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    Predefinito L'indulto divide la Casa delle Libertà

    La proposta dei forzisti Biondi e Taormina divide la Casa delle libertà. Veto di An e Lega. Verdi: «Sovraffollamento carcere va risolto». Prc: «Sì a un'amnistia condizionata»

    Indulto, l'ora dei falchi

    Angela Nocioni

    Indulto. E' bastata la parola ad aprire un altro, incandescente, fronte interno nel Polo già impegnato in più d'una guerra intestina. Alleanza nazionale e Lega non paiono avere nessuna intenzione di stare a sentire cos'hanno da proporre a riguardo l'ex sottosegretario all'Interno, Carlo Taormina, e il vicepresidente della Camera, Alfredo Biondi.
    Entrambi esponenti di spicco di Forza Italia, entrambi intenzionati a ritirar fuori una vecchia proposta radicale discussa nella scorsa legislatura e poi bloccata dal centrodestra timoroso dei contraccolpi su una campagna elettorale costruita attorno alla finta emergenza criminalità e relative riedizioni copiatticce della tolleranza zero. In sostanza si tratterebbe di un condono di tre anni, revocabile se nei cinque anni successivi il detenuto liberato compie altri reati. Alleanza nazionale non vuole nemmeno sentirne parlare. Lo fa dire prima al portavoce del partito, Mario Landolfi, e poi a un furioso Ignazio la Russa.

    Il pandemonio di governo fa mettere le mani avanti al presidente della commissione Giustizia alla Camera, Gaetano Pecorella. E' opportuno «non creare aspettative che poi andrebbero deluse» avverte. «Ci sono dissensi e posizioni negative. Se la situazione è questa non ho intenzione di mettere in calendario la discussione del provvedimento. Su una materia del genere una voce di dissenso rappresenta già un ostacolo».

    La proposta Taormina-Biondi piace, invece, ai Verdi e a Rifondazione comunista che si batte, tra l'altro, perché in materia d'indulto si arrivi finalmente a un abbassamento del quorum e ad esso si aggiunga «un'amnistia condizionata». Giuliano Pisapia definisce «utile» la concessione dell'indulto per pene o residui di pena comunque non superiori a tre anni, ma «non sufficiente» ai fini della risoluzione dell'irrimandabile questione del sovraffollamento delle carceri. Pisapia propone quindi, per i reati di minore allarme sociale, «un'amnistia condizionata alla buona condotta per un periodo di sette anni per permettere di celebrare con maggiore celerità i processi per i reati più gravi evitando la prescrizione e i numerosissimi casi di scarcerazione per decorrenza dei termini». Proposta già avanzata da Rifondazione nella scorsa legislatura.

    Sui deliri di maggioranza un giudizio netto arriva da Giovanni Russo Spena, vicepresidente del gruppo di Rifondazione Comunista alla Camera. «La Casa delle Libertà è in una situazione di completa confusione. Prendiamo atto dell'apertura avvenuta con la presentazione della proposta di legge di Taormina e Biondi e rimettiamo all'ordine del giorno la nostra proposta, già depositata. Il problema del sovraffollamento carcerario non si risolve con nuovi istituti carcerari ma con provvedimenti di misure alternative alle pene, con la depenalizzazione dei reati minori e con l'indulto». Provvedimenti richiesti, infatti, dai detenuti mobilitati da dieci giorni in 95 carceri italiane. La protesta, del tutto pacifica (rifiuto del vitto passato dall'amministrazione penitenziaria, battitura delle sbarre, sciopero dei lavoranti), ha fatto gridare alla «rivolta» il sempre meno presentabile Guardasigilli Castelli che addita come «sobillatori» i parlamentari impegnati nel monitoraggio della situazione nelle carceri. «Macché rivolta» commenta don Sandro, cappellano a Rebibbia, il carcere dove è nata l'associazione di detenuti Papillon che ha promosso la mobilitazione. «La verità è che l'apatia e l'abbandono di ogni capacità di ribellione hanno vinto. In cella si aspetta il fine pena. La disperazione toglie la parola a chi sta dentro». Fatto sta che le pur tranquillissime mobilitazioni di questi giorni sono bastate a far piovere sulle direzioni delle carceri le richieste delle liste dei parlamentari entrati in visita nelle prigioni e i nomi dei loro accompagnatori. Nulla a che fare con un controllo di routine. Lo ammette anche il Sappe, il sindacato degli agenti penitenziari: «Non era mai successo nulla di simile».

