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    Predefinito Xx Giugno 1859 - Xx Giugno 2006

    Oggi a Perugia si festeggia l'anniversario dell'ultima grande rivolta contro lo stato pontificio...dedicato a tutti quelli che vorebbero tornare all'Italia pre-unitaria, pura espressione geografica e vero terzo mondo alla periferia di Europa....


    XX GIUGNO 1859 - PER NON DIMENTICARE



    Nella foto: il Grifo di Perugia che calpesta la Tiara Pontificia, scultura posta nell'odierno Borgo XX Giugno.

    Tratto da una poesia di John Greenleaf Whittier (poeta americano di metà '800, notevole per le sue poesie contro la schiavitù), intitolata "From Perugia": "Cos'è questo stridore di pifferi e battito di tamburi? Guarda - gli Svizzeri della Chiesa tornano da Perugia, angeli militanti che con la sciabola ribadiscono le missive del buon Padre e i 'lo dice Iddio!' ai malcontenti, maledetti e aborriti, e prestano alla sua logica la punta della spada... Eccoli lì, pugnalatori mercenari, il sangue ancora fresco schizzato come vino rosso dal loro raccolto di carne umana..."

    Che diavolo era successo, a Perugia? E' il 14 giugno del 1859. Ottocento
    giovani perugini sono già partiti per il Nord, volontari nella guerra
    d'indipendenza. Alle undici di mattina, "tra le acclamazioni della folla che gremiva il Corso", un gruppo di liberali "s'inoltrarono decisamente nel palazzo dei Priori" per comunicare al delegato apostolico "che Perugia voleva essere una città italiana e che si sarebbe staccata dal Papa qualora questi non intendesse aiutare Vittorio Emanuele e Napoleone a cacciare gli austriaci dalla penisola" (Uguccione Ranieri, Perugia della bell'epoca). Il delegato apostolico lascia la città, senza colpo ferire. Arrivata la notizia a Roma, il segretario di stato cardinale Antonelli ordina alle truppe svizzere, duemila uomini al comando del colonnello Schmidt, di marciare su Perugia. Ci vogliono cinque giorni di marcia. I soldati papalini si fermano a Narni: "nelle osterie si erano mostrati allegrissimi alla notizia che Perugia, anziché arrendersi, si preparava a difesa. Schmidt infatti per incoraggiare i suoi a marciare aveva promesso... il saccheggio della città. I mercenari discutevano addirittura della lunghezza del periodo di saccheggio... e ai narnesi esterrefatti spiegavano: 'A Perugia stare tutti priganti'" (Ranieri).
    Arrivano a Perugia la mattina del 20 giugno. Gli insorti sono poco più di un
    migliaio, hanno archibugi da caccia e 400 fucili, in parte inservibili, arrivati da
    Arezzo (Perugia è una città di confine, accanto alla liberale Toscana). Resistono sulle mura e sulle porte, poi nelle strade strette, nelle case, sui tetti. Ci sono i primi morti. Il contingente pontificio infine entra in città, "inferocito per la imprevista resistenza dei perugini e imbaldanzito dalla vittoria" (Luciano Radi, 20 giugno 1859). Piove furiosamente, le strade sono deserte, c'è il rischio dei cecchini; i saccheggiatori hanno fretta. I soldati del Papa irrompono nel Monastero di San Pietro, non trovano bottino e si sfogano devastando l'archivio e la biblioteca. Invadono i negozi e le case, la gente gli tira tegole dei tetti e qualche colpo di fucile, loro sparano indiscriminatamente alle finestre, ci sono altri morti e feriti, "per lo più donne". "I soldati cominciarono ad assaltare i portoni delle case rimasti chiusi ed, entrati, fecero scempio di cose e persone.
    Alcuni che coraggiosamente si opposero alle rapine degli oggetti più preziosi e cari, furono selvaggiamente aggrediti ed uccisi. Visto che i negozi degli artigiani e dei commercianti non erano in grado di arricchire il loro bottino, passarono ad incendiarli. Fu il finimondo". Un episodio fra tanti: "la casa del fabbro Mauro Passerini, cittadino di eccellente reputazione, fu saccheggiata, e Passerini stesso e sua moglie Carolina, furono barbaramente assassinati, come pure Candida, cognata del Passerini, che abitava là vicino" (H. Nelson Gay, in Archivio Storico del Risorgimento Umbro, 1907). Il cappellano delle truppe pontificie riferì "con entusiasmo" che "i nostri soldati massacravano quanto trovavano in queste case". Giuseppe Porta, segretario del comune, va per negoziare sventolando una bandiera bianca, ed è abbattuto a fucilate. Alla fine, il conto dei cittadini uccisi è di ventisei. I feriti sono innumerevoli, i danni incalcolabili.
    "Il sentimento [del cardinale] Antonelli alla prima notizia della repressione dell'incipiente rivoluzione in Perugia, era stato di pura e semplice contentezza. Il Papa, 'onde manifestare la somma sua soddisfazione' aveva immediatamente promosso il colonnello Schmidt, che comandava gli svizzeri pontifici vincitori, al grado di generale di brigata" (Nelson Gay). La soddisfazione del cardinale Antonelli e del Papa è guastata da un incidente diplomatico. In un albergo di Perugia soggiorna in quel momento una famiglia americana, i Perkins, che sta facendo il classico grand tour europeo; quando gli svizzeri vi fanno irruzione uccidendo il proprietario e un domestico, i Perkins vengono malmenati, derubati, minacciati.
    Sarebbero stati tutti massacrati, scriverà poi il nuovo delegato apostolico, se un soldato di nome Conrad Wellauer non si fosse messo in mezzo dicendo che era da vigliacchi uccidere delle donne.L'aggressione agli stranieri fa uscire la
    vicenda dai confini dello Stato Pontificio: se ne parla sul Times, diventa un caso diplomatico, l'America la prende a cuore. Gli Stati Uniti democratici sono
    fortemente critici verso i governi dispotici europei, e sono assai attenti alla
    sicurezza dei loro cittadini all'estero (più di una volta, ne faranno casus belli coi loro vicini).
    Dopo una prima risposta arrogante, il cardinale Antonelli si affretta perciò a risarcire i Perkins e chiudere il caso. Un anno dopo, arrivando a Perugia, la scrittrice francese Louise Colet nota che per strada si vedono solo "mendicanti, soldati svizzeri e austriaci, preti e monaci" e l'unica voce è
    quella di un sergente che impartisce ordini in tedesco. "Ogni giorno," annota, i soldati papalini "insultavano i cittadini, tutto era pretesto per le loro brutalità"; infastidiscono le ragazze, picchiano chi porta i baffi in fogge sovversive, si scontrano con i pochi carabinieri italiani che non hanno disertato per unirsi alla lotta per l'indipendenza (Alberto Sorbini, Perugia nei libri di viaggio dal Settecento all'unità d'Italia). L'ordine è tornato a Perugia, come scrisse il Giornale di Roma, "con soddisfazione dei buoni il Papa, PIO IX, che promosse generale il colonnello Schmidt è lo stesso che è stato promosso beato nell'anno del giubileo.

