Risultati da 1 a 5 di 5
  1. #1
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    Angry Catania, Siracusa, Agrigento, Trapani, Palermo, Messina... ma dov'è Ragusa?

    Non mi sono mai scagliato contro i movimenti autonomisti o addirittura indipendentisti, li rispetto tutti e in primis rispetto voi che, in quanto siciliani, siete miei fratelli e vicini di casa. Ma dalle vostre discussioni mi appare chiaro che i progetti ecologici, politici e strutturali affrontati siano concentrati esclusivamente sulle provincie più propriamente dette siciliane quali sono Catania, Palermo e Messina, dove cioè il dialetto aderisce maggiormente al siciliano ordinario cui è stato dato valore effettivo di lingua e la cadenza è inconfondibilmente siculo.
    Un gioco non differente dal Governo italiano che ha sempre abbandonato l'aristocratica provincia di Ragusa, l'antica contea di Modica, il cui idioma dista parecchio dal siciliano ordinario, causando spesso delle incomprensioni ed equivoci tra iblei e siciliani. L'Altipiano Ibleo, che sta alla Sicilia come la Catalogna alla Spagna, è stato sempre vittima del pregiudizio dei siciliani (ricordo ad exemplum il nomignolo provincia 'mpampa), nonostante fosse indubbiamente la più ricca dell'isola, caratterizzata dalla presenza di vasti giacimenti petroliferi, provincia più sicura del Mezzogiorno, priva di mafia (da cui è nata la leggenda secondo la quale i capimafia risiedessero proprio nell'antica contea), priva della povertà che si tocca addentrandosi nel catanese o nell'agrigentino.
    Linguisticamente differenti, come ho detto prima (sarò ben lieto di apportare esempi se richiesti), geograficamente separati (l'Altipiano ibleo appartiene di fatto all'avampaese ibleo appunto, detto anche zoccolo maltese), una vera isola nell'isola, un regnum in regno, come recita l'investitura per il possesso della contea, socialmente scissi proprio per la ricchezza che possiede, la stessa emigrazione non toccò mai i livelli stratosferici delle provincie orientali... eppure eguagliata costantemente al resto dell'isola, e con quest'ultima affondata dai pregiudizi. Io rivendico la mia identità iblea, negando la mia appartenenza ad una Sicilia di cui siamo stati l'ultima delle città, sempre schiava e sfruttata per racimolare i voti che sempre portarono e sempre porteranno al parlamento regionale solo agrigentini, catanesi, palermitani, messinesi o trapanesi.

    Stiamo lavorando per un Movimento per l'Autonomia della Provincia di Ragusa, affinché l'aquila iblea possa nuovamente librarsi in volo e raggiungere le altre sorelle italiane, poiché tutti noi siamo consapevoli di avere maggiori vantaggi economici, culturali e sociali. Chiederemo uno statuto autonomo al pari di Trento e Bolzano... un'utopia forse, ma non meno dell'indipendenza dell'isola: lo Statuto di autonomia dovrà concedere alla Provincia di Ragusa (sul modello del Trentino - Alto Adige) ampia indipendenza dalla Regione e dallo Stato. Le materie più significative di competenza della Provincia di Ragusa dovranno essere la tutela e conservazione del patrimonio storico artistico e popolare, gli usi e costumi locali, l'urbanistica e i piani regolatori, la tutela del paesaggio, gli usi civici, l'ordinamento delle minime proprietà colturali, l'artigianato, l'edilizia abituata agevolata, le fiere e i mercati, la prevenzione di calamità pubbliche, i giacimenti petroliferi, la pesca, l'apicoltura (come poter negare la dolcezza del miele ibleo, cantato da Virgilio e D'Annunzio?) e la protezione della fauna e della flora; i lavori pubblici, i trasporti, il turismo e l'industria alberghiera; l'agricoltura e foreste, gli espropri, il collocamento al lavoro, l'assistenza e beneficienza pubblica le scuole materne l'edilizia scolastica e l'assistenza scolastica, l'addestramento professionale.

    'A Muòrica nun "chiovi", ciovi!

    Decimo Paolini

  2. #2
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    Capisco le motivazioni, non mi oppongo aprioristicamente alla rivendicazione di un'autonomia provinciale. Ma non mi si dica che la Contea di Modica non sia Siciliana: semmai è il centro più genuino ed autentico della Sicilia, spesso dimenticato e non valorizzato. Ma del resto, la Sicilia oppressa cosa potrebbe realmente fare? Analogo discorso ho fatto altrove per le "isole minori": i loro mali derivano, come per il resto dell'arcipelago siciliano, dallo stato di oppressione coloniale cui siamo tutti soggetti. Quindi, a Ragusa come a Lampedusa non deve montare l'odio antisiciliano: siamo fratelli, con le dovute peculiarità e diversità.

    Un'ultima cosa: se oggi potete anche solo parlare di Statuto Speciale per la Provincia di Ragusa, è anche grazie alla vittoria del "no" al referendum approvativo: la riforma infatti prevedeva la impossibilità di concessione di nuovi Statuti Speciali.

    Macari i galloitalici e l'arbereshe su' siciliani: un "ciovi" sulu a Muòrica!

  3. #3
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    L'antica Contea di Modica ebbe nell'isola, a metà del secondo millennio, un'indiscussa potenza politica ed economica ed esercitò un potere così vasto per cui la cittadina era considerata un uno Stato nello Stato, "regnum in regno".
    Il Sovrano non contava, il Conte sì. E batteva anche moneta e teneva Gran Corte Criminale, per cui era padrone assoluto dei suoi sudditi. Ma i Conti di Modica furono, in genere, illuminati e capaci, soprattutto quelli a metà del millennio. Ed è da questo passato illustre che numerose iniziative traggono linfa per inserirsi in modo convincente nel futuro.
    Fino a metà del secolo scorso, appariva una città particolare che qualcuno paragonò a Venezia: posta nella vallata dove confluivano due torrenti, per superare il corso d'acqua che l'attraversava era ricca di ponti e ponticelli, successivamente coperti, che univano le zone della parte bassa.
    La città in figura di "melagrana spaccata", felice immagine che Gesualdo Bufalino ha coniato per Modica, si arrampica sui costoni e raggiunge il vertice del castello. Oltre il maniero, la parte alta della città, le grande distese di terreni per cui la Contea andava fiera della sua agricoltura, in quelle vaste aree dove un geometrico disegno di muretti a secco, frutto di di un processo di divisione delle proprietà nato tra il XV e XVI secolo costituisce, unitamente ai grandi alberi di carrubo, uno degli aspetti più affascinanti del territorio.
    La Contea, che nel 1996 ha celebrato i suoi settecento anni (fu fondata il 23 Marzo 1296 e assegnata a Manfredi I Chiaramonte), estendeva ii suo potere su vaste zone dell'isola, spingendosi fino ad Alcamo, Caccamo e Calatafimi, ossia un quarto del territorio siciliano.
    Con radici che si perdono nei tempi (siculi, greci, romani, bizantini, arabi), la città toccò il suo apice nell'età normanna e nei secoli seguenti fu appannaggio dei Mosca, dei Chiaramonte, dei Cabrera, degli Henriquez e degli Alvarez. Ultimo "sovrano di Modica" fu una donna: la contessa Maria Teresa Sylva Y Mendoza (che aveva sposato il marchese Alvarez di Villafranca).
    Un'altra donna aveva portato Modica al massimo splendore: la contessa Vittoria Colonna "che anticipò, quasi quattro secoli fa, le aspirazioni sociali della sua popolazione, distribuendo le terre incolte frazionando il feudo e attuando serenamente quella rivoluzione sociale liberando de facto i servi della gleba".
    E questo intenso sapore di barocco e di ricchezza Modica offre anche oggi, regalando splendidi panorami, tesori d'arte che trovano la loro maggiore espressione nella chiese, in fastosi palazzi a adornatissimi portali, fioriti sulle macerie del grande terremoto del 1693 che distrusse gran parte della Sicilia orientale e che infierì particolarmente su Modica: la ricostruzione edilizia avvenne subito con grande e generoso impegno. Agli inizi dell'800 la Contea perde il suo rango e il suo titolo passa al Regno delle Due Sicilie.
    I beni, svenduti. Del suo passato, però, Modica conserva l'orgoglio, i monumenti, la cultura, i nomi prestigiosi dei suoi figli, di ieri di oggi: da Tommaso Campailla a Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la letteratura.


