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    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    Exclamation Basilica di San Sisto: una storia da scoprire e divulgare

    Amici.......siamo in estate e spesso si è alla ricerca di libri da leggere.....o luoghi dentro i quali cercare tante risposte alle nostre domande spirituali...
    Per chi è a Roma, o per chi volesse andarci, o per chi volesse scoprirne i suoi tesori, ecco qui una storia veramente singolare......
    Le immagini che vi offrirò saranno grandi, le dividerò dal testo per rendere più agevole la lettura...cliccandoci sopra le potrete vedere nelle dimensioni grandi..

    Buona lettura e....incontriamoci nella Memoria dei nostri Santi.....e un grazie all'amico Augustinus per aver ospitato questa storia.....

    Fraternamente Caterina LD

    PRESENTAZIONE di P. RAIMONDO SPIAZZI O.P. quando era Rettore della Basilica S.Sisto a lui ed alle Suore Domenicane dedico questa divulgazione



    L a Basilica di San Sisto all'Appia, come è denominata nella nomenclatura ecclesiastica, è una delle più venerande di Roma.
    Sorta tra le altre paleocristiane del V secolo, ricostruita da Innocenzo III, affidata a San Domenico da Onorio III, restaurata nei secoli del Rinascimen¬to, di nuovo ristrutturata nel Settecento da Benedetto XIII, dovette subire il logorio causato dall'umidità e dalla insalubrità della zona che si rivelava, sen¬za dubbio bellissima e archeologicamente ricca, ma poco abitabile. Ciò spiega i ripetuti abbandoni, i deperimenti, i successivi restauri e rifacimenti della Basi¬lica e del complesso sistino che vi fa capo.

    La tenacia nel conservare e nel restaurare o ricostruire (secoli V, XIII e XVIII) questo vetusto monumento, è dovuta alla sua appartenenza al novero delle prime basiliche cristiane, alla "naemoria" del Papa martire San Sisto II del quale, secondo la tradizione agiografica ed epigrafica, custodisce le reliquie, alla "memoria"di San Domenico che qui fondò il primo monastero di perfetta clausura in Roma, al valore religioso e artistico degli edifici, degli ambienti monastici, dei dipinti - tutto vi è così sobrio ma distinto! - e, nell'ultimo secolo, alla presenza delle Suore Domenicane che per volere della Fondatrice, Suor M. Antonia Lalìa, prendono il nome da San Sisto. Tutte ragioni valide che, con íl rísanamento e l'abbellimento della zona, imponevano ancora una volta il restauro di tutto il complesso sistino, avvenuto in questi ultimi anni a cura di dette Suore Domenicane.

    Il complesso monumentale di San Sisto Vecchia - chiesa, torre campana¬ria, chiostro, capitolo e refettorio di San Domenico - si trova nell'ampia val¬lata compresa tra le pendici occidentali del Celio e il secondo colle A ventino, da una parte, e, dall'altra, tra il Circo Massimo e le Terme di Caracalla. Quest'area venne sistemata a parco pubblico negli anni 1910-1911, dopo una serie interminabile di rinvii determinati dalle polemiche sui progetti, che vide¬ro impegnati anche grossi nomi della cultura e della politica romana del dopo 1870, quali Ruggero Bonghi e Guido Baccelli (1). Nella toponomastica l àrea fi¬gura col nome di Parco di Porta Capena. Ma è comunemente indicata come Passeggiata Archeologica. Il viale centrale porta il nome di Via delle Terme di Caracalla; quello parallelo, a destra di chi proviene dalla Via Appia, è Via delle Fonti delle Camene; a sinistra, nel tratto tra la chiesa dei Santi Nereo e Achilleo e il Circo Massimo, costeggiante lo Stadio delle Terme, ma oltre le Ter¬me, si snoda il Viale Guido Baccelli, a cui si accede dal Piazzale Numa Pompi¬lio attraverso la Via Antoniniana.

    Già il Card. Cesare Baronio (1538-1607), discepolo e compagno di San Fi¬lippo Neri (1515-1595), essendo "titolare" della chiesa dei Santi Nereo e Achil¬leo aveva fatto restaurare l'edificio sacro e la zona antistante, inserendovi alcu¬ni reperti archeologici che fino a pochi anni fa abbellivano la zona: in parte ab¬battuti, in parte ritirati negli ultimi tempi per salvarli, non certo dai "barba¬ri'; che seminarono in questi luoghi le rovine tuttora sotto gli occhi di tutti, e nemmeno dai lanzichenecchi (o anche solo da nuovi... `BarberinO, ma dai 'nuovi barbari'; quelli del malcostume e dalla malavita che infestano anche questa parte di Roma e la Via Appia.

    Il presente volume è stato composto per offrire ai visitatori le notizie storiche e archeologiche essenziali, una guida per la visita da compiere e un souvenir dell'esperienza, vogliamo sperare, piacevole e fruttuosa che avranno fatto nel loro contatto con le cose antiche e belle qui esistenti. Se saranno anche pellegri¬ni, il ricordo riguarderà, come sempre avviene, principalmente la Chiesa dei martiri e delle basiliche, San Domenico e il suo Ordine, il monastero di clausu¬ra - oggi trasferito a Monte Mario - e le suore di vita attiva, il campanile romanico, il chiostro e il capitolo nel loro significato religioso. Su tutte le `memorie'; avrà il primato quella dell'icona della Madonna detta di San Sisto, riprodotta nella vetrata dell'abside della Basilica.

    Il contenuto del volume è tratto dalle opere che studiosi autorevoli e sicuri hanno dedicato a San Sisto negli ultimi decenni.
    Una storia più completa e documentata è in preparazione e si spera di vederla pubblicata entro il 1993, anno centenario della fondazione delle Suore di San Sisto.

    Il Libro “San Sisto all’Appia” può essere richiesto a:
    Suore Domenicane Missionarie San Sisto, Via Druso 2 – 00184 Roma -
    Naturalmente anche per visitare tutto il complesso è possibile farne richiesta tanto più che le Suore hanno la possibilità di ospitare i pellegrini che si recano a Roma




    La Chiesa ed il monastero di San Sisto all'Appia, in R. Spiazzi (a cura di), Raccolta di studi storici, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1992
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  2. #2
    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    Prima di parlare della Basilica di San Sisto, è necessario immergersi nello scenario attiguo perchè è strettamente legato e ci ricorda di una famosa Icona Bizantina legata alla storia della Basilica e all'Ordine Domenicano, portandoci indietro nel tempo, alle origini del Cristianesimo........

