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Discussione: Settimana Santa.....

  1. #1
    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    Exclamation Settimana Santa.....

    UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE DEL SOMMO PONTEFICE

    Notificazione

    CELEBRAZIONI DELLA SETTIMANA SANTA 2006 PRESIEDUTE DAL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

    Nella Settimana Santa la Chiesa celebra i misteri della salvezza: l'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio compiuta da Cristo, specialmente negli ultimi giorni della sua vita, per mezzo del mistero pasquale. Egli morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita.
    La Settimana Santa inizia con la Domenica delle Palme «della Passione del Signore», comprende le ferie dal lunedì al giovedì e culmina con il Triduo Pasquale.


    (...)

    11 aprile 2006
    MARTEDÌ SANTO
    CELEBRAZIONE DELLA PENITENZA
    Basilica Vaticana: ore 17.30

    Il Signor Cardinale James Francis Stafford, Penitenziere Maggiore, per incarico del Santo Padre, presiederà il Rito per la Riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale.


    13 aprile 2006
    GIOVEDÌ SANTO
    SANTA MESSA DEL CRISMA
    Basilica Vaticana: ore 9.30

    Il Santo Padre presiederà la concelebrazione della Santa Messa Crismale con i Cardinali, i Vescovi e i Presbiteri (diocesani e religiosi) presenti a Roma, quale segno della stretta comunione tra il Pastore della Chiesa universale e i suoi fratelli nel Sacerdozio ministeriale.


    TRIDUO PASQUALE




    Il Triduo Pasquale della Passione e Risurrezione del Signore, «culmine di tutto l'anno liturgico», ha inizio con la Messa nella Cena del Signore, trova il suo fulcro nella Veglia pasquale e termina con i Vespri della Domenica di Risurrezione.

    13 aprile 2006
    GIOVEDÌ SANTO
    SANTA MESSA NELLA CENA DEL SIGNORE
    Cappella Papale
    Basilica di San Giovanni in Laterano: ore 17.30


    Con la Messa celebrata nelle ore vespertine del Giovedì Santo, la Chiesa fa memoria di quell’ultima Cena durante la quale il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, amando sino alla fine i suoi che erano nel mondo, offrì a Dio Padre il suo Corpo e Sangue sotto le specie del pane e del vino, li diede agli Apostoli in nutrimento e comandò loro e ai loro successori nel sacerdozio di farne l'offerta.

    Il Santo Padre presiederà la concelebrazione della Santa Messa e farà la lavanda dei piedi a dodici uomini. Durante il rito i presenti saranno invitati a compiere un atto di carità a sostegno del progetto di ricostruzione di case per le vittime delle devastanti frane che hanno colpito il territorio della Dicesi di Maasin (Filippine). La somma raccolta sarà affidata al Santo Padre al momento della presentazione dei doni.
    Al termine della celebrazione avrà luogo la traslazione del Santissimo Sacramento alla Cappella della reposizione.
    * * *
    I Cardinali e i Vescovi che desiderano concelebrare sono pregati di darne tempestiva comunicazione all'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.
    Essi vorranno trovarsi nel Palazzo Apostolico Lateranense per le ore 17.


    14 aprile 2006
    VENERDÌ SANTO
    CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE
    Cappella Papale
    Basilica Vaticana: ore 17


    In questo giorno in cui «Cristo nostra Pasqua è stato immolato», la Chiesa - con la meditazione della Passione del suo Signore e Sposo e con l'adorazione della Croce - commemora la propria origine dal fianco trafitto di Cristo e intercede per la salvezza di tutto il mondo.

    Il Santo Padre presiederà la Liturgia della Parola, l’Adorazione della Croce e il Rito della Comunione.
    I Cardinali, i Patriarchi, gli Arcivescovi e i Vescovi, senza anello, sulla veste propria indosseranno il rocchetto e la mozzetta; per le ore 16.30 si recheranno alla Cappella della reposizione del Santissimo Sacramento per una breve adorazione, quindi occuperanno il posto loro assegnato presso l'Altare della Confes*sione.
    Gli Abati e i Religiosi vestiranno il proprio abito corale. I Prelati e i Cappellani di Sua Santità, sulla veste propria, porteranno la cotta.

    VIA CRUCIS
    Colosseo: ore 21.15
    Il Santo Padre presiederà il pio esercizio della «Via Crucis», al termine del quale rivolgerà la Sua parola ai fedeli ed impartirà la Benedizione Apos
    tolica. (I testi della meditazione sono stati realizzati da mons. Angelo Comastri)


    15 – 16 aprile 2006
    DOMENICA DI PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE


    Per antica tradizione la notte di Pasqua è «in onore del Signore» e la Veglia che in essa si celebra, commemorando la notte santa in cui Cristo è risorto, è considerata la «madre di tutte le veglie». In questa notte, infatti, la Chiesa rimane in attesa della Risurrezione del Signore e la celebra con i sacramenti dell'Iniziazione cristiana.

    Con la Domenica di Pasqua inizia il «gioioso spazio» della Pen*tecoste o cinquantina pasquale in cui la Chiesa celebra la presenza del Risorto e l'effusione dello Spirito Santo.

    VEGLIA PASQUALE
    Cappella Papale
    Basilica Vaticana: ore 22


    Il Santo Padre benedirà il fuoco nuovo nell’atrio della Basilica di San Pietro; dopo l'ingresso processionale in Basilica con il cero pasquale e il canto dell'Exsultet, presiederà la Liturgia della Parola, la Liturgia Battesimale e la Liturgia Eucaristica, che sarà concelebrata con i Signori Cardinali. Essi sono pregati di trovarsi per le ore 21.30 nella Cappella di San Sebastiano.
    I Patriarchi, gli Arcivescovi, i Vescovi e tutti i componenti la Cappella Papale, ciascuno con l'abito suo proprio, sono pregati di trovarsi alle ore 21.30 nel portico della Basilica Vaticana.


    SANTA MESSA DEL GIORNO
    Sagrato della Basilica Vaticana: ore 10.30


    Il Santo Padre celebrerà la Santa Messa sul sagrato della Basilica di San Pietro. Dalla loggia centrale della Basilica impartirà quindi la Benedizione «Urbi et Orbi».



    Città del Vaticano, 31 marzo 2006.

