Risultati da 1 a 2 di 2
  1. #1
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito Cosa Nostra e rapporti segreti - Previti e Dell'Utri nel mirino?

    Gli scenari del Sisde: la mafia non ha avuto le leggi
    che aspettava per evitare gli ergastoli dei boss. E si vendicherà
    Cosa Nostra, rapporti segreti



    "Previti e Dell'Utri nel mirino"
    Nella lotta tra le cosche prevalgono ancora i corleonesi di Riina
    Un progetto di aggressione: colpire i politici considerati "vicini"



    di GIUSEPPE D'AVANZO


    "IDDU, pensa sulu a iddu", vanno dicendo i mafiosi. La legge sul legittimo sospetto carezzerà contro pelo gli "uomini d'onore" di Cosa Nostra siciliana. Quel cavillo di legge, programmato per liberare il Re e gli amici del Re dai legacci milanesi, li attossicherà come un veleno. Peggio della revisione del falso in bilancio. I mammasantissima sono sprofondati nelle galere "umiliati e vessati", come dice Leoluca Bagarella, con l'assoluto isolamento imposto dal 41bis. Non riescono a controllare come vorrebbero, come dovrebbero, gli "affari di famiglia". Non possono garantire ai picciotti e alle loro famiglie una vita decente e onorata. Mentre sulla "loro" Sicilia piovono miliardi di euro, là fuori, in libertà, ci sono solo le donne.

    Tutti i maschi Riina e Bagarella di Corleone sono in galera, così i Madonia di Resuttana, così i Gravano di Brancaccio... Sono stati buoni e zitti per quasi dieci anni. Dopo le bombe del 1993, nessun attentato, nessun morto ammazzato, nemmeno una minaccia che è una, nemmeno un botto al tritolo. Quasi dieci anni di tregua e di "invisibilità". I tempi, alla fine, sarebbero cambiati e bisognava aver pazienza. Hanno avuto pazienza. Hanno fatto quel che dovevano, alle elezioni del 2001 come si è capito dalle loro conversazioni intercettate. Ne hanno ottenuto rassicurazioni e "promesse". Hanno cercato di fare "politica" a loro volta, di trovare anche vie di compromesso. Passato l'inverno del 2002, Pietro Aglieri, per conto delle famiglie di Palermo e di Bernardo Provenzano, ha offerto la "dissociazione" in cambio un "trattato di pace" con lo Stato italiano. Un buco nell'acqua. Ci ha provato Leoluca Bagarella con i toni minacciosi dello stile dei Corleonesi. Ancora niente. Ora Cosa Nostra si prepara a mettere da parte pazienza e diplomazia per afferrare di nuovo le armi e spargere ancora terrore e morte e veleni.

    Non è uno "scenario", non è cabala di "analista". Sono notizie "soffiate" agli agenti sul campo del Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (Sisde) da "attendibili fonti d'ambiente": la mafia siciliana è pronta a lanciare "un'operazione di forte impatto con ricadute destabilizzanti sul piano politico e idonea, comunque, a far capire allo Stato (come non sono stati in grado di fare Pietro Aglieri e Leoluca Bagarella) che i capi di Cosa Nostra non intendono accettare lo status-quo". Le informazioni dell'intelligence incrociano e si sovrappongono alle indicazioni raccolte dal Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia criminale. "Attendibili fonti fiduciarie" degli investigatori della Polizia criminale annunciano "un progetto di aggressione che avrà inizio con azioni in toto non percettibili all'opinione pubblica fino a raggiungere toni manifesti, con la commissione, in un secondo momento, di azioni eclatanti".

    Secondo le "voci di dentro" di Cosa Nostra, due uomini sono in gravissimo pericolo. Si chiamano Marcello Dell'Utri e Cesare Previti. Ma le manovre "non percettibili all'opinione pubblica", più cupe di una minaccia di morte, sono già cominciate stringendo d'assedio Gianfranco Micciché, ministro junior e coordinatore di Forza Italia in Sicilia.

    Repubblica è in grado di ricostruire gli annunci cattivi di una nuova stagione di violenze attraverso i documenti del Sisde e della Polizia criminale e le conferme di qualificate fonti investigative.

    * * *

    Il mafioso si "deve fare la galera". La galera, per un mafioso, è la regola e prova di "mafiosità". L'ergastolo, no. L'ergastolo è più atroce della morte perché è la lenta fine del potere, l'annichilimento del comando. Salvatore Riina dice che "sei o sette anni di branda" non sono un problema e sono il meno. Fino a quando là fuori sanno che, prima o poi, il boss ne verrà fuori, la famiglia e gli affari della cosca saranno al sicuro. Se là fuori sanno che il capo mafioso è in carcere per la vita, prima o poi, il tradimento lo travolgerà e, con lui, la famiglia di sangue e di mafia.

