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    Predefinito L'angolo della Consulta dei Senatori del Regno





    LA CONSULTA DEI SENATORI DEL REGNO




    La Presidenza della Consulta dei Senatori del Regno, sentito S.A.R. il Principe Amedeo, Duca di Savoia, a margine della Dichiarazione della Casa di Savoia e dei Decreti di S.A.R. il Principe Amedeo, Duca di Savoia, dati in Villa Italia (San Rocco, Castiglion Fibocchi, Arezzo): al fine di rendere chiara, trasparente ed esauriente l’informazione su Casa Savoia, comunica che da mesi la Casa di Savoia e S.A.R. deliberarono di rendere pubblica la Dichiarazione odierna.
    Hanno deciso di diramarla a tutti i presenti e a futura memoria, senza indugi ulteriori, consci di dover fare chiarezza sul passato, generalmente poco noto, e per troncare sul nascere eventuali abusi di nomi, titoli e ruoli da parte di chi - ed è il caso di Vittorio Emanuele di Savoia e di suo figlio, Emanuele Filiberto - secondo luoghi e circostanze ora nega la verità e la dignità della storia della Casa di Savoia e la monarchia stessa, ora accampa titoli del tutto fantasiosi. Va detto e ripetiamo che Vittorio Emanuele e suo figlio Emanuele Filiberto di Savoia sono del tutto esclusi da qualsiasi ruolo dinastico.
    Precisiamo che le norme regolanti la vita della Casa (comprendente Principi Reali, cioè legittimi successori al trono, e Principi del sangue, cioè quanti, maschi e femmine, fanno parte della Famiglia Reale) furono e rimangono stabilite dalle Regie patenti promulgate da Vittorio Amedeo III di Savoia, re di Sardegna (1780 e
    1782), mai modificate e anzi recepite nella loro essenza dal codice civile del Regno d’Italia (1865, 1890, 1942). Tali norme:


    a- conferiscono esclusivamente al Re la prerogativa di autorizzare le nozze dei membri della Casa. Orbene, Re Umberto II non ha mai riconosciuto valore dinastico al matrimonio del figlio, Vittorio Emanuele, con Marina Doria Ricolfi. Il Sovrano non ha mai modificato il tale disconoscimento e le sue conseguenze; Vittorio Emanuele prese atto del divieto paterno, ma agì di sua scelta e si pose al di fuori della Famiglia
    Reale;

    b- escludono dalla Famiglia Reale i membri che vìolino le Regie Patenti;

    c- hanno comportato e comportano l’esclusione ipso iure, o “automatica”, di Vittorio Emanuele e dei suoi discendenti, a cominciare dal figlio, Emanuele Filiberto. Tale esclusione annullò ogni rango, titolo e ruolo, perché Vittorio Emanuele contrasse nozze senza consenso regio, in violazione di norme - come invano il Padre gli ricordò anche per lettera - non dipendenti dalla volontà del Sovrano ma dalle leggi
    alle quali il Re stesso non può sottrarsi. Come ogni padre, Re Umberto ebbe per il figlio e il nipote affetti di famiglia, che però sono altra cosa dal riconoscimento del rango di principe ereditario;

    d- trasmettono il titolo successorio al principe del sangue prossimo in grado di parentela rispetto al Sovrano: nel caso specifico al Principe Amedeo di Savoia, già Duca d’Aosta;

    e- sono così severe che il capostipite dei Duchi d’Aosta, Amedeo di Savoia, secondo maschio di Vittorio Emanuele II, re di Spagna tra il 1870 e il 1872, al rientro in Italia attese anni prima che gli fosse restituito titolo per eventuale successione alla Corona d’Italia, da lui deposto quando assunse quella di Spagna (su
    richiesta delle Cortes e col benestare preventivo del “Padre della Patria”). È la conferma che le regole valgono anche per il re.