    Per mandato del Santo Padre
    + PIERO MARINI
    Arcivescovo Titolare di Martirano
    Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie

    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  2. #2
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    Con Pietro o con Giuda?

    Il potere della fiducia nella misericordia di Cristo

    Padre Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap.
    Predicatore della Casa Pontificia

    La Domenica delle Palme è l’unica occasione, in tutto l’anno, in cui si ascolta per intero il racconto evangelico della passione. Il dato che più colpisce, leggendo la passione secondo Marco è il rilievo dato al tradimento di Pietro. Esso è prima annunciato da Gesù nell’ultima cena, poi descritto in tutto il suo umiliante svolgimento.

    Questa insistenza è significativa, perché Marco era una specie di segretario di Pietro e scrisse il suo Vangelo mettendo insieme i ricordi e le informazioni che gli venivano proprio da lui. È stato dunque Pietro stesso che ha divulgato la storia del suo tradimento. Ne ha fatto una specie di confessione pubblica. Nella gioia del perdono ritrovato, a Pietro non ha importato niente del suo buon nome e della sua reputazione come capo degli apostoli. Ha voluto che nessuno di quelli che, in seguito, fossero caduti come lui disperasse del perdono.

    Bisogna leggere la storia del rinnegamento di Pietro in parallelo con quella del tradimento di Giuda. Anche questo è preannunciato prima da Cristo nel cenacolo, poi consumato nel giardino degli ulivi. Di Pietro, si legge che Gesù passando "lo guardò" (Lc 22, 61); con Giuda fece ancora di più: lo baciò. Ma l’esito fu ben diverso. Pietro, "uscito fuori, scoppiò a piangere"; Giuda, uscito fuori, andò ad impiccarsi.

    Queste due storie non sono chiuse; continuano, ci riguardano da vicino. Quante volte dobbiamo dire di aver fatto come Pietro! Ci siamo trovati nella condizione di dar testimonianza delle nostre convinzioni cristiane e abbiamo preferito mimetizzarci per non correre pericoli, per non esporci. Abbiamo detto, con i fatti o con il nostro silenzio: "Non conosco questo Gesù di cui parlate!".

    Anche la storia di Giuda, a pensarci bene, ci è tutt’altro che estranea. Don Primo Mazzolari tenne una predica famosa, un Venerdì santo, su "nostro fratello Giuda", facendo vedere come ognuno di noi avrebbe potuto essere al suo posto. Giuda vendette Gesù per trenta denari, e chi può dire di non averlo tradito a volte anche per molto meno? Tradimenti, certo, meno tragici del suo, ma aggravati dal fatto che noi sappiamo, meglio di Giuda, chi era Gesù.

    Proprio perché le due storie ci riguardano da vicino, dobbiamo vedere cos’è che fa la differenza tra l’una e l’altra: perché le due storie, di Pietro e di Giuda, finiscono in modo tanto diverso. Pietro ebbe rimorso di quello che aveva fatto, ma anche Giuda ebbe rimorso, tanto che gridò: "Ho tradito sangue innocente!" e restituì i trenta denari. Dov’è allora la differenza? In una cosa sola: Pietro ebbe fiducia nella misericordia di Cristo, Giuda no!
    Sul Calvario, di nuovo, la stessa vicenda. I due ladroni hanno ugualmente peccato e si sono macchiati di crimini. Uno però maledice, insulta e muore disperato; l’altro grida: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno", e si sente rispondere da lui: "In verità ti dico: oggi sarai con me in paradiso" (Lc 23, 43).

    Fare la Pasqua significa fare una esperienza personale della misericordia di Dio in Cristo. Una volta un bambino, a cui era stata raccontata la storia di Giuda, disse con il candore e la sapienza dei bambini: "Giuda ha sbagliato l’albero a cui impiccarsi: ha scelto un albero di fico". "E che cosa avrebbe dovuto scegliere?", gli chiede stupita la catechista. "Doveva appendersi al collo di Gesù!". Aveva ragione: se si fosse appeso al collo di Gesù, per chiedergli perdono, oggi sarebbe onorato come lo è san Pietro.

    Conosciamo l’antico "precetto" della Chiesa: "Confessarsi una volta l’anno e comunicarsi almeno a Pasqua". Più che un obbligo, è un dono, un’offerta: è lì che ci si offre l’occasione di "appenderci al collo" di Gesù.
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  3. #3
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    MEDITAZIONI E PREGHIERE

    di Sua Eccellenza Reverendissima
    Mons. ANGELO COMASTRI
    Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano
    Presidente della Fabbrica di San Pietro


    PRESENTAZIONE

    http://212.77.1.245/news_services/li...resent_it.html




    Due parole per accompagnarti nel cammino

    Percorrendo la ‘Via della Croce’, veniamo folgorati da due certezze: la certezza del potere devastante del peccato e la certezza del potere sanante dell’Amore di Dio.

    Il potere devastante del peccato: la Bibbia non si stanca di ripetere che il male è male perché fa male; il peccato, infatti, è autopunitivo, perché contiene dentro di sé la sanzione. Ecco alcuni testi lucidissimi di Geremia: “Essi seguirono ciò che è vano e diventarono loro stessi vanità” (Ger 2, 5); “La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono. Riconosci e vedi quanto è cosa cattiva e amara l’avere abbandonato il Signore tuo Dio e il non aver più timore di me” (Ger 2, 19); “Le vostre iniquità hanno sconvolto tutto e i vostri peccati tengono lontano da voi il benessere” (Ger 5, 25).

    E Isaia non è da meno: “Pertanto dice il Santo di Israele: ‘Poiché voi rigettate questo avvertimento e confidate nella perversità e nella perfidia, ponendole a vostro sostegno, ebbene questa colpa diventerà per voi come una breccia che minaccia di crollare, che sporge su un alto muro, il cui crollo avviene in un attimo, improvviso, e si infrange come un vaso di creta, frantumato senza misericordia, così che non si trova tra i suoi frantumi neppure un coccio con cui si possa prendere fuoco dal braciere o attingere acqua dalla cisterna’.” (Is 30, 12-14) E, dando voce ai sentimenti più genuini del popolo di Dio, il profeta esclama: “Siamo diventati tutti come una cosa impura e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia: tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come vento” (Is 64, 5).