    2. IL "MONASTERIUM TEMPULI"

    "Oltre ai resti della famosa Porta Capena, un'altra testimonianza, sebbene poco nota e ampiamente snaturata, rimane ancora in evidenza. Si tratta di una memoria pagano-cristiana, e profana, con un primo nucleo risalente ad età imperiale. Nello stato attuale, essa, pur ricca di carattere, e fascino, ha forma indefinibile, oscillante tra la base di una fortezza e il nobile casale di campagna, rinascimentale.

    «Probabilmente, quel casale in rovina, sul principio della passeggiata archeologica, corrispondente a quello della Vigna Calcagnini (Nolli, f. 14), nel quale si trova innestato un rudere di campanile - scriveva 1'Huelsen nel 1927 - é un avanzo della chiesa di Santa Maria in Tempulo» (9). Dopo questo illustre studioso tedesco, altri due noti ricercatori dell'Ordine Domenicano, P. Alberto Zucchi, nel 1937, e P. Vladimiro J. Koudelka, nel 1961 (10), quantunque non del tutto d'accordo su di un'unica opinione, chiarirono sulla base di documenti conservati nell'archivio dell'Ordine l'esatta natura di questo particolare monumento dell'Appia, ovviamente contestando tutte quelle fonti che per errata e condizionata lettura dei testi ne avevano alterata la fisionomia, e spostato persino l'ubicazione.

    Tuttavia, neppure a questi due meticolosi ricercatori fu possibile, se non per via di congetture, stabilire l'esatta origine del monastero - giacché di un monastero si tratta - che viene menzionato nella vita di Leone III, per l'anno 806. Questo pontefice, infatti - riferisce il Liber Pontificalis (11) -, donò all'oratorio di S. Agata... (sito) nel monastero Tempulo una lampada d'argento del peso di due libbre. Da questo passo si apprende che nel monastero in Tempulo, o in Tempore (con questi appellativi esso verrà costantemente indicato dalle fonti, anche quando nel X secolo assumerà l'appellativo liturgico di S. Maria, col quale rimarrà poi noto), era situato un Oratorio dedicato alla martire Agata: la santa di Catania che, in Roma, godeva già in quel tempo di grande venerazione, e alla quale erano stati dedicati diversi oratori e chiese. Basterebbe ricordare per questo S. Agata in capite Suburrae, o dei Goti, menzionata già nella vita di Gregorio Magno (590-604).

    Il nostro monastero, che sorgeva, come detto, nel primo tratto urbano della Via Appia, ospitava un'esigua comunità di monache benedettine e, pur possedendo alcuni piccoli terreni nella città e un'ampia tenuta al decimo chilometro circa della Via Laurentina, non godette sempre di una florida vita economica. Almeno fino a quando le religiose che lo abitavano non furono trasferite, nel 1221, nel vicino monastero di San Sisto, che il Fondatore dell'Ordine dei Predicatori, San Domenico di Guzman, aveva organizzato fin da qualche anno prima per incarico di Papa Onorio III, per ospitarvi alcune comunità di religiose, le quali per espressa volontà del Pontefice avrebbero dovuto uniformarsi e seguire, "sub arcta clausura et diligenti custodia", la disciplina delle suore di Prouille che, in numero di otto, erano state fatte venire appositamente a Roma, per darne l'esempio.

    Per quanto riguarda l'insediamento delle tempuline del monastero dell'Appia, P. Zucchi, riferendo il testo di una Bolla [che il Martinelli, in opposizione alle tesi del Torrigio e del Berthier che l'attribuivano a Sergio III (904-911), retrodata al pontificato di Sergio I (687-701)] con la quale quest'ultimo Pontefice, per provvedere all'estrema povertà in cui si era venuto a trovare il monastero per le spoliazioni e devastazioni perpetratevi da orde barbariche (paganica infestatione affectas et omni modo depraedatas vel annullatas), gli fa dono del Casale di Casaferrata con due pantani (12), trae la conclusione che, se i beni del monastero sotto il suddetto Pontefice erano stati devastati, essi dovevano già da tempo esistere. Dunque, non andando lontano dal vero - egli dice - se ne può fissare la fondazione ai primi del VII secolo (13).

    (Come scrive il domenicano Koudelka), «il nostro monastero, che aveva un oratorio dedicato a Sant'Agata, e che nella forma più antica appare col nome di monasterium tempuli, e nel 977 figura con l'appellativo liturgico di monasterium sanctae Mariae qui sic vocatur Tempuli, poiché allora aveva una chiesa pubblica e non più un oratorio privato, figurando anche nelle carte che vanno dal 1035 al 1205 con le varianti col cognome: in Tempuli, in Tempoli, in Tempore (quest'ultima forma è ovviamente dovuta ad un effetto di rotacismo, corrente nel dialetto romano), ha derivato il suo appellativo - non appartenendo esso all'onomastica romana e non essendo quindi il genitivo del nome di persona - dal genitivo del neutro latino Tempulum (14).

    Il monastero primitivo dovette sorgere sopra e intorno ad una cella memoriae, costruita a forma di piccolo tempio (donde il nome), che servì come primo oratorio» (15).

