Orania, una città per i nostalgici dell’apartheid
Viaggio in Sudafrica nell’enclave per soli bianchi: «La Costituzione ci protegge. Presto saremo migliaia»
Ad esempio: nel resto del Sudafrica, ormai da 8 anni, l'apartheid non c’è più; qui, invece, vivono solo bianchi boeri, immigrati da ogni angolo del Paese, 600 in tutto: «Ma siamo soltanto i primi, vedrete». E poi: in Sudafrica, risuonano 11 lingue ufficiali, con uguali diritti; qui, solo l' afrikaans . E ancora: in Sudafrica, sventola la bandiera multicolore di Nelson Mandela; alle finestre di qui, i vessilli bianco-arancioni della vecchia nazione boera. Insomma, come dice placido il dottor Stryda: «Abbiamo dichiarato l'indipendenza. La Costituzione ci protegge. Altri verranno, a migliaia. Anzi, a centinaia di migliaia. Chiunque è il benvenuto: meno i comunisti, gli atei, i terroristi, chi si sbronza per strada. Questo, in tutto il Paese, è l'unico luogo senza criminalità: e così deve restare. La pelle, la religione? Be’, un musulmano o uno zulù da noi non si troverebbe a suo agio, prima dovremmo spiegargli certe nostre regole». E l'obiettivo finale? «Un sogno: allargare la nostra striscia di terra libera. Un giorno, la nostra nazione arriverà fino all'Oceano Indiano». Ma, per ora, arriva soltanto ai recinti di acciaio, e a quel cartello sul lavoro che libera l'uomo. Non a Hopetown, la città nera che sta a mezz'ora d'auto (ancora Stryda: «Con quelli teniamo buoni rapporti, anche se loro non ci amano»). In compenso, i proclami di Orania echeggiano lontano da qui, e seminano preoccupazione. Giungono fino a Pretoria e Johannesburg, dove nelle ultime settimane sono finiti in carcere una ventina di «Lupi bianchi», attivisti dell'estrema destra: avevano quasi una tonnellata di esplosivi, sono accusati di aver collocato le bombe d'autunno a Soweto (in ottobre: due morti di colore) e di aver preparato altri attentati per le feste natalizie: le prime bombe dovevano scoppiare oggi, lunedì, anniversario di una celebre battaglia ottocentesca dei boeri contro gli zulù. Fra loro, secondo gli investigatori, vi sarebbero anche ex ufficiali dell'esercito; con un progetto: provocare una reazione fra i neri, la guerra civile. Per questo, anche se finora non è stato accertato alcun legame, la polizia tiene discretamente d'occhio anche il «sogno» di Orania.
Eccolo, in un pomeriggio polveroso: un pugno di case sulla riva del fiume Orange, proprio dove cent'anni fa inglesi e boeri si scannavano; prati verdi con le gazzelle, file di meloni, e ortaggi bio-organici; poi 4 strade in croce dominate da una collina con sopra una statua scura scura che guarda in giù: il monumento a Hendrick Verwoerd, fondatore dell'apartheid, portato fin qui da Pretoria, dove ormai i ragazzini lo avevano trasformato in bersaglio e in vespasiano. «L'apartheid non ha funzionato», spiega oggi uno come Stryda, «non ha funzionato, ci ha portato cattiva pubblicità». Tutto qui. «Mandela? Non un gran leader. Però l'uomo giusto al momento giusto, questo sì».
La storia di Orania è roba di famiglia. Verwoerd aveva una moglie, Betsie. E una sua figlia aveva sposato un certo Carel Boshoff, professore e teologo della chiesa riformata olandese, cioè di quella che per decenni è stata considerata dai razzisti come una «balia» ideologico-mistica. Caduto l'apartheid, Boshoff e compari cercarono una loro terra promessa. La trovarono qui, «dopo una ricerca molto attenta». I requisiti c'erano: zona isolata e spopolata, acqua, terreni da comprare. E c'erano anche delle case, abbandonate dagli operai di una centrale elettrica. Boshoff e amici comprarono, ristrutturarono, formarono una società privata che oggi sostituisce il consiglio comunale. Irrigarono, piantarono noccioli e frutteti, portarono le mucche: «Siamo quasi autosufficienti; ma facciamo tutto noi, niente manodopera nera: perché l'errore dell'apartheid è stato proprio quello di far lavorare altri al posto nostro». Intorno, c'è solo la distesa del Karoo: rocce nere, antilopi, legioni di struzzi, le lapidi delle battaglie anglo-boere. Un giorno si trasferì a Orania anche Betsie Verwoerd, è morta a 92 anni nel 2000. Nel '98, in un suo giro di riconciliazione fra i vecchi leader sudafricani, venne a trovarla Mandela: arrivò con l'elicottero, atterrò vicino al monumento a Verwoerd e non seppe trattenersi: «Come, lui era così piccolo?».
Accanto alla statua, oggi, ci sono le prime tombe del paese: senza neppure una croce, la gente di qui spiega che è «per via del vento». Ci sono però altre voci, su una setta boera paganeggiante, e su una sua versione della Bibbia in cui i neri sono una specie sub-umana. «Tutte storie. Troppi pregiudizi, contro di noi», spiega Elizabeth Van Der Berg, co-direttrice (con il marito) della «Scuola del Popolo» dove si studia «secondo la parola di Dio e la cultura afrikaans ».
Accanto alla scuola, un piccolo supermercato. Poi le file di villette, un pensionato che passeggia: «Quando stavo a Jo'burg, avevo paura di uscire». Due modellini bianchi di cannoni occhieggiano dal prato di una casa. Nell'alberghetto locale, ci sono quadri che raccontano le battaglie contro gli zulù. Nei bagni, perfino la carta igienica ha una sua custodia di stoffa rossa ricamata.
Tutto sembra voler trasmettere l'idea dell'ordine assoluto. Perfino in una fattoria lì accanto, dove i polli «aiutano» l'ortolano secondo un metodo importato dall'Australia: prigionieri per settimane sotto un reticolato a campana, becchettano e scavano sempre negli stessi punti, preparando il terreno per le piante.
Loro, i polli, sotto la rete. Intorno, le casette di Orania. E, intorno alle casette, quell'altra rete più vasta.
Luigi Offeddu
Esteri
Terra e libertà per il Boerevolk!