    Poiché Casa Savoia e Regno d’Italia sono unite dalla storia, come insegna la proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861 con Vittorio Emanuele II di Savoia quale sovrano statutario, abbiamo sentito l’obbligo morale di sgomberare il campo da iniziative sconsiderate, cui le cronache ci hanno abituato con profonda amarezza nostra e di tutti gli italiani che amano la propria storia. Dobbiamo correggere informazioni non rispondenti alle norme, alla storia, alla verità e agl’interessi morali e civili della Casa e dell’Italia odierna, tanto più in presenza di numerose e prestigiose iniziative pubbliche e private (mostre, convegni, restauri…) che pongono nella giusta luce la connessione fra Casa Savoia e la storia d’Italia e d'Europa: patrimonio prezioso e irrinunciabile.
    Siamo grati agli Operatori dell’Informazione per quanto faranno per affermare la verità della storia.

    Roma, 7 Luglio 2006

    Aldo Alessandro Mola
    Presidente della Consulta dei Senatori del Regno

  2. #2
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    VEDUTO CHE


    LA REAL CASA DI SAVOIA



    RIUNITASI ALLA PRESENZA E CON IL PLAUSO DELLA PRESIDENZA DELLA CONSULTA DEI SENATORI DEL REGNO




    PREMESSO




    che il Principe Vittorio Emanuele di Savoia, sposandosi civilmente a Las Vegas e a Ginevra e poi religiosamente a Teheran sempre senza il previo e formale assenso del Sovrano, ha perduto ipso iure, in forza delle leggi dinastiche da lui apertamente e consapevolmente violate, per sé e per i suoi discendenti ogni diritto di successione al trono e non fa più parte della Famiglia reale (all. 1 & 2);
    che a S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia, sin dalla scomparsa di S.M. Umberto II si è devoluto per successione automatica il ruolo di Capo della Casa;
    che S.A.R il Principe Amedeo, nella vigenza della norma costituzionale che esiliava a tempo indefinito i discendenti maschi degli ultimi due Re - ancorché non più ricompresi nella linea della successione dinastica - facendosi carico dell’esigenza segnalata anche dalla Consulta dei Senatori del Regno di non compromettere il loro rientro in Patria, realizzatosi finalmente nel 2002, ha ritenuto sin qui di non assumere il ruolo e i titoli che gli competono sin d’allora;
    che, su sollecitazione della Famiglia ed in presenza di fatti che potrebbero ledere la Casa Reale, S.A.R. il Principe Amedeo non intende procrastinare l’adempimento dei doveri dinastici;




    IN CONSIDERAZIONE




    che l’intera Famiglia Reale e ciascun membro di essa hanno come primo dovere la
    salvaguardia delle radici storiche e giuridiche dell’Italia della cui unificazione politica Casa Savoia fu guida e protagonista;
    che il Principe Amedeo nel farsi carico delle sopradette istanze è confortato dalla Consulta dei Senatori del Regno, voluta da S.M. il Re Umberto II, oltre che dai membri della Casa, da cui desidera essere supportato in questo gravoso compito ed in particolare conferire ad alcuni di Loro incarichi permanenti e/o deleghe in alcuni settori;



    COLLEGIALMENTE E UNITAMENTE AL SUO CAPO

    PREMESSO CHE



    S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia assume d’ora in avanti pubblicamente il ruolo di Capo della Casa di Savoia e il titolo di Duca di Savoia con i relativi titoli e le prerogative ad esso spettanti;



    ANNUNCIA



    - l’istituzione di una rappresentanza permanente col mondo dell’economia e della politica;
    - l’istituzione di una rappresentanza permanente per i rapporti con il mondo della cultura storica e dell’arte;
    - l’attribuzione della funzione di riordinare le onorificenze sabaude e gli Ordini dinastici, per tutelarne la memoria storica e adeguarne i rapporti con la società attuale, nel rispetto delle originarie finalità, delle disposizioni testamentarie del Re Umberto II e delle leggi vigenti in materia.