    Ma, nello stesso tempo, i profeti denunciano l’indurimento del cuore che produce una terribile cecità e non fa più percepire la gravità del peccato. Ascoltiamo Geremia: “Dal piccolo al grande tutti commettono frode; dal profeta al sacerdote tutti praticano la menzogna. Essi curano la ferita del mio popolo, ma solo alla leggera, dicendo: ‘Bene, bene!’ ma bene non va. Dovrebbero vergognarsi dei loro atti abominevoli, ma non si vergognano affatto, non sanno neppure arrossire” (Ger 6, 13-15).

    Gesù, entrando dentro questa storia devastata dal peccato, si è lasciato aggredire dal peso e dalla violenza delle nostre colpe: per questo motivo guardando Gesù si percepisce chiaramente quanto sia devastante il peccato e quanto sia malata la famiglia umana: cioè, noi! Tu ed io!

    Però – ecco la seconda certezza! – Gesù ha reagito al nostro orgoglio con l’umiltà; ha reagito alla nostra violenza con la mitezza; ha reagito al nostro odio con l’Amore che perdona: la Croce è la vicenda attraverso la quale l’Amore di Dio entra nella nostra storia, si fa vicino a ciascuno di noi e diventa esperienza che risana e salva.

    Non ci può sfuggire un fatto: fin dall’inizio del suo ministero Gesù parla della “sua ora” (Gv 2, 4), di un’ora “per la quale Egli è venuto” (Gv 12, 27), di un’ora che saluta con gioia esclamando all’inizio della sua Passione: “È giunta l’ora!” (Gv 17, 1).

    La Chiesa custodisce gelosamente la memoria di questo fatto e nel Credo, dopo aver affermato che il Figlio di Dio “si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”, subito esclama: “Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto”.

    Fu crocifisso per noi! Gesù, morendo, si è immerso nell’esperienza drammatica della morte così come è stata costruita dai nostri peccati; ma, morendo, Gesù ha riempito di Amore il morire e quindi l’ha riempito di presenza di Dio: con la morte di Cristo, allora, la morte è vinta, perché Cristo ha riempito la morte esattamente della forza opposta al peccato che l’ha generata: Gesù l’ha riempita di Amore!

    Attraverso la fede e il battesimo noi siamo messi a contatto con la morte di Cristo, cioè con il mistero dell’Amore con cui Cristo l’ha vissuta e vinta… e così inizia il viaggio del nostro ritorno a Dio, ritorno che avrà il suo compimento nel momento della nostra morte vissuta in Cristo e con Cristo: cioè nell’Amore!

    Percorrendo la ‘Via della Croce’, làsciati prendere per mano da Maria: chiediLe una briciola della sua umiltà e della sua docilità, affinché l’Amore di Cristo Crocifisso entri dentro di te e ricostruisca il tuo cuore sulla misura del Cuore di Dio.

    Buon cammino!



    + ANGELO COMASTRI



    * * *

    PREGHIERA INIZIALE

    Il Santo Padre:

    Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

    R. Amen.

    Signore Gesù,
    la tua passione
    è la storia di tutta l’umanità:
    quella storia dove i buoni vengono umiliati,
    i miti ... aggrediti,
    gli onesti ... calpestati
    e i puri di cuore vengono beffardamente derisi.

    Chi sarà il vincitore?
    Chi dirà l’ultima parola?

    Signore Gesù,
    noi crediamo che Tu sei l’ultima parola:
    in Te i buoni hanno già vinto,
    in Te i miti hanno già trionfato,
    in Te gli onesti vengono incoronati
    e i puri di cuore brillano come stelle nella notte.

    Signore Gesù,
    stasera ripercorriamo la strada della tua croce,
    sapendo che è anche la nostra strada.
    Però una certezza ci illumina:
    la strada non finisce sulla croce
    ma va oltre,
    va nel Regno della Vita
    e nell’esplosione della Gioia
    che nessuno potrà mai rapirci![1]

    Il lettore:

    O Gesù, mi fermo pensoso
    ai piedi della tua croce:
    anch’io l’ho costruita con i miei peccati!
    La tua bontà che non si difende
    e si lascia crocifiggere,
    è un mistero che mi supera
    e mi commuove profondamente.

    Signore, tu sei venuto nel mondo per me,
    per cercarmi, per portarmi
    l’abbraccio del Padre:[2]
    l’abbraccio che mi manca!

    Tu sei il Volto della bontà
    e della misericordia:
    per questo vuoi salvarmi!

    Dentro di me c’è tanto egoismo:
    vieni con la tua sconfinata carità!
    Dentro di me c’è orgoglio e malignità:
    vieni con la tua mitezza e la tua umiltà!

    Signore, il peccatore da salvare sono io:
    il figlio prodigo che deve ritornare, sono io!
    Signore, concedimi il dono delle lacrime
    per ritrovare la libertà e la vita,
    la pace con Te e la gioia in Te.


    --------------------------------------------------------------------------------

    [1] Gv 16, 22; Mt 5, 12.
    [2] Lc 15, 20.
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  4. #4
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    I Segni, Simboli della Nostra Pasqua



    Quando si spegne il cero pasquale?



    Il cero pasquale, segno della presenza di Cristo, accompagna ogni preghiera liturgica della Comunità Cristiana, per tutto il tempo pasquale, e cioé dalla Veglia Pasquale e fino alla Compieta di Pentecoste. Va collocato accanto all'ambone, dove si annuncia la Buona Novella del Vangelo, e durante le celebrazioni è sempre acceso.
    Fuori il Tempo Pasquale, invece, il cero non stia nel presbiterio né sia acceso, salvo restando le rubriche che lo espressamente prevedono (ad esempio la messa funebre).

