Presentazione Anarchici Analitici
Di
Fabio Massimo Nicosia
“Se la monarchia fosse un modello di uomo, e non di Stato, io sarei monarchico”
(Una banalità).
“The Declaration of Indipendence is probabily the most “communistic” document that ever obtained celebrity among “good-law-and-order” people in both continents”
(attribuito a Benjamin Tucker, 1882).
“Sino a quando si parlerà di problemi da risolvere come risolti e si parlerà dell’anarchia invece che dell’Italia, dell’Emilia, di Bologna, del problema edilizio, di quello sanitario, di quello scolastico, ecc., e nell’anno 1933 o 1934, io continuerò a strillare”
(Camillo Berberi, Lettera a Luigi Fabbri, Gennaio 1931).
“Adam Smith ce l’ha insegnato, l’unica via è il libero mercato”
(Fabio Massimo Nicosia, sua agenda, 1977).
E gli handicappati che fine fanno?
(Pensiero della suocera)
Analitici
Tutte le volte che qualcuno è convinto di rappresentare una nuova corrente, la prima cosa è giustificare o raccontare la propria nascita. Il che può avvenire in vari modi. Si può, per esempio, accusare le auctoritas precedenti di aver snaturato “l’idea”, o di essere troppo pigre.
Questo metodo, sicuramente, non ci appartiene. Giacchè il nostro interesse non è presentare una interpretazione “vera ed autentica” dell’anarchismo, ma tornare alle basi attraverso l’analisi dei concetti e dei fatti. Il che porta certamente a discussioni e dissensi, ma l’importante è che ci si riconosca buona fede.
“Analitici”, perché si tratta di riprendere il bagaglio di elaborazione teorica sin qui prodotto dai vari pensatori e sottoporlo ad un vaglio lucido. Il terzo millennio merita questa fatica.
Nel caso di un’idea (dell’Idea), la revisione avviene in due versi: da una parte si rilegge il bagaglio teorico, per individuare un’idea di libertà che sia coerente, scevra da contraddizioni, che, nonostante le migliori intenzioni, non mancano in forse tutti gli autori delle diverse tradizioni. Dall’altra si osserva il presente per cercare di capire su quali treni e quali binari quell’idea può viaggiare. L’unione di queste due azioni porta ad attualizzare l’anarchismo, se non si vuole ridurlo a un vecchietto poco arzillo.
Attualisti
Analitici, ma anche attualisti dunque. Pertanto pragmatici, nel senso più alto (Peirce). I tentativi rivoluzionari sono falliti, e risalgono ormai alla preistoria; nè se ne vedono all’orizzonte. Il consenso che un tempo l’Anarchia riscuoteva tra gli uomini è ridotto al lumicino di un movimento mummificato e, purtroppo, ininfluente. Gli altri movimenti “antagonisti” scaturiti dalla società esprimono a loro volta più spesso un’aspirazione legittima di separatezza che di trasformazione, e quando pure ciò si verifica, non sempre gli strumenti a disposizione paiono adeguati.
Invece il nostro acerrimo nemico, lo Stato, non solo è vivo, ma se la passa da Dio. Persino quando dà segni di apparente declino, è solo perchè viene rincalzato dalla pletora dei suoi figli, altrettanto coercitivi, sovra/trans-nazionali o pseudo-privati, che in realtà condividono quote di sovranità.
A fronte di ciò, l’anarchismo non ha saputo nè aggiornare la propria elaborazione teorica, nè far seguire una pratica d’azione purchessia sul presente, nell’attesa nostalgica di una nuova Spagna o di una presa del Palazzo d’Inverno, questa volta anarchica. Ma quanti sono i Palazzi d’Inverno?
Lo Stato esiste e non sparirà premendo un bottone. Esiste nelle credenze delle persone, più che nella “realtà”, visto che il monopolio della forza è un’idea in sè del tutto irreale: eppure “esiste”, nella mente di tutti, appunto, oltre che nelle armi del potere.
D’altra parte, se anche quel bottone esistesse, siamo sicuri che, premendolo, ne verrebbe fuori subito l’agognata anarchia d’utopia, e non una giungla dalla quale partire come sempre da zero? Meglio la giungla, diranno in molti. E tuttavia noi sappiamo che ogni assetto statuale rappresenta un equilibrio tra gli interessi in campo; lo Stato e la sua legislazione sono, purtroppo, l’unico “contratto sociale” del quale disponiamo. Là dentro, in quella discarica, ci sono i diritti di molte persone che vivono la vita reale, avvinghiati con gl’infiniti privilegi da smantellare.
Sicchè, come diceva Buchanan, noi non possiamo che partire da qui, per toccare quegli assetti col massimo “rispetto”, ossia con la piena consapevolezza di che cosa andiamo a toccare, perchè lì c’è carne e sangue di persone.
E’ la strategia che chiamiamo dei second best, che non è il riformismo calabraghe e disorientato, ma, all’opposto, il prodotto di un progetto e di uno sforzo, quello di incidere effettivamente sulla realtà, mantenendo sempre la bussola nella direzione di un first best, che ci chiariamo incessantemente.
Elaborazione teorica e pratica non possono quindi che convivere e procedere a stretto braccetto, consapevoli che quella pratica è addirittura più difficile. Non è infatti troppo complicata una teoria della libertà. In fondo i casi di oppressione sono sotto gli occhi di tutti, ed è inutile perdersi in questioni “uovo o gallina”, del tipo “é nato prima il potere economico o quello politico?”, dato che nella realtà che viviamo non si tratta di due realtà distinguibili.
La nostra risposta alla “crisi” dell’anarchismo, che nasce ben prima del crollo delle “grandi ideologie” del Novecento, passa attraverso l’azione di riforma del presente nel quadro di un progetto politico di più ampio respiro chiamato anarchia.
Revisionisti e pure “riformisti”, o “riformatori”, come dicono altri, anche se i nostri obiettivi sono tutt’altro che moderati, e quelli finali non meno rivoluzionari di quelli di altri (forse migliori). Insomma una specie a cui sparare a vista. Oppure una specie con cui dialogare, se ci si riconosce buona fede.
E’ il caso di sgombrare il campo da mali pensieri: non è nostro obbiettivo “andare al governo”. Anzi, lo sarebbe, se fosse davvero possibile, senza passare per la politichetta degli 0,03%. E’ nostra prassi però ragionare come se fossimo al governo, e far proposte le più radicali, in tutti i sensi. Tenendo quindi sempre chiari in mente i rapporti di forza che caratterizzano la fase storica presente. I movimenti, se verranno, e sapranno consolidarsi oltre le mode, si dovranno confrontare con queste proposte, se saremo davvero in grado di formularle. Forse bisogna fare una gara per il miglior volantinatore.
E forse un dettaglio si impone: siamo dalla parte dei lavoratori, perchè la lotta contro i privilegi e i diritti acquisiti non può partire da loro, e per farla agli altri occorre il loro consenso. E solo a quel punto, a privilegi smantellati, che si potranno discutere i diritti del lavoro, come se lavorare per vivere fosse un valore etico, e non una rottura di coglioni.
Siamo quindi anzitutto per il reddito di esistenza, da spendere come si vuole, un minimale risarcimento per gli spoliati, e un minimo di decenza di garanzia di sopravvivenza, che nemmeno le tanto decantate socialdemocrazie hanno saputo assicurare per intero, in ben più di un secolo di storia. E poi, che fine fanno gli handicappati? E come funzionano i manicomi giudiziari?
Libertari tout-court
La consonanza di mezzi e fini è quindi fondamentale, bisogna stabilire una serie di indicazioni su cui orientare la nostra analisi e le nostre proposte. Devono emergere le leadership naturali.
La stella polare è sempre la libertà individuale, dall’ambito sessuale a quello economico.
C’è da chiedersi perchè spesso i liberisti non vedano il primo, e i libertini il secondo. E capire se hanno ragione loro, o noi che non vediamo differenze.
Poi ci sono i sedicenti libertari moralisti conservatori, ma non sono dei buoni libertari, perchè il moralismo è costoso, e ogni costo riduce la libertà.
In questo discorso sulla liberazione del corpo gioca un ruolo importante la musica.
