La quiete dopo la tempesta. L’ho invocata stamattina dopo due tempeste che più diverse non potrebbero essere. Si sono abbattute insieme. Una mi ha sventrato le tende di casa, mistura letale di pioggia e vento. Uno di quei cataclismi che in quest’angolo di paradiso chiamato Salento vediamo ogni trenta giubilei. Per un americano sarebbe stata una brezza leggermente più forte, ma per un terrone salentino è stata l’apocalisse eolica. Ma se una tenda si aggiusta, una vita, se è troppo lacerata, puoi solo affidarla nelle mani di Dio. Giacché anche il migliore dei sarti dovrebbe chinare il capo e piangere sommesso. E questa è la seconda tempesta del giorno.
Un altro ragazzo in divisa è morto in Afghanistan. Non è morto. E’ stato deliberatamente sventrato, come le mie tende, da un puntuale ordigno di Maometto. E’ l’ennesimo. In Iraq e in Afghanistan. Laggiù tra i deserti e le montagne dei cerebrolesi col turbante, dove regna perenne l’inverno della ragione.
Il copione è sempre lo stesso. Morte, lacrime presidenziali e Palazzi della politica sgomenti. Non sapete quanto possa piangere un Onorevole parlamentare che non sa neanche dove stia l’Afghanistan. Praticamente una cipolla con la cravatta.
Comunque, il giorno dopo è tutto uguale a prima. Prodi torna a serrare gli occhietti da idiota negli zigomi cicciuti, e Berlusconi ricomincia a festeggiare a casa Briatore.
Ora si è passato il segno, e sono stanco di vedere pianti e funerali. Funerali e pianti. Non sono un italico destro, sono un Conservatore fieramente italiano. Certo in cabina elettorale non ho molta scelta e ho sempre votato quell’ex Polo, ora Casa delle libertà, diventato nel frattempo un lupanare dell’anarchia. Lo è sempre stato per le mezze tacche che lo guidano e i leccasuole che gli stanno dietro, ma ora che il bordello centrodestro sta crollando la situazione è addirittura peggiorata. Ci voleva un miracolo perché succedesse, vista la conclamata penosità del carrozzone, ma è successo. Miracoli berlusconiani e aennini. Padani e scudocrociati. Forse ce li meritiamo, ma anche no. Gli italiani sono molto meglio di quanto si creda.
Per riprendere il filo, ho sempre votato quella parte politica che ha sostenuto con più convinzione le missioni all’estero. Soprattutto le ultime inaugurate dagli Stati Uniti: Afghanistan e Iraq. Le ho appoggiate anch’io, convinto com’ero e come non sono più, che fosse necessario pacificare quelle lande devastate dal musulmanesimo più radicale (vedi i talebani) o dal dispotismo nel contempo più stucchevole e imbecille (Saddam). Che illuso che sono stato. Ma ogni uomo merita la sua maturazione politica. A tutti va dato il tempo di levigare le proprie idee. Non di cambiarle dalla sera alla mattina, ma di affinarle con la necessaria gradualità. Non va sostituita la cornice, bisogna solo sistemare i dettagli all’interno. Per intenderci: è dai quindici anni che mi proclamo conservatore, e continuo a definirmi tale. Non c’è un’etichetta politica che mi possa rappresentare meglio. Ma da piccoli liceali anticomunisti, in politica estera o in economia ci si può solo dire amici dello Zio Sam e nemici dei socialisti.
A ventitre anni scopri che puoi capire molte più cose. Dopo l’undici settembre era normale attaccare l’Afghanistan. Bisognava reagire. Ma era completamente insensato seppellire di bombe Baghdad, sebbene questa guerra all’inizio abbia avuto anche il mio consenso. A posteriori però la balla di Saddam a braccetto con Bin Laden mi fa imbestialire. Se la logica era invece quella di iniziare a eliminare tutti i dittatorelli del globo, allora aspetto che i missili vadano a colpire Chavez, Castro e Ahmadinejad. Ma a furia di attendere farei le ragnatele cari “nuovi” conservatori. Il realismo e la coerenza: mi pento di quell’entusiasmo guerrafondaio in nome di questi due sacri – e conservatorissimi – principi.
In America ci sono i “vecchi” e i “nuovi” conservatori. Giacché le mie posizioni, pur essendo da sempre tradizionaliste, si sono ulteriormente sviluppate nella direzione dei “vecchi”, anch’io – come loro - voglio che tutti i militari tornino a casa. E per le prossime volte, anch’io – come loro – non vorrò che un solo soldato italiano o americano vada a morire per un pezzente coranico. Non ne vale la pena. I nostri soldati, e i nostri fratelli americani, meritano solo di difendere i confini italiani e statunitensi. Nessun’altra frontiera.
Ci arrendiamo davanti alla minaccia dei fondamentalisti? No, evitiamo di farci uccidere a casa loro per massacrarli se solo si azzardano ad avvicinarsi a casa nostra. Anche la destra si accoda a Diliberto? Così come è “uguale” – solo nella forma ben inteso - l’appello di questa destra isolazionista a quello dei comunisti italiani, tanto è “contrario”. Se gli eredi di Stalin vogliono cancellare l’orgoglio patrio e qualsiasi apparato militare, io pretendo che il tricolore sventoli sul più moderno e efficiente dei carri armati. E dentro vorrei che ci fossero dei soldati chiamati a fare i soldati e non le crocerossine di pace. Ma sembra che al posto delle mimetiche i nostri militari indossino il camice bianco e visto che quei ragazzi sono a migliaia di chilometri da casa per fare un mestiere che non è il loro, è bene che tornino subito. Visto che non possono combattere il nemico ma devono limitarsi a mettere cerotti e a sparare coriandoli, è necessario che tornino immediatamente.
Nel Salento è tornato il sole. La quiete dopo la tempesta. Nel cuore dei nostri soldati continua a piovere disperazione.
Italianhawk