    I SIMBOLI DELLA PASQUA

    1 - Dai segni alla realtà significata

    La cinquantina che va dalla Risurrezione di Cristo alla Pentecoste è il tempo del Signore Risorto e dello Spirito Santo. I catecumeni che divengono nella notte di Pasqua fedeli a pieno titolo con il Battesimo, non ricevono più l'istruzione catechistica ma la mistagogia, catechesi mistagogica, in quanto sono ormai iniziati al Mistero di Gesù Cristo, morto e Risorto.
    I nostri adulti che hanno riscoperto nella notte di Pasqua il valore del loro Battesimo, s‚impegnano a vivere una vita nuova in Cristo. La conversione è dono di Dio, l'uomo è chiamato a rispondere e collaborare ogni giorno, perché è un "rinnovato" che sempre si rinnova. L'uomo, credente adulto nella fede, deve sì avere entusiasmo e slancio religioso, ma questi devono emergere dal mistero di Gesù Cristo, il Risorto di cui egli è testimone, dall'approfondimento della Parola, dai Sacramenti, dalla Liturgia che diventa vita, dalla ferialità del mistero di Cristo nella nostra storia quotidiana.
    Ora, la stessa liturgia essendo culmine e fonte (SC 10), ha bisogno sia di una preparazione catechetica che di una prosecuzione mistagogica. Volendo presentare la realtà del tempo pasquale, tempo fortemente battesimale, secondo una prospettiva catechetico-mistagogica, è opportuno partire dai segni per risalire alla realtà da essi significata.
    Secondo il Rinnovamento della catechesi (RdC), infatti, i segni vanno utilizzati con questi accorgimenti:

    Devono lasciar trasparire la realtà divina che in essi si esprime e si comunica all'uomo;
    devono essere traduzione-attuazione della gloria divina per l'uomo;
    ciò che conta non è tanto il loro "simbolismo naturale" quanto piuttosto la verità di salvezza che esso evoca e misticamente realizza;
    la pedagogia del segno esige che esso renda familiare il passaggio dai segni visibili agli invisibili misteri;
    si eviterà un duplice rischio: parlare dei segni senza riferimento al mistero, presentare il mistero senza riferimento ai segni (RdC 32,78,115,175.).

    2 - Il fuoco

    Nella notte di Pasqua, nella solenne Veglia, la celebrazione si arricchisce in modo evidente del simbolismo del fuoco. Il braciere, che arde fuori della chiesa e da cui si accende il cero, attrae l'attenzione dei fedeli in questo primo momento che prepara la celebrazione pasquale. Il trionfo della luce sulle tenebre, del calore sul freddo, della vita sulla morte (mistero poi solennemente proclamato da letture e azioni sacramentali della più solenne tra le notti) è già sinteticamente espresso in questo concreto linguaggio del fuoco nuovo, intorno al quale si riunisce la comunità. Seguirà la processione con il grido gioioso: "La luce di Cristo", e la luce si comunicherà progressivamente ad ogni partecipante. La preghiera del Messale Romano che accompagna la benedizione del fuoco, ci appare piuttosto espressiva: "O Padre, che per mezzo del tuo Figlio ci hai comunicato la fiamma viva della tua gloria, benedici questo fuoco nuovo, fa che le feste pasquali accendano in noi il desiderio del cielo, e ci guidino, rinnovati nello spirito, alla festa dello splendore eterno".
    Il fuoco è presente, nella liturgia, anche in altre occasioni o realtà: nelle lampade e nei ceri accesi durante la celebrazione o davanti al tabernacolo. Qui, oltre al simbolismo della luce, vi ritroviamo la misteriosa realtà del fuoco: la fiamma che si consuma lentamente mentre illumina, abbellisce e riscalda, dando senso poetico e familiare alla celebrazione. Altra solenne occasione, sebbene meno conosciuta, è il rito della Dedicazione della chiesa. Si accende il fuoco in un braciere che è posto sull'altare e vi si brucia l'incenso. Su quella mensa sta per rinnovarsi il memoriale del sacrificio di Cristo. Nell'Antico Testamento era il fuoco a consumare i sacrifici; ora s‚invoca in qualche modo la forza santificatrice di Dio sul nostro sacrificio. Il fuoco, com‚è detto chiaramente dal canto del "Veni Creator", è lo Spirito Santo, invocato in ogni Eucaristia sui doni del pane e del vino per operare la loro misteriosa trasformazione nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Il fuoco è il simbolo del sacrificio di Cristo e del potere santificante di Dio, che prende possesso dell'altare e di ciò che su di esso sarà celebrato.



    3 - Il cero pasquale acceso e la luce



    Nell'anno liturgico, se esiste una celebrazione il cui inizio è un vero gioco simbolico di luce, questa è la Veglia pasquale. Il popolo, riunito nell'oscurità, così come abbiamo già commentato, vede la nascita del fuoco nuovo da cui si accende il cero pasquale, simbolo di Cristo.
    Il cero pasquale, infatti, è il segno del Cristo risorto luce vera del modo che illumina ogni uomo; è la luce della vita che impedisce di camminare nelle tenebre. è il segno della vita nuova in Cristo che, strappandoci dalle tenebre, ci ha trasferito con i santi nel regno della luce; Cristo brillò su di noi che eravamo tenebre, ma ora siamo luce nel Signore (Ef 5,14). è il segno che ci permette di vivere come figli della luce (Ef 5,8), di rigettare le opere delle tenebre (Rm 13,12), di restare in comunione con Dio (1 Gv 1,5), di conservare l'amore con i fratelli (1 Gv 2,8-11). è anche segno di fedeltà a Dio e vigilanza nella preghiera e nell'attesa.
    Dietro questo cero acceso cammina processionalmente la comunità cantando per tre volte un grido di giubilo. Ogni volta si accendono le candele: i cristiani restano contagiati dalla luce di Cristo, che incarna il simbolismo, e questa si espande sempre di più. Infine il cantore del preconio pasquale (diacono possibilmente) intona le lodi della beata notte, illuminata dalla luce di Cristo. Non sono necessarie molte spiegazioni del simbolismo della luce in questa Veglia. La sua intenzione è evidente, tanto da contagiare e avvolgere i credenti, comunicando loro con la sua forza espressiva l'entusiasmo del mistero celebrato: "Questa notte fonte di luce ·sconfigge il male, lava le colpe, restituisce la gioia agli afflitti·".
    Durante i cinquanta giorni di Pasqua, in tutte le celebrazioni accendiamo il cero pasquale come in altri momenti diamo grande importanza al simbolismo della luce.