    I poteri delegati verranno esercitati nel nome del Capo della Casa senza che necessiti delega ulteriore o autorizzazione preventiva e approvazione successiva, al fine di consentire la massima celerità ed efficacia dell’attività svolta nel settore delegato.
    Il Capo della Casa potrà sempre avocare a sé taluni dei poteri e materie delegate o effettuare ulteriori deleghe, sentito il Consiglio di Famiglia e il parere della Consulta dei Senatori del Regno.


    San Rocco, il 7 Luglio 2006.

    Visto per presa d’atto
    Amedeo
    Duca di Savoia

  3. #3
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    DELIBERAZIONE N° 1





    IL DUCA DI SAVOIA

    CAPO DELLA CASA REALE

    IN VIRTÙ DEI POTERI LEGITTIMAMENTE ACQUISITI





    con disposizione preliminare da valere come base normativa provvisoria della Casa Reale di Savoia


    DICHIARA CHE



    1. Sono istituite:
    a. una rappresentanza permanente col mondo dell’economia e della politica, e di
    delegare ad hoc il Principe Aimone di Savoia;
    b. una rappresentanza permanente per i rapporti con il mondo della cultura storica e
    dell’arte con delega alla Principessa Reale Maria Gabriella di Savoia;

    2. Il Principe Aimone è in pectore Duca d’Aosta, titolo da premettere, se lo desidera, al titolo di Duca delle Puglie conferitogli da S.M. il Re Umberto II;

    3. E' attribuita inoltre al Principe Aimone la funzione di riordinare gli Ordini dinastici e le onorificenze connesse, nel rispetto delle originarie finalità, delle disposizioni testamentarie del Re Umberto II e delle leggi vigenti in materia;


    da San Rocco, il 7 Luglio 2006
    Amedeo
    Duca di Savoia

  4. #4
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    DELIBERAZIONE N° 2




    IL DUCA DI SAVOIA

    CAPO DELLA CASA REALE

    IN VIRTÙ DEI POTERI LEGITTIMAMENTE ACQUISITI





    Al fine d’assicurare la conservazione del patrimonio morale degli Ordini dinastici di Casa Savoia e di garantire la qualità dei decorati per conservarlo degno delle sue origini gloriose e della sua storia ultrasecolare



    DICHIARA CHE



    1. E' sospeso sine die il conferimento dell’Ordine della SS. Annunziata;
    2. Tutti gli Ordini dinastici sono conservati secondo gli statuti vigenti alla morte di S.M. Il Re Umberto II, dovendosi considerare come non avvenuta ogni modifica successiva in quanto non proveniente dal legittimo Capo della Casa;
    3. Intende unire tutti gli insigniti e quanti vogliano operare in modo conforme alla tradizione, in apposito Corpo, di cui faranno parte di diritto tutti gli insigniti da S.M. il Re. Per tutto ciò che riguarda ulteriori eventuali disposizioni riguardanti gli Ordini si attende lo schema elaborato da S.A.R. il Principe Aimone di Savoia.



    da San Rocco, il 7 Luglio 2006
    Amedeo
    Duca di Savoia

  5. #5
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    La Consulta dei Senatori del Regno


    DIFFIDA


    chiunque dall'abusare della propria denominazione, e si riserva di tutelarla nelle forme previste. La Consulta dei Senatori del Regno apprende che è stata indetta la riunione di una sconosciuta inesistente e sedicente consulta. La Consulta dei Senatori del Regno deplora l'ennesimo abuso dello credulità, e denuncia iniziative arbitrarie che ledono la memoria del Re Umberto II, il quale ne volle la fondazione, e la dignità della Casa di Savoia, sue cure precipue. La Consulta dei Senatori dei Regno, che si onora di contare fra i propri componenti Sua Altezza Reale il Principe Aimone di Savoia, Duca delle Puglie, e Sua Altezza Reale la Principessa Maria Gabriella di Savoia, confida che gli operatori dell'informazione distinguano nettamente tra la Consulta stessa e gli avventurieri. Ricorda che taluni suoi membri subirono e accettarono lo scioglimento e la liquidazione della Consulta, "disposta" da Vittorio Emanuele di Savoia con atto arbitrario, in aperto conflitto con la Statuto Albertino ed il regolamento associativo della Consulta. La Consulta diffida dal gettare ulteriore discredito sulla memoria della Casa di Savoia, il cui Capo è il Principe Amedeo, Duca di Savoia. La Consulta ricorda che Vittorio Emanuele di Savoia venne escluso dal Re Umberto II da ogni titolo successorio, per lui e per i suoi discendenti. La Consulta dei Senatori del Regno pazientò. Ora dice basta abusi e basta fango sulla storia d'Italia.

