A Cannes critici e invitati hanno già visto il titolo più atteso
«Il Codice da Vinci» accolto gelidamente alla prima proiezione
Neanche un applauso al thriller «anti-cristiano» Qualche fischio isolato e una risata di scherno

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

CANNES — I critici e gli invitati che hanno riempito ieri sera al Festival la prima proiezione mondiale de Il Codice da Vinci hanno mostrato soprattutto, dopo due ore e 32 minuti di proiezione, apatia e indifferenza: nessun applauso e qualche stanco e isolato tentativo di fischio. Eppure tutto qui a Cannes parla di Leonardo: il Palazzo del cinema è pieno di Gioconde, con occhi socchiusi, rose all'orecchio, volti da gatto, in omaggio all'attesissimo enigma del Codice che stasera aprirà con un gala la rassegna e uscirà poi urbi et orbi venerdì. Sono già tutti qui: il regista Ron Howard, l'ex ragazzino di Happy days e il cast italo-americano del kolossal, dal prof. di Harvard Tom Hanks alla criptologa Audrey Tautou, dal commissario dell'Opus Dei Jean Reno allo straordinario Paul Bettany, l'ex killer gelido, ignudo e convertito che si flagella col cilicio e uccide i depositari del segreto.

SNOBBATI — Nessuno finora aveva visto il film di cui si attende un successo planetario, nessuna visione privata neanche in America, tutti i critici snobbati. Misure di sicurezza in tempi di pirateria: le 800 copie che invaderanno le sale italiane viaggiano protette dalle guardie del corpo della Sony. Il titolo dei record. Il libro di Dan Brown, ex professore d'inglese e pianista, ha venduto dal 2003 ben 50 milioni di copie nel mondo, e in Italia la Mondadori ne calcola 3 milioni e mezzo. Anche il Louvre, dove muore all'inizio il nonno della Tautou in posa da uomo leonardesco, pensa di aumentare grazie al film i visitatori, 7 milioni e 300mila nel 2005.
Il thriller dagli effetti speciali digitali leonardeschi è appassionante e molto divertente, ti fa sentire prima confuso e poi esperto di cose teologiche, ma urge non prenderlo troppo sul serio su queste faccende che appaiono tuttavia assai studiate.L'andamento è hitchcockiano: il povero Tom Hanks che, come Cary Grant o Jimmy Stewart, si trova in faccende molto più grandi di lui, un intrigo internazional-spirituale con fuga in auto e in aereo e alcuni intermezzi brevi, quasi subliminali, di scene da peplum storico romano.

I DUBBI — E se Hitch in un film giocava sul doppio senso di «chappel», qui è «pope» a portare fuori strada i nostri eroi, sempre a Londra. Ma l'elemento straordinario è che il thriller che vanta un planetario gradimento tratta non di sesso ma dei quadri di Leonardo, di dispute teologiche, guerre di religione, del concilio di Nicea, dei Templari e inietta il dubbio sulla mortalità di Gesù che, comprovata, sarebbe un bel rischio per il potere religioso. E poi l'Opus Dei (che parla col rantolo soffuso, quindi per il cinema è cattiva) e il Sacro Graal che sarebbe la Maddalena all'Ultima Cena, che sposò Gesù e da qui i discendenti, etc, arrivando a Leonardo e Newton e a un aggeggio con 12 milioni di possibilità che decifra lettere e iscrizioni, mappe e tombe criptiche.

SACRO GOSSIP — Dal sacro gossip viene l'intelaiatura complessa e action del racconto da 125 milioni di dollari (uno tondo al Comune di Parigi per girare dentro al Louvre, e con una Monna Lisa falsa), ora sotto il tiro degli anatemi della Chiesa: era dai tempi della Dolce vita che non si prometteva l'inferno per un film. A meno che, consiglia l'Opus Dei, chiamata direttamente in causa (il capo è il nostro attore Francesco Carnelutti), non si fosse specificato nei titoli di testa che «ogni riferimento alla realtà è puramente casuale».

Infatti in sala è scoppiata una risata quando Hanks dice alla Tautou: «Ma allora tu sei l'ultima discendente di Cristo?». Non era l'unico a non crederci.