    4 - L'acqua

    L'acqua è davvero una realtà polivalente: disseta, pulisce e purifica, ci rinfresca nei giorni di calura; è fonte di vita per i campi e dà origine alla forza idraulica. Nella liturgia della solenne notte e in altri riti liturgico sacramentali essa assume significato come acqua che purifica; segno di Cristo, acqua viva che spegne ogni sete e simbolo di vita e di morte. Tralasciando tutti gli altri riti, nella Veglia pasquale, la notte battesimale per eccellenza, l'acqua, come linguaggio simbolico, raggiunge l'apice di solennità e di significato.
    Anche quando non ci sono battesimi, in quella notte in tutte le comunità cristiane si commemora il Battesimo, sacramento per mezzo del quale siamo radicalmente assunti e incorporati alla pasqua di Cristo, passaggio dalla morte alla vita. Le altre domeniche sono come il prolungamento e rinnovazione settimanale della domenica per eccellenza, la festa di Pasqua.
    Il simbolo dell'acqua lo terremo presente innanzitutto per il sacramento del Battesimo (immersione o infusione). Poi si rivive tale ricordo battesimale attraverso: l'aspersione all'inizio della Messa domenicale (soprattutto nella cinquantina pasquale), il gesto di prendere l'acqua benedetta entrando in chiesa, le varie benedizioni in cui si asperge con l'acqua benedetta, il rito della Dedicazione della Chiesa dove si asperge il popolo e le pareti del tempio. l'aspersione dell'acqua è proposta più volte come gesto facoltativo anche nell'unzione degli infermi ed, infine, anche nella celebrazione delle Esequie.
    l'acqua, per noi cristiani, è un simbolo d‚affetto con il quale Dio ha voluto purificarci, appagare la nostra sete e farci rinascere nel mistero della pasqua di Cristo.

    5 - Dai segni alla liturgia della vita

    Abbiamo scelto solo alcuni dei segni della Pasqua. Dai segni che esprimono il linguaggio del mistero, bisognerà passare ai segni della vita. I cristiani, infatti, devono annunciare Cristo, qui e ora, con la loro vita e non con tante parole, solo così la fede diventa creativa, personalizzata, illuminante.
    La maturità del cristiano si manifesta con l'attenzione alla storia e alla cultura, nelle quali è chiamato a far rivivere Cristo mediante la sua imitazione (il "per me il vivere è Cristo" di San Paolo) in maniera originale ed unica, mediante una spiritualità feriale e metodica (il quotidiano). Allora i Sacramenti e la Parola diventano fonti di passione, di gioia e di slancio missionario.
    I cristiani diventano i "segni" che il Signore tramanda nella storia mediante i suoi discepoli testimoni. I testimoni d‚ogni tempo si riconoscono dai frutti dello Spirito: carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà, fedeltà, dolcezza, temperanza.
    Come Gesù con i discepoli di Emmaus, anche noi siamo chiamati ad annunciare il Kerigma contro l'antievangelo dei discepoli disperati, purificandoli con il fuoco del sacrificio di Cristo, illuminandoli con la luce della sua Risurrezione, immergendoli in Cristo, acqua che zampilla per la vita eterna, e sostenendoli nella fede del Signore Risorto che rimane con noi fino alla fine dei tempi.

    (da Alleluja.net)

    LASCIATI RICONCILIARE CON CRISTO!
    Fraternamente Caterina
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    La parola ai Santi

    La Croce
    (San Francesco di Sales)


    La sapienza eterna di Dio ha previsto fin dal principio la croce che Egli ti invia dal profondo del suo cuore come un dono prezioso. Prima di inviartela, egli l'ha contemplata con i suoi occhi onniscienti, l'ha meditata nel suo divino intelletto, l'ha esaminata alla luce della sua sapiente giustizia, e le ha dato calore stringendola tra le sue braccia amorose, l'ha soppesata con ambo le mani se mai non fosse d'un millimetro troppo grande o di un milligrammo troppo grave...Poi l'ha benedetta nel suo nome santissimo, l'ha cosparsa col balsamo della sua grazia e col profumo del suo conforto.. Poi ha guardato ancora a te, al tuo coraggio... Perciò la croce viene a te dal Cielo, come un saluto del Signore, come un'elemosina del suo misericordioso amore.

    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  6. #6
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    CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA: IL PAPA SPIEGA IL TRIDUO PASQUALE

    Cari fratelli e sorelle,

    inizia domani il Triduo pasquale, che è il fulcro dell'intero anno liturgico. Aiutati dai sacri riti del Giovedì Santo, del Venerdì Santo e della solenne Veglia Pasquale, rivivremo il mistero della passione, della morte e della risurrezione del Signore. Questi sono giorni atti a ridestare in noi un più vivo desiderio di aderire a Cristo e di seguirlo generosamente, consapevoli del fatto che Egli ci ha amati sino a dare la sua vita per noi.

    Cosa sono, in effetti, gli eventi che il Triduo santo ci ripropone, se non la manifestazione sublime di questo amore di Dio per l’uomo? Apprestiamoci, pertanto, a celebrare il Triduo pasquale accogliendo l’esortazione di sant’Agostino: "Ora considera attentamente i tre giorni santi della crocifissione, della sepoltura e della risurrezione del Signore. Di questi tre misteri compiamo nella vita presente ciò di cui è simbolo la croce, mentre compiamo per mezzo della fede e della speranza ciò di cui è simbolo la sepoltura e la risurrezione" (Epistola 55, 14, 24: Nuova Biblioteca Agostiniana (NBA), XXI/II, Roma 1969, p. 477).

    Il Triduo pasquale si apre domani, Giovedì Santo, con la Messa vespertina "in Cena Domini", anche se al mattino normalmente si tiene un’altra significativa celebrazione liturgica, la Messa del Crisma, durante la quale, raccolto attorno al Vescovo, l’intero presbiterio di ogni Diocesi rinnova le promesse sacerdotali, e partecipa alla benedizione degli oli dei catecumeni, dei malati e del Crisma, e così faremo domani mattina anche qui, in San Pietro.

    Oltre all’istituzione del Sacerdozio, in questo giorno santo si commemora l’offerta totale che Cristo ha fatto di Sé all’umanità nel sacramento dell’Eucaristia. In quella stessa notte in cui fu tradito, Egli ci ha lasciato, come ricorda la Sacra Scrittura, il "comandamento nuovo" - "mandatum novum" - dell'amore fraterno compiendo il gesto toccante della lavanda dei piedi, che richiama l’umile servizio degli schiavi. Questa singolare giornata, evocatrice di grandi misteri, si chiude con l’Adorazione eucaristica, nel ricordo dell’agonia del Signore nell’orto del Getsemani.