    Stemma dell'ultimo Conte di Modica
    Don Joseph Alvarez de Toledo, Duca d'Alba
    In alto, Stemma della Contea di Modica
    rilevato da un timbro a secco su l'originale
    del 1500 conservato nel Museo Storico Cittadino
    A lato, simbolo della Città di Modica

  4. #4
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    Predefinito Re:

    Citazione Originariamente Scritto da P.F.Barbaccia
    L'antica Contea di Modica ebbe nell'isola, a metà del secondo millennio, un'indiscussa potenza politica ed economica ed esercitò un potere così vasto per cui la cittadina era considerata un uno Stato nello Stato, "regnum in regno".
    Il Sovrano non contava, il Conte sì. E batteva anche moneta e teneva Gran Corte Criminale, per cui era padrone assoluto dei suoi sudditi. Ma i Conti di Modica furono, in genere, illuminati e capaci, soprattutto quelli a metà del millennio. Ed è da questo passato illustre che numerose iniziative traggono linfa per inserirsi in modo convincente nel futuro.
    Fino a metà del secolo scorso, appariva una città particolare che qualcuno paragonò a Venezia: posta nella vallata dove confluivano due torrenti, per superare il corso d'acqua che l'attraversava era ricca di ponti e ponticelli, successivamente coperti, che univano le zone della parte bassa.
    La città in figura di "melagrana spaccata", felice immagine che Gesualdo Bufalino ha coniato per Modica, si arrampica sui costoni e raggiunge il vertice del castello. Oltre il maniero, la parte alta della città, le grande distese di terreni per cui la Contea andava fiera della sua agricoltura, in quelle vaste aree dove un geometrico disegno di muretti a secco, frutto di di un processo di divisione delle proprietà nato tra il XV e XVI secolo costituisce, unitamente ai grandi alberi di carrubo, uno degli aspetti più affascinanti del territorio.
    La Contea, che nel 1996 ha celebrato i suoi settecento anni (fu fondata il 23 Marzo 1296 e assegnata a Manfredi I Chiaramonte), estendeva ii suo potere su vaste zone dell'isola, spingendosi fino ad Alcamo, Caccamo e Calatafimi, ossia un quarto del territorio siciliano.
    Con radici che si perdono nei tempi (siculi, greci, romani, bizantini, arabi), la città toccò il suo apice nell'età normanna e nei secoli seguenti fu appannaggio dei Mosca, dei Chiaramonte, dei Cabrera, degli Henriquez e degli Alvarez. Ultimo "sovrano di Modica" fu una donna: la contessa Maria Teresa Sylva Y Mendoza (che aveva sposato il marchese Alvarez di Villafranca).
    Un'altra donna aveva portato Modica al massimo splendore: la contessa Vittoria Colonna "che anticipò, quasi quattro secoli fa, le aspirazioni sociali della sua popolazione, distribuendo le terre incolte frazionando il feudo e attuando serenamente quella rivoluzione sociale liberando de facto i servi della gleba".
    E questo intenso sapore di barocco e di ricchezza Modica offre anche oggi, regalando splendidi panorami, tesori d'arte che trovano la loro maggiore espressione nella chiese, in fastosi palazzi a adornatissimi portali, fioriti sulle macerie del grande terremoto del 1693 che distrusse gran parte della Sicilia orientale e che infierì particolarmente su Modica: la ricostruzione edilizia avvenne subito con grande e generoso impegno. Agli inizi dell'800 la Contea perde il suo rango e il suo titolo passa al Regno delle Due Sicilie.
    I beni, svenduti. Del suo passato, però, Modica conserva l'orgoglio, i monumenti, la cultura, i nomi prestigiosi dei suoi figli, di ieri di oggi: da Tommaso Campailla a Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la letteratura.


    Stemma dell'ultimo Conte di Modica
    Don Joseph Alvarez de Toledo, Duca d'Alba
    In alto, Stemma della Contea di Modica
    rilevato da un timbro a secco su l'originale
    del 1500 conservato nel Museo Storico Cittadino
    A lato, simbolo della Città di Modica
    Grazie per il tuo ottimo accenno alla storia della Contea! E grazie soprattutto di esserti incuriosito e di avere ricercato proprio al fine di avere nuove notizie... Grazie davvero!

  5. #5
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    L'abate Paolo Balsamo nasce a Termini Imerese nel 1764. Studioso di politica e di economia e convinto innovatore sin dagli anni di Caracciolo, intraprende il viaggio d'ispezione nella contea di Modica il 13 maggio 1808, partendo da Palermo con il consigliere del re Donato Tommasi, che occuperà poi la carica di primo ministro del regno. E da tale viaggio ricava un Giornale, dal quale sono tratte le pagine qui riportate, in cui annota i particolare .i caratteri e la redditività della locale agricoltura. Il resoconto di Balsamo, che ha conosciuto e vagliato le Fiandre e l'Inghilterra, è un po' la continuazione logica dei rapporti che i viceré inviavano alle corti e l'annunzio delle inchieste che prenderanno corpo nell'Italia sabauda sui persistenti deficit del sud. Di rilievo è il dibattito che ne segue, specie in Inghilterra, dove su linee opposte si pronunziano gli economisti Wright e Vaughan.
    c. r.