    «Le schedature di massa sono una caratteristica di questo governo» osserva Graziella Mascia, deputata del Prc. «Lo ha fatto con gli operai in fabbrica, lo ha fatto con i partecipanti alle manifestazioni di Genova, lo fa ora i parlamentari che visitano le carceri. L'iniziativa è gravissima, ma l'irresponabilità e le continue provocazioni del ministro Castelli non impediranno la battaglia per rendere meno incivili le carceri di questo Paese».

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    "Vogliamo distruggere tutti quei ridicoli monumenti del tipo "a coloro che hanno dato la vita per la patria" che incombono in ogni paese e, al loro posto, costruiremo dei monumenti ai disertori. I monumenti ai disertori rappresentano anche i caduti in guerra perchè ognuno di loro è morto malidicendo la guerra e invidiando la fortuna del disertore. La resistenza nasce dalla diserzione"

    Partigiano antifascista, Venezia, 1943





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    Predefinito Anni di piombo, chiudiamo l'emergenza

    Rifondazione rimette all'ordine del giorno alla Camera la sua proposta di legge sull'indulto per le pene relative a reati di terrorismo

    Pubblichiamo alcuni stralci della relazione con cui Rifondazione comunista presentò alla Camera la proposta di legge, ora rimessa all'ordine del giorno, sulla concessione dell'indulto per le pene relative a reati commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale.

    L'emergenza collegata ai cosiddetti «anni di piombo» in Italia può ormai considerarsi chiusa: molti di coloro che hanno subito condanne per reati commessi in quel periodo hanno già scontato numerosi anni di carcere, lavorano all'esterno degli istituti penitenziari, sono impegnati in attività con finalità sociali, dando concreta prova di essere pronti a reinserirsi definitivamente nella vita sociale e culturale del Paese.

    Non vi sono, quindi, più ragioni - di carattere giuridico, politico o di tutela della collettività - per ritardare ulteriormente, ad oltre undici anni dalla prima proposta di legge presentata in Parlamento, un provvedimento la cui finalità è soprattutto quella di «riequilibrare» inique disparità di trattamento sanzionatorio, determinate dalla legislazione d'emergenza, tra condannati per reati comuni e condannati per reati di «terrorismo».

    Ben pochi, ormai, contestano il fatto che, nei cosiddetti «anni di piombo», a causa di leggi speciali e di una applicazione emergenziale delle norme penali e processuali, sono stati spesso compressi i diritti di difesa; c'è stata una dilatazione interpretativa dell'articolo 110 del codice penale; sono state irrogate pene «diverse», pur di fronte a medesimi reati contestati a imputati per reati comuni e imputati per «reati politici» (ai sensi dell'articolo 8 del codice penale è delitto politico sia quello che «offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino» sia «il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici»).

    La necessità - ispirata ad una volontà di equità - di riequilibrio delle pene è una delle ragioni fondamentali della presente proposta di legge. (...)
    Restano - e non intendiamo né dimenticarlo né ignorarlo - il dolore e la sofferenza delle vittime e dei loro familiari; ma, anche per rispetto a quel dolore, non si propone un provvedimento di amnistia (che comporta l'estinzione dei reati) ma un provvedimento che tende solo a incidere sull'entità della pena. Il legislatore, del resto, non si è posto il problema delle vittime quando ha approvato norme che, a fronte della collaborazione processuale, hanno comportato la scarcerazione e, in molti casi, l'impunità di fatto anche per persone responsabili di gravissimi fatti di sangue.

