mi è arrivata, mi è piaciuta, la trovo molto condivisibile ed assolutamente in linea con i miei ideali, quelli per cui ero entrato in Lega.
La giro qui.
Se i moderatori non sono d'accordo e tagliano non me la prenderò :-)))
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Lettera aperta ai pubblici amministratori
Marx affermava «C'è un modo per scoprire se un uomo politico è onesto: chiedeteglielo! Se risponde di sì, è marcio!». (1)
L’attuale Costituzione sancisce che l’Italia è una repubblica democratica. E a tutta prima il lettore è indotto a credere che si tratti di due sinonimi: repubblica e democrazia.
In realtà dovremmo tutti riflettere, perché con il termine repubblica s’intende “res publica” ovvero un complesso di cose che non appartengono al singolo cittadino, giacché patrimonio di tutti. Dunque non soggetto all’arbitrio di chi, democraticamente, ottiene l’esercizio del potere.
Mentre “democrazia”, che come il primo è un termine di derivazione greca (demos, "popolo", e kratein, "potere", o krazia ”regola”) indica un sistema politico basato sulla sovranità dei cittadini, ai quali è riconosciuto il diritto di scegliere la forma di governo e di eleggere direttamente o indirettamente i membri del supremo corpo legislativo dello stato, così come i funzionari addetti all'amministrazione locale, ed in alcuni casi, anche il capo dello stato. In democrazia la maggior parte delle attività dei poteri esecutivo e legislativo è decisa direttamente dai cittadini con voto a maggioranza, mentre i rappresentanti che si occupano degli enti su cui non è possibile esercitare un controllo diretto sono revocabili in qualsiasi momento.
È, dunque, piuttosto azzardato affermare che possa esistere una “repubblica democratica rappresentativa” come fanno alcuni politici autoctoni.
Sembrano banalità, tuttavia a molti sfugge che ciò che è “res publica” non è soggetto al voto, il quale invece è riservato a tutto quanto si considera utile affidare al voto “democratico”.
Banalizzando potremmo sostenere che una pubblica via o piazza, è “res publica” e come tale la sua manutenzione ricade sulla totalità dei cittadini-contribuenti, cui – ovviamente – è destinato l’uso. Mentre, manifestamente, a chi demandare la pubblica amministrazione di quella stessa via o piazza (ad esempio, attraverso un Comune o una Provincia), è cosa che si determina attraverso l’esercizio “democratico” del voto.
Sempre volgarizzando non si capisce attraverso quale esercizio democratico alcuni pubblici amministratori deliberano, ad esempio, di delimitare porzioni di quella pubblica via o piazza di cui sopra, per destinarla ad uso di una porzione di cittadini che, nelle vesti di automobilisti, vanno a pagare la sosta del loro autoveicolo in aree delimitate con colore azzurro o giallo. A chi sbaglia, naturalmente, è comminata una pena in danaro (sempre più salata), e la messa all’indice dell’opinione pubblica del reo, quale elemento di scarsa attitudine sociale.
Speriamo che alla lunga i cittadini comprendano che i politicanti d’oggi hanno torto, quando partono dal presupposto che il diritto di dominio arbitrario – cioè il diritto di farsi da soli le leggi e di imporne l’obbedienza – sia un “incarico fiduciario” delegato a coloro che attualmente esercitano quel potere. Essi lo chiamano “l’incarico del potere pubblico”.
Questi politicanti sono in errore quando suppongono che un tale potere sia mai stato delegato, o possa mai essere delegato, da un qualche gruppo ad un altro gruppo di uomini.
Una tale delega di potere è naturalmente impossibile, per le seguenti ragioni:
1.Nessuno può delegare o concedere ad altri alcun diritto di dominio arbitrario su se stesso, perché sarebbe come darsi in schiavitù. E questo nessuno lo può fare. Ogni contratto che preveda ciò è necessariamente assurdo e non ha alcuna validità. Chiamare tale contratto “Costituzione” o in qualunque altra maniera altisonante non altera la sua caratteristica di contratto assurdo e nullo.
2.Nessuno può delegare o concedere ad altri alcun diritto di dominio arbitrario su una terza persona, perché ciò comporterebbe il diritto della prima persona non solo a fare del terzo il suo schiavo, ma anche di disporne come uno schiavo a favore di altre persone. Ogni contratto che stabilisca questo è necessariamente criminale, e come tale invalido. Chiamare tale contratto “Costituzione” nulla toglie alla sua criminalità, nulla aggiunge alla sua validità.
