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    Predefinito 11settembre:Tutti i “buchi neri” dell’intelligence

    Troppe le incongruenze nella dinamica dell’attacco e nella reazione
    Tutti i “buchi neri” dell’intelligence
    di Mauro Bottarelli

    Sin dalle prime ore che hanno seguito l’attacco dell’11 settembre, i media di tutto il mondo hanno additato il miliardario saudita Osama Bin Laden quale mandante dell’attentato. Purtroppo, in mezzo a quest’orgia mediatica - e malgrado abbondassero gli elementi contraddittori in tutta questa tragica catena di eventi - nessuno si è soffermato ad analizzare a mente fredda l’accaduto per cercare di capire cosa è realmente successo. Ovvero, che certamente Bin Laden poteva essere l’ideatore e anche il mandante ma non certo senza enormi appoggi logistici e strategici (di alto livello) all’interno degli Stati Uniti. Se qualcuno l’avesse fatto, probabilmente avrebbe trovato quantomeno inquietante questo annuncio, scritto il 4 settembre 2001 da Ben Cohen e reperibile a tutti via Internet: «SI RICERCA NEMICO. Serio nemico necessario a giustificare un aumento nel bilancio del Pentagono. Fornitori della difesa disperati. Nemici interessati mandino lettera e foto o video (con minacce, ok) al Comitato Ricerca Nemico, Priorities Campaign, 1350 Broadway, NY, NY, 10018». Nell’articolo si menzionava il fatto che il Ministero della Difesa aveva bisogno di trovare in fretta un nemico credibile, dato che l’Amministrazione Bush ha proposto un aumento di 33 miliardi di dollari nel bilancio del Pentagono, il maggiore aumento dai tempi della Guerra Fredda; in tal modo il bilancio complessivo ammonterebbe a 344 miliardi di dollari, ovvero oltre tre volte maggiore del totale speso complessivamente da Russia, Cina e i potenziali avversari degli Usa (Cuba, Iran, Iraq, Libia, Corea, Sudan e Siria).
    ARRIVA LA PROFEZIA RUSSA
    Questo mentre al momento negli Stati Uniti venivano spesi solo 42 miliardi di dollari nell’istruzione, 26 in case popolari e appena 1 nella costruzione di scuole. Per tacere del fatto che il tasso di povertà tra i bambini è ormai al 15 per cento e oltre 40 milioni di americani non dispongono di alcuna copertura assicurativa (e quindi sanitaria). “Cui prodest”? Molti elementi fanno pensare che qualcuno sapesse con largo anticipo dell’imminenza di tali attentati: il 12 luglio 2001 un rapporto che occupava un’intera pagina della Pravda, era intitolato «Il dollaro e l’America crolleranno il 19 agosto? Questa è l’opinione della dottoressa Tatyana Koryagina, che lo ha previsto nel 1998». Fra le dichiarazioni rilasciate da quest’ultima si legge: «Gli Stati Uniti sono impegnati in un mortale gioco economico. La storia conosciuta della civiltà è appena la parte visibile di un iceberg. C’è un’economia ombra, una politica ombra e anche una storia ombra, conosciuta dai “cospirologi”. Vi sono forze (invisibili) in azione nel mondo, inarrestabili dai Paesi (più potenti) e persino dai continenti... Vi sono gruppi internazionali al di sopra di Stati e di governi... Nei confronti degli Stati Uniti è possibile fare qualsiasi cosa, dato che il loro debito complessivo ha raggiunto i 26 trilioni di dollari. In generale, al momento tutta l’economia occidentale è ad un punto di ebollizione. Attività finanziarie ombra che assommano a 300 trilioni di dollari stanno incombendo sul pianeta». Chiaro, no?