    Il P. Vladimir Koudelka O.P., in una rielaborazione del suo studio sulle origini di San Sisto (16), riafferma e precisa che l'esistenza del monastero di Santa Maria in Tempulo "viene attestata già intorno all'800 e la sua fondazione è dovuta senza dubbio alle monache greche fuggite da Bisanzio durante le persecuzioni iconoclastiche. Le monache trovarono rifugio all'ombra del convento di San Gregorio in Clivo Scauri, occupato nello stesso tempo dai monaci greci fuggiaschi dall'Oriente. Nella zona, archeologicamente tanto ricca, non era difficile rifugiarsi e stabilire la propria dimora in una delle rovine romane. C'erano ancora i resti ben visibili di Porta Capena e delle Mura dette Serviane del IV sec. a. C., le rovine del tempio di Onore e Virtù e altre.
    Detto monastero non era né grande né ricco. Anzi, avendo sofferto le incursioni saracene, le monache vi vivevano in grande povertà. Il Papa Sergio III, per rimediare a questo stato di cose, regalò al monastero, nel 905, una grande proprietà di circa 150 ettari, chiamata Casa Ferrata, sulla Via Laurentina fuori città, con l'obbligo alle monache di cantare ogni giorno cento volte il Kyrie eleison e Christe eleison. Oltre a questa proprietà, il monastero possedeva anche una vigna davanti alla chiesa, un orto al Circo Massimo e un terreno fuori Porta San Paolo. Migliorate cosi le condizioni materiali del monastero, nel X sec. si poté costruire un campanile attiguo alla piccola chiesa.

    Tutto questo, lo apprendiamo da 33 pergamene che vanno dal 1150 al 1220, e vengono attualmente conservate nell'Archivio dell'Ordine Domenicano. Esse sono per noi molto preziose, perché sono considerate reliquie di San Domenico, avendole egli toccate con le sue mani. Sono state queste pergamene ad aiutarci a stabilire con sicurezza 1'ubicazione precisa del monastero nella Via della Valle delle Camene, a circa 150 metri dalla chiesa di San Sisto, e ad identificare l'entità della sua rovina. Questa identificazione era necessaria, data la confusione dei copisti medioevali che scrivevano spesso Santa Maria in Trastevere per Santa Maria in Tempulo.

    Questo tempio, uno dei più caratteristici ricordi di San Domenico a Roma, si trova oggi in uno stato desolante e totalmente negletto. Una parte serve da studio a un esimio scultore che ha provveduto a un certo riattamento del locale e, soprattutto, a impedirne una peggiore rovina. Solo una cappellina al di là della strada rammenta al pellegrino o turista attento che i ruderi antistanti, un tempo, erano un edificio sacro (17).

    Dalle menzionate pergamene apprendiamo anche molti nomi di badesse e semplici monache che si avvicendarono nel monastero, e di quelle che qui vissero nel tempo di San Domenico. Nel modesto edificio abitavano allora la badessa Eugenia e cinque consorelle, delle quali la più giovane era Suor Cecilia. A costei spetta il merito di averci lasciato molti suggestivi ricordi circa l'attività di San Domenico a favore delle donne e monache romane, e circa la fondazione di San Sisto.

    L'ardente parola del Santo conquistò le monache di Santa Maria in Tempulo che si dichiararono disposte, eccetto una, a farsi riformare e ad andare ad abitare nel nuovo monastero di San Sisto sotto la direzione di Domenico e dei suoi frati, a condizione però che l'immagine della Beata Vergine, venerata nella loro chiesetta, fosse traslocata nella chiesa di San Sisto. Se tale immagine fosse tornata alla sua chiesa primitiva, le monache si sarebbero ritenute prosciolte da tale decisione" (18).

    Fraternamente Caterina
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  3. #3
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    Veniamo ora all'Icona Bizantina........

    3. L'ICONA BIZANTINA DI SANTA MARIA

    A questo punto ci viene incontro lo Scarfone, con altre notizie e precisazioni, e qualche anticipo circa l'Icona che dava il titolo al Tempulum e che poi prese il nome da San Sisto (19).

    "Il monastero in Tempulo, prima della fine del IX sec., si trasforma in un piccolo santuario mariano, per il culto e la grande venerazione che vengono tributati ad una sacra immagine della Vergine (che in seguito sarà) comunemente detta la Madonna di San Sisto. Si tratta di un dipinto, eseguito su di una sottile tavola di tiglio, in cui la Madonna è rivolta a destra ma ha lo sguardo verso lo spettatore. Ha la mano destra non dipinta, ma ritagliata in una lamina d'oro e sovrapposta; mentre quella sinistra è di metallo dorato. Tutta la composizione poi - e in questo anche consiste la sua particolarità - è stata realizzata su tre fasce di differenti materie. Nella parte alta, infatti, il volto è dipinto su cera, mentre la maggior parte del corpo compreso nella parte centrale è su gesso, e infine nella zona inferiore (allo stato attuale vi rimangono poche tracce di colore) è stato dipinto direttamente sulla tavola.

    Questa straordinaria Immagine, che si disse "Dei omnipotentis ineffabili virtute depicta", (dipinta in virtù di un ineffabile intervento di Dio onnipotente), e che non conosce esempi similari nella storia dell'arte, accompagna alla delicatezza dei lineamenti del viso una immensa soavità di espressione, che risulta - se il volto viene analizzato separatamente nelle due metà che lo compongono - dalla felice sintesi di due estrinsecazioni: di soavità appunto l'una, di mestizia l'altra.

    Bisogna dire che questo straordinario polimaterico, se non è proprio l'originale greco che era venerato a Costantinopoli col titolo di Hagiosorotissa, dal nome del piccolo tempio (o arca) in cui erano conservate oltre a detta immagine anche due reliquie della Vergine, certamente ne è copia fedelissima. Purtroppo, neanche dopo l'accurato restauro operato sulla tavola nel 1960 (20) è stato possibile stabilire la data esatta della sua esecuzione, che comunque viene fatta risalire al VII secolo.

    Detta Immagine, dopo essere stata per secoli in Santa Maria in Tempulo - donde il 28 febbraio 1221 le monache furono persuase a traslocare, anche per le ragioni sopra accennate -, venne portata nella vicina chiesa di San Sisto, dove rimase per 356 anni. Dopo questo tempo, essa venne nuovamente traslocata nella nuova sede dei Santi Domenico e Sisto a Magnanapoli, fatta costruire per ospitare la comunità domenicana che non poteva più vivere nell'antico monastero sistino.

