Nel nostro paese siamo abituati da alcuni anni a sentire numerose critiche nei confronti della figura di Silvio Berlusconi da parte di una serie di giornalisti e pensatori vari che, nell’analisi del suo percorso prima imprenditoriale e poi politico, hanno sottolineato tutte le violazioni di libertà, verità e leggi che il personaggio ha compiuto. L’enfasi è stata soprattutto posta sull’anomalia rappresentata da costui nella scena politica italiana, fino al punto di poter dire che se con Mani Pulite si era toccato il fondo, con Forza Italia si è voluto scavare molto più in basso. Uno dei critici più severi è senz’altro il giornalista de “L’Unità” Marco Travaglio, che con indagini approfondite è andato a scavare i trucchi, le malefatte e le menzogne con cui Berlusconi ha raggiunto ricchezza e potere. Oltre a ciò Travaglio si è spinto ad esempio anche contro gli inciuci d’alemiani e le liaisons dangereux dell’onorevole Andreotti. Detto questo andiamo a vedere una frase presa da un’intervista a Travaglio: “Uno può essere anti-americano, filo-americano, anti-inglese, filo-inglese, ma deve constatare che queste sono democrazie serie. Il peccato più imperdonabile di chi governa è la bugia, cioè prendere in giro i propri elettori. Naturalmente essendoci un sistema molto potente di contropoteri e di bilanciamenti, in Inghilterra e negli Stati Uniti se un leader mente viene subito scoperto. Quindi i leader cercano di mentire il minimo indispensabile, quando proprio non ne possono fare a meno. Quando ad esempio vogliono fare una guerra che non è fondata su nulla e quindi fabbricano le prove ad arte, salvo poi dover rendere conto di non aver trovato le armi di distruzione di massa e quindi ancora una volta delle loro balle” (16/07/03). Innanzi tutto l’essere anti o filo-americano (o inglese) non viene posto in funzione del fatto della serietà di una democrazia, ma si potrebbe presupporre di simpatia o antipatia. Perciò una persona intelligente, fatto presente che gli USA sono una democrazia seria, non avrebbe reali motivi fattuali per criticare tale paese. Senz’altro perlomeno Travaglio pone in rilevanza il fatto che il casus belli iracheno era un artefatto, nondimeno evidenzia questo cosiddetto e fantomatico sistema molto potente di contropoteri e bilanciamenti, trascurando come Bush abbia potuto violare ogni diritto umano nella totale impunità, e come, grazie al lavaggio del cervello mediatico lo stesso sia riuscito a farsi eleggere (e rieleggere) promulgando una serie di riforme che non hanno altro fatto che deregolamentare mercato e società e trasferire fondi dal Welfare al Pentagono, tutto a vantaggio delle lobby petrolifere e dell’industria militare. Evidenziare come la stramaggioranza della popolazione (in particolar modo rurale) americana viva all’oscuro delle politiche stile “1984” compiute dalla vigente amministrazione, avrebbe messo il termine “democrazia seria” in tutt’altra luce. Tanto per non essere eccessivamente riduttivi aggiungiamo anche le differenze di trattamento fra prigionieri (bianchi ricchi VS neri poveri). Una cosa del genere detta da un personaggio Travaglio può generare effetti più sottili dunque molto più pericolosi rispetto ad un Giuliano Ferrara od a un Emilio Fede. L’elettore moderato di sinistra può pensare: “certo che se uno come Travaglio che ha il coraggio di dichiarare certe cose su Berlusconi ritiene gli Stati Uniti democrazia seria chi sono io per dubitarne?”