L’ombra del signore di Mordor: Vita violata e oltraggiata


A Londra basta avere i piedi piatti per finire nel cestino

Di Giulio Meotti

Tempi, n°23, 8-06-2006


Parliamo di un Paese in cui un quarto delle gravidanze finisce sul lettino di un medico abortista. Un quarto, migliaia all’anno. Sei mesi fa la notizia, divulgata senza suscitare troppo scalpore, che in Inghilterra è pratica comune sopprimere feti di bambini con il labbro leporino. Ora il Times rivela di più: almeno venti gravidanze sono state interrotte nell’ultimo anno perché dall’ecografia è emerso che i bambini erano affetti da vari tipi di malformazione al piede. Patologie curabili attraverso la fisioterapia o piccoli interventi chirurgici e che hanno segnato la vita di grandi del passato, dal Lord Byron all’atleta americano Kristi Yamaguchi. In Inghilterra oltre il 95% dei bambini affetti dalla sindrome di Down viene eliminato nelle prime 25 settimane di gravidanza (la legge inglese permette di abortire fino al settimo mese). C’è chi giustifica la decisione in termini utilitaristici, come Joyce Arthur del Pro-Choice Action Network, il quale calcola che un’ecografia e un aborto costano al servizio pubblico intorno alle 38 mila sterline, mentre il sostegno e la crescita di un bambino down può costano fino a 120 mila sterline [sono peggio dei nazionalsocialisti di Hitler N.d.R]. Invece il professor Kypros Nicolaides, docente di medicina fetale al King’s College Hospital di Londra, denuncia «un’esplosione di test invasivi a partire dagli anni settanta». Cosa che ha spinto la sostenitrice dei diritti degli invalidi Alison David a chiedere al governo di interrompere «tutti i test non necessari», che hanno il solo scopo di causare la morte di bambini disabili. Ma ormai la sorte dei nuovi nati con malformazioni è la stessa a cui sono destinati i bambini con spina bifida: la BBC nel 2003 rivelò che il 93% degli affetti da questa malattia veniva abortito. Per questo la bioeticista Jacqueline Laing della London Metropolitan University sostiene che «ai bambini viene imposto di corrispondere ad uno standar di normalità prima che venga concesso loro di nascere». Nel 1978 fu lo stesso padre della fecondazione in vitro, Bob Edwards, a vantarsene: «Sarà presto una colpa per i genitori avere un bambino che rechi il pesante fardello di una malattia genetica».


Poi dicono che no, non è eugenetica, che si tratta di esercizio libero e consapevole delle compassione dei genitori. Ma è la compassione l’entusiasmo con cui John Harris, professore di Bioetica alla Manchester University, ha giustificato l’aborto selettivo come mezzo per la creazione di «un mondo più felice»?