  2. #2
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    Onore Agli Eroi Del Xx Giugno 1859!!!!!

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da Biordo Visualizza Messaggio
    Oggi a Perugia si festeggia l'anniversario dell'ultima grande rivolta contro lo stato pontificio...dedicato a tutti quelli che vorebbero tornare all'Italia pre-unitaria, pura espressione geografica e vero terzo mondo alla periferia di Europa....


    XX GIUGNO 1859 - PER NON DIMENTICARE



    Nella foto: il Grifo di Perugia che calpesta la Tiara Pontificia, scultura posta nell'odierno Borgo XX Giugno.

    Tratto da una poesia di John Greenleaf Whittier (poeta americano di metà '800, notevole per le sue poesie contro la schiavitù), intitolata "From Perugia": "Cos'è questo stridore di pifferi e battito di tamburi? Guarda - gli Svizzeri della Chiesa tornano da Perugia, angeli militanti che con la sciabola ribadiscono le missive del buon Padre e i 'lo dice Iddio!' ai malcontenti, maledetti e aborriti, e prestano alla sua logica la punta della spada... Eccoli lì, pugnalatori mercenari, il sangue ancora fresco schizzato come vino rosso dal loro raccolto di carne umana..."

    Che diavolo era successo, a Perugia? E' il 14 giugno del 1859. Ottocento
    giovani perugini sono già partiti per il Nord, volontari nella guerra
    d'indipendenza. Alle undici di mattina, "tra le acclamazioni della folla che gremiva il Corso", un gruppo di liberali "s'inoltrarono decisamente nel palazzo dei Priori" per comunicare al delegato apostolico "che Perugia voleva essere una città italiana e che si sarebbe staccata dal Papa qualora questi non intendesse aiutare Vittorio Emanuele e Napoleone a cacciare gli austriaci dalla penisola" (Uguccione Ranieri, Perugia della bell'epoca). Il delegato apostolico lascia la città, senza colpo ferire. Arrivata la notizia a Roma, il segretario di stato cardinale Antonelli ordina alle truppe svizzere, duemila uomini al comando del colonnello Schmidt, di marciare su Perugia. Ci vogliono cinque giorni di marcia. I soldati papalini si fermano a Narni: "nelle osterie si erano mostrati allegrissimi alla notizia che Perugia, anziché arrendersi, si preparava a difesa. Schmidt infatti per incoraggiare i suoi a marciare aveva promesso... il saccheggio della città. I mercenari discutevano addirittura della lunghezza del periodo di saccheggio... e ai narnesi esterrefatti spiegavano: 'A Perugia stare tutti priganti'" (Ranieri).
    Arrivano a Perugia la mattina del 20 giugno. Gli insorti sono poco più di un
    migliaio, hanno archibugi da caccia e 400 fucili, in parte inservibili, arrivati da
    Arezzo (Perugia è una città di confine, accanto alla liberale Toscana). Resistono sulle mura e sulle porte, poi nelle strade strette, nelle case, sui tetti. Ci sono i primi morti. Il contingente pontificio infine entra in città, "inferocito per la imprevista resistenza dei perugini e imbaldanzito dalla vittoria" (Luciano Radi, 20 giugno 1859). Piove furiosamente, le strade sono deserte, c'è il rischio dei cecchini; i saccheggiatori hanno fretta. I soldati del Papa irrompono nel Monastero di San Pietro, non trovano bottino e si sfogano devastando l'archivio e la biblioteca. Invadono i negozi e le case, la gente gli tira tegole dei tetti e qualche colpo di fucile, loro sparano indiscriminatamente alle finestre, ci sono altri morti e feriti, "per lo più donne". "I soldati cominciarono ad assaltare i portoni delle case rimasti chiusi ed, entrati, fecero scempio di cose e persone.