Maurizio Porro
17 maggio 2006




17/05/2006 A Cannes l’anteprima del film sul best seller di Dan Brown. Con polemica Il Codice da Vinci senza segretiDALL’INVIATO A CANNES Titta Fiore Lampi di luce nel Louvre, scalpiccio di passi, un corpo nudo riverso nella posizione dell'Uomo vitruviano di Leonardo. Eccolo, finalmente, «Il Codice da Vinci» proiettato ieri in anteprima mondiale alla stampa di Cannes. Nei panni del protagonista Tom Hanks è più magro del solito, ha i capelli lunghi e l'aria da professorino saccente. Audrey Tautou sfoggia un’espressione attonita da eterna «Amélie», il poliziotto Jean Reno picchia duro, il monaco albino Paul Bettany uccide con trasporto e con trasporto si fustiga a sangue. </I></B>SEGUE A PAGINA 23 ===>

Ecco «Il Codice» un’anteprima senza suspense

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA TITTA FIORE Dura due ore e mezza, il film dei film, la sala è piena e attenta, ma la storia che nel best-seller di Dan Brown si annunciava mozzafiato non procura brividi e alla battuta chiave di Hanks a Tautou («sei tu l'ultima discendente di Gesù Cristo») molti ridono. Alla fine gli appassionati del romanzo rimpiangono il ritmo e la suspense della pagina scritta, fra Templari, Priorato di Sion, Santo Graal e Opus Dei i più distratti non si raccapezzano. Resta, tra le cose carine, la definizione che Jean Reno dà della meravigliosa piramide di cristallo che si staglia davanti al Louvre: «Un foruncolo su Parigi». In compenso, non c'è angolo di Cannes che non sia invaso dal «Codice da Vinci». Il sorriso di Monna Lisa ammicca dalle vetrine delle strade più eleganti, dalle facciate degli alberghi più ricercati, dalle fiancate degli autobus, dai vagoni della stazione ferroviaria. Proprio qui, al culmine di una strategia mediatica senza precedenti, organizzata dalla Sony come una campagna elettorale all'ultimo voto, è arrivato nel tardo pomeriggio il cast stellare del film. Il regista Ron Howard e i suoi attori hanno scelto un mezzo scenografico per sbarcare in forze sulla Croisette, un intero treno ad alta velocità, il mitico Tgv francese che da Londra li ha scarrozzati fino in Provenza. A bordo le tv di tutto il mondo. All'arrivo folla di fans, ressa, traffico impazzito. Un viaggio da guinness dei primati, si capisce. Come ogni cosa che riguardi «l'operazione Codice». Tutto è gigantesco, colossale, esagerato, intorno a questo film che oggi apre il cinquantanovesimo festival: i costi (125 milioni di dollari di budget), le location esclusive (anche nel Louvre, ma solo di martedì quando il museo è chiuso al pubblico, per un milione di dollari tondo), l'investimento pubblicitario tentacolare, l'uscita a tappeto in tutte le sale del pianeta (ottocento solo in Italia, ma non a Vinci, il paese di Leonardo, sprovvisto di cinema e perciò immune dal contagio), le polemiche furibonde, meglio se preventive. Succede, per «Il Codice da Vinci», quello che è accaduto per «La passione di Cristo» di Mel Gibson: il rilancio continuo dello scontro teorico, il muro contro muro filosofico, la condanna aprioristica. Nessuno ha visto, ma tutti ne parlano, alcuni con evidente e vera competenza dottrinale, altri perché è come sempre irresistibile il desiderio di prendere parte a un dibattito mediatico tanto alla moda. Gilles Jacob, il delegato generale di Cannes, raffinato intellettuale che non disdegna i meccanismi del mercato, lo spiega a chiare lettere: avrebbe avuto un senso, per il festival più importante del mondo, trascurare il film più importante dell'anno? Quindi il direttore che ha preso il suo posto alla guida della rassegna, Thierry Fremaux - conclude - aveva di fronte due possibilità: «Accettarlo rispettando tutte le richieste della produzione o rifiutarlo, ma poi avrebbe dovuto fare fronte all'esplosione mediatica del fenomeno». Dopo aver superato senza danno un'accusa di plagio davanti all'alta corte londinese, e intascato pare 350 milioni di dollari in diritti, l'ex insegnante con la passione del thriller Dan Brown assiste in sapiente silenzio al dibattito suscitato dal suo romanzo. Da buon comunicatore, sa da sempre quel che i nostri politici hanno scoperto relativamente tardi: che le polemiche, sincere o indotte che siano, rappresentano un formidabile moltiplicatore d'interesse. Prima del film, il suo «Codice da Vinci», pur vendendo quarantasei milioni di copie, tre e mezzo solo in Italia, era stato accettato dal mondo della cultura con curiosità e sostanziale distacco. Ora è al centro di uno scontro che si fa ogni giorno più aspro. E se l'Opus Dei, descritta nel libro come un'organizzazione sinistra, decide di replicare alle accuse aprendo le porte del Centro di formazione professionale della prelatura, l’Elis di Roma, non sono pochi gli ecclesiatici dei paesi più diversi pronti a boicottare, a chiedere il sequestro di «una colossale impostura», di un film che rivela essere il Santo Graal non la coppa che raccolse il sangue di Gesù ma la Maddalena, sposa del Nazareno e madre dei suoi figli. Robusto regista di blockbuster, ma privo di quel bagaglio teorico da ex seminarista che permise a Scorsese di affrontare da par suo la battaglia su «L'ultima tentazione di Cristo», il premio Oscar Ron Haward assiste vagamente preoccupato all'escalation del caso. Convinto di aver girato un onesto thriller, si trova ora suo malgrado al centro di una polemica internazionale. Anche se la domanda cruciale, alla fine, resta sempre la stessa: al botteghino «Il Codice da Vinci» funzionerà?