    Da Sciri sino a cinque, o sei miglia il suolo prosiegue ad essere arenoso, e piuttosto grasso; e al di là di questo non posso quasi dir altro di campi, e di agricoltura: con ciò sia che l'avventura di Sciri ci fece pensar poco, o nulla alla natura, sin tanto che non ci distolse dai nostri morali, e politici ragionamenti la presenza del Mazzarone. I rivoli piacciono sempre, e particolarmente nei climi caldi, ed in estate; questo però ci parve sopra molti altri leggiadro. E veramente le sue limpidissime onde, il suo con grazia volteggiante corso, le sue sponde ora gaie per la verdeggiante macchia, ed ora tristi per la squallida rupe; gli amabili pini, che pompeggiavano a sinistra, le ruvide montagne che torreggiavano a destra: tanta maestà, avvenevolezza, e varietà di oggetti solleticava soavemente i sensi, e destava, e pasceva la fantasia con gratissime immagini. Noi per tanto dall'una, e dall'altra riva lo contemplammo con diletto, e lo lodammo; ma poco dopo lo vituperammo, e ne concepimmo orrore: avvenga che avendolo per buon tratto costeggiato, fummo astretti di camminare ad ogni passo sopra gli orli di certi suoi tremendi precipizj, che cornicioni nell'idioma del paese generalmente si denominavano. Il signor Tommasi, che nulla, o poco aveva veduto di sua vita di cotali pericolose balze, se ne spaventò; nè valse a calmare la sua perturbatissima immaginazione il farlo andare a cavallo, e qualche volta a piedi: e si scosse pure, e traballò la mia stessa filosofia. E a queste moleste sensazioni altre se ne aggiungevano, che ci accompagnarono, e non restarono di vessarci crudelmente sino a Monterosso; un sole cioè bruciante, ed insopportabile, una campagna uggiosa, e spopolata, ed una strada malagevole, ed assai pietrosa, la quale in fine diviene ertissima, e conduce all'abitato per continue giravolte, ed andirivieni. Dal primo nostro ingresso nella città, e sino a tanto che giungemmo alla casa destinata al nostro alloggio, che fu quella del Segreto, noi fummo spettacolo a gente di ogni condizione, sesso, ed età, la quale tutta ci faceva lietissimo viso, e gridava, quanto più forte poteva: "acqua, Signore, Signore, acqua". Noi non intendemmo alle prime, cosa si volessero con quelle parole, e clamori quei Montanari; e femmo, come suole intervenire, diverse ipotesi, e non so quanti almanacchi: e poi dal Proconservatore, e da altri fummo informati, che null'altro chiedevano, se non se che l'Amministrazione volesse prestar loro qualche denaro, onde si potesse recar in paese l'acqua di una vicina fonte, della quale avevano il più premente bisogno.
    Noi avevamo tanto sofferto nel viaggio, che nello scendere dalla lettica eravamo lassi all'estremo, e nella maggiore uggia del mondo. Niente di meno quel fresco, e purissimo aere, il riposo, qualche ristoratrice bevanda, le dolcezze della conversazione ricomposero ben tosto i nostri affannati animi, e restituirono alle nostre stanche membra il consueto vigore. La sera istessa, che arrivammo, andammo a chiesa per compiere nostri doveri di religione, e femmo pure una piccola passeggiata; godemmo poi di una qualche compagnia, senza che però alcuno ci avesse seccato; e quindi mangiammo saporitissimamente la nostra cena, o piuttosto desinare, e senza altro indugio ci mettemmo a letto, e schiacciammo un soave, e profondissimo sonno.
    In due giorni, che ivi dimorammo, il Signor Tommasi applicossi quanto bisognava agli affari del suo ufficio; ed udì tutti, e diede ordine a tutto con somma diligenza, e pubblica soddisfazione. Quanto a me non mi diedi altra briga, che di agricoltura, e di economia; e delle cose dell'Amministrazione posso dire unicamente, che fui testimone di una istoriella, dalla quale appresi più che mai, che i Giudici non devono credere, nè preoccuparsi giammai in favore di accusazioni di ogni sorte, e di in qual si sia maniera presentate. Una sera mentre che a casa ritornavamo, una donna vestita a lutto, co' capelli scarmigliati, e tutta mesta e dolente si presentò al Signor Conservatore, e chiese, e gridò giustizia contro di un ricco del luogo, per aver fatto morire il suo marito, e praticata iniquamente contro di lei un'estorsione di once quattordici. Aveva essa molto coraggio, e buonissima lingua; ed in mezzo ad una numerosa schiera di Magistrati, e Cittadini espose la sua querela con intrepidezza, declamò con veemenza contro l'accusato, e sollecitò la pronta protezione delle leggi con caldissime lacrime. L'Amministradore l'accolse con umanità, e com'ebbe finito di perorare, senza cambiar contegno, o colore la congedò con buona grazia, e con un secco m'informerò. Io al contrario, il quale non ignorava, che sì fatti umori e scherzetti andavano tal volta a genio a qualche despotuccio di provincia, mi lasciai in qualche modo sorprendere; vi prestai però una certa fede, sperimentai del commovimento nel mio cuore, e dentro me stesso riprovai un pochetto la stoica indifferenza, onde mostrava il Ministro di ascoltare quell'infelice, e del suo caso interessarsi. Ma mi arrossii, e condannai il mio immaturo giudizio il giorno appresso, quando si discuoprì dopo il più maturo esame, che il denunziato era innocente del delitto, che gli si voleva imputare.
    Monterosso contiene meno di 4000 abitanti; si estende sottilmente lungo la cresta di un monte: e rimirata dal campanile di S. Giovanni, o da altro eminente sito par di sedere nel foco di una nobile ellisse formata dalla catena di altri monti di un'altezza molto considerabile. L'aria è salutevole, e per la latitudine assai fredda; e le strade, le case, i tempj, le botteghe, le piazze argomenti apprestano di poca cultura, e ricchezza. Pure non vi regna rispettivamente povertà, e vi si trovano tre, o quattro gentili, e benestanti famiglie. I corpi degli uomini, e delle femmine sono generalmente larghi, sodi, muscolosi; una vermiglia carnagione è piuttosto rara: e le fisonomie, seppur danno qualche cosa a divedere, annunziano docilità, e bontà di cuore, e poca vivacità, ed energia d'intendimento.
    I costumi non passano per depravati; ed i cittadini vivrebbero nella più dolce pace, e concordia, se non fussero le vecchie, e scandalose gare tra le due chiese di S. Giovanni, e della Madonna Addolorata. I tempi, e la civiltà le hanno, non v'ha dubio, moderate, e rese meno frequenti; tuttavia non sono ancora estinte: e fummo assicurati, che al sorgere di qualche lite di tal sorte, la popolazione si mette sossopra, la plebe come inferocisce, e gl'istessi fratelli diventano, al bisogno, tra loro nemici, e si dichiarano asprissima guerra. Vi si contano in tutto trenta preti, e come Storico tacer non deggio, che i costumi di questi si lodano in generale, meno di quelli dei laici; ciò che, secondo dissero i più gravi, ed accreditati tra quegli Ecclesiastici, in parte proviene dal loro eccessivo numero rispetto a quello, che veramente necessita per il servizio dell'altare.
    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
    Sul far della sera entrammo in Chiaramonte tra la calca, e le grida di molto popolaccio, che compredere non si seppe cosa dicesse, e volesse. Le apparenze di questa città non ci parvero le migliori, e le più consolanti; e comprendemmo, che essa era di un rango più distinto di Monterosso, da non so che di più cittadinesco, che quì presentavano gli oggetti, e dal numero dei Crociati, e degli altri Gentiluomini, e Cittadini, che poco dopo il nostro arrivo vennero a complimentar il Signor Conservatore, e si trattennero per qualche tempo con noi, per darci piacevole conversazione. In questa si portarono essi tutti con quello ben composto contegno, e pulite maniere, che si convengono a persone, le quali hanno ricevuta una civile educazione; e solamente uno ve n'ebbe, il quale cicalò tanto, e sì forte, che pareva di esser colà venuto a disegno di far prova, che egli, e non altri, aveva lingua, ed orecchi per parlare, ed udire. Al che, per compiere il genuino quadro del seccatore, si aggiungeva, che intendeva, ad ogni modo di comparir saccente; e nominò più volte, ed allegò certe sentenzie di Montesquieu sopra la Sicilia, che non avea neppure sognate mai l'illustre autore dello Spirito delle leggi. Varj sono i caratteri, che vengono a mortale noia nelle compagnie; ma niuno cotanto, che quello pesantissimo del pedante, e dottorello: conciossiachè provoca, ed infastidisce estremamente il vedere in una brigata assumere ad uno il tono di maggioranza, e trovar prediche, e lezioni cattedratiche in quei luoghi, che ognuno frequenta per alleggerire i guai della vita con oneste piacevolezze, e divertimenti.