    Alcuni che coraggiosamente si opposero alle rapine degli oggetti più preziosi e cari, furono selvaggiamente aggrediti ed uccisi. Visto che i negozi degli artigiani e dei commercianti non erano in grado di arricchire il loro bottino, passarono ad incendiarli. Fu il finimondo". Un episodio fra tanti: "la casa del fabbro Mauro Passerini, cittadino di eccellente reputazione, fu saccheggiata, e Passerini stesso e sua moglie Carolina, furono barbaramente assassinati, come pure Candida, cognata del Passerini, che abitava là vicino" (H. Nelson Gay, in Archivio Storico del Risorgimento Umbro, 1907). Il cappellano delle truppe pontificie riferì "con entusiasmo" che "i nostri soldati massacravano quanto trovavano in queste case". Giuseppe Porta, segretario del comune, va per negoziare sventolando una bandiera bianca, ed è abbattuto a fucilate. Alla fine, il conto dei cittadini uccisi è di ventisei. I feriti sono innumerevoli, i danni incalcolabili.
    "Il sentimento [del cardinale] Antonelli alla prima notizia della repressione dell'incipiente rivoluzione in Perugia, era stato di pura e semplice contentezza. Il Papa, 'onde manifestare la somma sua soddisfazione' aveva immediatamente promosso il colonnello Schmidt, che comandava gli svizzeri pontifici vincitori, al grado di generale di brigata" (Nelson Gay). La soddisfazione del cardinale Antonelli e del Papa è guastata da un incidente diplomatico. In un albergo di Perugia soggiorna in quel momento una famiglia americana, i Perkins, che sta facendo il classico grand tour europeo; quando gli svizzeri vi fanno irruzione uccidendo il proprietario e un domestico, i Perkins vengono malmenati, derubati, minacciati.
    Sarebbero stati tutti massacrati, scriverà poi il nuovo delegato apostolico, se un soldato di nome Conrad Wellauer non si fosse messo in mezzo dicendo che era da vigliacchi uccidere delle donne.L'aggressione agli stranieri fa uscire la
    vicenda dai confini dello Stato Pontificio: se ne parla sul Times, diventa un caso diplomatico, l'America la prende a cuore. Gli Stati Uniti democratici sono
    fortemente critici verso i governi dispotici europei, e sono assai attenti alla
    sicurezza dei loro cittadini all'estero (più di una volta, ne faranno casus belli coi loro vicini).
    Dopo una prima risposta arrogante, il cardinale Antonelli si affretta perciò a risarcire i Perkins e chiudere il caso. Un anno dopo, arrivando a Perugia, la scrittrice francese Louise Colet nota che per strada si vedono solo "mendicanti, soldati svizzeri e austriaci, preti e monaci" e l'unica voce è
    quella di un sergente che impartisce ordini in tedesco. "Ogni giorno," annota, i soldati papalini "insultavano i cittadini, tutto era pretesto per le loro brutalità"; infastidiscono le ragazze, picchiano chi porta i baffi in fogge sovversive, si scontrano con i pochi carabinieri italiani che non hanno disertato per unirsi alla lotta per l'indipendenza (Alberto Sorbini, Perugia nei libri di viaggio dal Settecento all'unità d'Italia). L'ordine è tornato a Perugia, come scrisse il Giornale di Roma, "con soddisfazione dei buoni il Papa, PIO IX, che promosse generale il colonnello Schmidt è lo stesso che è stato promosso beato nell'anno del giubileo.
    Citazione Originariamente Scritto da Biordo Visualizza Messaggio
    Onore Agli Eroi Del Xx Giugno 1859!!!!!
    Grande Biordo !

