L'alleato dimenticato del corpo: una breve difesa della mortificazione corporale.
Articolo pubblicato su Crisis - Luglio 2005 con il titolo The Body’s Forgotten ally: A Brief Defense of Corporal Mortification
Michael Giesler
E' una domanda interessante. Leonardo indossava un cilicio o usava una disciplina? Sebbene non menzionato nel romanzo di Dan Brown, Il Codice Da Vinci - con la sua bizzarra e fuorviante descrizione della mortificazione corporale - e riconoscendo a Leonardo un certo fervore religioso, è possibile che egli usasse qualcuno di questi mezzi di mortificazione corporale.
Il cilicio, una cinghia acuminata portata intorno alla gamba, deriva in realtà dell'antico cilicio (nr: una veste di peli di animale, ruvida e scomoda) originario della Cilicia in Asia Minore. Fu usato per molti secoli nella chiesa medievale e rinascimentale come mezzo per purificare i sensi, per espiare i peccati e ottenere grazie per altri. Così era anche la disciplina, una frusta di cordicelle per colpire la schiena, a imitazione della flagellazione di Cristo alla colonna. Un contemporaneo di Leonardo, S. Tommaso Moro, indossava un cilicio sotto il suo abito da Lord Cancelliere d'Inghilterra. Egli usava anche la disciplina.
Mortificazione è un termine sgradevole all'orecchio contemporaneo. Per molti ha vagamente a che fare con "l'essere imbarazzati" - ma evoca anche dolore, umiliazione e persino crudeltà. Questo è veramente sorprendente: ciò che non è compreso spesso produce shock e incredulità. Nel nostro mondo pieno di tensione, incertezza e stress psicologico, perché una persona sana dovrebbe accettare un'ulteriore afflizione?
Nonostante tutto questo, la mortificazione volontaria ha una forza enorme sia per il corpo che per l'anima. Il rinnegamento di sé aiuta a vincere la debolezza sia psicologica che fisica, dà energia interiore, aiuta a crescere in virtù e, infine, conduce alla salvezza. Essa vince gli insidiosi demoni della fiacchezza, del pessimismo e della tiepidezza nella fede che oggi dominano nelle vite di così tante persone.
A differenza degli estremi del sadomasochismo, la mortificazione corporale si basa su una visione sana dell'uomo e del mondo che lo circonda, cioè, che tutti noi siamo imperfetti e abbiamo la tendenza al peccato. La pratica stessa risale ai tempi biblici e trova la sua più grande espressione nel sacrificio di Cristo sulla croce.
Ma la mortificazione corporale non è limitata ai cristiani. La maggior parte delle religioni attraverso i secoli ha riconosciuto la necessità di sacrifici efficaci, anche sanguinosi, per placare il divino. A volte questi sacrifici erano profondamente immorali - vedi l'offerta che gli Aztechi facevano del cuore delle loro vittime umane ai loro idoli. Altri riguardavano grandi digiuni, come il Ramadan nel mondo musulmano; oppure elaborati riti di purificazione insieme al sacrificio di certi animali, come hanno fatto gli ebrei per secoli prima del 70 d.C. Ci sono anche molti passaggi nelle Scritture che parlano di indossare il sacco e cospargersi di cenere per ottenere favori e il perdono dei peccati. Il messaggio delle varie pratiche è il medesimo: ciò che vale in questa vita non si ottiene senza sacrificio e sofferenza.
Il mondo postmoderno facilmente tollera la pratica della sofferenza quando riguarda lo sport e il benessere fisico. Molti ammirano coloro che riescono a mantenere un regime di rigorose diete ed esercizi. Altri sopportano dolorose e costose operazioni per aggiungere qualche anno alla loro vita. Altri trovano degno digiunare e faticare per giorni per promuovere nobili cause sociali, come la solidarietà con i gruppi discriminati. Tuttavia siamo diventati stranamente ciechi di fronte al grande beneficio spirituale della mortificazione e del sacrificio per amore di Dio e della propria anima.
Non possiamo incolpare di questo interamente la cecità o l'egoismo individuale. Da quasi 400 anni il mondo occidentale è infettato dalla malattia filosofica del soggettivismo, che incoraggia le persone a valutare le loro percezioni riguardo ciò che è oggettivamente vero. Il risultato finale è che Dio e i Suoi comandamenti sono stati rimodellati in base alle opinioni che l'uomo ha di Lui, non in base all'opinione che Dio ha dell'uomo. Se non c'è nessun potere superiore oltre la propria mente e i propri sentimenti, allora l'idea della mortificazione volontaria sembrerà ovviamente assurda: perché morire a me stesso se me stesso è l'unica cosa che esiste veramente ?