    Preso da grande angoscia, narra il Vangelo, Gesù chiese ai suoi di vegliare con Lui rimanendo in preghiera: "Restate qui e vegliate con me" (Mt 26,38), ma i discepoli si addormentarono. Ancora oggi il Signore dice a noi: "Restate e vegliate con me". E vediamo come anche noi, discepoli di oggi, spesso dormiamo. Quella fu per Gesù l’ora dell’abbandono e della solitudine, a cui seguì, nel cuore della notte, l’arresto e l’inizio del doloroso cammino verso il Calvario.

    Centrato sul mistero della Passione è il Venerdì Santo, giorno di digiuno e di penitenza, tutto orientato alla contemplazione di Cristo sulla Croce. Nelle chiese viene proclamato il racconto della Passione e risuonano le parole del profeta Zaccaria: "Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto" (Gv 19,37). E il Venerdì Santo anche noi vogliamo realmente volgere lo sguardo al cuore trafitto del Redentore, nel quale - scrive san Paolo - sono "nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3), anzi "abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2,9), per questo l’Apostolo può affermare con decisione di non voler sapere altro "se non Gesù Cristo e questi crocifisso" (1 Cor 2,2).

    E’ vero: la Croce rivela "l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità" – le dimensioni cosmiche, questo è il senso - di un amore che sorpassa ogni conoscenza – l’amore va oltre quanto si conosce - e ci ricolma "di tutta la pienezza di Dio" (cfr Ef 3,18-19). Nel mistero del Crocifisso "si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo – amore, questo, nella sua forma più radicale" (Deus caritas est, 12). La Croce di Cristo, scrive nel V° secolo il Papa san Leone Magno, "è sorgente di tutte le benedizioni, e causa di tutte le grazie" (Disc. 8 sulla passione del Signore, 6-8; PL 54, 340-342).

    Nel Sabato Santo la Chiesa, unendosi spiritualmente a Maria, resta in preghiera presso il sepolcro, dove il corpo del Figlio di Dio giace inerte come in una condizione di riposo dopo l’opera creativa della redenzione, realizzata con la sua morte (cfr Eb 4,1-13). A notte inoltrata inizierà la solenne Veglia pasquale, durante la quale in ogni Chiesa il canto gioioso del Gloria e dell’Alleluia pasquale si leverà dal cuore dei nuovi battezzati e dall’intera comunità cristiana, lieta perché Cristo è risorto e ha vinto la morte.

    Cari fratelli e sorelle, per una proficua celebrazione della Pasqua, la Chiesa chiede ai fedeli di accostarsi in questi giorni al sacramento della Penitenza, che è come una specie di morte e di risurrezione per ognuno di noi. Nell’antica comunità cristiana, il Giovedì Santo si teneva il rito della Riconciliazione dei Penitenti presieduto dal Vescovo. Le condizioni storiche sono certamente mutate, ma prepararsi alla Pasqua con una buona confessione resta un adempimento da valorizzare appieno, perché ci offre la possibilità di ricominciare di nuovo la nostra vita e di avere realmente un nuovo inizio nella gioia del Risorto e nella comunione del perdono datoci da Lui.

    Consapevoli di essere peccatori, ma fiduciosi nella misericordia divina, lasciamoci riconciliare da Cristo per gustare più intensamente la gioia che Egli ci comunica con la sua risurrezione. Il perdono, che ci viene donato da Cristo nel sacramento della Penitenza, è sorgente di pace interiore ed esteriore e ci rende apostoli di pace in un mondo dove continuano purtroppo le divisioni, le sofferenze e i drammi dell’ingiustizia, dell’odio e della violenza, dell’incapacità di riconciliarsi per ricominciare di nuovo con un perdono sincero. Noi sappiamo però che il male non ha l'ultima parola, perché a vincere è Cristo crocifisso e risorto e il suo trionfo si manifesta con la forza dell’amore misericordioso.

    La sua risurrezione ci dà questa certezza: nonostante tutta l’oscurità che vi è nel mondo, il male non ha l’ultima parola. Sorretti da questa certezza potremo con più coraggio ed entusiasmo impegnarci perché nasca un mondo più giusto.

    Questo auspicio formulo di cuore per tutti voi, cari fratelli e sorelle, augurandovi di prepararvi con fede e devozione alle ormai prossime feste pasquali. Vi accompagni Maria Santissima che, dopo aver seguito il Figlio divino nell’ora della passione e della croce, ha condiviso il gaudio della sua risurrezione.

    [00535-01.02] [Testo originale: Italiano]

    Fonte: www.vatican.va
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  7. #7
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    http://www.maranatha.it/via/crucis/crcoverpage.htm

    Grazie a Caterina per i post, molto belli.

    Stefano.

  8. #8
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    Smile Grazie a te Stefano.......insieme avviamoci i Santi Misteri, con fraternità

    SANTA MESSA DEL CRISMA NELLA BASILICA VATICANA

    Alle ore 9.30 di oggi, ricorrenza del Giovedì Santo, il Papa presiede, nella Patriarcale Basilica Vaticana, la Santa Messa Crismale, Liturgia che si celebra in questo giorno in tutte le Chiese Cattedrali.

    La Messa del Crisma è concelebrata dal Santo Padre Benedetto XVI con i Cardinali, i Vescovi e i Presbiteri - diocesani e religiosi - presenti a Roma.

    Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la rinnovazione delle promesse sacerdotali, vengono benedetti l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il crisma.

    Riportiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia dopo la lettura del Santo Vangelo:

    Essere sacerdote significa diventare amico di Gesù Cristo, e questo sempre di più con tutta la nostra esistenza. Il mondo ha bisogno di Dio – non di un qualsiasi dio, ma del Dio di Gesù Cristo, del Dio che si è fatto carne e sangue, che ci ha amati fino a morire per noi, che è risorto e ha creato in se stesso uno spazio per l'uomo

    «Il sacerdote deve essere soprattutto un uomo di preghiera», unico antidoto all'«attivismo frenetico» di cui soffre il mondo moderno.

    .