    Viva l'Italia Unita !

  4. #4
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    Predefinito Re: Xx Giugno 1859 - Xx Giugno 2006

    Citazione Originariamente Scritto da Conterio Visualizza Messaggio
    Grande Biordo !

    Viva l'Italia Unita !
    https://www.perugiatoday.it/attualit...-racconto.html

    20 GIUGNO 1859 | Il racconto, con testimonianze inedite, degli eroi-martiri perugini: libertà, tricolore e unità d'Italia

    Marco Saioni ha raccontato magistralmente quel 20 giugno 1859, supportata da testimonianze inedite, raccolte da Giuseppe Bellucci a 40 anni dai fatti, intervistando alcuni protagonisti di quei giorni. Una storia drammatica ed eroica allo stesso tempo proposta in forma narrativa per immortalare la sequenza di vicende occorse alla città nel suo percorso verso l'affrancamento dal dominio pontificio. Buona Lettura.

    *************************

    di Marco Saioni

    Dalle vie più cupe della città, echeggiavano le note di una canzone, quasi un inno. Fu composto nel 1848 sull’onda dei moti rivoluzionari. Celebri i versi, dal tono marziale con retrogusto zombie: “Si scopron le tombe, si levano i morti, I martiri nostri son tutti risorti…” Ma molti perugini e umbri non si limitavano a cantare. In tanti raggiunsero Torino, dove Garibaldi organizzava i Cacciatori delle Alpi. Altra musica, stavolta quella struggente della partenza: “Addio, mia bella, addio, l'armata se ne va; se non partissi anch'io sarebbe una viltà”. Il movimento aveva ormai anche la sua colonna sonora.

    Benché isolata dal resto del mondo, sotto il giogo pontificio da secoli, Perugia annusava il vento che spazzava la penisola. Del resto il farmacista Annibale Vecchi, attorno al quale si era coagulato un consistente numero di mazziniani, intratteneva rapporti diretti con il fondatore della “Giovine Italia”. Il clima politico che caratterizzò le ferventi fasi del Risorgimento alimentò le insurrezioni dei territori sottomessi alla Santa Sede. Analogamente ad altre città, anche i liberali perugini, guidati da Francesco Guardabassi, ritennero così opportuno che anche la principale città dell’Umbria si disponesse a fare altrettanto. Il 14 giugno 1859 una delegazione formata dal Guardabassi, Nicola Danzetta e Zeffirino
    Faina, in testa ad un vortice di tricolori e grida di dimostranti, si avviava verso il palazzo del Delegato pontificio.

    Fu proprio Antonio Luschi, in una testimonianza raccolta da Giuseppe Bellucci, quarant’anni dopo quei fatti, a ricordare le parole di Danzetta: “Anch’io mi trovai fra costoro, perché la mattina di quel giorno, incontrandomi con Giuseppe Danzetta alla Farmacia Tei, mi disse: trovati a mezzogiorno sotto il palazzo delegatizio e tieni pronto il fucile”. Non si sparò un colpo. Fu sufficiente che la delegazione richiedesse ai ministri papali la loro abdicazione, in nome del popolo insorgente, cosa che facilmente ottennero. La sera del 14 giugno 1859 Perugia aveva già il suo governo provvisorio e un proclama affisso che spiegava le ragioni del ribaltone. Certamente il Governo pontificio non poteva tollerare un simile atto di ribellione. Ipotesi inquietanti sull’imminente arrivo di truppe in soccorso del deposto governo erano pertanto ritenute piuttosto realistiche.