    Roma, 14 Settembre 2006


    Aldo Alessandro Mola, Presidente della Consulta dei Senatori del Regno

  6. #6
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    COMUNICATO STAMPA DELLA CASA DI S.A.R. IL DUCA DI SAVOIA





    San Rocco, 24 Luglio 2006
    Ai direttori dei quotidiani, dei periodici ed alle redazioni. Per memoria.


    A meno che il malinteso si venda meglio e più a lungo della chiarezza, vi veniamo a pregare di leggere attentamente quanto si trova nel sito del già Duca d’Aosta, ora Duca di Savoia e Capo della Famiglia Reale italiana: http://www.realcasadisavoia.it/ .

    Particolare attenzione va data agli allegati oltremodo esaustivi 1 e 2 del prof. Franco Edoardo Adami dell’Università di Ferrara. Deve essere del tutto chiaro che le ultime note vicende di Vittorio Emanuele di Savoia (il titolo nobiliare è qui omesso essendo caduto per legge dinastica) nulla hanno a che vedere con quella che viene, a torto, chiamata la sua "destituzione" o addirittura un "golpe". Le ragioni d’urgenza dell’intervento, il 7 Luglio, del Duca di Savoia, già Duca d’Aosta, sono spiegate nel succitato sito dalla Consulta dei Senatori del Regno. Un’azione comunque prevista per la fine del mese, anticipata a causa di numerosi articoli apparsi sia sulla stampa italiana che estera, a proposito di un possibile passaggio di "poteri" da Vittorio Emanuele al figlio Emanuele Filiberto. La dichiarazione del già Duca d’Aosta dopo un simile avvicendamento avrebbe soltanto confuso gli italiani più di quanto lo sono già.

    Di lì la ragione del presente comunicato.
    Vittorio Emanuele di Savoia si è autodestituito ed espulso dalla Famiglia Reale insieme ai suoi discendenti, perdendo per l’automatismo della legge dinastica il diritto a succedere al trono e ogni prerogativa dinastica e nobiliare, nell’istante stesso in cui ha contratto matrimonio con Marina Ricolfi Doria a Las Vegas. Nulla vale che egli non accetti il fatto. Se il matrimonio di Vittorio Emanuele di Savoia avesse ricevuto il previo e manifesto consenso di Umberto II in quanto Re, nulla potrebbe essere cambiato nella linea dinastica, salvo condanna (e non accusa) penale dell’individuo, come dettato dalle regole dinastiche.
    Le famose lettere di avvertimento di Umberto II al figlio sono una conferma delle ferree leggi dinastiche, nelle quali lo stesso Re dichiara di non avere volontà né facoltà di cambiarle. Scrivendo, il figlio gli rispose ringraziandolo profusamente di avergli aperto gli occhi, ma poi fece come se nulla gli fosse stato detto. Per poter "perdonare" il figlio dopo il matrimonio, il Re Umberto II avrebbe dovuto chiedere (e non lo fece)sia al nipote Amedeo d’Aosta, che al cugino Duca di Genova, di retrocedere dalla loro posizione dinastica, acquisita per automatismo. Questo mai avvenne, e nulla possono aver a che vedere le eventuali forme di cortesia di Umberto II verso il figlio e la moglie del figlio. La presenza del Re al battesimo del nipote non ha comportato alcun cambiamento della situazione di fatto, e non a caso, dette, senza mai firmare le lettere patenti, il titolo non-Savoia di Venezia, guardandosi bene e significativamente dal concedergli quello tradizionale di Piemonte.
    Il cosiddetto "silenzio del Re": Umberto II avvertì in tempo, non mutò opinione e non autorizzò, come avrebbe potuto fare, il matrimonio, poi tacque perché nulla poteva più fare.
    Le leggi repubblicane del 1948, invocate da chi ammette che nel 1946 le cose stavano come diciamo noi, nulla potevano contro le regole dinastiche della Famiglia Reale, per l’ovvia ragione che la Repubblica considerava la Monarchia (non abdicata) come non esistente. La Repubblica non aveva il potere né la volontà di dettarle alcuna cosa. Chiunque invoca le leggi del 1948 lo fa solamente per forzare, presso gli ignari, affermazioni di comodo.
    Infatti, in tutto ciò che riguarda le questioni dinastiche Casa Savoia, vive in regime di Monarchia non abdicata, cristallizzata alla data della partenza dall’Italia di Umberto II nel 1946.