    Infatti - anche secondo i motivi contenuti nella cronaca di Suor M. Domenica Salomoni (21) - la zona di San Sisto era divenuta inabitabile per l'abbandono delle colture dei campi intorno: cosa che produceva insicurezza materiale, e morale, nelle religiose ("impedimenti nell'hagumento dello spirito", scriveva a questo riguardo Suor Salomoni). Ed anche perché, esendo state dirottate le acque dei canali (è da ricordare che proprio vicino al monastero passava la notissima marrana, che oltre a fornire acqua per i campi azionava anche alcune mole), si era venuto a produrre "1'alto grande travaglio di una carestia" (22). Cosicché, "essendo disabitato ogni contorno", l'aria, "traendo a sé quei mali vapori che dalli luoghi vicini infetti di pestilenza sogliono uscire", aveva reso la zona altamente malarica.

    Per una strana coincidenza, anche dalla sede di Magnanapoli le suore dovettero traslocare dopo esattamente altri 356 anni. E lo fecero questa volta per la chiesa del SS. Rosario a Monte Mario, che, dopo lungo e laborioso iter di trattative tra lo Stato e l'Ordine, fu loro consegnata nel 1931. Qui le monache trasferirono la loro miracolosa immagine, nel coro della chiesa.



    Fraternamente Caterina
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  4. #4
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    5. LA BASILICA PALEOCRISTIANA DI SAN SISTO

    Riprendiamo la Guida del Pietrangeli per avere notizie archeologiche precise sulla chiesa di San Sisto. Egli scrive:
    "La prima menzione di questo sacro edificio, documentato, come vedremo, da importanti resti databili tra la fine del IV secolo e gli inizi del V secolo, è nel Liber Pontificalis, nella vita di Anastasio I (399-401) in cui si ricorda come il Pontefice fecit autem et basilicam, quae dicitur "Crescentiana" in regione II, Via Mamurtini, in urbe Roma. L'identificazione di San Sisto con il titulus Crescentianae fu molto discussa ma fu accettata ipoteticamente dal Duchesne, dal Mommsen, e dal Kirsch, mentre l'Armellini avanzò l'ipotesi che si trattasse del titulus 7 igridis.

    Recentemente il Geertman ha approfondito la ricerca ipotizzando che la regione ricordata sia la II ecclesiastica e che la Via Mamurtini sia da correggere in Via Mamertina, da porre in rapporto col balneum Mamertini ricordato nella Regio I sia nel Curiosum che nella Notitia; esso potrebbe prendere il nome dal suo costruttore M. Petronius Mamertinus praefectus praetorio dal 139 al 143.

    La Via Mamertina dovrebbe corrispondere all'incirca alla attuale Via Druso. Nel 499 i presbiteri del titulus Crescentianae firmano le decisioni prese nel sinodo di quell'anno, ma successivamente non appaiono più mentre nel 595 è presente il presbiter Felix tituli Sancti Sixti. Da allora il titulus Sancti Sixti compare regolarmente nei documenti; è ricordato nel 600 in una lettera di Gregorio Magno e il suo presbitero Giovanni firma il protocollo del sinodo del 721.
    Adriano I (772-795) rinnovò la chiesa che ebbe donazioni al tempo di Leone III (795-816) e Gregorio N (827-844) e accanto ad essa sotto Leone IV (847-855) è ricordato il monasterium Corsarum.

    Ma per trovare un rifacimento della chiesa documentato da resti sicuri occorre scendere ai tempi di Innocenzo III (1198-1216); la fabbrica paleocristiana, parzialmente interrata, fu ricostruita a livello più alto (oltre 2 metri) ad unica navata e in proporzioni più piccole; solo si conservò l'abside e si eresse ex novo il campanile" (28).

    Claudio Sterpi descrive cosi la basilica paleocristiana, in base alle rilevazioni del Geertman:
    "Nell'abside si aprivano tre finestroni, due dei quali ritrovati murati, forse per ragioni di staticità. Misuravano m. 2,70x4,95.
    La basilica aveva un quadriportico, il cui ingresso era sulla Via Mamertina (all'incirca dove ora passa Via Druso), strada nella quale si trovava il "Balneum Mamertinum" cioè i bagni costruiti da Marcus Petronius Mamertinus, Prefetto Pretorio dal 139 al 143.
    La primitiva facciata venne ricoperta da un muro durante i lavori eseguiti nel sec. XIII e a questo muro, cinque secoli dopo, venne appoggiata l'attuale facciata costruita tra il 1725 e il 1728.
    Undici arcate in laterizio, con mattoni di circa cm. 60 (bipedali) di lunghezza e di cm. 4 di spessore per la volta e di mattoni più corti messi a spina per i pilastri, sostenuti da dodici colonne alte m. 3,60 con capitelli a due ordini, molto belli (cinque dei quali ancora in situ), davano slancio a un piano sul quale si aprivano dodici finestre di m. 1,80x3,00. L'intercolumnio di m. 2,50, era nella proporzione classica delle costruzioni dell'epoca.

    Delle colonne originarie sei sono rimaste al loro posto, mentre quattro sono state riutilizzate nell'ingrandimento della vicina Aula Capitolare, unitamente ad altre due più piccole. Tutte le colonne ritrovate sono di granito grigio tranne una di marmo bianco.

    Il soffitto era a capriate e il pavimento in "opus sectile marmoreum", cioè a tasselli di marmi policromi. La lunghezza della basilica superava i 47 metri, mentre la larghezza totale delle tre navate era di metri 25,50, con il quadriportico la misura totale raggiungeva i metri 71,50. Poco elevata doveva essere invece l'altezza, calcolata sui m. 13,25. Da alcuni frammenti ritrovati, sembra che l'intonaco fosse decorato con dipinti e mosaici.
    Le prime notizie sicure su San Sisto risalgono soltanto alla fine del sec. VI per merito di San Gregorio Magno che ricorda nei suoi dialoghi la nomina di un prete di nome Basso e un altro di nome Bonifacio, al titolo della basilica. Inoltre al terzo Concilio, tenuto dallo stesso San Gregorio nel 601, si cita il presbitero Felice, quale titolare di San Sisto.