Cannes: pochi applausi per il Codice da Vinci
17/05/2006 23:19 - ANSA
Proiezione ufficiale con il cast presente in sala

(ANSA) - CANNES, 17 MAG - La proiezione ufficiale de 'Il Codice da Vinci', all'apertura del Festival di Cannes, ha ricevuto pochi applausi. E' stato quindi confermato il giudizio della stampa. Meno di un minuto di applausi hanno accolto il film di Ron Howard, che durante la proiezione ha ricevuto anche qualche risata. Una reazione davvero rara per un film tanto atteso, in una proiezione ufficiale, con in sala quasi l'intero cast del film, tratto bestseller di Dan Brown.



Abbiamo visto a Cannes il film delle polemiche
che si prepara a invadere i cinema del mondo
Codice da Vinci senza applausi

Più noia che scandali



Oggi apre la 59ma edizione della rassegna francese

La prima mondiale del kolossal dal libro di Brown


Tom Hanks e Audrey Tatou
all'arrivo a Cannes

di NATALIA ASPESI
CANNES - "Credi che Gesù abbia fatto l'amore con Maria Maddalena?". "Non dico questo. Dico solo che la Chiesa non è autorizzata a imporci il suo credo". "Ma tu pensi che Gesù avesse un'amante?". "Anche se fosse vero, cosa ci sarebbe di male?". Dialogo se non blasfemo almeno perdigiorno tra Audrey Tautou, in arte crittologa, occhioni neri perennemente terrorizzati, forse perché sospettata di discendere addirittura dalla peccatrice Maria Maddalena, e Tom Hanks. Lui, nel ruolo inedito di intellettuale muscoloso, sapiente in quanto maschio oltre che professore di simbologia.

Si inaugura con la massima pompa mediatica il 59º Festival del Cinema ed ecco finalmente "Il Codice Da Vinci" in versione megafilm, che si dispiega miracolosamente in tutti i suoi interminabili 148 minuti per i primi assetati spettatori qui al Festival (fra due giorni ovunque), in sulfureo stile Belzebù: dopo mesi e mesi di cabale ed enigmi, crociate e prediche, misteri e confessioni, eresie ed alchimie, misteri e inquisizioni, e consuete, almeno sino a tre secoli fa, condanne al rogo.


Buio minaccioso nella Grande Galleria del Louvre, lancinanti lampi di luce su capolavori (non quelli veri ma le riproduzioni di un abile copista cui potrebbe aprirsi una grande carriera di falsario), "La vergine delle Rocce" di Leonardo, "La morte della vergine" del Caravaggio, il correre di passi disperati, tu-tum tu tum come i battiti del cuore degli spettatori bonaccioni, di uno che si aspetta una coltellata nella schiena: e invece gli arriva un proiettile nello stomaco e chiunque dei probabili cento milioni di lettori del thriller esoterico sa già chi è l'assassino.

Bello comunque vederlo in carne ed ossa cinematografiche, ancor più sinistro di come uno se lo aspetti: mantellone fratesco con cappuccio, carnagione cadaverica, pupilla rossastra, niente sopracciglia, cicatrice sulla guancia: se dovesse mai esistere un'Associazione Albini e Ipopigmentati, dovrebbe unirsi alle richieste di boicottaggio di alcune personalità del Vaticano, della Chiesa Greca Ortodossa e dell'Opus Dei, contro la mancanza di riguardo del regista Ron Howard, che visto il successo diabolicamente miliardario del romanzo di Dan Brown (figuriamoci un libro, oggetto oggi desueto, che rende ricchi, qui Satana ci cova!) si è ben guardato dal ripulirne gli ormai celebri oltraggi.