    L'aria di Chiaramonte è fina, ed attivissima; e noi la prima sera provammo tale fame, che giusta il proverbio potevamo dire di vederla. Il sonno fu pure soavissimo, se non se il mio fu alquanto interrotto, e perturbato da un'avventura curiosa, che poteva cagionare qualche serioso, e tristo accidente. Il Signor Tommasi, ed io dormimmo nella medesima camera; e non era ancora trascorsa un'ora da che ci eravamo addormentati, che un certo calpestìo mi destò; ed al barlume, che dalla prossima stanza procedeva, mi accorsi, che uno straniero pianamente si avvicinava al letto dell'amico. Temetti con tutto il fondamento per qualche ladro; e però gli gridai, e mostrai di metter mano alla pistola: ed egli subito se ne partì senza però fare fretta, nè dar a divedere imbarazzo, o paura di veruna sorte. E questo passo e modo tranquillo, onde di là si allontanò, in un istante dissipò ogni mio dubbio, e sospetto; e di fatti fummo la dimani certificati, che quegli era stato il padron della casa nostra, un vero babbione, il quale con un giudizio da Calandrino era a quell'ora e per un privato uscio entrato in camera nostra, per discorrere segretamente coll'Amministratore, e domandargli giustizia contro la moglie, la quale lo avea lasciato, ed abitava non so dove e con chi.
    Soggiornammo in Chiaramonte meno di due giorni; e tanto tempo bastò al Signor Conservatore, per trattar le faccende del suo ufficio, e a tutti e due, per farci acquistar le desiderate notizie sopra quegli oggetti, che sono degni in essa della maggior considerazione.
    Questa città per tanto è situata sulla cima di un'alta collina; ed in inverno vi fa un freddo, che appena si può immaginare nella nostra latitudine. La chiesa parrocchiale, e tre, o quattro case di gentiluomini hanno del grande, e del nobile; ma nel rimanente le piazze, le strade, gli edificj di ogni maniera, la copia, e qualità delle vettovaglie, ed il vestire, e tutti gli andamenti degli abitatori annunziano un grado ben mediocre di privata, e pubblica ricchezza. Fummo assicurati, che vi sono presso a 300 mendici, e noi fummo da questi in casa, e per le passeggiate incessantemente assediati, ed importunati; ed alcuno non incontrammo, il quale non assicurasse che quivi non si conoscevano nè coltivatori, nè negozianti sustanzievoli, e che poco pochissimo si comperava di carni, di pesce, di vino, e di ogni altro genere, che non è di primiera, ed indispensabile necessità
    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
    Prima di sortire dalla Città guardammo per la seconda volta con dispiacere la casa crollante, ed abbandonata di Ventura, riguardevole, e benestante persona del paese, che alcuni anni addietro fu rubato, ed ucciso con aperta violenza da dieci, o dodici banditi, a mezz'ora di notte, ed al cospetto dei magistrati, e di tutta la popolazione. I rei furono quindi scoperti, e puniti col rigor delle leggi. Del resto chiunque si fa a considerare quest'orrendo misfatto quasi non sa cosa più condannare, o l'arditissima malvagità dei furfanti, o l'opprobriosa viltà di cuore di quegli abitanti, e sopra tutti dei gentiluomini, i quali, sentito il fracasso, ed i tonfi delle archibugiate, si chiusero nelle loro case, e per un ignominioso solipsismo non respinsero con la forza una forza della loro cento volte minore. Tutti parlano di questi, e di quegli altri regolamenti contro ladri e latrocinj; ma saranno mai di molta efficacia le leggi senza i costumi?
    La strada da Chiaramonte a Vittoria è bella, e sempre in pianura, ed il suolo sabbioso, e più magro dalla banda di questa, che di quella. Non s'incontra altra acqua di qualche momento, oltre quella di Cifali; si trovano pochi alberi sino a due, o tre miglia da Vittoria: al qual punto mira il viaggiatore con compiacimento un'infinità di viti, di ulivi, di carubbi, ed altri alberi, che vengono, e crescono lietamente nell'arido tofo, e arena per gli avventurosi sforzi del-l'industria. E dico tofo, per ciò che da quella parte dei contorni della città esso è molto frequente, e di quello se ne vede, che nel colore, ed in altre proprietà è assai simile alla creta, a quella terra calcarea cioè, che i Francesi chiamano craie, e gl'Inglesi chalk.
    Fu giorno di Domenica, e poco prima del Mezzogiorno, quando noi giungemmo in Vittoria; e però avemmo l'opportunità di acquistare in un colpo d'occhio qualche idea della popolazione, la quale nella massima parte accorse, attratta dalla curiosità di veder la cavalcata, e di conoscere l'Amministradore. E di fatti, senz'altre informazioni, dal vestire del popolo, e dalle altre esterne circostanze subito giudicammo, che questa città era di gran lunga più ricca di quella donde venivamo.
    In Vittoria mi applicai più ad amplificare, e correggere le notizie economiche quivi da me acquistate alcuni anni fa, che a raccoglierne delle nuove.
    È essa collocata in un piano; e perciocchè è moderna, le sue strade e piazze sono abbastanza spaziose, e le case disposte con buona regolarità. Contiene circa dieci mila anime; e certi gentili tempj, ed altri edificj, l'abbondanza dei viveri, un sufficiente grado di ricchezza, e di lusso, che si osserva in tutte le classi degli abitanti suoi, la fanno meritamente considerare per una città delle più graziose tra quelle di secondo, o terzo ordine in Sicilia. Le fattezze, ed il colore degli uomini, e delle donne non sono certamente i più vantaggiosi, e la carnagione loro anzi che nò è grossolano, e certamente inferiore a quella di Chiaramonte, e Monterosso. Nessuno, o pochissimi hanno ivi ambizione, e pretensioni per grandezza, e nobiltà, che si può denominare il dominante grillo delle ricche, e primarie persone della Contea; sono quindi rare e livree, e servidori, e titoli, e croci: e tutti quei più distinti cittadini vivono con onore intenti all'agricoltura, ed al commercio delle frutte della terra dentro, e fuori del paese.
    Domandammo ai Gentiluomini, e Magistrati, i quali ci onorarono di spesse loro visite, quali fossero le fortune, e circostanze di quei cittadini, ed in particolar modo dei contadini, e generalmente dei lavoranti. E la risposta, che tutti uniformemente ci fecero, si fu, che in Vittoria non vi erano somme ricchezze, che regnava un'universale comodità, che non vi era un povero, che i villani guadagnavano in tutto tre, e quattro tarì al giorno, e che le persone di primo, e mezzano rango mangiavano la vitella tutti i dì, ed il popolo tutte le feste. Il grande, ed immortale Errigo IV di Francia dir soleva, che allora sarebbe stato egli contento; che tutti i coltivatori sudditi suoi potessero mettere la Domenica la gallina nel pentolo; e perchè la vitella del contado modicano vale altrettanto e più che la carne di qualunque specie di pollo, può quindi il nostro umanissimo Monarca avere pei Vittoriesi quella nobilissima consolazione, la quale agognava pei Francesi uno dei suoi più illustri Maggiori.
    La campagna di Vittoria, giusta il parere dei più intelligenti, è di dieci mila salme circa di Palermo; è nella massima parte sabbiosa, calcarea, e poco pingue; produce proporzionalmente poco di frumenti, orzi, e legumi, e molto di olio, canape, carubbe e sopra tutto il vino, il quale ha molto credito, e si deve a parer mio riguardare come il migliore tra quelli da pasto di tutta la Sicilia.
    Il suolo, ed il clima è quivi adattatissimo alla vigna; e questa con lodevole avvedimento non è composta quasi di altre viti, che di grossonero, di calabrese, ed incomparabilmente più di frappato, la quale produce un'uva con acini neri, tondeggianti, difficili a sgrappolarsi, serrati, e di sapore aspretto. Oltre di che tal prezioso arbusto si tira sù costantemente a due pedali, o spalle, ed alla potatura non gli si lascia che uno o due occhi; ed il mosto si fa fermentare con le vinacce 48 ore, e si ripone in botti perfette, ed in luoghi freschissimi. In somma la natura, e l'arte contribuiscono ugualmente a rendere i vini di Vittoria assai pregiabili, ed utilissimi a quei vignatuoli, ed a quell'intiera popolazione.
