Crisi delle nascite La Germania fa sul serio

Da noi invece ci si continua a baloccare con il «vorrei ma non posso»

Gianfranco Marcelli

Pressappoco nelle stesse ore in cui l’Istat certificava, per l’ennesima volta, il desiderio degli italiani di avere più figli di quanti effettivamente riescono a farne (ne vorrebbero circa due terzi in più), dalla Germania sono giunte nuove sorprendenti conferme alla linea decisamente "natalista" del governo di Berlino. È passata appena una settimana dal varo dell’"Elterngeld", il provvedimento con il quale l’esecutivo di Angela Merkel introdurrà, dal 1° gennaio prossimo, un sostanzioso "bonus bebè" per i neo-genitori, papà compresi, che decidono di restare un anno a casa per accudire i figli (fino a 1.800 euro al mese). E già tra i partiti e sui giornali si discute una nuova rivoluzionaria ipotesi di tassazione delle famiglie: estendere il metodo dello "splitting" ai figli, ripartendo il reddito anche tra loro.

Spiegazione essenziale: lo "splitting" è il metodo in base al quale in una famiglia monoreddito, dove cioè lavora un solo coniuge, le entrate si dividono ugualmente a metà tra marito e moglie. Con la conseguenza che l’aliquota dell’imposta scende e il nucleo finisce per pagare meno di un "single" che incassa la stessa cifra. Al fisco tedesco questo sistema costa circa 20 miliardi di euro l’anno, che restano quindi nella disponibilità dei contribuenti. È lampante che, suddividendo ancora di più la quota tassabile con l’entrata in scena dei figli, le soglie di imposizione scenderebbero ulteriormente e le coppie avrebbero un incentivo in più ad accogliere nuove nascite.
Il dibattito in corso in Germania, pur distratta dall’evento planetario dei mondiali di calcio, è già piuttosto avanzato, perché la Cdu, il partito del Cancelliere, ha inserito il progetto nell’agenda della commissione che deve elaborare il programma per le elezioni del 2009. Sono intervenuti gli esperti giuridici, che hanno escluso ostacoli costituzionali all’operazione.

I partiti hanno cominciato a pronunciarsi, facendo registrare per ora i no di socialdemocratici e liberali e le forti perplessità dei bavaresi della Csu. Tanto che si profila un possibile scontro "domestico" tra la Merkel ed Edmund Stoiber, il leader cristiano-sociale. Insomma, se ne parla sul serio. E quel che più conta, si va al nocciolo delle questioni, senza ideologismi da quattro soldi né divagazioni pseudoculturali. Per esempio, la corrente favorevole avanza una considerazione molto concreta e "laica": è giusto o no che i costi sociali per far crescere figli, destinati in futuro a pagare le pensioni di quelli che non ne vogliono avere, siano sostenuti in parte anche da questi ultimi?

Discussione davvero istruttiva se vista dalla Penisola. Specialmente con gli occhi di quei milioni di madri e di padri che, con i loro redditi apparentemente "medi" o magari "medio-alti", subiscono accurate tosature fiscali. E così contribuiscono, certo senza saperlo, a finanziare corposi sconti ai veri "ricchi" che acquistano polizze pensionistiche detraibili. O a versare contributi a partiti e sodalizi vari, che consentono di abbattere l’imponibile anche a chi guadagna euro a milioni. Intendiamoci, niente di male a incentivare il risparmio previdenziale o a supportare l’attività di soggetti essenziali al confronto democratico e, ancor più, di realtà che animano il protagonismo sociale.

Ma bisognerà pur ricominciare a stilare un criterio ragionevole di priorità. Perché anche in Germania hanno un problema di finanze pubbliche, di una torta tutt’altro che dilatabile all’infinito. E la stessa Cancelleria non ha esitato qualche giorno fa a stangare i consumi aumentando l’Iva dal 16 al 19 per cento. Ma lì ci si è resi conto che, a lungo andare, senza nuove nascite la torta sarà via via più striminzita. E dunque si provvede.

Da noi invece ci si continua a baloccare, nel migliore dei casi, all’insegna del "vorrei ma non posso". E così potremo sempre di meno.

(L'Avvenire)