    OMELIA DEL SANTO PADRE

    Il Giovedì Santo è il giorno in cui il Signore diede ai Dodici il compito sacerdotale di celebrare, nel pane e nel vino, il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue fino al suo ritorno. Al posto dell'agnello pasquale e di tutti i sacrifici dell'Antica Alleanza subentra il dono del suo Corpo e del suo Sangue, il dono di se stesso. Così il nuovo culto si fonda nel fatto che, prima di tutto, Dio fa un dono a noi, e noi, colmati da questo dono, diventiamo suoi: la creazione torna al Creatore. Così anche il sacerdozio è diventato una cosa nuova: non è più questione di discendenza, ma è un trovarsi nel mistero di Gesù Cristo. Egli è sempre Colui che dona e ci attira in alto verso di sé. Soltanto Lui può dire: "Questo è il mio Corpo – questo è il mio Sangue". Il mistero del sacerdozio della Chiesa sta nel fatto che noi, miseri esseri umani, in virtù del Sacramento possiamo parlare con il suo Io: in persona Christi. Egli vuole esercitare il suo sacerdozio per nostro tramite. Questo mistero commovente, che in ogni celebrazione del Sacramento ci tocca di nuovo, noi lo ricordiamo in modo particolare nel Giovedì Santo. Perché il quotidiano non sciupi ciò che è grande e misterioso, abbiamo bisogno di un simile ricordo specifico, abbiamo bisogno del ritorno a quell'ora in cui Egli ha posto le sue mani su di noi e ci ha fatti partecipi di questo mistero.

    Riflettiamo perciò nuovamente sui segni nei quali il Sacramento ci è stato donato. Al centro c'è il gesto antichissimo dell'imposizione delle mani, col quale Egli ha preso possesso di me dicendomi: "Tu mi appartieni". Ma con ciò ha anche detto: "Tu stai sotto la protezione delle mie mani. Tu stai sotto la protezione del mio cuore. Tu sei custodito nel cavo delle mie mani e proprio così ti trovi nella vastità del mio amore. Rimani nello spazio delle mie mani e dammi le tue".

    Ricordiamo poi che le nostre mani sono state unte con l'olio che è il segno dello Spirito Santo e della sua forza. Perché proprio le mani? La mano dell'uomo è lo strumento del suo agire, è il simbolo della sua capacità di affrontare il mondo, appunto di "prenderlo in mano". Il Signore ci ha imposto le mani e vuole ora le nostre mani affinché, nel mondo, diventino le sue. Vuole che non siano più strumenti per prendere le cose, gli uomini, il mondo per noi, per ridurlo in nostro possesso, ma che invece trasmettano il suo tocco divino, ponendosi a servizio del suo amore. Vuole che siano strumenti del servire e quindi espressione della missione dell'intera persona che si fa garante di Lui e lo porta agli uomini. Se le mani dell'uomo rappresentano simbolicamente le sue facoltà e, generalmente, la tecnica come potere di disporre del mondo, allora le mani unte devono essere un segno della sua capacità di donare, della creatività nel plasmare il mondo con l'amore – e per questo, senz'altro, abbiamo bisogno dello Spirito Santo. Nell'Antico Testamento l'unzione è segno dell'assunzione in servizio: il re, il profeta, il sacerdote fa e dona più di quello che deriva da lui stesso. In un certo qual modo è espropriato di sé in funzione di un servizio, nel quale si mette a disposizione di uno più grande di lui. Se Gesù si presenta oggi nel Vangelo come l'Unto di Dio, allora questo vuol proprio dire che Egli agisce per missione del Padre e nell'unità con lo Spirito Santo e che, in questo modo, dona al mondo una nuova regalità, un nuovo sacerdozio, un nuovo modo d'essere profeta, che non cerca se stesso, ma vive per Colui, in vista del quale il mondo è stato creato. Mettiamo le nostre mani oggi nuovamente a sua disposizione e preghiamolo di prenderci sempre di nuovo per mano e di guidarci.

    Nel gesto sacramentale dell'imposizione delle mani da parte del Vescovo è stato il Signore stesso ad imporci le mani. Questo segno sacramentale riassume un intero percorso esistenziale. Una volta, come i primi discepoli, abbiamo incontrato il Signore e sentito la sua parola: "Seguimi!" Forse inizialmente lo abbiamo seguito in modo un po' malsicuro, volgendoci indietro e chiedendoci se la strada fosse veramente la nostra. E in qualche punto del cammino abbiamo forse fatto l'esperienza di Pietro dopo la pesca miracolosa, siamo cioè rimasti spaventati per la sua grandezza, la grandezza del compito e per l'insufficienza della nostra povera persona, così da volerci tirare indietro: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore!" (Lc 5, 8) Ma poi Egli, con grande bontà, ci ha preso per mano, ci ha tratti a sé e ci ha detto: "Non temere! Io sono con te. Non ti lascio, tu non lasciare me!" E più di una volta ad ognuno di noi è forse accaduta la stessa cosa che a Pietro quando, camminando sulle acque incontro al Signore, improvvisamente si è accorto che l'acqua non lo sosteneva e che stava per affondare. E come Pietro abbiamo gridato: "Signore, salvami!" (Mt, 14, 30). Vedendo tutto l'infuriare degli elementi, come potevamo passare le acque rumoreggianti e spumeggianti del secolo scorso e dello scorso millennio? Ma allora abbiamo guardato verso di Lui … ed Egli ci ha afferrati per la mano e ci ha dato un nuovo "peso specifico": la leggerezza che deriva dalla fede e che ci attrae verso l'alto. E poi ci dà la mano che sostiene e porta. Egli ci sostiene. Fissiamo sempre di nuovo il nostro sguardo su di Lui e stendiamo le mani verso di Lui. Lasciamo che la sua mano ci prenda, e allora non affonderemo, ma serviremo la vita che è più forte della morte, e l'amore che è più forte dell'odio. La fede in Gesù, Figlio del Dio vivente, è il mezzo grazie al quale sempre di nuovo afferriamo la mano di Gesù e mediante il quale Egli prende le nostre mani e ci guida.