    Un migliajo di vigna rapporta colà ordinariamente quattro barili di vino, ciascuno di 76 quartucci, ed il quartuccio di 40 once sottili, che ai prezzi attuali di once due il barile sono un oggetto di once otto. Per lo che una salma di terra di Palermo posta a vigna in Vittoria dà attualmente di lordo da 60 a 70 once, e, comunque se ne calcoli la coltura, e la spesa, un provento netto assai riguardevole; ciò che conferma quanto provammo di sopra, cioè che questa specie di piantagioni è molto profittevole, purchè il vino non manchi di un discreto valore, come non di rado avviene in alcuni anni, ed in certi paesi del Regno.
    Nel 1792, quando io fui un'altra volta in Vittoria, si computava l'esportazione annua del suo vino per Malta, ed altri luoghi più di 12000 Botti di Palermo; ed ora si crede notabilmente accresciuta, dacchè gl'Inglesi stabiliti in quell'isola ne hanno aumentate le richieste. Tenendo per tanto conto della consumazione esterna, ed interna di questa preziosa derrata, chiaramente si scorge, che la stessa è per quei coltivatori, e generalmente per tutto quel paese un capo interessantissimo d'industria, e di ricchezza.
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    Entrammo in Ragusa sul far della notte, e però schivammo in buona parte la noia, che risentono gli stanchi dall'importuni ossequj, e dalla moltitudine dei curiosi spettatori. Ci fu assegnata per alloggio la casa disabitata del Signor Filippo Nicastro, che trovammo comoda, messa con decenti mobili, e con sopraffine candele di Venezia illuminata; e ci apportò qualche meraviglia la copia dei gentiluomini, che accorsero a visitare l'Amministradore, la quantità dei dilicati sorbetti, che si distribuì a tutta la brigata, e la lauta, e ben ordinata cena, che quindi appresso ci si apprestò. È vero, che così in questa, come nelle altre cene, e pranzi il cuoco, ed i servitori del Signor Tommasi furono quelli, che e cucinarono, ed imbandirono; niente di meno spiccò sempre, ed in tutto la diligenza, l'ospitalità, il buon gusto, e la splendidezza del Signor Nicastro, che faceva allora le veci di Regio Segreto.
    Dimorammo in questa città circa tre giorni; ed il Conservatore attese, quanto fu necessario, ai negozj di sua amministrazione, ed io, quanto potei a procacciarmi le più interessanti informazioni sopra lo stato di quella popolazione, e della sua civile, e rusticale economia. Del resto passeggiammo, visitammo, ci divertimmo, e qualche volta ancora onestamente folleggiammo rammentandoci del gran principio, che troppo insipida, e pesante è la vita, allora quando non si condisce in acconcia misura con certe innocenti pazzie.
    Fummo due volte invitati ad un crocchio, che si tiene in giro dai principali del paese, e che una sera si ragunò dal Barone di Donnafugata, e l'altra dal Barone di S. Ippolito. Le case di ambedue questi gentiluomini sono grandi, e decentissime; ma quella del primo, essendo più moderna, ha tanto di lindura, ed anche di magnificenza, che disdicevole non sarebbe a ricca, e distinta persona per sino in una capitale. L'atrio, la scala, il salone sono ivi veramente nobili; il teatrino, le camere, e certi stanzini sono ben disposti, e sopra modo gentileschi; e quanto ai mobili, se non sono i più rari, ed appariscenti, racchiudono però il singolare, ed amabile pregio delle nettezza, e della convenevolezza.
    Tutti i quartieri dell'uno, e dell'altro edificio furono le due sere con piacevole simmetria, e da candida, e purissima cera rischiarati; intervenne all'una, e all'altra conversazione buon numero di dame, e gentiluomini: e così in questi, che in quelle rifulse maggiormente la facilità, la sveltezza, e la grazia delle maniere, che l'eleganza delle vesti, o la multiplicità degli ornamenti. Si dispensò parimente gran quantità di ottimi sorbetti di più sorti; e si praticò quel che praticar si suole nelle numerose compagnie, si giuocò cioè, e si ballò allegrissimamente. Da principio non si fecero, che contraddanze, e quindi, per amor della varietà, si diede di piglio a' tresconi, i quali una sera riuscirono particolarmente sollazzevoli, per certi umoretti, e bizzarrie delle dame, e specialmente della Bar-a Rub-o, che pareva di distinguersi tra tutte per agilità, e modesta leggiadria. Cotali balli, che per la lor semplicità io chiamerei della natura, ivi si appellano del genio, probabilmente perchè in essi gli uomini, e le donne si richieggono a lor talento; e si reputa poca cortesia per queste, ed ancor più per quelli, ove sieno richiesti il ricusare l'invito. Nel Zenit pertanto del brio, al quale queste danze avevano condotte le Signore, e non ritrovandosi elleno ancora nè sazie, nè stanche cominciarono con mille onestissimi vezzi, e smorfie a domandare indistintamente quanti più poterono, e giovani, e vecchi, e laici, ed ecclesiastici; e la soprannominata giovinetta non mancò di dirizzarsi con avvenentezza al Conservatore, e neppure volle me stesso risparmiare. Noi, come ognuno può figurarsi, con profonda riverenza la ringraziammo; e la brigata tutta rise, applaudì, e picchiò le mani a questa piacevolezza, e tratto di discreta vivacità. Per altro cotali giovialità non sono rare in Ragusa; e non ci fece maraviglia il vedere tra i convitati alcuni riguardevoli preti, e l'istesso Curato di lodevolissimi costumi, perciocchè considerammo, che questi con la sanità, e gravità del loro carattere possono sempre trattenere i meno savj nei dovuti confini della modestia, e della decenza.
    La lunga, e stretta figura di Ragusa fa che dentro un'ampia circonferenza essa racchiuda diciassettemila abitanti circa. Non merita affatto il nome di graziosa, anzi la più parte delle strade sono così storte, anguste, e rovinose, che non vi si può andar a cavallo senza disagio, e pericolo. Nulladimeno la piazza è grande, animata, e copiosa di eccellenti vettovaglie; qualche via principale è bellina, alcuni palazzetti sono vistosi, e le chiese di S. Giorgio, e S. Giovanni, ed il nuovo Collegio di Maria si possono annoverare tra gli edifizj pubblici, che hanno un bastevole grado di grandezza ed appariscenza. Quest'ultimo è veramente nobile, e vasto, e benchè non sia ancora totalmente terminato, la spesa sinora erogatavi supera quella di 30000 scudi.
    L'aria in estate passa in alcuni siti per poco perfetta; tuttavia una vaga carnagione è molto comune, e le fattezze tanto degli uomini, che delle donne hanno generalmente del piacevole e del regolare. Vedemmo quivi tre ragazzi totalmente albini, nati da un padre, e da una madre, che avevano buonissima complessione: come pure uno sconcissimo nano, il da una moglie di ordinaria taglia aveva generati figliuoli di buona statura: e fummo sospinti a concludere dal primo esempio, che per cagioni a noi occulte avviene e negli animali, e nelle piante un reale tralignamento; e dall'altro, che negli esseri viventi la grandezza della prole non di rado è dovuta a quella della madre, donde essa proviene, particolarmente in alcune loro specie, e nominatamente in quella dei cavalli.
    Si vedono in questa città pochissimi poveri, si contano cinque, o sei famiglie veramente ricche; e piani, e numerosi sono gl'indizj, che si offrono anche al poco diligente os-servatore di una certa universale agiatezza in tutta la popolazione.