    Solamente un Re regnante, assieme al suo Parlamento, e non disgiuntamente, possono cambiare le leggi dinastiche. Come avviene in tutte le Monarchie Costituzionali esistenti. Si riprecisa che né la Consulta dei Senatori del Regno (valida, o erroneamente considerata non valida secondo alcuni), né la Famiglia Reale, possono scegliere un successore qualsiasi alla Corona, ma hanno ogni diritto, come tutti, ad affermare secondo le leggi chi lo è.


    Solo le leggi indicano chi è l’erede.


    Sorge il forte dubbio che chi ha ricevuto medaglie ed ordini, conferiti nell’abuso da Vittorio Emanuele, sia portato a manipolare la chiarezza delle leggi nel timore di perderle.

  7. #7
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    La Consulta dei Senatori del Regno ricorda che Umberto II escluse il figlio Vittorio Emanuele (e i suoi discendenti) dalla successione dinastica perché, contro la sua volontà, contrasse nozze in violazione alle Regie Patenti, che regolavano e regolano Casa Savoia. Perciò Umberto II non aveva motivo di dichiarare che, scartato il figlio, Principe Ereditario era ed è Amedeo, Duca d’Aosta: successione ope legis, cioè automatica.
    Umberto II non ebbe motivo di indicare in Amedeo d’Aosta il suo successore e il Capo della Casa di Savoia: era scritto nelle leggi di cui il Re, esempio luminoso di rettitudine, fu scrupoloso custode.
    Per lo stesso motivo Umberto II non incluse il Principe Amedeo d’Aosta tra gli esecutori del proprio testamento.
    Sono verità ovvie e scontate, ma occorre ripeterle.

    Aldo Alessandro Mola
    Presidente della Consulta dei Senatori del Regno

    Roma, 28-IX-2006

  8. #8
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    La Storia è quantomai singolare. La Consulta, voluta da Re Umberto, un bel giorno si trova di fronte a VE che la vuole sciogliere per oscuri motivi (forse era troppo monarchica!). Questi non aveva alcun diritto di fare una simile richiesta ma alcuni consultori si omologarono alle volontà dell'innominabile supportati dal presidente di allora. Logicamente l'altra parte dei consultori non potè accettare una simile assurdità ed elesse un nuovo Presidente, il Prof. Aldo Alessandro Mola, continuando nelle attività della Consulta stessa.
    Dopo il 7 luglio scorso la cricca vittoriana ha rispolverato la parte della Consulta che si era autosciolta, dicendo che solo quella è la vera consulta. Ma come??? Prima accettano di sciogliersi e cessano ogni attività, portandosi al di fuori della Consulta, e poi, per mero opportunismo e per gettare fango sul legittimo Presidente Mola, risorgono dal nulla?
    Capite che non ha senso una cosa del genere?
    Non bisognerebbe nemmeno discuterne ma questi "signori" vogliono solo fare confusione con gli operatori dell'informazione che non sono molto ferrati in questioni monarchiche.