Ieri sera è arrivato qui un treno carico di star del codice vinciano, lo stempiato professor Robert Langdon (Hanks), la sexycrittologa Sophie Neveu (Tautou), l'autoflagellante assassino Silas (Paul Bettany), il poliziotto antipatico Capitano Fache (Jean Reno), il mefistofelico vescovo Aringarosa (Alfred Molina) oltre al regista Howard e allo scrittore con il più dovizioso conto in banca del mondo, Brown. Itinerario di stile papale, tra folle plaudenti, ma anche benefico, almeno per le ferrovie anglofrancesi: in quanto si trattava del viaggio inaugurale della nuova linea commerciale Londra-Cannes che non poteva avere una più trionfale pubblicità: il treno si chiamerà naturalmente Da Vinci e il tempo per i nobili viaggiatori è servito a rilasciare alle televisioni di tutto il mondo un nuovo milione di interviste dopo i milioni degli ultimi mesi, e quelle presumibili di oggi.

Gli eroi de "Il Codice da Vinci" hanno dimostrato ancora una volta come, a dispetto dell'offesa ma signorile (poche rimostranze per non avvantaggiare i reprobi) Opus Dei, qui trattata come una specie di associazione a delinquere, il loro film può essere una grandiosa Opera Pia.

Infatti: editoria in fibrillazione con centinaia di titoli pro e contro e parodie, (anche "Il codice Perdinci!" e "Il codice Stravinci") giochi interattivi, tarocchi, puzzle: moda pronta che propone per l'inverno il mantello con cappuccio Silas in puro cachemere con cintura a nove code, Armani che lancia mediante signorina misteriosa con in mano un non criptico marchio, "un parfum, un code, un secret", l'acqua minerale Sant'Anna che offre ricchi premi Giocondi e Vinciani a chi risolve certi misteri attribuiti da sempre, e anche da Brown&Howard, all'Ultima Cena leonardesca.

Monumenti decrepiti diventati meta di curiosi, viaggi organizzati alla ricerca di simbologie astruse, di segreti dei templari e di stermini di catari. In più il film, più che il libro, arriva in un momento di fervore religioso cristiano sia ufficiale (vedi in Italia Ruini&Pera&Anatema contro i Pacs), sia esoterico, vedi New Age e le tante sette che soggiogano creature più devote del previsto. Crescono i predicatori che riempiono le megachiese con i loro sermoni contro il film non ancora visto e distribuendo iPod caricati con commenti apocalittici e invito alla preghiera e alla penitenza.

Ma non tutto il male viene per nuocere, da un certo punto di vista; infatti ci si aspetta soprattutto dalle scene di autoflagellazione, un vistoso aumento degli autoflagellanti, un salto nella vendita dei cilici, una corsa ad essere accolti tra i numerari (in convento come Silas), e sovrannumerari (a casa loro) dell'Opus Dei, il cui fondatore, lo spagnolo Josè Maria Escrivà fu ardente sostenitore del regime di Franco e fatto santo nel 2002 da Giovanni Paolo II: degli 86 mila augusti membri fa parte anche il ministro inglese degli affari regionali Ruth Kelly, che dovrebbe occuparsi dei diritti dei gay, tenendo conto che la sua fede poco libertina li condanna senza scampo.

Nel 1988 a "L'ultima tentazione di Cristo" di Scorsese, considerato un film blasfemo, andò malissimo al botteghino. Invece nel 2004, un film esageratamente pio sino all'eresia come "La Passione di Cristo" dell'integralista Mel Gibson, piacque moltissimo e guadagnò nei soli Stati Uniti 370 milioni di dollari. "Il Codice da Vinci", che è costato 125 milioni di dollari, pare destinato per la sua peccaminosità a incassi siderali seguiti da penitenze anche durissime. Gran festa questa sera in onore del filmone, per i suoi divi più mille invitati di varia notorietà più altrettanti imbucati, sotto un tendone nero costruito accanto al porto, ovviamente a forma di piramide, tanto per non allontanarsi dalla tradizione misterica.

(17 maggio 2006)