Questo fatto, che nessun uomo può delegare o cedere il proprio o altrui diritto naturale alla libertà, dimostra che non si può delegare ad un uomo o a un gruppo di uomini alcun diritto di dominio arbitrario – o, il che è la stessa cosa, nessun potere legislativo – su se stessi o su qualcun altro.
Da secoli è vigente il principio: «Un popolo ha sempre il diritto di rivedere, di riformare e di cambiare la sua Costituzione. Una generazione non può assoggettare alle sue leggi le generazioni future» (art. XXVIII - Costituzione francese del 1.793). Si badi bene: il popolo, non i suoi rappresentanti.
Ancor prima, intorno al 1.200, la civiltà comunale che dalla penisola italica si espanse in buona parte d’Europa, sancì l’arte di gestire una società di uomini liberi sottomessi solo alle leggi che essi stessi si erano dati. Di qui la “sovranità popolare”, perfetto ossimoro in quanto la sovranità attiene al sovrano, e il “populus sibi princeps” (ovvero il popolo è principe di se stesso) furono alla base della più importante rivoluzione della storia post-classica, che produsse non solo il nome di “libertas” ma anche il superamento da parte dell’Europa della civiltà araba.
Si tratta, in sintesi, del governo dal basso contro il governo dall’alto, governo debole (col popolo) contro il governo forte, governo dei molti contro il governo dei pochi (o di uno solo), governo decentrato contro il governo accentrato. Insomma, con la “res publica” è il popolo che protegge la patria, poiché non può essere il territorio (la patria) a proteggere i cittadini.
La litania cui ci sottopongo i nostri politicanti, è rappresentata dallo stato dei conti pubblici. Un abisso che malgrado ogni pressione fiscale è in continua crescita. E la cosa più sorprendente è che ad accrescere il debito pubblico, sono proprio le “allegre” deliberazioni di quasi tutti coloro che sono stati eletti con un voto che appare sempre meno “democratico”.
Alle elezioni politiche del 2006, per esempio, i candidati non sono stati scelti dai cittadini, bensì dalle segreterie di partito. Agli elettori è stato chiesto di fare una croce su un simbolo, esattamente come è stato fatto, in passato, in molti regimi comunisti e fascisti.
Coloro che hanno interesse a sostenere la sovranità del Parlamento, a scapito della sovranità del popolo, affermano a chiare lettere che non si può governare un paese a suon di referendum, né tanto meno con leggi d’iniziativa popolare.
Tutto questo è falso!
Per esempio: l'evasione fiscale in Italia è così diffusa perché la tassazione non è equa e lo Stato non è abbastanza democratico. In Svizzera, dove prelievo fiscale e spesa sono decisi in larga misura a livello comunale o cantonale (i cantoni svizzeri sono grandi più o meno come le nostre province), l'evasore viene denunciato dal suo vicino di casa. E questo succede perché il prelievo è minore e meglio distribuito che in Italia e perché sono chiari, e condivisi, gli scopi per cui vengono usati i soldi.
Sempre in Svizzera, i cittadini (che sono sovrani e poco delegando ai loro rappresentanti politici) si recano a votare i referendum, grosso modo due volte l’anno: a primavera e ad autunno.
E neppure può essere affermato che il metodo referendario è costoso per sua natura, poiché con il suo sistema politico e federale imperniato sulla sovranità popolare, la Svizzera – che è un paese assolutamente privo di risorse naturali – è in assoluto uno dei paesi più prosperi, democratici e liberi del pianeta.
I referendum poi sono fra gli strumenti della democrazia in molti Paesi del mondo, ma in genere con molte limitazioni. In Italia, lo sappiamo, possono essere solo abrogativi o ridicolmente consultivi. Questi ultimi sono privi di qualsiasi legittimità ed efficacia, visto che dopo che la maggioranza dei cittadini ha votato su un determinato argomento, una minoranza di pubblici amministratori, può deliberare in senso contrario. I referendum del bel paese possono disfare leggi ma non farne e soprattutto possono venire aggirati, inoltre molti argomenti sono tabù per le pratiche referendarie, a cominciare da quello per cui i parlamentari nacquero, prima ancora della democrazia moderna, e cioè il controllo delle finanze, delle spese, delle tasse. Si confronti il Comma 2, dell’art. 75 della Costituzione.