Anche il materialismo e il relativismo hanno molto a che fare con la nostra fuga da Dio e dalla penitenza. In un mondo in cui le cose e i piaceri materiali sono esaltati e trasformati nei veri obbiettivi della vita, la vita spirituale si fa veramente distante. Se non ci sono regole su ciò che è giusto e sbagliato, allora non c'è alcun bisogno della mortificazione e del sacrificio individuale.
Il termine "mortificazione" viene dalle parole latine mortem facere, che significano "produrre la morte". Una persona che è mortificata ha realizzato una sorta di morte in sé stessa a quegli ostacoli che la separano da Dio, e quindi dalla vera felicità. Questi ostacoli includono l'orgoglio, l'eccessiva importanza attribuita a sé stessi o alle alle proprie idee; la pigrizia, la tendenza a fare il minimo; la sensualità, l'eccessivo attaccamento ai piaceri fisici, siano essi il cibo, il bere o il sesso. La mortificazione è il processo con il quale si "mettono a morte" questi appetiti e desideri inferiori cosicché l'uomo purificato possa vivere.
Molto vicini al loro Salvatore nel tempo e nell'esperienza, i primi cristiani praticavano molti sacrifici e mortificazioni volontarie, e le penitenze che facevano per i peccati erano straordinarie. I cilici risalgono alla Chiesa antica ed erano indossati sia dai sacerdoti che dai laici. I santi Geremia, Atanasio e Giovanni Damasceno testimoniano il suo uso. I primi monaci ed eremiti nel deserto, dal terzo secolo in avanti, praticavano severe austerità; essi avranno una profonda influenza sullo sviluppo spirituale della Chiesa.
Naturalmente c'erano degli abusi nell'uso delle mortificazioni corporali - si pensi ai flagellanti di certe sette fanatiche nel 14° secolo in Italia e Germania, che furono a più riprese condannati dalla Chiesa. Ma con maggior giudizio, i santi sapevano come combinare l'amore per Dio e per gli altri con le più dolorose mortificazioni. Era la loro purezza di intenzione e di amore per Cristo che rendeva i loro sacrifici così potenti. S. Francesco d'Assisi, e più recentemente Padre Pio, furono favoriti con le stigmate delle ferite di Cristo. S. Caterina da Siena portava una veste di sacco e soleva flagellarsi tre volte al giorno ad imitazione di S. Domenico. S. Ignazio di Loyola, che raccomandava uno spirito di "continua mortificazione" ai suoi confratelli, indossava un cilicio ed una pesante catena di ferro. Perfino S. Teresa di Lisieux, famosa per la sua "piccola via" e il suo amore per Dio e per il prossimo, digiunava e usava la disciplina vigorosamente, "flagellandosi con tutta la forza e la velocità di cui era capace, sorridendo al crocifisso attraverso le lacrime che le rigavano il volto", secondo un biografo.
La forza e l'efficacia fondamentali di tutte le mortificazioni cristiane risiedono, naturalmente, nel sacrificio di Gesù Cristo sul Calvario. Gesù ha detto: "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me". Unendosi al suo dolore, i santi - e coloro che cercano seriamente di diventare santi - hanno sempre riconosciuto di dover morire a sé stessi, a volte in modi molto drammatici, al fine di guadagnare la vita eterna. Essi non compivano dolorosi sacrifici perché pensavano che il corpo fosse un male. Questa era l'eresia del manicheismo a lungo condannata dalla chiesa. La materia e il corpo umano non sono un male in sé stessi, ma a causa dell'unità sostanziale del corpo con l'anima, il corpo spesso materializza i desideri disordinati di una persona. Di conseguenza, i santi sapevano che le loro tendenze disordinate avevano bisogno di essere corrette e purificate.
Ma andiamo avanti. E' chiaro che il semplice fatto di essere una buona persona richiede qualche forma di mortificazione. Se un uomo non controlla la propria rabbia, sarà impossibile vivere con lui e rischia di diventare anche un omicida. Inoltre, se una persona non sa come rinnegare il suo eccessivo desiderio per l'alcol, diventerà inutile per sé stessa e per gli altri. Il ragazzo che vuole superare il suo esame deve dire no, o almeno posticipare, il suo desiderio di guardare la televisione o di giocare con i videogiochi. C'è una grande sapienza divina ed umana nelle potenti parole di Cristo: "Se il chicco di grano non muore, non porta frutto".