    I SERVIZI HANNO FALLITO
    Una cosa è sicura: il crollo delle torri gemelle a New York e la devastazione di un’ala del Pentagono hanno segnato il più colossale smacco subito dalle varie agenzie di intelligence statunitensi (Nsa, Cia, Fbi, etc.) che la storia ricordi, malgrado i loro sofisticati sistemi di sorveglianza, su tutti il famigerato Echelon. «Come sia possibile che non avessero alcuna indicazione a riguardo mi risulta del tutto incomprensibile», ha riferito al Washington Post, Kenneth Katzman, esperto in terrorismo del Congressional Research Service. David Stern, specialista nelle operazioni di intelligence israeliane, ha dichiarato che l’attacco è stato troppo sofisticato e richiedeva l’elevato livello di precisione militare e di risorse di un’agenzia di intelligence avanzata. Inoltre, sarebbe stata necessaria una grande familiarità con le operazioni di volo dell’Air Force One, le aerovie usate dalle linee aeree commerciali e le tattiche di assalto aereo su città sensibili come Washington. In una intervista alla CNN del 15 settembre il Presidente egiziano, Hosni Mubarak, ha sollevato alcuni interrogativi sugli attentati al WTC ed al Pentagono. Mubarak ha ricordato le occasioni in cui dal 1991 ha ripetuto che i governi debbono prendere sul serio la minaccia terroristica e ha deprecato il fatto di essere rimasto inascoltato. Ha poi sottolineato la natura straordinaria della tragedia dell’11 settembre: «...Chi lo ha fatto (l’attacco terroristico, ndr) deve aver volato in quell’aerea a lungo. Ad esempio, il Pentagono non è molto alto, per colpirlo direttamente un pilota deve aver volato nella zona in modo da conoscere gli ostacoli che rischiava di incontrare. Qualcuno ha studiato l’operazione molto a lungo ed ha volato in quella zona a lungo». In modo simile ha valutato la situazione Mikhail Magrelov alla televisione russa NTV il 14 settembre. Magrelov è vice presidente della Commissione Affari Esteri del Consiglio della Federazione Russa, un esperto di intelligence. Ha notato come il dirottamento quasi simultaneo di diversi aerei con piloti ben preparati, la contemporanea paralisi dei sistemi di controllo aereo e la perfezione dell’impatto degli aerei per infliggere il massimo danno possibile, assumono i contorni di una cospirazione altamente pianificata con una specializzazione da servizi più che da terroristi. In una intervista all’agenzia semi-istituzionale russa Strana.ru del 14 settembre Andrei Kosyakov, ex assistente del Presidente alla Sottocommissione sui servizi del Soviet Supremo della Russia (1991-1993), poneva in rilievo come necessariamente abbiano dovuto partecipare all’operazione numerosi specialisti impegnati per un periodo molto lungo. Kosyakov nota anche che alcuni passeggeri, tra i quali un giornalista professionista, hanno notificato il dirottamento dell’aereo a bordo del quale si trovavano, «ma nessuno di loro ha descritto in alcun modo i terroristi, il loro accento, la pronuncia: non c’era in loro nulla che quei passeggeri abbiano notato». Nulla, niente di particolare: nemmeno, che so, un «Allah akbar!» gridato dalla cabina. Kosyakov nota anche che è stata lasciata intenzionalmente una traccia un po’ troppo visibile: «Un’auto noleggiata piena di copie del Corano e di manuali di volo in lingua araba, abbandonata nei pressi dell’aeroporto. Vista tanta professionalità, come si spiega un tale errore che contrasta palesemente con la cura dei dettagli? Tutto ciò indica un tentativo di depistaggio. I servizi segreti non si preoccupano di americani ed europei, cercano gli arabi».
    PRIMO ATTACCO, NON L’ULTIMO
    Kosyakov ha continuato: «Purtroppo credo che dobbiamo prepararci a nuove azioni terroristiche, in forma diversa ma altrettanto gravi... Stando alle nostre valutazioni una nave potrebbe essere usata per speronare infrastrutture idroelettriche. Immaginate una diga sfondata da una nave passeggeri o da una petroliera... Inonderebbe un paio di città con una popolazione di un milione e mezzo, col petrolio che brucia in superficie. Oppure, le linee ferroviarie sotto il fiume Hudson, che potrebbero essere fatte saltare da sopra o da sotto. L’acqua si riverserebbe nei tunnel...». Uno scenario possibile.
    A livello economico, poi, certi ambienti istituzionali hanno diffuso quindi l’idea secondo cui un fanatico nascosto nelle montagne afghane avrebbe innescato una crisi finanziaria, una recessione e forse anche una depressione. Così non è: la crisi era in piena fase di accelerazione già ad agosto e nella prima decade di settembre. Tra l’aprile 2000 e l’aprile 2001 la capitalizzazione di borsa di imprese e famiglie USA è scesa dai 20,15 ai 14,88 trilioni di dollari. E’ una perdita del 26,2%, che corrisponde a più della metà del PIL americano. Ma la situazione è peggiorata ancora nel secondo e terzo trimestre dell’anno, e nell’ultima settimana d’agosto il sistema era fuori controllo: tra l’ultima settimana di agosto e la prima di settembre il Dow Jones ha perso 817 punti, ovvero l’8%. Per i mercati europei l’agosto 2001 è stato il mese peggiore dal “quasi-crack” dell’autunno 1998. L’indice preliminare sulla disposizione del consumatore USA, in base ad uno studio su dati raccolti prima dell’11 settembre, mostra un caduta dal 91,5 di agosto all’83,6 a settembre, il valore più basso dal marzo 1993. Basti dire che in data 1 settembre 3,35 milioni di americani percepivano l’assegno di disoccupazione.
    SE ANCHE ANDREOTTI HA DUBBI
    Politicamente, rispondendo al coro dei mass media americani che chiedono “vendetta” e alla dichiarazione dell’amministrazione Bush di essere “in guerra”, personalità politiche europee al di sopra di ogni sospetto di anti-americanismo hanno invitato a non trarre conclusioni affrettate. Giulio Andreotti ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera del 13 settembre di non poter accettare l’idea che Osama Bin Laden sia l’autore di quei misfatti: «Sapevo che tutti, proprio tutti, l’avevano aiutato ai tempi in cui combatteva l’invasione russa in Afghanistan - ha detto l’ex Presidente del Consiglio - ma pensavo che negli ultimi anni fosse diventato una specie di capro espiatorio, che lo tirassero in mezzo quando non si sapeva bene a chi dare la colpa. Invece, ha certamente alle spalle un grande potere economico e finanziario, aveva anche uffici a Londra, fino a poco tempo fa. Il problema, adesso, è capire se davvero Bin Laden sta combattendo una Crociata solitaria». Per questo, sostiene Andreotti, «ci vorrà del tempo prima di poter puntare il dito soltanto su di lui... Il rischio è che sulla base di una presunzione si inneschino reazioni a catena, non si colpiscano i veri obiettivi. Piuttosto - concluse il senatore a vita - mi chiedo chi abbia aiutato i terroristi negli Stati Uniti. Devono aver avuto un supporto notevole, in loco. Questa è gente che ha pilotato un aereo, che ha calcolato i tempi per arrivare dritta dritta in tv, non sono turisti improvvisati». L’ex cancelliere tedesco, Helmut Schmidt, ha firmato un editoriale per il settimanale Die Zeit in cui afferma che «è urgente che i governi, quello americano e anche quelli europei, non cadano nella trappola delle voci finendo per prendersela con falsi colpevoli». Per quanto riguarda le “chiare prove” delle responsabilità di Osama Bin Laden negli attentati, esperti del settore in Europa si sono detti chiaramente non convinti. Juergen Storbeck, direttore di Europol, ha detto al Daily Telegraph del 15 settembre che «Bin Laden non è automaticamente il leader di ogni azione terroristica condotta in nome dell’Islam. Forse ha avuto una sua influenza, ma forse non è colui che decide ogni azione e controlla ogni piano in dettaglio. Per quanto riguarda l’idea che dall’Afghanistan abbia potuto controllare l’ultima fase dell’operazione è qualcosa che non si può ammettere senza sollevare tante riserve». Inoltre, parlando con piloti professionisti ed esperti di sicurezza in merito agli episodi dell’11 settembre, sono emerse alcune domande che ancora oggi - un anno dopo - non hanno ottenuto una risposta. Vediamole. 1) Come mai i preparativi di un’operazione tanto grande e sofisticata, a cui deve aver preso parte almeno un centinaio di persone, sono passati inosservati agli addetti dei servizi? Si tratta di un fallimento completo della struttura o anche tale fallimento è parte dell’operazione stessa? 2) Come hanno fatto i dirottatori a immobilizzare ben quattro equipaggi senza che nemmeno uno dei piloti riuscisse a battere quattro cifre nel risponditore del velivolo o dire qualcosa alla radio, informando così la Federal Aviation Agency (FAA)? O forse i piloti sedutisi al posto di guida erano sin dall’inizio i dirottatori? In tal caso dovevano conoscere alla perfezione le procedure, che sono precise e complicate, e specifiche per ogni singola compagnia aerea. Molti piloti hanno affermato che per effettuare una manovra del genere è sufficiente un addestramento minimo. Ma quante possibilità di riuscire alla perfezione avrebbero avuto dei dilettanti? Il generale Eiten Ben Eliahu, ex comandante dell’aviazione israeliana, si è detto convinto che «i piloti erano americani e non stranieri».
    NESSUNO SI LEVÒ IN VOLO
    3) Come mai tutte le procedure di emergenza hanno fallito? Secondo le procedure della FAA, nel momento in cui risulta che un aereo abbandona il proprio percorso di volo si cerca immediatamente di stabilire il contatto con i piloti. Nel caso non si ottenga risposta, scatta immediatamente l’allarme. In tal caso si procede a determinare se l’aereo è stato dirottato o è fuori controllo. Si tratta di procedure che sono standardizzate e regolarmente simulate, dato che il fattore tempo è cruciale. Nel caso di emergenze, specialmente di dirottamento, è previsto il collegamento con i militari. Un aereo intercettore richiede 15 minuti da quando scatta l’allarme per essere in volo. E’ stato riferito che i risponditori dell’aereo erano spenti. Questo di per sé doveva essere sufficiente a far scattare le procedure di emergenza. Anche a risponditore spento l’aereo è localizzabile dai radar, che consentono di individuarne la nuova rotta. I voli 11 dell’American Airlines e 175 della United Airlines, quelli che sono stati dirottati su New York, sono decollati dall’aeroporto Logan di Boston alle 7,59 e alle 7,58. Il primo aereo si è schiantato sul WTC 46 minuti dopo e il secondo 66 minuti dopo. Ambedue hanno palesemente lasciato la rotta prestabilita, marcatamente il secondo. C’era tutto il tempo di intercettarli se fosse stato dato l’allarme secondo la procedura stabilita.
    40 MINUTI FUORI CONTROLLO
    Ancor più sorprendente è stato il volo 77 della American Airlines che è decollato dal Dulles di Washington alla volta di Los Angeles. Ha volato nella direzione giusta per 40 minuti, per poi compiere un’inversione completa di rotta e tornare su Washington e schiantarsi sul Pentagono alle 9,40. Ha viaggiato per 40 minuti fuori dal controllo, ma non è stato intercettato! La difesa dello spazio aereo interno degli USA e del Canada è affidata al North American Aerospace Defense (NORAD), il cui comando sostiene di non aver avuto il tempo per reagire. L’affermazione è molto dubbia, dato che la NORAD staziona alcuni velocissimi intercettori F-15 nella base della CIA a Langley, Virginia, vicinissima (per un caccia) a Washington.
    LA “TV PRIVATA” DI BUSH JR
    La questione della mancata reazione dei mezzi NORAD è stata posta al Senato il 13 settembre al generale Richard Myers, capo di Stato maggiore della Difesa, che ha dato risposte evasive. Lui, mentre il primo aereo si schiantava sulla torre del Wtc, era impegnato in una riunione: messo al corrente dell’accaduto ha proseguito la propria riunione senza battere ciglio. Ma a fare impressione è soprattutto un’altra cosa. Così, nel dicembre scorso, George Bush ha rievocato i drammatici minuti della mattina dell’11 settembre, mentre incontrava dei ragazzini in una scuola della Florida. «Ero in una classe a parlare di un programma per l’apprendimento della lettura. Stavo aspettando di entrare in classe ed ho visto un aereo colpire la torre - c’era la tv accesa ovviamente - e ho pensato subito, perché come sapete volo anch’io: che pilota pessimo». Dunque Bush ricordò di aver visto il primo aereo schiantarsi contro il grattacielo. Era certamente il primo perché lui aspettava di entrare in classe, dunque era prima delle 09.02 del mattino. Il fatto è che nessuna rete televisiva ha colto l’impatto del primo aereo: il colpo è stato a sorpresa, nessuna telecamera di network commerciali era puntata sulle torri, non c’erano troupe poiché non c’era motivo di essere lì “prima”. Quello che tutto il mondo ha visto in tv è lo schianto del secondo aereo. Si chiese tra lo sgomento e il divertito il cronista del quotidiano britannico The Indipendent: «Ma quale tv stava guardando?». Già quale? Chi era a New York con le telecamere già ben puntate verso il Wtc? E perché, poi, c’è voluta mezz’ora prima che Bush, come prescrivono le procedura d’emergenza, venisse trasportato in “luogo sicuro”, ovvero sull’Air Force One che l’ha fatto vagare nei cieli per oltre nove ore?
    QUELLA STRANA TELEFONATA
    Ma, a seminare altri dubbi, ci si mette anche la rivelazione fatta il 12 settembre dal supergiornalista William Safire, un intimo degli ambienti presidenziali, secondo il quale in quei minuti concitati dell’11/9 fu fatta una telefonata da persone sicuramente vicine ai dirottatori nel corso della quale chi chiamò si dimostrò al corrente dei numeri di codice (segretissimi) che solo il presidente e il suo entourage può usare per autentificare gli ordini in caso di guerra. La talpa che avvertì Safire della telefonata risultò essere Karl Rove, l’esperto di strategia politica di Bush: nessuno ha ancora smentito alcunché. Una domanda, ora che anche il libero Vittorio Feltri ha messo timidamente in dubbio il dogma dell’infallibilità americana, sorge spontanea: voler sapere la verità riguardo queste non certo irrilevanti incongruenze significa essere anti-Usa? In fondo, siamo tutti “Fallaci”...
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Predefinito 11settembre:Tutti i “buchi neri” dell’intelligence

    Troppe le incongruenze nella dinamica dell’attacco e nella reazione
    Tutti i “buchi neri” dell’intelligence
    di Mauro Bottarelli

    Sin dalle prime ore che hanno seguito l’attacco dell’11 settembre, i media di tutto il mondo hanno additato il miliardario saudita Osama Bin Laden quale mandante dell’attentato. Purtroppo, in mezzo a quest’orgia mediatica - e malgrado abbondassero gli elementi contraddittori in tutta questa tragica catena di eventi - nessuno si è soffermato ad analizzare a mente fredda l’accaduto per cercare di capire cosa è realmente successo. Ovvero, che certamente Bin Laden poteva essere l’ideatore e anche il mandante ma non certo senza enormi appoggi logistici e strategici (di alto livello) all’interno degli Stati Uniti. Se qualcuno l’avesse fatto, probabilmente avrebbe trovato quantomeno inquietante questo annuncio, scritto il 4 settembre 2001 da Ben Cohen e reperibile a tutti via Internet: «SI RICERCA NEMICO. Serio nemico necessario a giustificare un aumento nel bilancio del Pentagono. Fornitori della difesa disperati. Nemici interessati mandino lettera e foto o video (con minacce, ok) al Comitato Ricerca Nemico, Priorities Campaign, 1350 Broadway, NY, NY, 10018». Nell’articolo si menzionava il fatto che il Ministero della Difesa aveva bisogno di trovare in fretta un nemico credibile, dato che l’Amministrazione Bush ha proposto un aumento di 33 miliardi di dollari nel bilancio del Pentagono, il maggiore aumento dai tempi della Guerra Fredda; in tal modo il bilancio complessivo ammonterebbe a 344 miliardi di dollari, ovvero oltre tre volte maggiore del totale speso complessivamente da Russia, Cina e i potenziali avversari degli Usa (Cuba, Iran, Iraq, Libia, Corea, Sudan e Siria).
    ARRIVA LA PROFEZIA RUSSA
    Questo mentre al momento negli Stati Uniti venivano spesi solo 42 miliardi di dollari nell’istruzione, 26 in case popolari e appena 1 nella costruzione di scuole. Per tacere del fatto che il tasso di povertà tra i bambini è ormai al 15 per cento e oltre 40 milioni di americani non dispongono di alcuna copertura assicurativa (e quindi sanitaria). “Cui prodest”? Molti elementi fanno pensare che qualcuno sapesse con largo anticipo dell’imminenza di tali attentati: il 12 luglio 2001 un rapporto che occupava un’intera pagina della Pravda, era intitolato «Il dollaro e l’America crolleranno il 19 agosto? Questa è l’opinione della dottoressa Tatyana Koryagina, che lo ha previsto nel 1998». Fra le dichiarazioni rilasciate da quest’ultima si legge: «Gli Stati Uniti sono impegnati in un mortale gioco economico. La storia conosciuta della civiltà è appena la parte visibile di un iceberg. C’è un’economia ombra, una politica ombra e anche una storia ombra, conosciuta dai “cospirologi”. Vi sono forze (invisibili) in azione nel mondo, inarrestabili dai Paesi (più potenti) e persino dai continenti... Vi sono gruppi internazionali al di sopra di Stati e di governi... Nei confronti degli Stati Uniti è possibile fare qualsiasi cosa, dato che il loro debito complessivo ha raggiunto i 26 trilioni di dollari. In generale, al momento tutta l’economia occidentale è ad un punto di ebollizione. Attività finanziarie ombra che assommano a 300 trilioni di dollari stanno incombendo sul pianeta». Chiaro, no?
    I SERVIZI HANNO FALLITO
    Una cosa è sicura: il crollo delle torri gemelle a New York e la devastazione di un’ala del Pentagono hanno segnato il più colossale smacco subito dalle varie agenzie di intelligence statunitensi (Nsa, Cia, Fbi, etc.) che la storia ricordi, malgrado i loro sofisticati sistemi di sorveglianza, su tutti il famigerato Echelon. «Come sia possibile che non avessero alcuna indicazione a riguardo mi risulta del tutto incomprensibile», ha riferito al Washington Post, Kenneth Katzman, esperto in terrorismo del Congressional Research Service. David Stern, specialista nelle operazioni di intelligence israeliane, ha dichiarato che l’attacco è stato troppo sofisticato e richiedeva l’elevato livello di precisione militare e di risorse di un’agenzia di intelligence avanzata. Inoltre, sarebbe stata necessaria una grande familiarità con le operazioni di volo dell’Air Force One, le aerovie usate dalle linee aeree commerciali e le tattiche di assalto aereo su città sensibili come Washington. In una intervista alla CNN del 15 settembre il Presidente egiziano, Hosni Mubarak, ha sollevato alcuni interrogativi sugli attentati al WTC ed al Pentagono. Mubarak ha ricordato le occasioni in cui dal 1991 ha ripetuto che i governi debbono prendere sul serio la minaccia terroristica e ha deprecato il fatto di essere rimasto inascoltato. Ha poi sottolineato la natura straordinaria della tragedia dell’11 settembre: «...Chi lo ha fatto (l’attacco terroristico, ndr) deve aver volato in quell’aerea a lungo. Ad esempio, il Pentagono non è molto alto, per colpirlo direttamente un pilota deve aver volato nella zona in modo da conoscere gli ostacoli che rischiava di incontrare. Qualcuno ha studiato l’operazione molto a lungo ed ha volato in quella zona a lungo». In modo simile ha valutato la situazione Mikhail Magrelov alla televisione russa NTV il 14 settembre. Magrelov è vice presidente della Commissione Affari Esteri del Consiglio della Federazione Russa, un esperto di intelligence. Ha notato come il dirottamento quasi simultaneo di diversi aerei con piloti ben preparati, la contemporanea paralisi dei sistemi di controllo aereo e la perfezione dell’impatto degli aerei per infliggere il massimo danno possibile, assumono i contorni di una cospirazione altamente pianificata con una specializzazione da servizi più che da terroristi. In una intervista all’agenzia semi-istituzionale russa Strana.ru del 14 settembre Andrei Kosyakov, ex assistente del Presidente alla Sottocommissione sui servizi del Soviet Supremo della Russia (1991-1993), poneva in rilievo come necessariamente abbiano dovuto partecipare all’operazione numerosi specialisti impegnati per un periodo molto lungo. Kosyakov nota anche che alcuni passeggeri, tra i quali un giornalista professionista, hanno notificato il dirottamento dell’aereo a bordo del quale si trovavano, «ma nessuno di loro ha descritto in alcun modo i terroristi, il loro accento, la pronuncia: non c’era in loro nulla che quei passeggeri abbiano notato». Nulla, niente di particolare: nemmeno, che so, un «Allah akbar!» gridato dalla cabina. Kosyakov nota anche che è stata lasciata intenzionalmente una traccia un po’ troppo visibile: «Un’auto noleggiata piena di copie del Corano e di manuali di volo in lingua araba, abbandonata nei pressi dell’aeroporto. Vista tanta professionalità, come si spiega un tale errore che contrasta palesemente con la cura dei dettagli? Tutto ciò indica un tentativo di depistaggio. I servizi segreti non si preoccupano di americani ed europei, cercano gli arabi».
    PRIMO ATTACCO, NON L’ULTIMO
    Kosyakov ha continuato: «Purtroppo credo che dobbiamo prepararci a nuove azioni terroristiche, in forma diversa ma altrettanto gravi... Stando alle nostre valutazioni una nave potrebbe essere usata per speronare infrastrutture idroelettriche. Immaginate una diga sfondata da una nave passeggeri o da una petroliera... Inonderebbe un paio di città con una popolazione di un milione e mezzo, col petrolio che brucia in superficie. Oppure, le linee ferroviarie sotto il fiume Hudson, che potrebbero essere fatte saltare da sopra o da sotto. L’acqua si riverserebbe nei tunnel...». Uno scenario possibile.
    A livello economico, poi, certi ambienti istituzionali hanno diffuso quindi l’idea secondo cui un fanatico nascosto nelle montagne afghane avrebbe innescato una crisi finanziaria, una recessione e forse anche una depressione. Così non è: la crisi era in piena fase di accelerazione già ad agosto e nella prima decade di settembre. Tra l’aprile 2000 e l’aprile 2001 la capitalizzazione di borsa di imprese e famiglie USA è scesa dai 20,15 ai 14,88 trilioni di dollari. E’ una perdita del 26,2%, che corrisponde a più della metà del PIL americano. Ma la situazione è peggiorata ancora nel secondo e terzo trimestre dell’anno, e nell’ultima settimana d’agosto il sistema era fuori controllo: tra l’ultima settimana di agosto e la prima di settembre il Dow Jones ha perso 817 punti, ovvero l’8%. Per i mercati europei l’agosto 2001 è stato il mese peggiore dal “quasi-crack” dell’autunno 1998. L’indice preliminare sulla disposizione del consumatore USA, in base ad uno studio su dati raccolti prima dell’11 settembre, mostra un caduta dal 91,5 di agosto all’83,6 a settembre, il valore più basso dal marzo 1993. Basti dire che in data 1 settembre 3,35 milioni di americani percepivano l’assegno di disoccupazione.
    SE ANCHE ANDREOTTI HA DUBBI
    Politicamente, rispondendo al coro dei mass media americani che chiedono “vendetta” e alla dichiarazione dell’amministrazione Bush di essere “in guerra”, personalità politiche europee al di sopra di ogni sospetto di anti-americanismo hanno invitato a non trarre conclusioni affrettate. Giulio Andreotti ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera del 13 settembre di non poter accettare l’idea che Osama Bin Laden sia l’autore di quei misfatti: «Sapevo che tutti, proprio tutti, l’avevano aiutato ai tempi in cui combatteva l’invasione russa in Afghanistan - ha detto l’ex Presidente del Consiglio - ma pensavo che negli ultimi anni fosse diventato una specie di capro espiatorio, che lo tirassero in mezzo quando non si sapeva bene a chi dare la colpa. Invece, ha certamente alle spalle un grande potere economico e finanziario, aveva anche uffici a Londra, fino a poco tempo fa. Il problema, adesso, è capire se davvero Bin Laden sta combattendo una Crociata solitaria». Per questo, sostiene Andreotti, «ci vorrà del tempo prima di poter puntare il dito soltanto su di lui... Il rischio è che sulla base di una presunzione si inneschino reazioni a catena, non si colpiscano i veri obiettivi. Piuttosto - concluse il senatore a vita - mi chiedo chi abbia aiutato i terroristi negli Stati Uniti. Devono aver avuto un supporto notevole, in loco. Questa è gente che ha pilotato un aereo, che ha calcolato i tempi per arrivare dritta dritta in tv, non sono turisti improvvisati». L’ex cancelliere tedesco, Helmut Schmidt, ha firmato un editoriale per il settimanale Die Zeit in cui afferma che «è urgente che i governi, quello americano e anche quelli europei, non cadano nella trappola delle voci finendo per prendersela con falsi colpevoli». Per quanto riguarda le “chiare prove” delle responsabilità di Osama Bin Laden negli attentati, esperti del settore in Europa si sono detti chiaramente non convinti. Juergen Storbeck, direttore di Europol, ha detto al Daily Telegraph del 15 settembre che «Bin Laden non è automaticamente il leader di ogni azione terroristica condotta in nome dell’Islam. Forse ha avuto una sua influenza, ma forse non è colui che decide ogni azione e controlla ogni piano in dettaglio. Per quanto riguarda l’idea che dall’Afghanistan abbia potuto controllare l’ultima fase dell’operazione è qualcosa che non si può ammettere senza sollevare tante riserve». Inoltre, parlando con piloti professionisti ed esperti di sicurezza in merito agli episodi dell’11 settembre, sono emerse alcune domande che ancora oggi - un anno dopo - non hanno ottenuto una risposta. Vediamole. 1) Come mai i preparativi di un’operazione tanto grande e sofisticata, a cui deve aver preso parte almeno un centinaio di persone, sono passati inosservati agli addetti dei servizi? Si tratta di un fallimento completo della struttura o anche tale fallimento è parte dell’operazione stessa? 2) Come hanno fatto i dirottatori a immobilizzare ben quattro equipaggi senza che nemmeno uno dei piloti riuscisse a battere quattro cifre nel risponditore del velivolo o dire qualcosa alla radio, informando così la Federal Aviation Agency (FAA)? O forse i piloti sedutisi al posto di guida erano sin dall’inizio i dirottatori? In tal caso dovevano conoscere alla perfezione le procedure, che sono precise e complicate, e specifiche per ogni singola compagnia aerea. Molti piloti hanno affermato che per effettuare una manovra del genere è sufficiente un addestramento minimo. Ma quante possibilità di riuscire alla perfezione avrebbero avuto dei dilettanti? Il generale Eiten Ben Eliahu, ex comandante dell’aviazione israeliana, si è detto convinto che «i piloti erano americani e non stranieri».
    NESSUNO SI LEVÒ IN VOLO
    3) Come mai tutte le procedure di emergenza hanno fallito? Secondo le procedure della FAA, nel momento in cui risulta che un aereo abbandona il proprio percorso di volo si cerca immediatamente di stabilire il contatto con i piloti. Nel caso non si ottenga risposta, scatta immediatamente l’allarme. In tal caso si procede a determinare se l’aereo è stato dirottato o è fuori controllo. Si tratta di procedure che sono standardizzate e regolarmente simulate, dato che il fattore tempo è cruciale. Nel caso di emergenze, specialmente di dirottamento, è previsto il collegamento con i militari. Un aereo intercettore richiede 15 minuti da quando scatta l’allarme per essere in volo. E’ stato riferito che i risponditori dell’aereo erano spenti. Questo di per sé doveva essere sufficiente a far scattare le procedure di emergenza. Anche a risponditore spento l’aereo è localizzabile dai radar, che consentono di individuarne la nuova rotta. I voli 11 dell’American Airlines e 175 della United Airlines, quelli che sono stati dirottati su New York, sono decollati dall’aeroporto Logan di Boston alle 7,59 e alle 7,58. Il primo aereo si è schiantato sul WTC 46 minuti dopo e il secondo 66 minuti dopo. Ambedue hanno palesemente lasciato la rotta prestabilita, marcatamente il secondo. C’era tutto il tempo di intercettarli se fosse stato dato l’allarme secondo la procedura stabilita.
    40 MINUTI FUORI CONTROLLO
    Ancor più sorprendente è stato il volo 77 della American Airlines che è decollato dal Dulles di Washington alla volta di Los Angeles. Ha volato nella direzione giusta per 40 minuti, per poi compiere un’inversione completa di rotta e tornare su Washington e schiantarsi sul Pentagono alle 9,40. Ha viaggiato per 40 minuti fuori dal controllo, ma non è stato intercettato! La difesa dello spazio aereo interno degli USA e del Canada è affidata al North American Aerospace Defense (NORAD), il cui comando sostiene di non aver avuto il tempo per reagire. L’affermazione è molto dubbia, dato che la NORAD staziona alcuni velocissimi intercettori F-15 nella base della CIA a Langley, Virginia, vicinissima (per un caccia) a Washington.
    LA “TV PRIVATA” DI BUSH JR
    La questione della mancata reazione dei mezzi NORAD è stata posta al Senato il 13 settembre al generale Richard Myers, capo di Stato maggiore della Difesa, che ha dato risposte evasive. Lui, mentre il primo aereo si schiantava sulla torre del Wtc, era impegnato in una riunione: messo al corrente dell’accaduto ha proseguito la propria riunione senza battere ciglio. Ma a fare impressione è soprattutto un’altra cosa. Così, nel dicembre scorso, George Bush ha rievocato i drammatici minuti della mattina dell’11 settembre, mentre incontrava dei ragazzini in una scuola della Florida. «Ero in una classe a parlare di un programma per l’apprendimento della lettura. Stavo aspettando di entrare in classe ed ho visto un aereo colpire la torre - c’era la tv accesa ovviamente - e ho pensato subito, perché come sapete volo anch’io: che pilota pessimo». Dunque Bush ricordò di aver visto il primo aereo schiantarsi contro il grattacielo. Era certamente il primo perché lui aspettava di entrare in classe, dunque era prima delle 09.02 del mattino. Il fatto è che nessuna rete televisiva ha colto l’impatto del primo aereo: il colpo è stato a sorpresa, nessuna telecamera di network commerciali era puntata sulle torri, non c’erano troupe poiché non c’era motivo di essere lì “prima”. Quello che tutto il mondo ha visto in tv è lo schianto del secondo aereo. Si chiese tra lo sgomento e il divertito il cronista del quotidiano britannico The Indipendent: «Ma quale tv stava guardando?». Già quale? Chi era a New York con le telecamere già ben puntate verso il Wtc? E perché, poi, c’è voluta mezz’ora prima che Bush, come prescrivono le procedura d’emergenza, venisse trasportato in “luogo sicuro”, ovvero sull’Air Force One che l’ha fatto vagare nei cieli per oltre nove ore?
    QUELLA STRANA TELEFONATA
    Ma, a seminare altri dubbi, ci si mette anche la rivelazione fatta il 12 settembre dal supergiornalista William Safire, un intimo degli ambienti presidenziali, secondo il quale in quei minuti concitati dell’11/9 fu fatta una telefonata da persone sicuramente vicine ai dirottatori nel corso della quale chi chiamò si dimostrò al corrente dei numeri di codice (segretissimi) che solo il presidente e il suo entourage può usare per autentificare gli ordini in caso di guerra. La talpa che avvertì Safire della telefonata risultò essere Karl Rove, l’esperto di strategia politica di Bush: nessuno ha ancora smentito alcunché. Una domanda, ora che anche il libero Vittorio Feltri ha messo timidamente in dubbio il dogma dell’infallibilità americana, sorge spontanea: voler sapere la verità riguardo queste non certo irrilevanti incongruenze significa essere anti-Usa? In fondo, siamo tutti “Fallaci”...
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

 

 

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