    Un provvedimento di indulto non può essere in nessun modo interpretato come «amnesia» nei confronti delle vittime ma, piuttosto, come scelta definitiva di uscire da un periodo che, comunque lo si veda ha comportato una «rottura delle regole». (...)
    La proposta di indulto non intende affatto rinfocolare le polemiche che hanno diviso il Paese negli anni passati: l'obiettivo, anzi, è quello di voltare definitivamente pagina rispetto a un periodo che ha portato lutto, dolore e disperazione. Crediamo nella necessità di uscire da una drammatica fase di emergenza, aiutando a risolvere - sulla base di criteri di giustizia e di umanità - una situazione che riguarda un esiguo numero di persone ma che, direttamente o indirettamente, ha coinvolto gran parte del Paese.

    Non vi sono può oggi motividi carattere giuridico per opporsi a un provvedimento che ha lo scopo di «riportare nella normalità giuridica le condanne per i fatti di lotta armata e quindi ricollocare il dibattito riguardante quegli anni nei binari del confronto e della riflessione storico-politica». (...)
    La proposta di legge prevede anche una norma transitoria, la cui finalità è quella di dare la possibilità - a chi deve ancora scontare pene detentive, ma ha dato concreta prova di essersi allontanato da qualsiasi organizzazione eversiva - di essere ammesso al lavoro esterno o alla semilibertà senza i limiti oggi previsti dalla legge: è chiaro che non si tratta di benefici «automatici» o che spettano di diritto e che ogni valutazione, anche in ordine alla non pericolosità sociale, è demandata alla magistratura di sorveglianza. Si tratta di una norma di portata limitata che intende attenuare l'espiazione della pena per chi ha, in concreto, dato prova di essere pronto a reinserirsi nella convivenza civile.

    Onorevoli colleghi, il nostro auspicio è che, su questo provvedimento, si possa trovare quella convergenza necessaria per l'approvazione di una proposta di legge dettata dalla volontà di eliminare una evidente disparità di trattamento e di ridare speranza a chi ha già dimostrato, nei fatti, di accettare le regole dello Stato democratico. Una delle finalità dell'indulto - provvedimento espressamente previsto dalla Costituzione - è anche quella di porre fine, o di limitare, pene ingiuste, ingiustificate o non più necessarie: e una pena è ingiusta non solo quando è stata inflitta ingiustamente ma anche quando è diventata inutile, se non controproducente. «Il diritto di punire deve trovare dei limiti nella giustizia e nell'utilità sociale, altrimenti i concetti di giustizia e di umanità si trasformano in vendetta, politica o divina».



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    Quel necessario sconto di pena
    Annibale Paloscia

    Abbiamo sentito dal ministro della giustizia che nelle carceri si vive come in alberghi di lusso e che le sinistre si danno da fare per fomentare rivolte di detenuti. Gli avvocati e parlamentari della Casa della libertà Alfredo Biondi e Carlo Taormina hanno presentato la proposta di un indulto limitato a uno sconto di pena di tre anni per sfollare le carceri. Non hanno menzionato un particolare: la richiesta dell'indulto con lo sconto di pena di tre anni è al primo punto delle rivendicazioni avanzate dai detenuti attraverso le loro associazioni per risolvere il problema del sovraffollamento che rende le celle un inferno. Visto che gli avvocati portati dal Cavaliere in Parlamento fanno propria la principale richiesta dei detenuti, ci aspettiamo che Castelli li denunci come «fomentatori», oppure che si affretti a far le valigie, perché un ministro della Giustizia che parla a vanvera è un pericolo pubblico.
    L'indulto è un problema da affrontare molto seriamente e fuori da intenti speculativi. Da tempo giacciono in Parlamento le proposte presentate dai parlamentari di Rifondazione comunista Pisapia e Russo Spena e dal verde Paolo Cento. Tutte prevedono la revoca dell'indulto nel caso che chi ne beneficia commetta altri reati nei successivi cinque anni. Allo stesso meccanismo si sono richiamati Biondi e Taormina.

    Nelle carceri italiane, che sono 205, c'è posto per 41.700 detenuti: ce ne sono, invece, 57mila con spazi di aria insufficienti e in condizioni igieniche precarie. E' il livello di affollamento più alto dal 1945. Ne fanno le spese extracomunitari, tossicomani e perfino malati di Aids. E assieme a loro tanti esseri umani che pur non avendo compiuto gravi reati, si trovano in carcere per le disfunzioni della giustizia: la lentezza dei processi può giovare a imputati eccellenti, ma non ai poveracci che hanno commesso soltanto qualche peccatuccio contro la società. In un centinaio di carceri sono in corso scioperi della fame ed altre forme di proteste non violente.

    L'indulto, a differenza dall'amnistia non dà un colpo di spugna al reato, ma cancella o riduce la pena. Uno sconto di pena di tre anni avrebbe l'effetto di far scarcerare 9mila detenuti ed altrettanti potrebbero uscire usufruendo dei benefici aggiuntivi della legge Gozzini. Nella proposta Pisapia- Russo Spena, presentata nel luglio 2001, era prevista oltre all'indulto (tre anni di sconto di pena revocabile) anche la concessione di un'amnistia limitata a reati di non grave allarme sociale (quelli puniti con una pena non superiore a quattro anni) e finalizzata a ridurre il sovraccarico di procedimenti penali che impedisce il funzionamento della giustizia e favorisce «il danno e la beffa delle prescrizioni».

    Nel 2000, anno del Giubileo, anche il Papa aveva chiesto un provvedimento di clemenza, ma non se ne fece nulla perché erano vicine le elezioni: centrosinistra e centrodestra avevano una grandissima paura di perdere voti compiendo un atto umanitario. Sono cose che succedono quando la politica divorzia dall'intelligenza.

    Per fortuna mancano quattro anni alle prossime elezioni e si potrebbe sgombrare il terreno dai «se e ma» a un provvedimento di clemenza. Francamente non ci convince l'osservazione fatta da un parlamentare diessino sul fatto che lo sconto di pena di tre anni potrebbe salvare Cesare Previti. Metti che Previti, o che uno ancora più eccellente di lui, siano condannati per corruzione e possano evitare il carcere con l'indulto. Sarebbero schiacciati dal macigno della condanna anche senza fare un giorno di carcere.

    Piuttosto si dovrebbe ragionare seriamente pure sull'efficacia dell'indulto come mezzo per consentire a molti detenuti condannati per terrorismo, ma che hanno dato prova di essersi staccati definitivamente dagli anni di piombo, di reinserirsi nella società e nel lavoro. Tutti riconoscono che non esiste alcun rapporto tra i fatti recenti di terrorismo (omicidio D'Antona e omicidio Biagi) e quella stagione. Tutti convengono sul fatto che in Italia e in Germania, pur con motivazioni diverse, gli anni di piombo avevano dei collegamenti col sociale, mentre oggi il terrorismo è oggetto di culto di una piccola confraternita di assassini, se non addirittura una "mano nera", un'organizzazione di killer prezzolati.

    Tenere ancora in carcere tanti terroristi e tutta questa brama di dare la caccia a chi si è trasferito all'estero (e si è fatto alla luce del sole una nuova vita) sono manifestazioni di una patologia collettiva, una sorta di malattia sociale, che ci impedisce di considerare chiusa definitivamente l'emergenza degli anni di piombo. E' vero che parecchi terroristi sono stati condannati per gravissimi reati, ma le pene - dice l'articolo 27 della Costituzione - devono tendere alla rieducazione del condannato. A cosa serve la rieducazione se il condannato rimane in galera?

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