    In quella basilica veniva svolto lo scrutinio (o esame) dei catecumeni, prima di ammetterli al Battesimo del Sabato Santo che veniva impartito nel non lontano Battistero Lateranense.
    L'importanza della basilica di San Sisto nei primi secoli é confermata dal fatto che già all'epoca di San Gregorio Magno (590-604) era Stazione Quaresimale. Ancora oggi conserva questo privilegio e il rito viene celebrato il terzo mercoledì dopo le Ceneri.
    La chiesa, come ricorda il "Liber Pontificalis", fu restaurata al tempo di Adriano I (772-795), mentre fu colmata di doni dal successore Papa Leone III (795-816). In quegli anni in San Sisto erano conservate moltissime reliquie di santi martiri, in seguito trasferite in diverse chiese romane.
    Sotto Innocenzo III (1198-1216) la chiesa subì le più importanti trasformazioni.
    La storia della chiesa é infatti da quel tempo intimamente legata alla storia del monastero attiguo" (29).





    Fraternamente Caterina
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    II LA CHIESA DI INNOCENZO III
    1. IL PROGETTO DEL PAPA SU SAN SISTO


    Come scrive il P. Koudelka: "Innocenzo III aveva inserito nel programma del suo pontificato la riforma monastica. Magnanimo com'era, il suo progetto di riforma era grandioso e poteva dirsi veramente ispirato dalla sua generosità. Nel 1207 egli decise di costruire presso la basilica di San Sisto un grande monastero destinato a ricevere 60 monache, la quasi totalità delle monache romane di allora.

    Per quanto riguarda i monasteri femminili, Roma, al tempo di Innocenzo III, si presentava in maniera molto diversa dai tempi moderni.

    Oggi il viaggiatore scorge quasi in ogni strada romana una casa religiosa femminile. In quel tempo non vi erano che sette monasteri con circa 80 religiose in tutto. Nella maggior parte di questi monasteri vivevano solo da quattro a sette monache, esenti dalla clausura e senza disciplina. Perciò molte sorelle vagavano nella città, spesso senza dimora fissa. I monasteri andavano in rovina non soltanto per l'incuria delle monache, ma più spesso per la cattiva amministrazione, affidata per lo più ai loro parenti.

    Per esplicita volontà di Innocenzo III, le monache dovevano cominciare a vivere in severa clausura, fatto quasi nuovo in quei tempi, non essendo la stretta clausura ancora in uso, se si eccettuano i tentativi di introdurla fatti dai Cistercensi". Domenico stesso l'aveva introdotta a Prouille e Santa Chiara l'aveva scelta per il suo monastero di Assisi (30).

    Per i lavori di costruzione del monastero di riforma il Papa destinò una forte somma in oro e denaro prelevato dall'erario della Santa Sede. Non ci fa meraviglia, perciò, che i cronisti contemporanei ritengano la fondazione e la costruzione del monastero di San Sisto un'opera "gloriosa", seconda impresa edilizia a Roma del grande Papa, dopo quella della costruzione dell'Ospedale di Santo Spirito.
    Gli architetti del Papa, messisi all'opera, incontrarono certamente non poche difficoltà nel realizzarla.

    San Sisto si trovava allora lontano dal centro abitato, sull'antica Via Appia, di fronte alle Terme di Caracalla in rovina, in una zona deserta, ma dove non mancavano le chiese: Santa Lucia in Settesoli, Santa Maria in Tempulo, Santi Nereo e Achilleo, San Cesareo, San Giovanni a Porta Latina, Sant'Angelo. Sfortunatamente, la zona, essendo stata in epoca molto remota una profonda valle che si estendeva dal Tevere fra il Palatino e il Celio da una parte e i due colli dell'Aventino dall'altra, non aveva perduto completamente nel Duecento il suo carattere di valle. Era, é vero, meno profonda, ma sempre umida e paludosa. Proprio sotto il monte Celio scaturivano ancora le fonti delle Camene, nell'antichità ritenute sacre, mentre il rivo della marrana, proveniente dai colli romani e fatto deviare dal Papa Callisto II nella città nel 1122 (oggi sotterraneo), costeggiava la proprietà di San Sisto. I due mulini dietro la chiesa, ancora visibili e menzionati nel libro dei Miracoli di San Domenico dettato da Suor Cecilia Cesarini, una delle prime monache di San Sisto, rompevano il silenzio della zona e aumentavano la carica di umidità.

    La basilica di San Sisto era già in pessimo stato di conservazione. Il piano stradale, più alto dell'antica chiesa, facilitava le inondazioni e l'umidità. Perciò, gli architetti pontifici si erano mesi all'opera demolendo le navate laterali e costruendo su quella centrale, a livello del nuovo piano stradale, una nuova chiesa di proporzioni più modeste, ma a loro avviso più adatta … ad accogliere una comunità religiosa. Dopo parziali scavi recenti, sono venute alla luce anche le antiche colonne della chiesa, sulle quali si osserva il dislivello del suolo tra il sec. V e il sec. XIII.

    Le fondamenta della navata destra sono servite da fondamenta per un lato del chiostro, opera insigne in marmo di quell'epoca, come si può vedere ancora oggi all'ingresso e alle finestre dell'aula capitolare. Dopo la morte del Papa Innocenzo III, nel 1216, la costruzione non ancora terminata, fu molto probabilmente sospesa per mancanza di mezzi o forse per la mancanza di un uomo adatto che fosse capace di dare anima all'impresa e continuare l'opera nel senso voluto da Innocenzo III. Questo uomo Onorio III lo scoprì in Domenico, a cui poté dare l'incarico, nel 1218 non ancora ufficiale, di occuparsi della riforma delle monache romane.

    La chiesa e l'edificio del nuovo monastero di San Sisto appartenevano all'Ordine dei canonici regolari di Sempringham in Inghilterra, ai quali il loro fondatore San Gilberto aveva assegnato come fine particolare l'assistenza spirituale delle monache. Innocenzo III canonizzando Gilberto nel 1202 venne a conoscenza di questo fatto e ritenne opportuno affidare più tardi allo stesso Ordine il monastero che doveva essere nella Città eterna un centro di riforma monastica" (31).

    A sua volta il Pietrangeli scrive: "Onorio III nel 1219 tolse la chiesa ai Monaci di Sempringham presso Norwich e la affidò a San Domenico ed all'Ordine da lui fondato, ma la permanenza dei Domenicani in un luogo così appartato durò poco: nel 1220-21 essi si trasferirono a Santa Sabina e furono sostituiti dalle Suore Domenicane, primo ordine monastico di clausura. Nel 1222 è costruito un monastero: la data era documentata da un'iscrizione sulla porta, che oggi è perduta.

