Le elezioni politiche riconfermano la fiducia al governo socialdemocratico
La Svezia ferma le destre


Daniele Zaccaria

E domenica occhi puntati sulle elezioni in Germania
La schiacciante vittoria dei socialdemocratici svedesi alle elezioni politiche di domenica, al di là di confermare un'egemonia che ormai dura da settant'anni, è un risultato che proietta la sua ombra sull'intera scena europea. Il cosiddetto vento di destra, che soffia nel continente da più di un anno, scardinando uno alla volta i governi di centrosinistra, sembra quindi arrestarsi a Stoccolma. Merito anche della schietta politica progressista che la coalizione rosa-rosso-verde ha perseguito nella fase più dura del processo d'integrazione comunitaria, rifiutando di allinearsi alle dominanti politiche ultraliberiste in voga nel resto dell'Unione europea. «Il nostro successo va in controtendenza rispetto all'Europa e dimostra che la battaglia per la difesa dello stato sociale era giusta», ha commentato ieri il premier uscente Goran Persson. Lo scontro con i conservatori di Bo Lundgren si è svolto essenzialmente sulla questione sociale, con la destra che intendeva ridurre la spesa pubblica e la pressione fiscale per le imprese. Prospettiva sconfessata dagli stessi svedesi che non hanno alcuna intenzione di rinunciare al loro efficentissimo welfare per abbracciare vaghe prospettive di modernità. E continuano a riporre fiducia nella sinistra, malgrado una tornata elettorale sottotono e poco sentita dai cittadini. Anche il significativo 13 per cento raccolto dai liberali di Lars Leijonborg, i quali hanno disputato una campagna dagli accenti estremamente populisti e sempre sul filo della xenofobia, è un risultato interno al campo moderato che rappresenta un travaso di preferenze provenienti dall'esangue partito di Lundgren, che perde un terzo dei voti rispetto a cinque anni fa.
Altra incoraggiante indicazione è il fiasco dell'estrema destra xenofoba che con un misero due per cento non raccoglie neanche un seggio e rimane ai margini della vita politica svedese. Il problema delle bande neonaziste non è per questo risolto, i raid delle squadracce continuano a infoltire le cronache locali, con ripetute azioni rivolte contro gli immigrati e i cittadini di origine straniera e un discreto ascolto tra i giovani bianchi delle classi povere.

Naturalmente il trionfo elettorale della sinistra non vuol dire che i problemi siano assenti. A cominciare dall'alleanza per formare il prossimo esecutivo, in cui verdi ed ex comunisti svolgono un ruolo determinante. Entrambe le formazioni sono ostili all'adesione della Svezia alla moneta comune e nel 2003 la questione sarà oggetto di un referendum popolare che già vede configurarsi un insidioso conflitto in seno alla maggioranza. E' anche per questo che Persson sta compiendo un ampio lavoro di consultazioni, tentando di coinvolgere la formazione centrista guidata da Maud Olofsson che però non appare disponibile ad allearsi con i socialdemocratici. La soluzione più probabile sembra quindi una riedizione della vecchia coalizione con ecologisti ed ex comunisti che stavolta non si limiterebbero ad appoggiare esternamente il governo, ma ne entrerebbero a far parte beneficiando di qualche ministero.

Certo, la Svezia è una nazione atipica nel quadro europeo, con un reddito pro capite, una tasso di speranza di vita tra più alti del mondo, che detiene il record mondiale di presenza femminile in parlamento (43 per cento) e un tasso di disoccupazione non superiore al quattro per cento. Cifre che testimoniano in maniera eloquente l'eccezionalità dei modelli economici e sociali del paese nordico nel paesaggio comunitario.

Ma, nonostante le specificità del caso, la riconferma di Persson è senz'altro una buona notizia per la socialdemocrazia europea. In particolar modo per il cancelliere Schroeder, che domenica si giocherà tutto in uno scrutinio dagli esiti più che incerti, ma che risulterà determinante per gli equilibri politici interni all'Ue.

Forse è ancora presto per parlare di un'inversione di tendenza, ma le elezioni svedesi dimostrano che non esitono cicli lunghi, che il pendolo della politica oscilla in continuazione seguendo non un disegno predefinito o un'astratta onda lunga, ma gli imprevedibili sussulti che provengono da società con realtà, storie e tradizioni assai diverse. Quel sentimento di fatalismo che ha accompagnato la vittoria di Berlusconi in Italia, il trionfo di Chirac in Francia, quell'atteso effetto domino che avrebbe dovuto consacrare la definitiva ascesa delle destre liberali e populiste, si dimostra, per l'appunto un sentimento. E non una sentenza scolpita nel marmo.


Liberazione 17 settembre 2002
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