In America, meritevole di stima, c’è il modello californiano. Che del resto non è unico considerato che in altri 17 Stati degli USA i cittadini (non i loro rappresentanti) possono cambiare la Costituzione approvando emendamenti per via referendaria e altri 21 (più il Distretto di Colombia) concedono ai loro cittadini il diritto di iniziativa per fare leggi e non soltanto per cancellarle. Ma 15 Stati danno agli elettori ambedue questi poteri: quello legislativo e quello costituente e fra questi la California non è soltanto di gran lunga il più popoloso ma anche il più attivo, i suoi abitanti i più entusiasticamente portati a servirsi di questa loro facoltà.
Se si calcola che la California non è solo il principale Stato dell'Unione ma anche, per popolazione o ricchezza, uno dei più importanti Paesi del mondo, si vede quanto il suo esempio sia importante e quanto, inoltre, passibile di imitazione. In California nascono le mode, politiche e no. E la California, neppure questo va dimenticato, produce le tecnologie d'avanguardia che fra breve potranno cambiare ancora più radicalmente il sistema delle consultazioni popolari, realizzando il "villaggio globale", e sostituendo le attuali cabine e schede elettorali cartacee con un pulsante elettronico.
Sono prospettive che spaventano i legislatori, i politologi, i filosofi politici di ogni parte del mondo, inclusa l'America, ma la California non fa niente per ostacolarle. Le procedure si sono, anzi, semplificate al punto da risultare incoraggianti. Per portare una proposta di legge davanti a questo "Parlamento" basta che i promotori raccolgano le firme del cinque per cento degli aventi diritto al voto. Nel 1998 il numero esatto era 433.969. Per un emendamento alla Costituzione la cifra sale appena un poco: l'8 per cento, ovvero 539.230. Non c'è da stupirsi che attraverso queste maglie larghe passino proposte numerose: in un anno recente si è toccato il record con 29 "iniziative legislative" stampate l'una dopo l'altra su una sola scheda lunga come un lenzuolo: né i legislatori di professione hanno il potere di depennare proposte o impedire alla gente di pronunciarsi in merito.
Non ci sono, ripetiamo, tabù. I californiani possono andare a votare per diminuirsi le tasse: lo fecero con un'iniziativa allora rivoluzionaria, nel 1978, quando tagliarono a metà le imposte sulla proprietà fondiaria, avviando con due anni d'anticipo la "rivoluzione" reaganiana, che doveva drasticamente diminuire il carico fiscale su tutti gli americani e lanciare così il boom economico liberista. Nel 1996 fu approvata, in un altro caso controverso, la proposta di tagliare la spesa pubblica a favore dei residenti stranieri illegali, e nel 1995 per mettere fuori legge il sistema delle "quote" con cui il governo dava preferenze alle "minoranze" che avevano subito discriminazioni, reali o immaginarie.
Non tutte le volte è questa linea a prevalere. Nell'autunno del 1996, per esempio, furono gli elettori, contro il parere della Camera, a decidere di elevare il salario minimo per i lavoratori, a proibire agli automobilisti privi di assicurazione (che negli USA non è obbligatoria) di fare cause per danni in caso di incidenti e per legalizzare, di nuovo contro le direttive di Washington, l'uso medicinale della marijuana.
Sempre con dei referendum, i californiani hanno scelto di reintrodurre la pena di morte, di stabilire l'obbligatorietà dell'ergastolo per chi è alla terza condanna penale, di "requisire" ottanta chilometri di spiaggia del Pacifico per adibirla a uso pubblico, di "proteggere" gli stanziamenti per le scuole e perfino di decidere in che giorno cominciare e finire l'ora legale.
Non tutte le decisioni sono indiscutibilmente sagge, si è detto: ma quello che conta è il metodo. In quel "corpo legislativo a sovranità popolare" si portano avanti, inoltre, cause degne, anche se non vengono fatte leggi al primo tentativo. Il pungolo per le riforme è rapido e in genere efficace. Per esempio, la spinta dei "referendari" ha indotto il Congresso di Washington a modificare una regola abnorme, che consentiva in taluni casi a un magistrato di dichiarare "incostituzionale" una proposta referendaria. D'ora in poi è necessario il parere concorde di tre giudici. Invece di essere "neutralizzato", dunque, il sistema si consolida.
La grande maggioranza dei cittadini della California è convinta che esso sia "buono e giusto". La pensano così anche quelli che, spesso, alle proposte referendarie votano no.
In Italia, al contrario, abbondiamo di politici che guardano alle prossime elezioni, e siamo privi di statisti che guardano alle prossime generazioni.