    Il “Catalogo di Torino delle chiese di Roma” (1320 circa) rende noto che nel monastero erano settanta monache e sedici Predicatori. Particolarmente venerata era una icona mariana del VII sec. già nel vicino Monasterium "Tempuli”; rimase a San Sisto per 356 anni; oggi è m Santa Maria del Rosario a Monte Mario col titolo di Nostra Signora del Rosario" (32).

    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  6. #6
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    3. LA RIFORMA DI SANTA MARIA IN TEMPULO

    Per ordine del Papa, Domenico dunque, si accinse alla riforma del monastero e anzi alla riunione delle monache superstiti, con altre, nel nuovo edificio fatto costruire presso San Sisto.

    Le monache di Santa Maria in Tempulo non volevano staccarsi dalla loro devota e miracolosa immagine, veramente veneranda e venerata. D'altro canto Domenico poteva rassicurarle delle sue migliori intenzioni. Egli stesso dette poi nell'estate un resoconto della situazione al Papa. Onorio III, allora, spedi il 3 agosto 1218 ai canonici di Sempringham una specie di ultimatum, nel quale li esortava ad inviare prima di Natale quattro canonici a Roma per occuparsi del monastero di San Sisto e della riforma delle monache romane; altrimenti l'incarico sarebbe stato dato ad un altro Ordine.

    Subito dopo, Domenico parti per la Spagna e passò da Parigi per visitare i suoi religiosi, colà inviati da un anno, allo scopo di incoraggiarli ed aiutarli a risolvere i vari problemi, spesso molto difficili, che man mano andavano sorgendo. Di ritorno, si fermò a Bologna, da dove nell'autunno del 1219 parti per Viterbo, dove si trovava allora la curia papale, perché Onorio III era fuggito da Roma a causa delle `molestie procurategli dai romani'.

    Venendo a sapere del prossimo arrivo di due canonici di Sempringham e della loro intenzione di rinunciare a San Sisto, il Santo si recò subito a Roma, portando con sé un delicato ricordo dalla Spagna alle monache di Santa Maria in Tempulo, cioè alcuni cucchiai di legno di cipresso. Siccome la badessa e le suore non erano ferme nel proposito di accettare la riforma sotto la nota condizione, chiese a loro di nominare un procuratore ufficiale per le trattative presso la curia pontificia. Il che fu fatto, e le monache davanti a tale procuratore e a Domenico, fecero ufficialmente la promessa comprendente anche il trasferimento dei beni.

    All'inizio del dicembre, avendo i canonici di Sempringham, rinunciato alla chiesa e al monastero di San Sisto, di cui del resto non avevano mai avuto cura, il Papa affidò l'una e l'altro con il noto incarico, a Domenico, scrivendo in pari tempo ai frati e alle monache di Prouille, di Fanjeaux e di Limoux per annunciare la donazione fatta al loro fondatore e per comandare ad alcune di loro di tenersi pronte ad un eventuale trasferimento a Roma. Nello stesso tempo nominò una com¬missione cardinalizia che appoggiasse e sorvegliasse Domenico nella esecu¬zione di si importante progetto.

    Il primo commissario era il famoso card. Ugolino, che diventerà poi Papa Gregorio IX; il secondo, Stefano di Fossanova, che sotto Innocenzo III era il camerlengo pontificio (ossia ministro delle finanze), e perciò era anche il miglior conoscitore delle idee di questo Papa e dell'opera che gli stava tanto a cuore; il terzo era il card. Nicolò, vescovo di Frascati. Tornato da Viterbo, Domenico stabili una piccola comunità di frati presso San Sisto, nella casa adiacente al presbiterio della chiesa, di fronte a quella dei Santi Nereo e Achilleo: casa, purtroppo, per metà distrutta all'inizio di questo secolo, nella sistemazione della Passeggiata Archeologica.

    I frati dovevano aiutare Domenico, sorvegliare e sollecitare i lavori per portare presto a termine la costruzione del monastero. Egli stesso, intanto, visitava i cinque monasteri romani di Sant'Andrea di Biberatica, di San Ciriaco, di Santa Maria in Campo Marzio, di Santa Bibiana e di Santa Maria in Massima, con l'intento di conquistare alla riforma le monache che vi appartenevano. Il monastero di Sant'Agnese Fuori le Mura non era invece compreso nel progetto di riforma, trovandosi in migliori condizioni econo¬miche e con monache abbastanza numerose.

    Il successo di Domenico presso i monasteri visitati non fu molto buono: soltanto tre o quattro monache di Santa Bibiana e qualcuna degli altri monasteri si lasciarono convincere a cambiare vita e a seguirlo a San Sisto;
    altre rifiutarono ostinatamente, portando come pretesto la gloriosa e nobile storia dei loro monasteri e le venerande tradizioni trasmesse loro da tante antiche consorelle di santa vita, nascondendo con questi nobili riferimenti al passato la ragione principale del rifiuto, cioè la loro pigrizia e resistenza alla riforma.
    Nell'aprile del 1220, Domenico parti per Bologna, dove aveva convocato per il 17 maggio il primo capitolo generale del suo Ordine.

    *****************

    (continua.....il tempo di scannerizzare altre parti e rendere agevole e piacevole la lettura ...)
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  7. #7
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    E per chi fosse interessato ad un Libro più approfondito, suggerisco il seguente:

    di Padre Raimondo Spiazzi O.P. La chiesa e il monastero di San Sisto all'Appia: raccolta di studi storici (Bologna: Edizioni Studio Domenicano, 1992).

    Cliccando qui troverete un ampia descrizione (purtroppo in inglese, ma il libro è in italiano)

    http://monasticmatrix.usc.edu/monast...condarySources

    In serata spero di poter aggiungere dell'altro che sto finendo di preparare......

    per ora Fraternamente Caterina LD
    Fraternamente Caterina
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  8. #8
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    L'INGRESSO NEL NUOVO MONASTERO DI SAN SISTO

    Domenico tornò a Roma solo verso la fine del 1220 per il suo ultimo soggiorno, dopo il lavoro spossante di una missione predicata a fianco del cardinale Ugolino nell'Italia settentrionale. Visitando subito le monache di Santa Maria in Tempulo dovette constatare con rammarico un grande cambiamento nei loro sentimenti, col proposito di non mantenere l'impegno assunto.

