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tziku
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Indipendentisti
La condanna: mai più in Sardegna
«A nome del popolo sardo, è arrivata l'ora di agire». Il leader indipendentista dell'Irs, Gavino Sale, salta con un guizzo su un termosifone della sala Sciuti del Palazzo della Provincia di Sassari, durante i lavori del Consiglio, raggiunge il busto del re Vittorio Emanuele II che campeggia in fondo all'aula, e lo oscura coprendolo con le bandiere della Sardegna e dell'Irs.
Prima però, quasi per non contaminare le insegne dei sardi, isola la statua con una busta della spazzatura.
Vendetta è fatta. O meglio, appena iniziata. Le lacrime di Marina Doria non hanno commosso gli indipendentisti. Troppo pesanti gli insulti del marito, il principe Vittorio Emanuele, contro i sardi. Ladri, puzzolenti e amanti, in tutti i sensi, delle capre.
Insulti resi pubblici dalle intercettazioni telefoniche della magistratura di Potenza, impegnata a capire il ruolo di Sua Altezza in un complicato intreccio di prostituzione, tangenti e finta beneficenza. Scuse rispedite al mittente quindi, e mittente rispedito oltre Tirreno: «Vittorio Emanuele e la sua discendenza non mettano più piede sul suolo e sulle acque territoriali sarde», ammonisce Sale con una requisitoria degna di Giò Maria Angioj, «che nessun sardo ospiti sia in terra sia in mare i rappresentanti della famiglia reale italiana». Sale termina il suo blitz, e cede ai funzionari di sala che liberano il busto di Vittorio Emanuele dall'assedio delle bandiere sarde.
Chiede scusa per avere interrotto i lavori del Consiglio, e davanti al presidente Enrico Piras diventato ormai paonazzo nel tentativo di bloccare il Che di Banari, «la smetta, lei così offende le istituzioni», lancia il suo ultimo avviso ai Savoia: «Noi lo diciamo da tempo, ma adesso i tempi sono davvero maturi per rimuovere tutti i simboli dell'oppressione sabauda».
E il monumento a Vittorio Emanuele, al centro di piazza d'Italia inizia a vacillare. [...] Vincenzo Garofalo (Unioneonline) 24/06/2006
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