    Una mia preghiera preferita è la domanda che la liturgia ci mette sulle labbra prima della Comunione: "…non permettere che sia mai separato da te". Chiediamo di non cadere mai fuori della comunione col suo Corpo, con Cristo stesso, di non cadere mai fuori del mistero eucaristico. Chiediamo che Egli non lasci mai la nostra mano…

    Il Signore ha posto la sua mano su di noi. Il significato di tale gesto lo ha espresso nelle parole: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Gv 15, 15). Non vi chiamo più servi, ma amici: in queste parole si potrebbe addirittura vedere l'istituzione del sacerdozio. Il Signore ci rende suoi amici: ci affida tutto; ci affida se stesso, così che possiamo parlare con il suo Io – in persona Christi capitis. Che fiducia! Egli si è davvero consegnato nelle nostre mani. I segni essenziali dell'Ordinazione sacerdotale sono in fondo tutti manifestazioni di quella parola: l'imposizione delle mani; la consegna del libro – della sua parola che Egli affida a noi; la consegna del calice col quale ci trasmette il suo mistero più profondo e personale. Di tutto ciò fa parte anche il potere di assolvere: Ci fa partecipare anche alla sua consapevolezza riguardo alla miseria del peccato e a tutta l'oscurità del mondo e ci dà la chiave nelle mani per riaprire la porta verso la casa del Padre. Non vi chiamo più servi ma amici. È questo il significato profondo dell'essere sacerdote: diventare amico di Gesù Cristo.

    Per questa amicizia dobbiamo impegnarci ogni giorno di nuovo. Amicizia significa comunanza nel pensare e nel volere. In questa comunione di pensiero con Gesù dobbiamo esercitarci, ci dice san Paolo nella Lettera ai Filippesi (cfr 2, 2-5). E questa comunione di pensiero non è una cosa solamente intellettuale, ma è comunanza dei sentimenti e del volere e quindi anche dell'agire. Ciò significa che dobbiamo conoscere Gesù in modo sempre più personale, ascoltandolo, vivendo insieme con Lui, trattenendoci presso di Lui. Ascoltarlo – nella lectio divina, cioè leggendo la Sacra Scrittura in un modo non accademico, ma spirituale; così impariamo ad incontrare il Gesù presente che ci parla. Dobbiamo ragionare e riflettere sulle sue parole e sul suo agire davanti a Lui e con Lui. La lettura della Sacra Scrittura è preghiera, deve essere preghiera – deve emergere dalla preghiera e condurre alla preghiera. Gli evangelisti ci dicono che il Signore ripetutamente – per notti intere – si ritirava "sul monte" per pregare da solo. Di questo "monte" abbiamo bisogno anche noi: è l'altura interiore che dobbiamo scalare, il monte della preghiera. Solo così si sviluppa l'amicizia. Solo così possiamo svolgere il nostro servizio sacerdotale, solo così possiamo portare Cristo e il suo Vangelo agli uomini. Il semplice attivismo può essere persino eroico. Ma l'agire esterno, in fin dei conti, resta senza frutto e perde efficacia, se non nasce dalla profonda intima comunione con Cristo. Il tempo che impegniamo per questo è davvero tempo di attività pastorale, di un'attività autenticamente pastorale. Il sacerdote deve essere soprattutto un uomo di preghiera. Il mondo nel suo attivismo frenetico perde spesso l'orientamento. Il suo agire e le sue capacità diventano distruttive, se vengono meno le forze della preghiera, dalle quali scaturiscono le acque della vita capaci di fecondare la terra arida.

    Non vi chiamo più servi, ma amici. Il nucleo del sacerdozio è l'essere amici di Gesù Cristo. Solo così possiamo parlare veramente in persona Christi, anche se la nostra interiore lontananza da Cristo non può compromettere la validità del Sacramento. Essere amico di Gesù, essere sacerdote significa essere uomo di preghiera. Così lo riconosciamo e usciamo dall'ignoranza dei semplici servi. Così impariamo a vivere, a soffrire e ad agire con Lui e per Lui. L'amicizia con Gesù è per antonomasia sempre amicizia con i suoi. Possiamo essere amici di Gesù soltanto nella comunione con il Cristo intero, con il capo e il corpo; nella vite rigogliosa della Chiesa animata dal suo Signore. Solo in essa la Sacra Scrittura è, grazie al Signore, Parola viva ed attuale. Senza il vivente soggetto della Chiesa che abbraccia le età, la Bibbia si frantuma in scritti spesso eterogenei e diventa così un libro del passato. Essa è eloquente nel presente soltanto là dove c'è la "Presenza" – là dove Cristo resta in permanenza contemporaneo a noi: nel corpo della sua Chiesa.

    Essere sacerdote significa diventare amico di Gesù Cristo, e questo sempre di più con tutta la nostra esistenza. Il mondo ha bisogno di Dio – non di un qualsiasi dio, ma del Dio di Gesù Cristo, del Dio che si è fatto carne e sangue, che ci ha amati fino a morire per noi, che è risorto e ha creato in se stesso uno spazio per l'uomo. Questo Dio deve vivere in noi e noi in Lui. È questa la nostra chiamata sacerdotale: solo così il nostro agire da sacerdoti può portare frutti. Vorrei concludere questa omelia con una parola di Andrea Santoro, di quel sacerdote della Diocesi di Roma che è stato assassinato a Trebisonda mentre pregava; il Cardinale Cè l'ha comunicata a noi durante i nostri Esercizi spirituali. La parola dice: "Sono qui per abitare in mezzo a questa gente e permettere a Gesù di farlo prestandogli la mia carne… Si diventa capaci di salvezza solo offrendo la propria carne. Il male del mondo va portato e il dolore va condiviso, assorbendolo nella propria carne fino in fondo come ha fatto Gesù". Gesù ha assunto la nostra carne. Diamogli noi la nostra, in questo modo Egli può venire nel mondo e trasformarlo. Amen!

    [00546-01.02] [Testo originale: Italiano]
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  9. #9
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    ATTENZIONE


    http://www.vatican.va/news_services/...n/index_it.htm

    Per seguire in diretta internet questo Triduo Pasquale e tutte le Messe del Pontefice, cliccate sul collegamento.
    Fraternamente Caterina
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  10. #10
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    Ringraziamo il Signore Gesù per il dono dell'Eucaristia.
    Adoriamolo presente nella sua Parola e nel segno sacramentale del suo amore

 

 
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