Gli uomini del Carroccio hanno comprato un casinò in Croazia. Per valorizzare un investimento turistico di Bossi e amici. Poi l’hanno venduto: ma i compratori sono stati arrestati dall’Fbi
di Gianni Barbacetto
POLA (CROAZIA).
La Croazia non porta fortuna alla Lega nord. Prima è miseramente fallito un investimento turistico fatto dagli uomini di Umberto Bossi a Salvore, sulla costa croata, a pochi chilometri dal confine italiano. E ora due brutti arresti fatti dall’Fbi in California mettono la parola fine all’avventura di alcuni dirigenti leghisti che avevano addirittura comprato un casinò a Pola.
La campagna croata di Bossi comincia nell’ottobre 1998, quando un’allegra brigata di italiani mette insieme qualche milione per acquistare un villaggio turistico in costruzione in località Alberi a Salvore, la punta istriana che si allunga sullo splendido golfo di Pirano. Il progetto è appetitoso: 14 ettari di area edificabile, sei palazzine, 180 appartamenti, piscine, ristoranti, campo da golf, porticciolo privato. Il tutto a mezz’oretta di macchina dall’Italia, comodamente raggiungibile da Trieste.
Skiper Residence: questo il nome del sogno. Ma sono i nomi degli aspiranti proprietari italiani ad attirare l’attenzione: Maurizio Balocchi, tesoriere della Lega e oggi sottosegretario all’Interno; Edouard Ballaman, commercialista svizzero diventato segretario amministrativo del Carroccio nonché deputato eletto in Friuli-Venezia Giulia e questore della Camera; Stefano Stefani, oggi sottosegretario alle Attività produttive; Giancarlo Pagliarini, ex ministro e oggi assessore al Comune di Milano; Enrico Cavaliere, architetto di Mestre che in Croazia è di casa, ma che è anche presidente del Consiglio della Regione Veneto (è la sua Archimedia Engineering a progettare il villaggio).
Meno noto, in politica, il nome di Manuela Marrone: ma i fan del Senatur sanno bene che si tratta di sua moglie, la signora Bossi. L’elenco degli «amici» è più lungo: sono 114 italiani che per sbarcare in Croazia si mettono insieme, acquistando la società Ceit di Montegrotto Terme, in provincia di Padova: «Ma la Lega non c’entra niente, e non c’entra la speculazione», protesta Pagliarini, «era solo un investimento di pochi milioni a testa tra amici, per avere una casetta al mare».
Fatto sta che la Ceit di Montegrotto rileva, con un prestito ipotecario di due milioni e mezzo di euro, la Kemco, la società croata con base a Umago che sta costruendo lo Skiper Residence: l’investimento previsto è di oltre 100 miliardi, il più grosso mai visto in quel tratto di costa. Peccato che a un certo punto tutto si inceppi. Perché gli amiconi della Lega hanno davvero messo nell’affare soltanto pochi soldini, mentre è una banca a sopportare il grosso del peso finanziario: la Hypo Alpe Adria Bank, sede a Klagenfurt, in Austria, con azionista di maggioranza (52 per cento) la Regione Carinzia, cioè il suo governatore Jörg Haider.
Mentre il quotidiano La Padania, controcorrente rispetto all’Europa, inanella parecchie affettuosità giornalistiche nei confronti di Haider, la Ceit accende una serie di mutui (fino al valore complessivo di 12 milioni di euro) con la filiale croata della Hypo Alpe Adria Bank. In più, contrae debiti salati con le aziende fornitrici croate e le amministrazioni pubbliche locali. Risultato: la banca austriaca, preoccupata per la sorte dei suoi prestiti, chiede alla Ceit di restituire i soldi. L’avvocato della banca in Croazia, Goran Veljovic, dichiara al Corriere della sera: «A un certo punto ci siamo accorti che i nuovi mutui che ci venivano chiesti servivano soltanto a pagare i vecchi».
Gli amiconi italiani cadono dalle nuvole, perché loro tutti quei soldi non li hanno. In più, si mettono di mezzo anche le amministrazioni locali croate, che rivolgono agli italiani alcune contestazioni urbanistiche. I cantieri si bloccano, la società non può commercializzare gli appartamenti, nuovi soldi non arrivano. Nel dicembre 2001 i leghisti cercano di coinvolgere le banche italiane (Unicredit e Sanpaolo), premendo perché si accollino il debito contratto con la Hypo Alpe Adria Bank, mentre sulla questione si mette al lavoro il tribunale commerciale di Zagabria, che sforna un paio di sentenze, sfavorevoli agli italiani.