  9. #9
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    Il parere dell'UMI: certezza del diritto

    Di Matteo de Nardelli





    La pretesa alla successione dinastica sabauda, sollevata alla morte del Re Umberto II, è divenuta ormai una vexata quaestio, della quale si è scritto e si scrive hinc et inde, a proposito e a sproposito, soprattutto perchè in questa nostra Italia cui Roma lasciò il millenario monumento del suo diritto, ciò che più manca è il rispetto e di conseguenza la certezza del diritto stesso. Se rispetto e certezza vi fossero, basterebbero le leggi che hanno regolato - e regolano - lo status dei Principi di Casa Savoia (leggi che la Monarchia costituzionale trasferì nel Codice Civile) per definire irrevocabilmente la condizione del principe Vittorio Emanuele: questi, per le Regie Patenti del 1780 di Vittorio Amedeo III, rimaste valide fino all'ultimo Re sabaudo, e per il Codice Civile del Regno d'Italia, non può pretendere alla successione, vietandolo il suo matrimonio con la signorina Marina Ricolfi, cittadina svizzera, anche e soprattutto per il mancato assenso del Sovrano, Capo della Dinastia. A ciò si aggiungano altre condizioni soggettive ed oggettive, che inabilitano Vittorio Emanuele alla successione dinastica (pretesa e tentativo di destituire il Padre, sufficiente da sola a togliere ogni diritto ereditario ad un Principe; i fatti dell'isola Cavallo; l'appartenenza alla P2). I monarchici dell'UMI hanno lungamente esitato, prima di pronunciarsi, non perchè diritto e storia, passato e presente lasciassero qualche dubbio, ma perchè nel figlio rispettavano il Padre, ed anche per evitare la scissione, avvenuta poi ugualmente.
    Contro l’UMI, gli scissionisti vittoriani - pochi, ma rumorosi - hanno scagliato insulti e calunnie. L'UMI, pur danneggiata moralmente e materialmente (materialmente per la mancata esecuzione del testamento del Sovrano defunto), ha preferito tacere dignitosamente, ritenendo ogni polemica inutile e di cattivo gusto. Ora, però, il silenzio non può continuare; come il MMI ha scelto il legittimismo personale, l'UMI si rivolge all'Istituto monarchico per se stesso, confermando, ben inteso, i diritti di Casa Savoia, ma rappresentati da un successore legittimo che non può essere Vittorio Emanuele, né il figlio Emanuele Filiberto, nato da un matrimonio non valido per la Dinastia. Non vi è dunque rimedio ad una condizione di fatto e di diritto contraria alle leggi dinastiche e civili, tutte ostative per Vittorio Emanuele. A nulla valgono le dichiarazioni, le smentite, gli atteggiamenti assurdi e carnevaleschi, per cui si inventano re e regine e principini ereditari, ornati di Collari della SS. Annunziata, che sono, tra l'altro, nonostante la diversa disposizione testamentaria del Re Umberto Il, materialmente in possesso di Vittorio Emanuele.
    Perchè non si è preso esempio dall'esilio dignitoso di Re Umberto II e dal comportamento serio e scrupoloso di Otto d'Asburgo, del Conte di Parigi, degli stessi Borboni di Napoli dopo Gaeta? O di Edoardo VIII d'Inghilterra che abdicò, volendo sposare una divorziata?