    Il tempo non giocava a favore degli insorti, ben consapevoli che la difesa della città affidata a fucili per i tordi, e non si era in guerra con loro, sarebbe stata cosa dura. Il Governo provvisorio, dal canto suo, si dava da fare inviando Nicola Danzetta da Cavour e compulsando il telegrafo. Urgente invio di rinforzi, stop. Ma da Torino solo elogi e incoraggiamenti. Da Arezzo, forse, dei fucili. Perugia doveva cavarsela da sola. Tutti quelli in grado di sparare con qualcosa erano arruolati. Si presentarono in seicento. Una truppa sgangherata e attempata, mitigata da qualche decina di adolescenti. Notte lunga quella di domenica 19 giugno, specialmente per armaioli e fabbri. Quei cinquecento fucili promessi erano infatti arrivati, ma pochi avrebbero sparato senza quell’affaccendarsi su molle, percussori e otturatori. “Armi e munizioni furono stipati nei magazzini in via della Gabbia e nel negozio di cappelleria del Pagnacca.”

    Frattanto si erigevano barricate. I frati di San Pietro misero insieme dei tavoloni a protezione della porta di San Costanzo. A guarnire l’accesso di San Girolamo ci pensarono diciotto olmi, sistemati a barriera. Dagli spalti del Frontone le canne dei fucili scrutavano l’area sottostante coltivata a grano. Da quella direzione, con ogni probabilità, sarebbero arrivati, sotto una pioggia sferzante che almeno avrebbe rallentato l’artiglieria. Ore tre pomeridiane. La pioggia incessante spargeva odore di lago. Silenzio di voci e chiasso di rondini volteggianti sotto un cielo di piombo. Uomini imbevuti, dita aggrappate ai grilletti, occhi incollati in puntamento.

    Romeo Bartoccioli, capomastro, sguardo incorniciato da zampilli di rughe, tormentava il cane del suo fucile. Un ferro datato da maneggiare con pazienza, ma ancora efficace. Che si facesse avanti la soldataglia mercenaria. Quei cento metri tra lui e loro sarebbero stati un calvario, almeno finché avesse avuto piombo. Fu un sospiro di vento a recare il rullo di tamburi. Poi il rosso di centinaia di calzoni spavaldi provenienti da Ponte S.Giovanni invase la via acclive. Erano tanti. Troppi. Ma l’orgoglio perugino prevalse. La prima scarica procurò un vuoto nella prima linea. Grida di feriti e scompiglio. Fu un rapido appiattirsi a terra. La spavalderia virò subito in cautela. Molti si fecero scudo della chiesa di S.Costanzo, altri s’immersero, ventre a terra, tra le spighe ingiallite. Quella promessa di pane dicono si nutrì di sangue.

    Eugenio Sabatini, affilato come un barracuda, centellinava colpi ben mirati col suo Stutzen, un’arma di precisione austriaca. Certi sbuffi cremisi che talvolta evaporavano sulle le teste dei nemici certificavano l’efficacia dei colpi. Anche Nino Vitiani dispensava piombo col suo schioppo da caccia caricato a palla. Benché la canna liscia non concedesse accurate traiettorie, furono in tanti a cadere. La controffensiva non tardò. Dispostisi in un ampio ventaglio, gli assedianti iniziarono la manovra di accerchiamento. Il sibilo delle palle non turbava più di tanto i patrioti. Ma la situazione mutò alla notizia che il nemico era penetrato all’interno dell’abbazia. La ritirata e l’estrema difesa al riparo della porta San Pietro fu l’ultima, disperata carta da giocare. Scambio feroce di colpi con gli svizzeri, taluni posizionati sul campanile, da dove bersagliavano la posizione. Schegge di legno e chiodi schizzavano dalla porta, tormentata dal piombo. “Romeo era una furia e per tirare usciva in posizione sdraiata e si ritirava per ricaricare, solo quando non gli porgevano altri fucili”.



    La maschera del Turreno, Rosi, detto Cucchiaroli, indicava a Luschi i bersagli meno visibili. “Sta attento che c’è uno Svizzero che viene in mezzo alla strada a tirare e poi ritorna nel vicolo. Luschi stette in attesa e quando comparì lo Svizzero, gli tirò e vide cadere in mezzo alla strada, da cui non si rimosse.” Sebbene al riparo della porta, Rosi fu raggiunto da una palla all’inguine, fuoriuscita dal legno. Fu il chirurgo Blasi a salvarlo. Altri difensori caddero feriti o uccisi. Bisognava arretrare verso il centro. Lingue fiammeggianti sventolavano, frattanto, da molte finestre del borgo. La battaglia era finita. La città subì la feroce rappresaglia, nota come strage di Perugia, con ventisei morti tra i civili inermi. Una risposta a quei i roghi allestiti fuori città che sembra avessero bruciato decine e decine di cadaveri dai calzoni rossi. Tredici mesi. Questo il tempo che separò l’eroica impresa dei patrioti perugini dall’ingresso dei bersaglieri, il 14 settembre 1860.


 

 

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