana in Europa in maniera forte fino alle soglie del Concilio Vaticano II a Oriente, come in Occidente».
    A un secolo di distanza la matrice antimodernista è sempre capace di generare resistenza al Mondo e di proclamare contro di esso sempre la Verità.
    Per questo può ammonire i padroni del Mondo sul destino ineluttabile che li attende.
    Per questo i suoi profeti vengono apostrofati dal Mondo come profeti di sventura.
    Ma a quarant'anni dal Concilio Vaticano II gli «idoli di stoppa» ardono ancora per il loro Signore e la loro luce illumina ancora la notte.

    A quarant'anni dal Concilio «i profeti di sventura» gridano ancora contro il Mondo, dando voce a tutti coloro che dal mondo sono schiacciati, sicuri della promessa secondo cui il cuore immacolato di Maria trionferà: «Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha colmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote».
    Non così per coloro che tentarono di soffocarne la profezia.
    A quarant'anni dal Concilio i miopi conciliatori di allora ed effimeri profeti di una stagione sola, loro sì idoli di stoppa, non hanno più nemmeno occhi per vedere la desolazione in cui hanno gettato e stanno ancora gettando il loro gregge.

    Domenico Savino
    ----------------------------------------------------------------------
    Note


    1) Sergio Luzzatto, «Padre Pio. Miracoli e politica nell'Italia del Novecento», Einuadi, pagine 161-162.
    2) G. Alberigo, «Formazione, contenuto e fortuna dell'allocuzione» in «Fede, Tradizione, Profezia», Paideia Editrice, Brescia, 1984, pagine 187-222.
    3) Antonio Socci, «Il quarto segreto di Fatima», Rizzoli, pagina 205.
    4) http://www.almocollegiocapranica.it/discorsig23.htm
    5) «L'enigma Angelo Roncalli, professore modernista», EFFEDIEFFE.com. 23/03/2007.
    6) Il Corriere della Sera, «Padre Pio, un immenso inganno», Aldo Cazzullo, 25 ottobre 2007.

    FONTE

 

 

Discussioni Simili

  1. Il terzo segreto di Fatima
    Di Aug83 nel forum Esoterismo e Tradizione
    Risposte: 30
    Ultimo Messaggio: 15-05-19, 17:54
  2. LE BALLE sul III segreto di Fatima
    Di waglione nel forum Laici e Laicità
    Risposte: 8
    Ultimo Messaggio: 28-05-10, 19:46
  3. 3° segreto Fatima un falso ?
    Di Princ.Citeriore (POL) nel forum Politica Estera
    Risposte: 41
    Ultimo Messaggio: 16-01-07, 20:31
  4. il terzo segreto di Fatima è facile per me.
    Di etilico nel forum Cattolici
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 03-03-04, 13:38

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito