Tre proposte di discussione in vista del Comitato politico nazionale
Una nuova politica per costruire la sinistra alternativa
Dino Bozzi, Gianni Confalonieri, Saverio Ferrari
del Comitato Politico Nazionale
Il prossimo Comitato Politico Nazionale, già convocato per il 14-15 settembre, sarà senza dubbio chiamato, alla vigilia dell'autunno, ad una verifica della nostra linea politica. Il tutto a soli pochi mesi dalle conclusioni di un Congresso che nelle intenzioni avrebbe dovuto tracciare una prospettiva di lungo periodo.
Crediamo utile, in anticipo sul dibattito, in modo forse poco diplomatico ma certamente trasparente e leale, sviluppare alcune nostre considerazioni. L'intento è quello di chiarire posizioni già esplicitate nel nostro Congresso, ma divenute ora, ci permettiamo di dire, di grande attualità di fronte all'incalzare degli avvenimenti.
Sono tre i punti che ci preme brevemente affrontare, apparentemente distinti ma in realtà tutti quanti interni al tema della costruzione della "sinistra alternativa" nel nostro paese.
La "gabbia" si è rotta
Il primo riguarda il rapporto con la crisi del centro-sinistra, la cui natura e profondità, per noi, non è in discussione.
Il fatto veramente nuovo è che in questi mesi, contrariamente a quanto previsto ("non avremo nei prossimi anni un sindacato confederale unitario, autonomo, democratico, di classe", così recitava il documento della Direzione Nazionale in preparazione del dibattito congressuale) lo scenario politico e sociale è stato segnato in profondità dall'iniziativa di un movimento di massa, in difesa dell'art. 18 e dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, promosso da Cgil, che ha assunto il ruolo di catalizzatore in positivo di tutti gli altri movimenti, no-global compreso. Lo abbiamo colto, difficile negarlo, solo nel momento della sua esplosione.
Accanto, ed intrecciato ad esso, è anche cresciuto un largo moto di opinione in nome del diritto, della legalità e della moralità nella politica, che ha saputo trasversalmente scuotere coscienze e sensibilità democratiche, denunciando con forza la deriva dell'attuale maggioranza di destra. Ora, seppur in ritardo e dopo giudizi iniziali anche sprezzanti, abbiamo giustamente deciso di riconsiderare le nostre posizioni.
Sul piano politico indubbio è stato, infine, il successo elettorale, nelle elezioni amministrative del maggio scorso, dell'alleanza fra il centro-sinistra e Prc. In ciascuno di questi avvenimenti, fortissima si è manifestata, ovviamente su piani diversi, sia la critica verso la passata esperienza dei governi dell'Ulivo (emblematica in questo senso l'assunzione in negativo, a livello popolare, della figura di Massimo D'Alema), sia la spinta in direzione di un nuovo centro-sinistra, capace di raccogliere le istanze di questi movimenti.
Se ciò ha acuito e reso ancora più esplicite le contraddizioni dell'Ulivo, ha anche tracciato una possibile prospettiva per un centro-sinistra più marcatamente alternativo al centro-destra, e soprattutto più attento ai nuovi fermenti sociali.
La domanda che a noi, a questo punto, inevitabilmente si pone è la seguente: che senso ha insistere con lo slogan del centro-sinistra come "gabbia da far saltare"? La gabbia si è rotta. Ne va preso atto, è un fatto oggettivo. E' proprio ora invece che va articolata con forza una nuova politica in grado di interloquire a tutto campo con la "sinistra" che si è espressa sia nei movimenti che a livello politico. Una sinistra che attraversa i Ds, passa per i verdi e soprattutto diviene popolo nel movimento sindacale di massa. I nostri referendum, da questo punto di vista, potranno solo rappresentare uno degli strumenti a nostra disposizione.
Quale altra strada, altrimenti, per la costruzione di una "sinistra alternativa"? Non c'è forse, in questo contesto, paradossalmente da parte nostra, anche un eccesso di "politicismo" nel continuare a domandarsi se Cofferati promuoverà o meno una nuova forza politica o se in Italia si configurino le condizioni per l'esistenza di un partito socialdemocratico? Assistiamo a volte al nostro interno ad una discussione davvero stucchevole per astrattezza e sterilità.
Dal Congresso abbiamo tutti noi colto l'indicazione positiva di spostare l'attenzione e l'asse del partito verso il piano "politico-sociale" rispetto a quello "istituzionale". Bene, non è forse questo il caso concreto, di fronte all'irrompere di più movimenti, di tradurre tutto ciò in pratica? Siamo o no interessati a che la crisi di questo centro-sinistra, proprio sotto la spinta dei movimenti e con il nostro contributo, si risolva con un approdo politico più a sinistra?
Il nostro immediatismo
Anche riguardo il rapporto tra noi e il movimento no-global vale la pena di operare una necessaria e attenta riflessione.
I nostri errori di valutazione sulla natura di questo movimento non si possono nascondere, sono sotto gli occhi di tutti. Non sono qui in discussione (possiamo darlo per scontato?) né la valenza strategica né le sue potenzialità. Ma l'avere enfatizzato alcune caratteristiche del movimento, ancora in divenire, come se in realtà si fossero già pienamente sviluppate, ha significato farci scambiare più volte (tragico errore) i desideri per la realtà.
Le conseguenze sul piano politico sono state:
- il non essere riusciti ad operare adeguatamente per promuovere e consentire una vera dialettica fra questo movimento e gli altri movimenti;
- l'aver ossequiato solo a parole le "differenze culturali" presenti al suo interno, ritenendo il movimento già pienamente costituito in soggetto politico, così favorendo nei fatti fratture e divisioni, soprattutto con l'area cattolica;
- aver esaltato la retorica del conflitto e della piazza in luogo della necessità di una capacità politica ben oltre il momento delle manifestazioni;
- aver riproposto nel concreto (anche se sempre negato teoricamente) la vecchia logica dell'"avanguardia a guida delle masse";
- non avere contrastato sia le pericolosissime derive leaderistiche, in luogo della formazione di gruppi dirigenti collettivi, sia il progressivo sclerotizzarsi dei social-forum locali.
Intravediamo all'origine un nostro e preoccupante limite teorico e culturale di "immediatismo", che ha spesso vanificato e sostituito le necessarie capacità di analisi. Forte è, in conclusione, al nostro interno la tendenza a cogliere in alcuni fatti politici e sociali l'espressione di potenzialità che poi assumiamo come già operanti. Un limite non da poco.
L'alternativa alle destre
Il terzo punto, che vorremmo più indicare che affrontare, attiene invece all'evidenza politica di operare già da oggi per favorire le condizioni che consentano domani di prefigurare un'alternativa al governo delle destre. Sottolineiamo a scanso di facili e voluti equivoci la parola "condizioni", e cioè obiettivi che si possono raggiungere solo operando per modificare la realtà.
Non ci si risponda che il rischio è quello di mettere in discussione il nostro patrimonio ideale e la nostra autonomia, e soprattutto che le "condizioni" si possono determinare esclusivamente sul terreno sociale nel rapporto con il "movimento dei movimenti". Non sarebbe serio. La necessità di una prospettiva politica non può essere mai posta in contrapposizione né con l'autonomia del partito né con il rapporto con le dinamiche sociali. Questo modo di ragionare rischia sempre più di trasformarsi in un alibi per estraniare e confinare il nostro partito nella rassicurante, e poco impegnativa, posizione di osservatore esterno degli scenari politici, ma non di protagonista. Il suo significato, sotto il profilo culturale, è quello, da un lato, di ritenere in definitiva la politica (fatto assai grave) uno strumento inutile per incidere nel presente, e dall'altro, di considerare le nostre idee prive di una propria forza, non in grado di esercitare alcuna egemonia.
In questo modo si continua, per altro, ad operare una sistematica scissione fra l'orizzonte strategico e la quotidianità politica, ritenute da noi quasi due sfere separate, l'una indipendente dall'altra.
Un anno e più di governo Berlusconi, crediamo abbiano definitivamente chiarito che è priva di fondamento l'idea dell'intercambiabilità dei governi di centro-sinistra e centro-destra. Le differenze le misuriamo ormai ogni giorno, sul piano politico e sociale e su quello dell'attacco alle libertà costituzionali. Si pone anche per noi la questione, operando nel sociale e nella sfera politica, degli scenari che possiamo contribuire a costruire per impedire a Berlusconi e alle destre di rafforzare la loro presa devastante sulla società italiana.
Liberazione 12 settembre 2002
http://www.liberazione.it