S. Tommaso Moro coniò il termine inglese "atone" combinando due parole, "at one" (in uno), che significava "conciliare i lati opposti di un conflitto." Uno degli effetti più potenti della mortificazione è l'espiazione dei peccati. In effetti questo è il significato centrale della festa ebraica dello Yom Kippur. Poiché tutti i peccati sono una forma di violazione dell'ordine delle cose - quando della giustizia , della castità o della vita umana stessa - c'è bisogno di riparare questo ordine, proprio come quando si deve riparare una finestra rotta. La mortificazione o la sofferenza volontaria ripara questo ordine, sia in relazione a Dio, che è stato offeso, che in relazione all'anima della persona, che è stata ferita dal peccato commesso.
S. Paolo descrive con immagini vivide la propria battaglia contro sé stesso. E' un conflitto che uomini e donne sinceri di tutti i secoli e di tutte le classi sociali riconosceranno: "Infatti, acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?"(Rm 7,22)
La radice di questa ribellione risale alle origini della razza umana, a quello che i cattolici chiamano peccato originale: è la ferita nella natura umana che produce passioni e desideri disordinati che devono essere controllati e a volte anche puniti - proprio come quando si deve martellare un filo di ferro piegato. Paolo descrive proprio un tale castigo quando paragona la vita spirituale ad una gara atletica. Per vincere la gara bisogna essere duri con sé stessi e rifiutare di soccombere alla debolezza della carne: "Io dunque corro, ma non come chi è senza meta; faccio pugilato, ma non come chi batte l'aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato". (Cor 9,26)
Nonostante l'enorme bene che la mortificazione può fare ad una persona - entro i giusti limiti e sotto la guida di un buon direttore spirituale - sarà sempre uno shock. Quando venne a sapere dell'imminente crocifissione, Pietro reagì come avrebbe fatto qualunque essere umano: "Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai!". Tuttavia se non fosse successo, la razza umana non sarebbe stata redenta. Data la nostra debolezza e la nostra mancanza di visione spirituale, ci ribelliamo di fronte alle esigenze della vita. Non solo le grandi mortificazioni, ma anche quelle più piccole ci sembrano spiacevoli - alzarsi in tempo, arrivare al lavoro puntuali, sorridere quando siamo seccati. Ma qui risiede la sfida e la gloria.
Quando parlava di sacrificio al mondo pagano, Paolo affrontava la stessa incredulità a cui assistiamo oggi. Le sue parole sono cariche di ironia, rafforzate dalla sua stessa sofferenza: "Dov'è il sapiente? dov'è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? .....Ma noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini." (1 Cor 1,20-25)
Forse questa grande intuizione paolina spiega perché molte delle elite di oggi non possono - o non vogliono - capire il vero valore della penitenza. O perché così tanti nei media fanno della mortificazione il materiale per storie volgari, quando dovrebbe in realtà essere compiuta nel silenzio, per amore di Dio e del prossimo.
Humanly, it’s inexplicable that a person could be deeply joyful in the midst of suffering. Yet the greatest saints—who suffered the most for Christ—have also been among the most joyful figures in history. Suffering offered generously for God and others liberates a person from his own miseries. Witnesses recorded that many of the early Christians actually sang as they were escorted to their deaths in the arena. That was the joy that brought down pagan Rome.
Umanamente è inspiegabile che una persona possa essere profondamente gioiosa nel mezzo della sofferenza. Tuttavia i più grandi santi - che soffrirono il massimo per Cristo - sono anche stati fra le figure più gioiose della storia. La sofferenza offerta generosamente per Dio e il prossimo libera una persona dalle sue miserie. Testimoni raccontarono che molti dei primi cristiani cantavano veramente quando erano condotti a morte nell'arena. Quella fu la gioia che rovesciò la Roma pagana.
S. Josemaría Escrivá, che soffrì molte persecuzioni e incomprensioni, attuava sacrifici e mortificazioni eroiche per servire Dio e aiutare le anime. In tutto questo era capace di mantenere un atteggiamento allegro e ottimista che ispirava chi lo circondava. "Se le cose vanno bene, gioiamo, benedicendo Dio che le fa prosperare, " scrisse una volta. "E se vanno male? Gioiamo, benedicendo Dio che ci consente di condividere la dolcezza della sua croce."
Parole incoraggianti.
Michael Giesler è un sacerdote della prelatura dell'Opus Dei e cappellano al Wespine Study Center di St. Louis.