    I Ragusani si reputano assai proclivi all'ospitalità, non meno che ad un fastoso tenor di vivere. Quel, ch'è certo, si è, che sono urbani, e vaghi di trattar bene, e figurare presso i forestieri; e fanno nelle loro case così copiose provvisioni di mobili, di vettovaglie, e di ogni maniera di comodi, che par loro familiare, ed abituale la vita civile, e splendida. Noi visitammo come per accidente il Signor Giorgio Bertini, il Barone di S. Filippo, il Signor Salvadore Bertini, e qualche altro; e trovammo nelle loro abitazioni tanta pulitezza, e compostezza, e tanta abbondanza di preziosi vini, e rosolii, di eccellente cioccolata, caffè ec., che ci persuademmo, che gl'istessi potevano essere presti ognora al decente rice-vimento di qualsisia distinta persona. Ciò si chiama da tutti lusso, e da tutti acerbamente si vitupera; quanto a me, mi dichiaro amico della frugalità, ma vorrei sapere, se non è esso questo demonio di lusso quello, che indica più sicuramente, e misura più esattamente la ricchezza? I poveri non consumano, perchè non possono; ed i ricchi, di pochissimi in fuori, consumano, perchè possono, ed amano di approfittarsi delle loro facultà, per star bene, e godere. Si parla quivi di non so quali immense divizie dei trascorsi tempi, quando si spendeva con estrema parsimonia, ed era in uso, siccome si favoleggia, il Lardone con la carrucola. Sono però da credersi queste pappolate, che ci si vogliono dare ad intendere, sopra le vaste fortune dei nostri Padri, e di gran lunga superiori alle nostre? Si dice inoltre, che da qualche tempo in quà sono minorati i capitali degli agricoltori, e dei negozianti; questo non si niega per le tristi sequele dei cattivi ricolti, e del perturbato commercio; ma non ha che far nulla col lusso, ed è un effetto di temporanee circostanze, ed un male pressochè passeggiero.
    I costumi di Ragusa non hanno fama di purissimi; certe brighe mantengono accesa la discordia tra alcune delle primarie famiglie: ed oltre a ciò le antiche, ed aspre emulazioni tra le chiese di S. Giovanni, e S. Giorgio non lasciano di fomentare in tutti i ceti mali umori, ed inimicizie. Queste, non v'ha dubio, sembrano ora quasi totalmente sopite, cosicchè quivi io udii riprovarle, e dileggiarle a' preti, e capi delle due fazioni; tuttavia quello, che mostra di essere il fuoco coperto, anzichè spento, si è l'entusiasmo veemente, e furibondo, che si vede ancora regnare in ogni classe di persone, e maggiormente nella gentaglia, per l'una, o l'altra delle soprammentovate rivali parrocchie. L'Amministradore, che per rispetto delle vicinanza era ito sempre per le sue divozioni a S. Giorgio, ad evitare invidiose parzialità, volle pur visitare, e far sue orazioni in S. Giovanni; e tale sua compiacenza, credibile non è, quali, e quanti commovimenti, o piuttosto furie avesse eccitate in tutti quei parrocchiani. Uomini, e donne di qualsiasi età, e rango accorsero in chiesa a festeggiare la venuta del Ministro; non si risparmiarono candele, organi, campane, mastj; ed era curioso il mirare, come la minuta gente, al togliersi il velo dalla statua del Santo, ed esclamava, e piangeva, e saltava, e si contorceva, e con mille gesti, e parole manifestava i suoi ferventissimi affetti. Io, che in quel punto era lontono dal Cavaliere, e stava tornando da una cappella, a tanto bisbiglio, e fracasso non sapeva cosa pensare; concepii una certa paura, e dubitando, che non potessi esser preseo per partigiano di S. Giorgio, che aveva ogni giorno frequentata, mi ajutava, e gridava pure, quanto meglio poteva, viva S. Giovanni.
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    L'accoglienza fattaci al nostro arrivo in Modica rassembrò ad un ossequioso tumulto. Giusto al cominciamento della città, e tostochè smontammo dalla lettica, si presentarono al Conservatore, ed il Governatore ed i Magistrati, ed i più cospicui gentiluomini, e cittadini, i quali nulla omisero di quelle etichette, e formalità, che dimostrar potessero riverenza, e rispetto. Una folla poi di poveri ci circondò, e strettamente ci assediò, e la moltitudine, uomini cioè, donne, e ragazzi dell'infima classe, che stavano agli usci, nelle finestre, nelle strade, e pe' muricciuoli ci vessarono e ci strapazzarono gli orecchi con incessanti acclamazioni, e fortissime grida di grazia. Io in mezzo a tanta calca, ed a così spaventevoli rumori non potei tener dietro al Signor Tommasi, che era cinto da Alabardieri, e Soldati, e corteggiato da Togati, Cavalieri, e gente assai di ogni condizione, e restai imbarazzato, e confuso con tutta la canaglia; e perchè incalzava già la notte, ed io era in tutte le direzioni urtato, e pigiato da questi, e da quelli, corsi pericolo in quelle vie, e viuzze alpestri, e bitorzolute di rompermi qualche osso, o di dinoccarmi qualche piede, se, Dio sa come, non mi avesse conosciuto il Signor Tedeschi, e condotto sano, e salvo alla casa del Cavaliere Signor Saverio Nicastro, che era stata al nostro albergo preparata.
    Non si desiderava in questa copia, e convenevolezza di camere, di mobili, e di lumi; tantochè l'Amministradore potette la sera onoratamente ricevervi tutti quelli, che ci visitarono, e che furono i più ragguardevoli del paese per nascita, per facultà, e per impieghi. Si presentarono questi ben vestiti, ed usarono tutti i parlari, e modi bastantemente cittadineschi; anzi raffinarono cotanto la loro urbanità, che in due ore ci fecero veder più spade, più manichini, più ricci, più code, più cappelli montati, o a souffler, che non solevamo vederne i Palermo in uno, o due mesi. Ed a così fatta pompa corrispose armonicamente la splendidezza del Signor Nicastro, il quale trattò tutta la brigata con buonissime gelate bevande, ed altre gentilezze di varie maniere; e quindi ne' tre seguenti giorni, che avemmo l'onore di vivere in un quartiere di sua casa, fece per rispetto del Cavalier Tommasi, e disse, e pensò molte cose, che non possono aver luogo in questa mia corta, e discreta narrazione.
    Il genere di vita, e le occupazioni nostre in Modica furono in generale quali erano state in Ragusa; e come in questa, così in quella schivammo di fare i Cinici, voglio dire i difficili e preziosi nell'accettare e godere di quei convenevoli ed innocenti passatempi, che ci si offersero.
    Il Cavalier Rossi diede al Conservatore un pranzo, il quale fu così magnifico, bene ordinato, ed allegro, che quivi si poteva aspettare, e desiderare. Vivande, vini, frutte, sorbetti, caffè, liquori fecero tutti bastante copia di se per delicatezza, e varietà; non si notò sbaglio, o imbarazzo di sorte alcuna nel disporli, e dispensarli: e spiccò nei convitali la più vivace giocondità, senza che in venti, e più persone si fosse mai osservato gesto, o sentita parola, la quale avesse potuto in loro annunziare poco uso di pulite, e costumate maniere.
    L'istesso Rossi inoltre, ed il Cavalier Ciaceri l'invitarono a due crocchi nelle proprie case, che in conclusione poi presero tutte le forme di gaissime feste; essendochè in essi si giuocò, si ballò, e si gareggiò in eleganza tra le Dame, ed i gentiluomini, siccome erasi praticato in quelli di Ragusa. Noi lodammo, ed ammirammo le conversazioni di Modica, siccome avevamo fatto per quelle di Ragusa, perciocchè nelle prime, non altrimenti che in queste e godemmo, ed avemmo buon saggio di quella ricchezza, civiltà, gusto, ed eleganza, che regna in sufficiente grado in queste due città. Niente di meno v'è da dire, che le adunanze, ed i balli di Modica figurano più per la frequenza, ed il lusso della gente che v'intervenne; e quelle di Ragusa risplendettero maggiormente per l'ampiezza delle stanze, e la vaghezza dei mobili: e poi si ammirò negli uni, e negli altri certa facilità, e dolcezza di maniere, la quale quanto grata, e pregevole sia si può piuttosto sentire, che esprimere.
    Non si sa ben decidere dai conoscitori se mai Ragusa, o Modica sia la più facultosa; e quel che pare di non ammetter dubio si è, che nella prima abbondano forse più quelli, che si chiamano capitalisti, e nella seconda quelli, che più ap-prezzar si devono in ogni stato, intendo i ricchi agricoltori; e sembra altresì certo, che più in quella, che in questa sono sparse, e comuni le mezzane fortune. Da ultimo il viaggiatore, senza che altri ne lo informi, può per se stesso discernere, che i lavoranti di Modica non stanno generalmente sì bene, che quelli di Ragusa; essendochè presentano in tutto segni di una minor comodità, e più copioso si osserva tra loro il numero dei bisognosi, e dei miserabili.
    Ad ogni modo Modica, che è la capitale, e la residenza dei magistrati primarj di tutta la Contea, collocar si deve tra le città più distinte di tutto il Reame. Il suo circuito è estesissimo, e la sua popolazione si suppone più di diciotto mila abitanti; e benchè la situazion sua sia oltre modo bassa, e con un assai ristretto orizzonte, pure nella massima parte dei luoghi, e dell'anno il clima è temperato, e salubre. Le strade sono tutte scabre, ed alpestri, all'eccezione delle principali, che costeggiano i due borri, i quali attraversano la città, e danno co' suoi ponti una qualche idea delle vie della famosa Venezia. Le case della plebe, e dei poveri sono nel maggior numero vili, e sudice, e di quelle ven'ha (ugualmente che in altri paesi della Contea, e di tutta la Valle di Noto) che sono pure caverne incavate nel tofo; e non per tanto vi si trovano quà e là edificate delle grandi e vistose fabbriche, come le due chiese di S. Giorgio, e di S. Pietro, qualche convento dei Frati, e di Monache, il Collegio dei Gesuiti, e qualche gentile palazzetto di Nobili, o di Cittadini. La gran piazza è pulita, ampia, e ricca di viveri come, o più di quella di Ragusa; e fa veramente piacere il vedervi buona quantità, e varietà di nutritive, e tenerissime erbe da orto.