    Nelle aritocrazie - e i Re e i Principi Reali sono i primi inter pares e i capi della nobiltà - vigono, per tradizione millenaria, severe regole di stile e di dignità, che il principe di Napoli e la sua consorte hanno disprezzate. Non bastavano forse i politici repubblicani a farci vergognare di essere cittadini italiani? Perchè questo nostro grande Paese, crogiolo di civiltà e di culture, deve subire imbrogli e farse di ogni specie e colore?
    I monarchici dell'UMI non sono dei vani sentimentali o dei nostalgici piagnucolosi: essi sono convinti che l'Istituto monarchico dia maggiore garanzia di continuità politica e di coesione nazionale di quanto non possa dare uno sgangherato regime repubblicano, fondato sulle contrattazioni e sulle lottizzazioni dei partiti. Ma una monarchia costituzionale è uno strumento delicatissimo, che richiede il più alto sentire morale in chi lo esercita ed in chi lo sostiene. Guai se, per sostenere una causa, qualunque essa sia, si ricorre a metodi moralmente e legalmente discutibili e si pretende di imporre tesi costituzionalmente invalide. Con le falsificazioni, con la prepotenza e l'arroganza si ottiene l'effetto contrario a quello sperato: tant'è vero che, per causa di gravi errori e di colpe imperdonabili, l'unità dei monarchici dell'UMI, durata un quarantennio, si è spaccata dopo la morte di Colui che impersonava, anche nell'esilio, l'idea stessa dell'Istituto monarchico, con alto senso morale e regale dignità.
    Si potrebbe dire la medesima cosa di Vittorio Emanuele, anche indipendentemente dall'irregolare status dinastico del principe?

  10. #10
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    Le Regie Patenti

    in un documento a cura di Marino Bon Valsassina





    Dalle Patenti del 7-13-20 settembre 1780 di Re Vittorio Amedeo III, il quale fu Re assoluto e quindi sottoscriveva l'atto nella pienezza del potere legislativo:

    art. I: "Non sarà lecito a Principi del Sangue contrarre matrimonio, senza prima ottenere il permesso Nostro o dei reali nostri successori, e mancando alcuni di essi a questo indispensabile dovere, soggiacerà a quei provvedimenti, che da Noi o da reali successori si stimeranno adatti al caso".

    art II: "Se nell'inadempimento di questa obbligazione si aggiungesse la qualità di matrimonio contratto con persona di condizione e stato inferiore, tanto i contraenti, che i discendenti da tale matrimonio, si intenderanno senz'altro decaduti dal possesso dei beni e dei diritti provenienti dalla Corona e dalla ragione di succedere nei medesimi, come pure da ogni onorificenza e prerogativa della Famiglia".

    art. III: "Quanto però il riflesso di qualche singolare circostanza determinasse Noi, od i reali nostri successori a lasciare che si contragga matrimonio disuguale, riserviamo in tale caso alla sovrana autorità di prescrivere per gli effetti di esso le condizioni, e cautele, che dovranno osservarsi".
    (Ciò fece proprio il Re Vittorio Amedeo III nell'ottobre successivo con un Regio Biglietto relativo al matrimonio del Principe Tommaso Ilarione di Savoia Carignano, da lui autorizzato al matrimonio). Ancora dal Regio Editto del 17 luglio 1782, sempre di Vittorio Amedeo III:

    art. X: “I maritaggi dei Principi della nostra Corona ed il bene dello Stato, non potranno perciò contrarsi senza la permissione Nostra, o dei Reali successori e mancando alcuni di essi Principi a questo indispensabile dovere, soggiacerà a quei provvedimenti, che all'occorrenza dei casi, sì da Noi, che dà Reali successori verranno ordinati, anche a tenore delle Patenti Nostre del 13 settembre 1780, con riserva pure di accompagnare le permissioni con le condizioni che si giudicheranno proprie e convenienti".