. Notiamo dunque in buona critica di sinistra italiana un aperto schierarsi contro il centro-destra in politica interna ma un atteggiamento perlomeno molto più edulcorato in campo internazionale, specialmente nei confronti delle politiche imperialistiche israelo-americane; anche se altri sinistrorsi hanno fatto ben peggio di Travaglio. Questo meccanismo, già presente nel dibattito statunitense, è stato evidenziato dalle acute osservazioni di Noam Chomsky, secondo cui molto importante è il ruolo svolto dai “critici”, i quali denunceranno sì gli errori e i fallimenti della leadership, ma adottando senza discussione i presupposti fondamentali della religione di Stato, all’interno della quale andrà perciò creata un’implicita e “scontata” cornice di pensiero pensabile. Il ruolo di essi quindi consterebbe fondamentalmente nel limitare le proprie critiche alle questioni tattiche che sorgono al loro interno. Per essere ammessi al dibattito dovrebbero accettare, senza fare domande, la dottrina fondamentale secondo cui lo Stato è di per sé buono e guidato dalle più nobili intenzioni, cerca solo dì difendersi e non si presenta come soggetto attivo nelle questioni mondiali, ma semplicemente reagisce di fronte a crimini altrui, talvolta incautamente a causa della propria ingenuità, della complessità della storia o dell’incapacità di comprendere la malvagità dei nostri nemici. In questo modo l’uomo comune non troverebbe stimoli a dissentire se persino i critici più severi adottano queste premesse senza discuterle. Insomma più la disputa tra "falchi" e "colombe" si inasprisce, più si rinsaldano le dottrine della religione di Stato, ed è proprio a causa del loro elevato contributo al controllo del pensiero unico che i critici sono tollerati, anzi onorati, purché si attengano alle regole.

Tornando in Italia vediamo come la giornalista di sinistra Lucia Annunziata, che tanto aspramente aveva attaccato (e parlato sopra) Berlusconi, altrettanto fa con Oliviero Diliberto, che a suo dire «ha baciato e abbracciato Hetzbollah, […] movimento terroristico». Dal canto suo, fin troppo pacatamente Diliberto risponde che occupandosi da molti anni di questioni mediorientali, ha sempre reputato opportuno cercare un dialogo con tutte le voci e le forze facenti parte dello scacchiere. Altra risposta sarebbe potuta essere una facile (per chi va oltre i media predominanti italiani) associazione di Israele e Stati Uniti a movimenti terroristici, in confronto dei quali Hetzbollah non è che un moscerino indifeso. Con questo non si vuole difendere in toto l’integralismo islamico, anzi, ma si ritiene molto pericoloso abusare di definizioni “partigiane” senza le dovute argomentazioni il più oggettive possibile (ovvero provate da fatti). Sarebbe di certo molto più utile allo spettatore avere a disposizione informazioni che spieghino i complessi motivi per cui si sviluppano movimenti fondamentalisti in tali paesi, specie tenendo conto dei regimi laici e democratici ivi presenti, a partire da quello dell’egiziano Mubarak. Oltre a questo vedere le atrocità compiute più o meno direttamente da Israele e Stati Uniti più addirittura scoprire che gli stessi movimenti che essi combattono un tempo erano amici, se non creati pure da costoro, spingerebbe certamente lo spettatore attento a riflessioni perlomeno un tantino più accurate. L’uso di certe definizioni ad hoc, la concentrazione solo su alcuni fatti rispetto ad altri e l’atteggiamento utratimido di intellettuali e politici della sinistra riformista spinge facilmente a normalizzare il comportamento passato e presente di USA & company e a stigmatizzare senza appello movimenti “estremisti e terroristici” come Hetzbollah e Hamas. D’altronde dobbiamo tenere conto di un’altra cosa importante, ma non ad avviso dei principali media occidentali: il principale ente che traduce i testi dai giornali arabi per l’informazione occidentale, il MEMRI, ha sede negli USA ed è diretto, guarda caso, da un ex ufficiale del Mossad.
Ritengo che la migliore chiosa a questo contributo possa essere posta da un’articolo di Maurizio Blondet: «Finiremo nel Gulag, grazie a Ferrara» http://www.effedieffe.com/interventi...metro=politica.