IL PERICOLO DELLA LIBERALIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI
Il governo di centrosinistra, in campo economico, ha ripreso esattamente da dove aveva lasciato il cammino delle “privatizzazioni”.
Per coloro che hanno la memoria corta o per i pochi che ancora non lo sapessero, il primo governo Prodi e i successivi governi della maggioranza di centrosinistra succedutisi nella legislatura 1996 – 2001 si sono contraddistinti per la più massiccia opera di privatizzazioni che la storia del nostro Paese abbia mai visto (e subito): industrie, banche, istituti di assicurazione. Tutto il patrimonio pubblico dell’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale fondato negli anni ’30 per salvare l’economia italiana, è stato venduto, o meglio svenduto, al capitale estero. Sorvoliamo sul fatto che l’incaricato da Prodi di svolgere questa vendita ai saldi era l’attuale Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, il quale una volta terminata la svendita passò direttamente a dirigere una delle banche d’affari più coinvolte nell’acquisto del patrimonio industriale italiano, la Goldman Sachs di Londra.
Voci di condanna se ne sono alzate ben poche (sia allora che negli anni successivi) e ancor di meno voci di “vera” condanna e probabilmente ciò ha fatto ritenere l’attuale governo di essere legittimato a passare alla seconda fase delle privatizzazioni: quella relativa ai servizi di pubblica utilità.
A dire il vero una prima forma di privatizzazione c’è già stata: Ferrovie dello Stato, Alitalia, aziende municipalizzate sono state costrette a cambiare la propria forma giuridica passando a quella di società di capitali pur mantenendo il capitale di maggioranza in mano allo Stato o agli enti locali. Nell’ormai radicata (ed errata) credenza liberistica si pensa che l’organizzazione aziendale della società commerciale, o meglio ancora lucrativa, come quella delle società di capitali (nella sua forma più comune di società per azioni) possa garantire un maggior grado di efficienza dei servizi resi agli utenti. Idea a dir poco sbagliata e pericolosa!
La società di capitali essendo nient’altro che una forma di esercizio dell’attività di impresa in forma collettiva è nata e si è sviluppata con il principale scopo di perseguire un fine lucrativo (l’utile) garantendo ai soci di mettere a rischio solo il capitale investito nell’impresa e non il proprio patrimonio personale (come avviene invece nelle società di persone). Avendo uno scopo lucrativo la società richiede che si punti al massimo utile col minimo costo e ciò non è possibile nel campo dei servizi pubblici per la natura degli stessi.
Dopo questa prima fase (trasformazione in SpA) adesso si vuole passare alla seconda: cedere le partecipazioni di maggioranza ai privati. E qui l’idea si fa ancora più sbagliata e pericolosa!
Fino ad ora, pur agendo sotto quell’aberrante forma giuridica di cui parlavamo prima, almeno le società dovevano rispondere allo Stato, alle regioni, alle province ed ai comuni cioè enti ai quali il pareggio andava più che bene, senza quindi la necessità di dover “remunerare” il capitale investito, ma una volta cedute le quote di maggioranza ai privati questi vorranno vedere “remunerato” il proprio capitale investito e non saranno pertanto più tollerati quelli che, in una stringente logica aziendalistica, verranno considerati semplici ed inutili sprechi. Quali saranno tali sprechi? Prendiamo ad esempio le Poste che, svolgendo un servizio pubblico, hanno sportelli anche in paesini di montagna con meno di 1.000 abitanti dove magari ci sono non più di 5 clienti al giorno. Naturalmente il guadagno annuo in tali sportelli non copre nemmeno un mese di stipendio del dipendente impiegato in essi, ma ciò nonostante il servizio deve essere assicurato. Se le Poste, in un’ipotetica gestione privatistica, dovessero rispondere alla borsa e quindi ad investitori privati farebbero immediatamente un bilancio costi-ricavi e non esiterebbero nemmeno 10 minuti a chiudere tali sportelli lasciando decine di migliaia di persone abitanti nei centri più piccoli senza servizio e creando loro molti disagi. Già adesso, che le Poste sono una Spa ma ancora a capitale pubblico di maggioranza, sta avvenendo un fenomeno simile: l'apertura a giorni alterni degli uffici più piccoli. Una soluzione assurda che mette in crisi soprattutto le persone anziane e che non possono muoversi da sole.
Lo stesso vale per i trasporti pubblici: le Ferrovie, l’Alitalia ma anche i servizi di trasporto urbano ed extraurbano su gomma e rotaia non possono essere gestiti con politiche privatistiche, perché il fatto stesso di dover garantire servizi minimi anche durante le feste, la notte e pur senza passeggeri contrasta in modo stridente con l’abbattimento dei costi che gli azionisti privati richiederebbero per poter avere un utile al termine dell’esercizio. Già adesso che non siamo nella fase finale della liberalizzazione dei servizi pubblici possiamo notare gli effetti di questo fenomeno: aumento dei costi per gli utenti, peggioramenti contrattuali dei dipendenti, minore manutenzione dei mezzi e conseguente minore sicurezza (con aumento di incidenti) e un numero minore di corse o voli con peggioramento evidente del servizio per gli utenti. Persino l’ex ministro Tremonti una volta, parlando dell’Alitalia, affermò che sperare che una compagnia aerea produca utili è assurdo, facendo il paragone con le funivie della Valtellina: le funivie non producono mai utili ma senza di esse non ci sarebbero milioni di turisti che ogni anno possono arrivare in cima alla montagna per sciare portando soldi agli alberghi, ai ristoranti e agli abitanti di tutta la vallata. In pratica le funivie sono un "volano" che permette di far crescere l'economia dell'intera valle pur producendo delle perdite ben compensate dagli incassi di altri settori. Lo stesso discorso, naturalmente, dovrebbe valere anche per i servizi di trasporto pubblico: lo Stato (o altri enti pubblici) si accollerebbe le spese di un servizio infrastrutturale così importante ripianando le perdite con gli incassi erariali derivanti dalle attività che si sono svolte grazie ai servizi di cui sopra. Ma se un giorno al posto dello Stato ci sarà un privato chi mai potrà pensare che questi non pretenda un utile tagliando i costi ed aumentando a dismisura i prezzi?
Un ultimo settore dei servizi di pubblica utilità che rischia di essere completamente liberalizzato e che invece non dovrebbe essere assolutamente toccato dall’ondata liberalizzatrice è quello dei servizi essenziali: luce, acqua e gas. Pensare di poter privatizzare questi servizi non è sbagliato: è criminoso. Tali servizi dovrebbero essere garantiti a tutti al semplice prezzo di costo, ma liberalizzandoli le fasce più povere della popolazione rischierebbero di doversi privare anche di tali servizi indispensabili per la sopravvivenza. E’ inutile poi che i liberalizzatori edulcorino la pillola amara con il solito miraggio della concorrenza: la già avvenuta liberalizzazione di altri settori (da quello delle assicurazioni a quello della telefonia mobile e fissa) ha dimostrato che non solo i prezzi per gli utenti non scendono ma che addirittura salgono a causa di accordi sottobanco ( i cosiddetti “cartelli”) che le aziende oligopoliste stipulano tra loro per drogare il mercato.
Facciamo attenzione: non esiste un solo Paese al mondo nel quale la liberalizzazione dei servizi pubblici abbia portato miglioramenti ai servizi stessi, basti pensare alle Ferrovie inglesi, un tempo vanto degli anglosassoni per la qualità del servizio, ed oggi sotto accusa per un numero di incidenti mortali da linea ferroviaria del terzo mondo.
Massimiliano B.