L'arte nel tappeto
Torino - dal 14 settembre al 14 ottobre 2006

da exibart

Giovedì 14 settembre 2006, la Galleria Catartica nella sede di via Garibaldi 9 bis a Torino, inaugura la stagione 2006-2007 con una mostra emblematica che, a cinque anni di distanza dall’attentato del World Trade Center di New York, vuole ricordare i disastri della guerra attraverso l’esposizione di quindici “War Rugs” provenienti dall’Afghanistan oltre ad una serie di tradizionali “stripes kilims” e tre “tùllù”, tutti dall’area anatolica.

Il filo conduttore della mostra, oltre alla tematica bellica, vuole essere il confronto e le reciproche influenze tra mondo dell’arte contemporanea e alto artigianato tessile, specialmente Afghano, dove la produzione di tappeti costituisce un'antichissima tradizione praticata da uomini e donne: i tappeti di guerra qui esposti costituiscono la più recente e meno conosciuta forma di espressione artigianale di quei popoli.

Tradizionalmente decorati con motivi geometrici, ottagoni (la zampa dell'elefante) e stelle del Daghestan i tappeti afghani sono realizzati con filato grosso e irregolare da lana caprina tinta, la cui fattura spesso grossolana del disegno contiene un suo indubbio fascino.

Anche per questo, nei primi anni '70, un artista torinese concettuale come Alighiero Boetti (1940-1994) impiantò a Peshawar un proprio laboratorio, per la produzione di una serie di coloratissime opere-tappeto ricamate quale I mille fiumi più lunghi del mondo (1978-1982) o le Mappe (1972). Peshawar si trova a pochi chilometri dal confine afgano, dove il conflitto si sviluppò nel 1979, con l’invasione dell’Afghanistan da parte delle armate sovietiche e si protrasse fino a poco dopo il 1989, anno della loro ritirata. E dove le bombe sono ritornate a cadere durante la recente operazione Enduring Freedom che ha abbattuto il regime Talebano.

Già durante il periodo dell'occupazione sovietica (1979-1989) la quotidiana frequentazione di materiale bellico aveva portato all'inclusione nel disegno della trama e dell'ordito, accanto ai motivi geometrici tradizionali, di fedeli riproduzioni di armi e munizioni.

Tali inserimenti hanno sia una funzione descrittiva come soggetti principali (kalashnikov, rpg, elicotteri, aerei), sia come elementi di decoro sul perimetro del tappeto (proiettili, bombe, granate). Lo splendore di questi tappeti sta proprio nel loro documentare dall’interno la distruzione causata dalla guerra..

A corollario dell’esposizione sono presenti in mostra alcuni tappeti antichi quali gli “stripes kilims” ovvero dei tappeti a righe dalla fattura estremamente semplificata e tre “tùllù” che significa in turco “peloso”

I Tullu' venivano prodotti dai pastori curdi e turcomanni e venivano usati come letti durante la stagione estiva negli spostamenti sui pascoli di alta montagna.

Sembra che le origini del popolo curdo siano antichissime, pare ddirittura che siano i pronipoti degli antichi medi e la loro lingua risale a seimila anni fa. Il popolo curdo vive a cavallo tra Turchia, Iran e Iraq, nei dintorni del monte Ararat, dove la tradizione vuole che si sia arenata la mitica arca di Noè alla fine del diluvio universale, in una zona in cui storicamente e per millenni si è praticato il Mazdeismo, la religione di Zoroastro. Il fuoco veniva usato come strumento di divinazione e di protezione nei riti in favore di Ahura Mazda, "il signore saggio".

Se osserviamo con attenzione i manufatti in mostra, noteremo come con lunghi ciuffi di lana vengono imitati i colori e le lingue di fuoco e come in alcuni pezzi sono stati realizzati dei quadrati concentrici di protezione dagli spiriti maligni.

Geometrie e colori che ritroviamo nell’opera di Mark Rothko (1903-1970) nato a Dvinsk in Russia, specialmente nei lavori successivi al 1950 dove luminosi rettangoli frontali sembrano librarsi sulla superficie della tela.

Benchè il popolo curdo abbia subito una musulmanizzazione forzata alla fine del diciassettesimo secolo durante la dominazione ottomana, in questi manufatti, usati da generazioni di pastori e prodotti e tramandati tradizionalmente da madre in figlia per proteggere padri, mariti e fratelli che portavano al pascolo le greggi sulle montagne e dormivano all'aperto, resta evidente la memoria e lo spirito Zoroastriano.

Gli Stripes Kilims scelti per questa mostra vogliono documentare la produzione di tappeti forse maggiormente nota al grande pubblico, in questa sede allestiti ad imitazione di un parato a righe settecentesco, quasi a ricreare l’atmosfera dei saloni nobili del palazzo in cui ha sede la galleria, edificato nel 1736 da maestranze juvarriane. L’effetto decorativo dell’ambiente rimanda alle opere di op-art degli anni sessanta e vuole essere un omaggio ai motivi preferiti dall’opera di Daniel Buren: uno dei maggiori artisti francesi contemporanei.


Un tullù curdo