    Durante la sua assenza, i parenti delle monache avevano rimproverato la badessa e le sue consorelle che, fidandosi di quello sconosciuto ribaldo, permettevano la rovina del loro antico e nobile monastero. Con questo pretesto essi occultavano in realtà il loro scarso interesse per l'economia del monastero. La badessa Eugenia, messa in difficoltà, diede in affitto un terreno per poter restaurare un po' il monastero e assicurare i necessari vestiti alle consorelle onde togliere cosi una delle ragioni che avevano indotto alla riforma.

    Domenico, venuto a conoscenza di queste cose, rimproverò energicamente le monache, essendo in gioco, per futili motivi, la salute delle anime. Dopo la severa predica, le monache dovettero rinnovargli la promessa e furono rinchiuse nel vecchio monastero. Domenico portò via le chiavi e inviò alcuni fratelli conversi che sorvegliassero il monastero notte e giorno e tenessero lontano dalla porta i parenti delle monache e gli altri secolari. Erano queste, anche per il monastero di San Sisto, le basi di una futura, severa clausura.

    (piccolo inciso: non vi spaventi leggere di questa severità, erano tempi difficili come sempre ci sono stati nella Chiesa la quale doveva provvedere che nulla potesse mettere in gioco la validità di quelle vocazioni. Erano anni in cui la dissolutezza e la leggerezza di nuovi modi di pensare e agire -come in fondo assistiamo anche alla nostra epoca - mettevano a dura prova non soltanto la pazienza dei Santi, ma si rischiava la rovina di tante altre anime coinvolte loro malgrado dalla spirale delle nuove mode. Non dimentichiamo che la stessa severa Riforma venne applicata dalla stessa santa Chiara di Assisi, anche Lei non senza problemi, ma animati, questi santi, dalla fiducia in Dio, con pazienza e carità vinsero la battaglia della nuova Riforma gettando semi per un futuro sempre più ricco di vocazioni e santità.....)


    Intanto i lavori della costruzione giungevano a termine. Domenico stabili, perciò, per il 25 febbraio 1221, mercoledì delle Ceneri (pratica già in uso), la solenne traslazione al nuovo monastero delle monache di Santa Maria in Tempulo, di Santa Bibiana e di altri monasteri, come pure di alcune donne secolari, tra le quali troviamo una parente di Innocenzo III. Le monache dovevano emettere ufficialmente la loro professione nelle mani di Domenico, il quale doveva sancire l'introduzione della clausura a San Sisto.

    Al canto dell'antifona Immutemur habitu, le monache romane dovevano cambiare l'abito religioso, che sarebbe stato unico per tutte. La data stabilita per tale cerimonia era anche molto comoda per la commissione cardinalizia. I tre cardinali, infatti, tenuti a partecipare alla cavalcata del Papa dal Laterano alla basilica di Santa Anastasia per la imposizione delle Ceneri e poi alla Messa solenne di Santa Sabina, potevano agevolmente recarsi con il loro seguito a San Sisto, di mattina presto, senza troppo deviare il loro percorso e soprattutto senza destare curiosità tra il popolo. L'avvenimento se fosse stato troppo vistoso avrebbe potuto causare una sommossa non solo tra i parenti delle monache, ma anche tra i devoti dell'icona della Vergine Maria. Con la scorta dei tre cardinali commissari, questa eventualità era meno probabile.

    Un altro fortuito caso, però, venne a turbare involontariamente lo svolgersi dell'avvenimento. Nella scorta del cardinale Stefano si trovava un suo giovane nipote di nome Napoleone. Questi cadde da cavallo proprio davanti al monastero di San Sisto così infelicemente che venne dato con sicurezza per morto. Domenico, lo restituì sano e salvo allo zio, ma la grande confusione e l'agitazione che il fatto causò fecero perdere tanto tempo che la cerimonia non potè più avere luogo. I cardinali, con il loro seguito, dovettero recarsi al Laterano e Domenico fu costretto a rimandare le monache nei loro rispettivi monasteri. Tre giorni dopo, il 28 febbraio, prima domenica di Quaresima, il Santo potè compiere il solenne atto e ricevere la professione delle monache. Tutto avvenne di notte, per timore dei romani, i quali erano contrari alla rimozione.

    Domenico trasferi, con l'assistenza di due cardinali, la miracolosa icona dalla chiesetta di Santa Maria in Tempulo a quella di San Sisto. L'immagine non tornò più alla sua antica chiesetta, confermando cosi la volontà di Dio circa il destino delle monache e togliendo loro il pretesto di far ritorno ai loro monasteri e ai loro passati costumi. A quell'immagine venne dato il nome di Madonna di San Sisto.

    L'icona - questo prezioso ricordo del Fondatore dell'Ordine dei Predicatori, che egli portò con le sue mani a San Sisto e davanti alla quale egli pregó assieme alle sue figlie - resta anche oggi in mezzo alle monache da lui fondate, non a San Sisto però. Infatti, quando nel sec. XVI, resasi quasi inabitabile per la malaria la zona di San Sisto, le monache con l'aiuto di San Pio V costruirono il nuovo grandioso monastero dei Santi Domenico e Sisto sulle pendici del Quirinale, e vi si trasferirono, anche l'immagine della Vergine vi fu trasferita con loro nel 1575. Quando poi nel 1931, per poter dare una più degna sede all'Ateneo domenicano dell'Angelicum (attuale Pontificia Università San Tommaso), le monache dovettero lasciare anche questa loro seconda dimora ed essere trasferite a Monte Mario, sulla Via Trionfale dove ancora oggi risiedono. l'immagine le seguì nuovamente. Ora essa troneggia nel coro dell'attuale monastero, dedicato alla "Madonna del Rosario”.

    Fraternamente Caterina
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  9. #9
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    L'ESITO DELLA RIFORMA

    Dopo la fondazione di San Sisto, Domenico aveva altri gravi problemi da risolvere: in primo luogo, la poco fiorente situazione economica del monastero. I debiti di Santa Maria in Tempulo erano passati con le monache al nuovo monastero di San Sisto.