«Io sono uscito dall’affare», dice a Diario l’ex ministro Pagliarini, «spero che mi restituiscano i soldi che ho messo all’inizio. Altri sono restati, per vedere come andrà a finire. Di più non so...». Ma le ferite dell’avventura Skiper non sono ancora rimarginate, che in Croazia per gli uomini di Bossi già si profila all’orizzonte un guaio anche peggiore, con tanto d’intervento dei detective americani dell’Fbi.
SECONDO ATTO. Gli amici del Carroccio avevano pronta l’arma segreta per risolvere il problema Skiper: una licenza per gestire un casinò. Poter aprire una casa da gioco dentro il complesso turistico, ecco la mossa vincente per valorizzare l’investimento e attirare capitali. Così i più attivi tra i leghisti coinvolti nell’affaire residence di Salvore – tra loro Edouard Ballaman, Maurizio Balocchi, Enrico Cavaliere – si danno da fare per impossessarsi di una licenza croata per i tavoli verdi. Puntano gli occhi sul Casinò Histria di Pola, inserito nel complesso dell’Hotel Histria che è il quattro stelle più lussuoso della città. Ogni casinò, in Croazia, ha una doppia licenza: così, conquistato l’Histria, la Lega ha la possibilità di far funzionare roulette, chemin de fer, baccarat e slot machine anche a Salvore.
L’Hotel Histria, in verità, è proprietà di un altro gruppo di italiani, gli imprenditori veneti dell’Europa Tourist Group, che gestisce, tra l’altro, alcuni alberghi a Bibione e che in Croazia controlla l’Arena Tourist, l’impresa turistica più importante di Pola. Ma l’Arena Tourist ha la proprietà dell’immobile che ospita il casinò, mentre la gestione è della Santex, una società che ha la speciale licenza croata per le case da gioco e che paga l’affitto all’Arena Tourist. E chi c’è dietro la Santex? Proprio il gruppo di italiani, autorevoli dirigenti e parlamentari della Lega, coinvolti nell’avventura Skiper.
Gli amici di Bossi, dunque, sono diventati proprietari di un casinò. Sui giochi la Lega comincia ormai a farsi un piccolo know how, visto che Ballaman ha varato anche una società che gestisce alcune sale bingo, la Bingo Net (al 65 per cento di Balocchi, il resto diviso tra quattro soci, tra cui il presidente Enrico Cavaliere e l’ex deputato leghista Roberto Faustinelli).
Gli affari, però non vanno bene. Il bingo non è la miniera d’oro che molti (anche a sinistra) speravano. E i casinò al di là del confine orientale dell’Italia, in Slovenia e Croazia, si moltiplicano e si fanno concorrenza. In più, Bossi e amici nel 2001 approdano a Roma ed entrano nel governo di Silvio Berlusconi. Diventa imbarazzante che ministri e sottosegretari italiani siano coinvolti in un business giudicato a rischio: mentre il ministro dell’Interno denuncia nei suoi rapporti che nei casinò permangono pericoli di riciclaggio, il suo sottosegretario Balocchi è tra i gestori di un casinò oltre confine...
Il gruppo del Carroccio decide dunque di vendere rapidamente la Santex e risolvere così ogni problema finanziario e di opportunità politica. Ma invece i guai si moltiplicano. I compratori del casinò Histria, infatti, si fanno sotto, presentati da un mediatore locale, Bozivar Vukasovic, con casa a Trieste. Sono quattro americani: Moshe Leichner, suo figlio Zvi Leichner, Amotz e Nili Frenkel. La trattativa per la cessione del 75 per cento della società che gestisce il casinò di Pola (il restante 25 per cento appartiene a una misteriosa società irlandese) ha qualche momento di tensione, perché i compratori tirano sul prezzo e cercano di non pagare la seconda tranche. «Ma alla fine», dice a Diario il mediatore Vukasovic, «tra venditori e compratori è stato raggiunto un accordo».
Peccato però che i Leichner, padre e figlio, a febbraio (come rivelato dal settimanale croato Imperijal) siano stati arrestati per truffa dall’Fbi, con l’accusa di aver sottratto oltre 77 milioni di dollari a un centinaio di persone che avevano loro affidato i soldi perché fossero investiti sul mercato dei cambi. Anche i Frenkel sono sotto inchiesta negli Stati Uniti per reati societari. Si conclude così, con un disastro dietro l’altro, la campagna croata di Bossi