E’ proprio in questi campi, e in genere nella cultura, che si vede la libertà economica di cui godiamo, anche nei confronti delle multinazionali che pretendono di escludere quei prodotti culturali dal libero godimento, attraverso istituti posticci come il copy-right. Non bisogna avere peraltro paura che a monopoli pubblici si sostituiscano monopoli privati, perchè questo è impossibile. Se monopoli troviamo, c’è sempre la zampina dello Stato o equivalente. Resta il problema dei monopoli naturali (quante autostrade del sole dobbiamo fare per garantire la libera concorrenza?).
Adesso il discorso si è molto arricchito. E ai passi falsi provvede la provvidenza.
Pontieri
E’ il nucleo di questo “manifestino” eterogeneo, o “sincretistico”? Ci serve la distinzione tra socialisti e liberali, sempre restando nell’orizzonte anarchico? Occorre partire da Warren, che concepì la “sovranità dell’individuo”, come riconobbe Stuart Mill.
E Warren ha almeno tentato la quadratura del cerchio, col mercato a prezzo di costo-tempo. Ma resta il problema dei valori soggettivi, e del “da ciascuno per come sceglie, a ciascuno per come è scelto” (Nozick). L’individuo è la fonte fondamentale del diritto della nostra Anarchia, e poi vengono gli aggregati.
E come disse Malatesta, l’apologeta del commercio: “Si può dunque preferire il comunismo, o l’individualismo, o il collettivismo, o qualsiasi altro immaginabile sistema, e lavorare con la propaganda e l’esempio al trionfo delle proprie aspirazioni; ma bisogna guardarsi bene, sotto pena di un sicuro disastro, dal pretendere che il proprio sistema sia il sistema unico e infallibile” .
Siamo solo all’inizio del dibattito e una cosa prevediamo: non andremo da nessuna parte senza il confronto con chi questo approccio non condivide, o dice di non condividerlo.
Indipendentemente dalla “sponda” da cui proviene: a noi interessa il fiume.
Referenze.
Adesso vorrete sapere chi sono i nostri Marx-Lenin-Stalin-Mao Zedong-Enver Hoxha di riferimento. O chi è il nostro Martucci o Torrealta.
A chi ci rifacciamo, quindi, a quali autori della tradizione, o di quale tradizione? A tutti e nessuno, si direbbe. Non siamo nè anarco-comunisti, nè anarco-capitalisti, o forse siamo tutte e due le cose. Non solo perchè è buona norma, prima di gettare un oggetto, controllare se per caso non possa fare a qualche uso, ma anche perchè i gravi errori di quelle tradizioni non tolgono a nessuno la propria “parte buona”. Stirner ha dato la struttura, Nietzsche il contenuto dell’uomo come Dio-animale (bisogna avere una visione dell’uomo per essere concorrenziali alle chiese); Adam Smith l’ambiente di riferimento, su cui ha più lavorato David Friedman. Bruno Leoni la forma, e l’ha inserita in quell’ambiente. Rothbard ci ha dato il matto del quartiere, fissato sui suoi diritti (occorre tenere conto che ci sono anche loro).
L’ultimo Negri, in nome della moltitudine, viene sulle nostre posizioni, con la sua attesa sterzata anarco-liberista, da coniugare, va senza dirlo, col reddito di esistenza, se il mondo è di tutti. E peccato che il suo contatto con Pannella abbia prodotto solo danni, per i limiti dei due milieu. Perchè quel che si fa, va rivendicato sempre. E anche Bossi ha avuto un’intuizione (non quella).
Ma esiste un filone ottocentesco, gli americani –Tucker-Warren-Spooner- e anche Proudhon, che ha preso per le palle il mostro monetario, sul quale Marx ha preso lucciole per lanterne (mentre i rothbardiani si crogiolano nell’oro).
E’ questo il punto da cui partire, leggendo per distrarci un po’ di Sade (il più radicale e logico degli antiproibizionisti) e di Antifonte (e studiando molto bene come funziona il calcio, altro che scacchi).
Antifonte68 Matteo Cavallaro Luigi Corvaglia Fabio Massimo Nicosia