    La corporatura tanto degli uomini, che delle donne tende al grande, ed al grossolano; e ciò nonostante rare non sono le gentili, e piacevoli complessioni, e fisionomie, nelle persone particolarmente di distinta condizione.
    Paragonando Ragusa, e Modica, il territorio di questa è notabilmente minore, conciosiachè appena ascende, secondochè si crede, a dieci mila salme di Palermo. La natura più ordinaria de' suoi terreni si è quella dei secchi, calcarei, sassosi, e negli strati superiori bastantemente grassi; e la più considerabile, ed utile produzione, che gl'istessi somministrano, è senza dubbio quella dei grani, l'annuo ricolto dei quali, è opinione di taluni, che giunga a 30000 salme generali. Del che alcuno non dovrà meravigliarsi, sempre che rifletterà, che i campi modicani sono nella massima parte arabili, e coltivati frequentemente a frumento nelle due ruote 1 Legumi, 2 Frumento, e 1 Erba naturale, 2 Frumento. D'ingrassi poi se ne fa molto uso; e da alcuni anni sonosi introdotte con buon successo altre sorti di grani, oltre la Gurrìa, e Russìa, che sono le più stimate, e seminate da quegli agricoltori.
    Non mancano nella campagna di Modica le stesse cave, o pinguissime isolette, e rive di fiumicelli, che in quelle di Ragusa, e di Vittoria; ed al pari di questo sono le medesime grasse, e profonde, e rendono, mediante l'incomparabile beneficio dell'irrigazione, gran copia di canapa, e di piante oleracee, con immenso profitto dei proprietarj, ed anche dei fittajuoli. Il prezzo di questi fertilissimi luoghi è presso a poco l'istesso, che quello di somiglianti siti in Ragusa, ed in Vittoria; ed il fitto mezzano di tutti i poderi dell'intiero contado, esclusi i bonificati, e considerati i soli lavorabili, e pascolabili si calcola non so con quanto fondamento più di once quattro di salma di Palermo.
    I Bestiami, che quivi si trovano, sono della medesima razza di quelli di tutta la Contea; e come per tutto in essa, si tengono serrati con assai di risparmio, e di profitto in chiusure di pietre di una conveniente estensione. Ragioneremo poco di sotto della loro quantità, per quanto ci è riuscito di saperne dietro le più diligenti ed accurate investigazioni; e di presente solo avvertiamo, che la pastorizia di Modica si stima per ogni rispetto inferiore a quella, onde poco prima abbiamo fatto l'elogio, intendo parlare di Ragusa.
    Benchè nei terreni di Modica si semini proporzionatamente molto di biade, tuttavia gli alberi piuttosto vi abbondano, e specialmente i Carubbi, e le Vigne. I primi, nei passati tempi allorchè tale frutta era richiesta, e valeva, apportavano a quei coltivatori un ragguardevole guadagno; e le altre si sperimenterebbero assai più lucrose, ed utili, che di fatti non sono, se il vino non riuscisse quasi sempre aspro, ingrato, e difficilissimo a conservarsi. L'ignorante volgo afferma, e pertinacemente sostiene, che questo è il naturale, e l'inevitabile effetto del clima, e della terra; ma basta di essere istruito nelle più elementari massime di agricoltura per credere tutto il contrario, e persuadersi, che dal suolo, e sotto il cielo modicano si farebbero piacevoli, e durevoli vini quando nella formazione delle vigne si adoperassero pochi, ed opportuni vitigni, l'uva si tagliasse ben matura, la fermentazione del mosto si recasse a compimento prontamente, e senza interruzione, ed il vino si riponesse, e governasse giusta le più lodevoli regole dell'arte.
    È opinione di molti dentro, e fuori Sicilia, che le viti tocche dalla crudele gragnuola per tre anni non danno alcuno, o piccolissimo frutto. Diversi esempj fanno vedere la falsità di sì fatta credenza, e tra gli altri quello della campagna di Modica nel 1805, che si fece una raccolta di vino forse la più copiosa a memoria d'uomo, ancorachè l'anno precedente fussero state le viti danneggiate replicatamente, e pressochè distrutte da questa sterminatrice meteora.
    Modica non ha molto commercio, e si accordano tutti nel dire, che l'agricoltura, comparativamente a qualche altra popolazione della Contea, non è in quell'onore, e perfezione, che potrebbe, e dovrebbe essere. Io non voglio decidere, che ciò sia una conseguenza delle tante preminenze, e privilegj, dei quali ha sin da tempi antichissimi goduto in qualità di capitale di tutta quella ricca Baronia; ma non posso tacere il fatto, che ivi non poche persone parlano, e si occupano meno di campagne, e coltivazioni, e più di Grancorti, di cause, di giurisdizioni, di toghe, di cappelle reali, di alabardieri ec. Dico inoltre, che ad alcuni perspicaci osservatori i costumi del paese sembrano alterati alquanto, e contaminati da quello spirito contenzioso, torbido, e diffidente, ch'è proprio della Curia, e che non va molto d'accordo con la fatica, e l'industria. Alla verità vivono colà e sopra la malvagità, e la discordia degli uomini più dottori, e causidici, che in una dozzina di altre somiglianti città dell'Isola; e tanta, e cotale gente, possibile non è, che non abbia una qualche influenza sopra le idee, gli andamenti, e le operazioni di tutti quegli abitatori. Del resto, senza troppo moralizzare, interessandomi solamente di quel che è, e che ho io stesso osservato, sinceramente narro, che alle mie interrogazioni di agricoltura, e di economia, quasichè potessero esser fatte a cattivo intedimento, quivi si rispose da diversi con poca franchezza, e con molta riserva, ed ambiguità; e che l'Amministradore fu, più che altrove annojato, importunato, tormentato da pretensioni, da brighe, da denunzie, e da memorabili, ed accusazioni anonime. Aggiungo poi di essere stata buona ventura per qualcheduno, quella che il Magistrato, umano, e prudente qual'è, avesse lette, e trattate cotali carte con quel disprezzo, e detestazione, che meritavano; cosicchè un giorno, che una in mano ne teneva piena di rabbiosa malevoglienza contro il Proconservadore, rivolto a me disse: "Tutto va bene in questo mondo ottimo; noi per questi tristi maldicenti, e raggiratori, e per queste infami macchinazioni lasceremo Modica con minor dispiacere, che altrimenti non faremmo, per gli eccellenti, ed onestissimi uomini, che vi abbiamo conosciuti, e gli egregi favori, dei quali siamo stati da tutti ricolmati". Che tuttavia affermar si potesse dei costumi privati di taluni Modicani, è cosa indubitata, che i pubblici non sono che poco biasimevoli; dappoichè, per testimonianza dei Parrochi, dei Magistrati, e dei più eminenti Cittadini, il decoro e la decenza si rispetta, e si apprezza; l'avarizia, la violenza, l'oppressione non sono molto frequenti: ed alberga bastante quiete, e pace tra le famiglie di ogni ceto, e specialmente tra le nobili, e le ricche, dacchè sono cessate, o almeno si è fatta tregua trale due fazioni di S. Giorgio, e di S. Pietro, le quali laceravano un tempo tutta la Città; e la riempivano di dissensioni, d'inimicizie, e di odj implacabili.
