Parla il politologo Hans Maier, uno dei più noti intellettuali cattolici tedeschi: l’anima del Vecchio continente, il dialogo fra le fedi, il rapporto con l’islam. «Ecco perchè è bene che le istituzioni riconoscano il ruolo delle religioni»

Lo Stato laico? Non vive senza valori

«La libertà è qualcosa di tipicamente europeo e cristiano. I totalitarismi del XX secolo hanno preso piede quando si è rimossa la religione dall'Europa»

Dal Nostro Inviato A Monaco Di Baviera Pierangelo Giovanetti

Ha detto mezzogiorno, e a mezzogiorno in punto è lì ad aspettare, dietro la staccionata di legno che porta alla sua bella casetta nel bosco di Grünwald, quindici chilometri a sud di Monaco. «Grüß Gott, haben Sie eine gute Reise gemacht?». Stretta di mano vigorosa, e subito il professor Hans Maier fa strada in salotto, immerso nei libri, dove ha preparato una copia dei suoi saggi pubblicati in italiano. Quello più noto è Democrazia nella Chiesa. Possibilità e limiti, scritto a quattro mano con l'allora docente di dogmatica all'Università di Ratisbona, Joseph Ratzinger. Era il 1970, e il volumetto riscosse un enorme successo internazionale, con traduzioni in inglese, francese, portoghese, spagnolo. «Eravamo tutti e due giovani, sia io che il professor Ratzinger», esclama. «Ma molti dei temi che toccavamo in quel volumetto sono rimasti di grande attualità anche oggi». Hans Maier è uno dei più interessanti e rinomati intellettuali del cattolicesimo tedesco. La Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco gli ha appena dedicato un simposio dal tema «Cristo e il tempo» sul rapporto fra religione e politica, per festeggiare i suoi 75 anni che ha compiuto lo scorso 18 giugno. Politologo affermato, noto per i suoi studi sul «totalitarismo» e le «religioni politiche», Hans Maier ha insegnato per lunghi anni Scienze Politiche all'Università di Monaco, per poi assumere la prestigiosa «cattedra Guardini» di Weltanschauung cristiana e Teoria della religione e della cultura.
Professor Maier, secondo lei esiste una cultura europea?
«Non c'è un'unica cultura europea che si possa studiare a scuola. Come non c'è una lingua europea, o un unico modo di vivere che si possa definire europeo. Però ci sono dei fondamenti e principi comuni, declinati nelle specificità culturali di ogni popolo. E questi "principi unificanti" sono il diritto romano, che ha portato in Europa allo sviluppo di una efficace cultura giuridica; il credo giudaico-cristiano in un unico Di o, che ha impresso di sé le istituzioni e il pensiero; il modello di formazione educativa, che presuppone un certo concetto di uomo e un certo modo di porsi verso il sapere»
L'eredità greco-romana e cristiana appaiono costitutive dell'Europa e dei suoi fondamenti culturali. Che tipo di islam può avere l'Europa, senza che questo ne comporti uno stravolgimento d'identità?
«Non possiamo dire che l'Europa è solo cristiana, ma l'eredità giudaico-cristiana ne ha inciso nel profondo l'anima culturale e politica. Importarvi lo stesso islam che si è strutturato nei Paesi arabi, significherebbe la cancellazione dell'Europa attuale per ricrearne un'altra, radicalmente diversa. Questo non vuol dire che non possiamo avere un euro-islam, un islam attagliato all'Europa. Ma ciò presuppone da parte dei musulmani il rispetto della libertà religiosa, del pluralismo di pensiero e della distinzione fra religione e politica. Richiede che i mullah accettino di vivere la propria fede, a fianco delle sinagoghe ebraiche e delle cattedrali cristiane. È un processo di trasformazione e maturazione a cui dobbiamo richiamare i musulmani, se vogliono essere parte di questa nostra Europa».
L'Europa ha partorito i peggiori totalitarismi della storia. Ritiene che si possa egualmente considerare il concetto di libertà come parte costitutiva dell'identità europea?