    Il card. Stefano, in riconoscenza della prodigiosa guarigione di suo nipote, porse la sua mano generosa. I debiti furono saldati, il principale creditore del monastero, Cencio di Gregorio Rampazoli, rimase anche in futuro persona di fiducia della nuova comunità monastica. Quando poi, prima di Pasqua, arrivò a Roma il vescovo Folco con alcuni amici tolosani e portarono con loro otto monache di Prouille, destinate a inquadrare e formare la nuova comunità cosi poco omogenea, Domenico poteva vedere la sua opera compiuta.

    A prima vista l'azione riformatrice di Domenico tra le monache romane potrebbe apparire come un fallimento.

    Di sette monasteri, il Santo riusci a riformarne soltanto uno, Santa Maria in Tempulo; degli altri sei solo poche monache lo seguirono. Se pensiamo però al breve tempo che Domenico potè consacrare ad una impresa cosi difficile, essa può considerarsi come un vero successo.

    Quello che soprattutto conta é che egli riusci a fondare allora un monastero modello. Gli altri monasteri romani, infatti, non poterono rimanere indifferenti alla vita edificante delle monache di San Sisto. Dopo undici anni dalla fondazione di San Sisto si fece perciò a Roma un nuovo tentativo di riforma delle monache, che porta tutti i caratteri di quella precedente. Presto la predicazione degli Ordini mendicanti suscitò tra le donne un entusiasmo straordinario per la vita spirituale in forma religiosa, così che dovettero aprirsi nuovi monasteri per l'aumento notevole di vocazioni in quelli antichi. Le giovani reclute, imbevute dal nuovo spirito monastico, portarono in essi quasi automaticamente la riforma.
    In testa a questo movimento stava a Roma il monastero di San Sisto, che divenne fin dall'inizio il più fiorente, raggiungendo, dopo appena 40 anni della sua esistenza, il numero massimo di 60 monache, numero previsto da Innocenzo III. '
    Intorno al 1300, dopo gli ingrandimenti dei dormitori e dell'aula capitolare, il monastero poteva ricevere 80 monache. Nel 1320 c., erano 70. Ma ciò che inserisce Domenico tra i principali promotori della vita religiosa è la Regola data da lui al monastero di San Sisto. Essa, con le Costituzioni dei Frati Predicatori, è l'opera del suo genio costruttivo ed equilibrato. La diffusione e accettazione di quelle norme da parte di monasteri, anche non legati all'Ordine domenicano, fa di Domenico uno dei principali legislatori della vita religiosa (33).


    S.Domenico converte a Prouille alcune donne catare, ed inizia la formazione delle prime Claustrali (Tarsia di Fra Damiano da Bergamo -1480-1538- sagrestia della Basilica di san Domenico a Bologna.
    Fraternamente Caterina
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  10. #10
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    6. IL CAPITOLO

    L'aula capitolare è situata al livello dell'antica costruzione e quindi più in basso del porticato attuale.



    Già dall'esterno s'intuisce la particolarità del luogo. Due lapidi poste ai lati dell'ingresso ricordano i miracoli compiuti dal Santo Fondatore in San Sisto.
    Molto belle sono le finestre a bifora, con due eleganti colonnine binate sormontate da capitelli detti benedettini o a foglia d'acqua (circa 1215). Quest'aula che ha vissuto tanti episodi della vita di S. Domenico, è nel cuore di tutti i Domenicani ed è frequentemente mèta di visitatori.

    All'interno notiamo subito la costruzione di due diverse epoche effet¬tuata in due diversi stili. La parte originale (che fino a pochi anni fa era rial¬zata) risulta del 1215 circa ed è un ingrandimento in stile gotico dovuto alla munificenza del cardinale domenicano Giovanni Boccamazzi (1285-1309), per il quale furono impiegate le colonne della basilica del V secolo.

    Gli affreschi delle lunette tra le colonne raffigurano a partire da sinistra:
    a ) S. Pietro e S. Paolo che consegnano il bastone e le loro lettere a S. Domenico;
    B ) l'incontro tra S. Domenico e S. Francesco in S. Giovanni in Laterano;
    c ) il Santo Fondatore riceve dalle mani della Vergine il Santo Rosario. Tra i pilastri sopra i capitelli sono raffigurate seguendo lo stesso ordine:
    a ) S. Agnese da Montepulciano e S. Caterina da Siena;
    B ) S. Rosa da Lima e S. Caterina de' Ricci.

    Le grandi pitture murali ricordano i miracoli compiuti dal Santo durante il soggiorno in San Sisto. Il primo a partire dalla parete di sinistra raffigura la resurrezione del bambino, già descritta in una delle lunette del chiostro.
    Il secondo, sempre da sinistra, mostra la scena svoltasi nella medesima aula capitolare, allorché S. Domenico resuscita il giovane Napoleone, nipote del card. Stefano (Orsini?) di Fossanova.

    Dall'altro lato è affrescato l'interno del chiostro di San Sisto in costru¬zione e il Santo che resuscita l'architetto morto in seguito alla caduta dal¬l'impalcatura.
    L'ultimo affresco, non completato, ricorda il miracolo avvenuto nel refettorio dello stesso convento, quando due angeli apparvero ai frati riuniti e dispensarono loro il pane.

    Il Capitolo durante i restauri


    Il Capitolo dopo i restauri


    Il Capitolo come è oggi


    Entrando nel Capitolo alla propria sinistra è posta la Tomba della Venerabile Madre Antonia Lalìa, Fondatrice delle Suore Domenicane Missionarie di San Sinto che nel lontano 1893 ridiede vita e splendore a tutto il complesso sistino, fondando la nuova Congregazione, in un periodo di grave decadenza di tutta la struttura per la quale sono occorsi molti anni per vederla nell'attuale splendore come dimostrano le immagini che avete appena visto......
    E di Lei parleremo nell'ultima parte!




    Alla vostra destra entrando nel Capitolo, c'è sistemata la tomba della Madre Cecilia Fichera, seconda nella successione del governo della nuova Congregazione.
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

 

 
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