    E' opportuno, altresi, richiamare l'opinione di alcuni giuristi italiani, che hanno trattato l'argomento durante il regime costituzionale.
    Morelli (Il Re, 1899, pag. 257 e segg.) ricorda che in quasi tutte le costituzioni monarchiche, specialmente in Germania, il matrimonio principesco, perchè i figli possano succedere al Trono, debba essere uguale, sebbene in passato l'osservanza di tale principio non sia stata assoluta e generale. Afferma che la costituzione italiana (cioè lo Statuto) non ha imposto la nascita di matrimonio uguale come requisito per la successione al Trono, ma opina che "nella successione dell'ufficio regio, abbiano diritto di concorrere soltanto quelli che sono nati da un matrimonio rispondente alla coscienza sociale, all'onore e all'interesse dello Stato", e rammenta come talune costituzioni straniere impongano il consenso delle Camere legislative per il matrimonio dei Re e Principi, auspicando che altrettanto si stabilisca in Italia per i Re.
    Secondo Miceli (Diritto costituzionale, 1913, pag. 486):" ...non si possono considerare come legittimi discendenti per la successione al Trono, se non i figli nati da matrimonio considerato legittimo secondo i principi del nostro diritto pubblico. Perchè a tali effetti il matrimonio sia legittimo occorre:


    I) che sia stato fatto con l'assenso del Re conformemente alla disposizione dell'art. 69 del Codice Civile (oggi art. 92);

    II) che non sia stato contratto con persona di condizione inferiore, cioè non appartenente alla categoria dei Principi di Famiglie regnanti (o ex-Regnanti).

    Ciò in forza della Reale Patente del 13 settembre 1780 e del Reale Biglietto del 28 ottobre del medesimo anno. Queste disposizioni continuano ad essere in vigore, non essendo state abrogate da leggi o da decreti successivi. Si capisce che qui il diritto si informa al criterio di conservare alto il prestigio del Capo dello Stato". Crosa (La Monarchia nel diritto pubblico italiano, 1922, pag. 20): "La successione (si intende al Trono) non è retta dai principi comuni del diritto civile. Legalmente capace di tutti i diritti è la successione legittima proveniente da nozze riconosciute principesche", e in nota aggiunge che" ...l'art. 69 C.C. fa obbligo, per la validità dei matrimoni dei Principi, dell'autorizzazione del Re". Il Presutti (Diritto costituzionale, 1915, pag. 298) contesta che i matrimoni debbano essere conformi alla Patente citata, fondandosi però sull'ulteriore regolamento della materia da parte del Codice civile ( e non ad opera dello Statuto, ossia di una astratta dichiarazione del principio di uguaglianza, oltretutto assai meno radicalmente affermato che nella vigente costituzione). Ma, sempre per il Presutti, quali norme si devono applicare al Re, se lo Statuto regola la successione della Legge Salica, la quale si riferisce a matrimoni principeschi ed anche i plebisciti delle provincie napoletane e della Sicilia (21 ottobre 1860) ricordano la successione legittima di Re Vittorio Emanuele? In questo caso, Presutti ritiene "che valgano le disposizioni del 1780".


    L'art. 92 del Codice Civile
    Mette conto ricordare, infine, come anche l'art. 92 del vigente Codice Civile - ultima manifestazione di una volontà normativa di un Sovrano di Casa Savoia, poichè approvata con Regio Decreto 16 marzo 1942 - dispone al capoverso: "Per la validità dei matrimoni dei Principi e delle Principesse Reali, è richiesto l'assenso del Re Imperatore". (Ovviamente, assenso previo, sia perchè lo comporta l'istituto per sua natura, sia perchè sarebbe contrario ai principi istituzionali della Monarchia, i quali inequivocabilmente sottraggono al potere di chiunque, e sia pure del Re, la designazione del Capo dello Stato o influire sulla designazione stessa, alterando un ordine successorio già consolidatosi, a tenore della citata Regia Patente con la scelta matrimoniale in ipotesi men che regolare, compiuta da taluno dei chiamati alla successione. Può ricordarsi utilmente, a questo riguardo, che nel marzo 1873 - mi pare il 13 - fu richiesto l'assenso scritto dei Principi di Casa Genova, per il reintegro del primo Duca D'Aosta nell'ordine di successione al Trono, dal quale era uscito andando a regnare in Spagna e nel quale rientrava, condizionatamente ai predetti consensi, dopo avere colà abdicato).

 

 
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