«Certo, la libertà è qualcosa di tipicamente europeo, e direi anche di tipicamente cristiano. Il contributo dato dal cristianesimo allo sviluppo della libertà, come pure della democrazia, è fortissimo. Del resto, i totalitarismi del ventesimo secolo, il comunismo e il fascismo specie nella sua espressione nazionalsocialista, sono il surrogato che ha preso piede quando si è cercato di rimuovere la religione dall'Europa. Sono "religioni politiche", modellate come religioni sul vuoto creato dalla cancellazione della religione. Direi quindi che il cristianesimo è una sorta di vaccino contro i tentativi di sopprimere la libertà. E i cristiani in questo hanno un ruolo fondamentale nel cementare la libertà anche nello Stato moderno».
Che rapporto c'è fra cristianesimo e democrazia?
«C'è un legame molto stretto, e comincia nel computo cristiano del tempo, che non è un puro fatto di calendario ma esprime una concezione del mondo e dell'esistere. Il nascere di una cronologia cristiana riflette una trasformazione dell'atteggiamento dei cristiani rispetto a "questo mondo": nella misura in cui interagiva con il mondo, il cristiano si identificò sempre più con il proprio tempo. La conta del tempo nel convento medievale diventa responsabilità personale e collettiva. E questo influenzerà poi la struttura organizzativa, amministrativa, civica, la vita sociale e politica delle comunità. È qui che affonda le sue radici la democrazia moderna, che non a caso sono radici cristiane. Per questo dico che lo Stato moderno ha bisogno dei cristiani».
Cosa sono chiamati a fare i cristiani nello Stato moderno?
«Costituiscono un elemento fondamentale sia di critica che di legittimazione della democrazia. La partecipazione politica e sociale diventa quindi una responsabilità che grava sui cristiani, specie in tempi come i nostri dove tutti si sottraggono all'impegno diretto in prima persona. Per svolgere tale loro compito, i cristiani sono chiamati a unirsi, a cercare legami con gli altri. Non va mai dimenticato che uno dei fattori che hanno portato all'affermazione del nazismo in Germania è stata la divisione fra cattolici e protestanti, che non hanno saputo fare fronte comune».
Il giurista tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde sostiene che «lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire». Può lo Stato riprodurre da sé quell'ethos su cui esso stesso si sostiene?
«Lo Stato può garantire le condizioni in cui quell'ethos liberale che lo sostiene possa riprodursi, ma non può esso stesso riprodurlo per via politico-amministrativa. Era la pretesa de i moderni totalitarismi quella di decretare da se stessi i valori. Anche lo Stato "laico" ha bisogno dei valori che esprimono i cittadini. Vive degli impulsi e delle forze vincolanti che la stessa fede religiosa trasmette ai suoi cittadini. Ecco perché è bene per lo Stato riconoscere il ruolo della religione. E in Europa questo significa avere coscienza dell'importanza esercitata dalla tradizione giudaico-cristiana».
Ciò chiama ad un maggior ruolo pubblico delle chiese. Come si coniuga con la laicità dello Stato?
«Vanno distinti i soggetti. Gli attori della politica, dell'economia, del sociale sono i cristiani laici. A loro spetta dare corpo nella sfera pubblica a ciò che vivono all'interno della Chiesa. I sacerdoti non si occupano di politica, ma di annunciare il Vangelo e celebrare i sacramenti. Del resto il Vaticano II è stato chiaro per chi avesse nutrito dei dubbi: «prelati politici» non sono ammessi, e grazie a Dio, ciò ha mandato in soffitta i conflitti fra Stato e Chiesa».
Ma nella Chiesa c'è democrazia?
«La Chiesa non è una democrazia, ma una comunione. Non ci sono alcuni sopra ed altri sotto, ma fra tutti i credenti esiste un rapporto orizzontale. Pur non essendo democrazia dove le decisioni sono prese a maggioranza dei membri, nella Chiesa ci sono comunque elementi democratici. Fin dalle prime comunità cristiane, si è sviluppata un'opinione pubblica all'interno della Chiesa, un'articolazione di pensiero. Ma elementi di democrazia li abbiamo anche nella stessa elezione del Papa, e pure in quella dei vescovi».
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