    La nostra dimora in Modica fu di tre giorni circa, ed il dì 29 ci accommiatammo, e femmo nostri ringraziamenti al Signor Nicastro, ed a tutti gli amici, e conoscenti per le tante gentilezze, che ne avevamo ricevute, ed al tenore del piano del nostro viaggio, procedemmo a Scicli. La strada, e la campagna compresa tra Modica, e Scicli è quasi dell'istessa qualità, e tenore, che quella di sopra descritta, e contenuta tra Ragusa, e Modica. Mirammo con effetto nell'una, e nell'altra vaghe piantagioni, nobili e vistosi animali vaccini, e per la natura del suolo appariscenti e ricchi seminati di ogni sorte; e solo a poche miglia da Scicli vedemmo con nostro dolore alcuni campicelli di fave, non che danneggiate, ma inaridite totalmente, e morte dal reo succiamele. Domandai, se mai nulla quivi praticar si soleva per rimovere, o minorare le crudeli devastazioni di questa orribile erba; e non ne cavai altre risposte, che quelle dei soliti errori, e pregiudizj, salvo che intesi, che il Signor Pietro Polara un anno salvò l'anzionominato legume dalle rovine della micidiale Lupa per mezzo di non so quali insignificanti compensi, e sopra tutto con averne ritardata la seminazione sino al mese di Dicembre. Un tale esperimento, comechè manchevole, ed incloncludente, merita tuttavia buona considerazione; ed io son persuaso, che ove si trovasse una varietà di fave, la quale seminar si potesse in Sicilia di Febbrajo, o di Marzo, si renderebbero queste immuni, ugualmente che i Ceci, e le Cicerchie, dagli attacchi dell'Orobanche: perciocchè pare ormai dimostrato, che esso germogliare non può, che almeno due mesi appresso il nascimento della pianta baccellina, a spese della quale viver deve; e quando la terra è molto inzuppata di umidità, quel che possibile non è di verificarsi nel bel mezzo della primavera.
    Noi non eravamo presso che ancora entrati in Scicli, che la lodammo: "Mirate, mi andava dicendo nella lettica il Cavalier Tommasi, queste belline casette, queste allegre, e ben selciate strade; guardate la lindatura nel vestire di questi uomini, e l'eleganza in quello di queste donne: e più di tutto contemplate il giudizioso contegno, e discrezione di questo popolo, che ci riceve, ed onora affettuosamente, e senza quei fracassi, e schiamazzi, che si son fatti in qualche altro luogo". Ma io gli feci considerare, che in queste sensazioni poteva aver parte qualche cosa, che altrove non piacque, e che probabilmente dava luogo a qualche odiosetta comparazione; e nel resto fummo pienamente d'accordo, che un giudizio schietto assolutamente, libero, ed imparziale è per l'impero delle passioni forse la più difficile di tutte le operazioni dell'umano intendimento.
    Fummo albergati in Scicli in un quartiere voto della casa del Segreto; e la conversazione, che vi si raccolse la sera, fece una vivace, e splendida comparsa, per la copia delle ragguardevoli persone, che là si recarono a visitare l'Amministradore, e che furono raccolte dal Barone Beneventano in pulite, e ben illuminate stanze, e con-venevolmente trattate, con sorbetti, e piacevolissimi liquori di più sorti. Erano esse tutte all'ultima moda, e di-cevolmente vestite; parlarono poco, e sempre a voce bassa; e nei loro portamenti nulla mostrarono di affettato, d'indiscreto, e di provinciale. Io mi compiacqui di trovare tanto grado di lusso, o piuttosto di ricchezza, di educazione, di urbanità in una città dell'isola, che si considera d'un ordine poco rilevato; ed abbracciai, e discorsi con particolar diletto col modesto, e garbatissimo Cavalier Penna, che aveva per lettere conosciuto, e col costumato, e cortese Lucifora, che era stato in Agricoltura mio affezionatissimo discepolo.
    La cena poi fu pulitamente disposta, animata da calorosi vini, ed abbondante di saporite vivande, tra le quali finissimi pesci di fiume, e di mare. E malgrado questo il Conservatore mangiò poco, e punto non si rallegrò, e come ci ritirammo nella camera, che ci fu per dormire a tutti e due assegnata, essa parve a lui, ed a me malagurosa, e trista. Questi ovati padiglioni cremisi, che ricuoprono i nostri letti, non sono essi perfette immagini di un avello?... Queste finestre non ci rappresentano esse qualche cosa di nicchie sepolcrali?... E questa volta, e questo smorto lumetto non ci dice di esser noi in una catecomba?... E siamo noi quà venuti per far conoscenza, e menar parole con le ombre di questi trapassati bambini, i cui ritratti spensolano sopra le nostre teste?... Tali, e somiglianti facezie, e piacevolezze noi ridendo dicevamo, senza che avessimo mai immaginato, che dovessero essere funesti presagi di una notte infelice, che ci soprastava; e nella quale il Conservadore ebbe cocente febbre, ed aspre ansietà di stomaco, e convulsioni. A niuno di noi, o della nostra gente fu concesso anche per un sol momento di riposare; si temette una malattia più seriosa di quella che per avventura era: e non si calmarono i sospetti, e le inquietudini nostre, che il seguente giorno, quando ci fu annunziato dai due ottimi medici Signori Peralta, e Polara, che il caso non era di alcun momento, ma che la prudenza richiedea, che ci fossimo ridotti in un luogo di miglior aria qual si è Modica, subito che lo stato dell'ammalato l'avrebbe permesso.
    Questo sciagurato incidente dispiacque acerbamente a tutta la popolazione, e maggiormente ai gentiluomini, ed alle dame, che per le feste, le quali si erano già disposte, avevano fatte loro provvisioni, per gareggiare in pompa, ed in eleganza con quelle di Modica, e di Ragusa. Il Cavaliere pertanto non uscì pressochè mai di casa, ed a mala pena poco tempo impiegò per alcune più importanti bisogne di sua amministrazione; ed io non senza particolare industria, giunsi ad accrescere, e migliorare le notizie sopra quella città, e suo territorio che aveva messe insieme alcuni anni addietro: ed a tal uopo e vidi e m'informai con estrema diligenza di tanto, che ad ogni modo mi riuscì possibile. Visitai pure qualche principale casa, e nominatamente quella del Duca di S. Lorenzo, che ha signorile aspetto, ed un vago giardinetto, nel quale l'amabile sorella del Duca la Signora Francesca mi fè vedere una pianta di mortella, che era cresciuta e vivea sopra il pedale di una vite; ed inoltre quella assai pulita del Barone Penna, dove egli, e la colta, e costumata Baronessa, e la loro scelta compagnia mi trattennero piacevolmente qualche ora, e mi diedero sopra il paese diverse utili relazioni.
    Scicli nel totale è piuttosto graziosa. Perché cinta da colline vestite leggiadramente di alberi, e la maggior parte siede in pianura, ed è ornata da alcune strade, le quali essendo bastantemente larghe, nette ed acconciamente selciate si possono dir belle in una città di provincia. La piazza, o mercato dei bestiami, e la nobile strada carrozzabile ivi incominciata, non meno che i prossimi vivacissimi orti, e pomarj formano un prospetto veramente delizioso; e dalle finestre de' Cappuccini un quadro di tutti quei contorni si presenta all'occhio dell'osservatore, che in punto di venustà può essere da pochi in tutta quella contrada pareggiato. Oltre di che non vi si desiderano, proporzionalmente al rango della popolazione, alcuni notabili edifizj, e tempj, e particolarmente S. Bartolomeo, e S. Maria la Nova, che non ha guari è stato ristorato, ed i, più vago stato ridotto dall'attuale Consultor del Governo Troysi. E quì non posso, per amor della verità, e della giustizia passar sotto silenzio quello , che tutti quivi confessavano e lodavano; cioè che questo intelligente, umano, ed onoratissimo Ministro non solamente si è conentato di abbellire l'anzidetta Chiesa, ma ha inoltre introdotti più lodevoli modi nel governo, ed uso delle rendite dell'Opera; ed ha voluto con savio provvedimento, che i legati pei matrimonj nel luogo istesso si pagassero, onde fussero le legatarie liberate dal peso di dar quelle gravose mance, ed incerti, che erano obbligate prima di sommibistrare agli ingordi agenti, allora quando in Palermo si distribuivano.
    Si considera Scicli, come emula per ricchezza di Ragusa; e tra gli ottanta preti, che vi si trovano, v'è tanta copia di Canonici, di Proposti, di altre dignità, che i Forestieri, i quali colà si portano, sono avvertiti di chiamar Canonici tutti i Preti, che incontrano, per piena sicurezza di non offenderne alcuno. I viveri vi abbondano, e sono di buona qualità, specialmente le carni, i pesci, i caci, gli ortaggi; ed il clima è dolcissimo, ma poco sano in estate, per ragione di alcune acque stagnanti, e della macerazione della canapa. I colori però, e le complessioni degli abitanti non sono generalmente molto gentili; al contrario degli occhi, che per lo più sono vivaci, e delle fisionomie, che ordinariamente sono significative.
    Sono un SICILIANO e Amo la mia terra, ma sono convinto che per vincere la Battaglia Siciliana dobbiamo sostenere il federalismo Italiano.E non sostenendo quei nulla facenti di anarchici.

 

 

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