    Zu' Totò Riina ricorda con orrore in quale stato di avvilimento si ridusse Luciano Liggio. Entrò in carcere come Capo dei Capi. Ergastolano, finì che faceva il buffone nei tribunali, con un havana appeso al labbro fingendo d'essere "il Boss". I picciotti ridevano di lui. Si ode tanto clamore sul 41bis (il carcere duro), ma il problema non è primario: appare più lo schermo al vero "dibattito" tra Mafia e Istituzioni. "La galera si deve fare e, se è dura, pazienza".

    Il nodo da sciogliere per Cosa Nostra è l'ergastolo dei mammasantissima. Per attenuarne gli effetti o per cancellarlo occorrono leggi, norme, cavilli. In Parlamento, quelle proposte di legge sono già state presentate da parlamentari del Polo. Perché non "camminano"? Perché non "volano" come il "falso il bilancio" o il "legittimo sospetto"? Perché non diventano "priorità"? In fondo, sono soltanto due leggi, ragionano i mafiosi. Due articoli per legge.

    La prima è la Pepe-Saponara (n.1447, presentata il 20 novembre 2001). Modifica il codice di procedura penale. Si richiama alla "Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali". Allarga le ipotesi di revisione del processo, nel caso in cui un imputato non ha potuto controinterrogare il testimone d'accusa, le cui dichiarazioni rese in istruttoria sono state ammesse. La Pepe-Saponara apre il varco, propone un principio, il "diritto a un processo equo" (art. 6 della Convenzione).

    A quel principio, si appella la seconda legge utile alla cancellazione "tombale" dei processi di mafia. La si rintraccia nel gran corpaccione dei 45 articoli della "proposta Pittelli". Quel che interessa i mafiosi è all'articolo 15. Così innova il 3 comma dell'art. 192 ("Valutazione della prova"): "Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata di procedimento connesso sono valutate unitamente a ulteriori elementi di prova di diversa natura, documentale ovvero testimoniale, che ne confermano l'attendibilità". Bisogna tradurlo. Le dichiarazioni di un pentito di mafia, per avere valore, non possono essere confermate soltanto da un altro pentito, devono essere confermate da "elementi di prova di diversa natura". Se queste due proposte (Pepe-Saponara/Pittelli) dovessero diventare legge, non ci sarebbe processo di mafia degli ultimi dieci anni che si salverebbe dal colpo di spugna.

    E allora perché la maggioranza non si dà da fare?, si indignano i mafiosi. Che cosa fanno quegli avvocati che, ieri, erano nei collegi di difesa e oggi sono allo scranno parlamentare? I boss, in carcere, non comprendono i ritardi. Stramaledicono: "Sono soltanto due fottute leggi. Se Iddu, non pensasse sulu a iddu...". Scrive l'intelligence: "Tra marzo e luglio, e cioè tra la lettera di Pietro Aglieri e quella di Leoluca Bagarella, la risposta del ceto politico alle istanze di Cosa Nostra è stata totalmente negativa: il progetto Pepe-Saponara, che prevede effetti retroattivi della riforma del giusto processo (con evidenti ricadute positive anche sulla posizione di mafiosi condannati), non procede mentre sul 41bis tutte le forze politiche, pressoché all'unanimità, si sono espresse contro l'abolizione e a favore di ulteriori inasprimenti. La situazione vede, dunque, i capi di Cosa Nostra di fronte a una vanificazione delle speranze, alla quale è verosimile intendano reagire". Reagire? Come?

    * * *

    "In questo momento, secondo attendibili fonti d'ambiente - si legge nell'"appunto riservato" inviato dal direttore del Sisde a Palazzo Chigi - Cosa Nostra, superata la crisi degli anni '90, è tornata a essere decisamente forte in termini economici, di controllo del territorio e di infiltrazione nei settori più sensibili della società siciliana... Questo stato di cose rende ancora più impellente l'esigenza, per la mafia, di mantenere aperti quei collegamenti tra latitanti e capi detenuti, che il 41bis rende molto precari... Per questo, come dimostrano le iniziative di Aglieri e di Bagarella e le informazioni d'ambiente, i boss hanno deciso di "non accettare" comunque il protrarsi di questo status".

    Ecco allora la strategia e gli obiettivi della risposta mafiosa. "Le fonti indicano che, vista l'inefficacia delle proposte di "pacificazione", i capi di Cosa Nostra in carcere potrebbero aver deciso di reagire con gli strumenti criminali tradizionali colpendo obiettivi ritenuti paganti. Secondo le stesse fonti, avrebbero però affermato l'intenzione "stavolta... di non fare gli eroi"".

    Si comprende la preoccupazione dei boss. L'ultima volta (1992/1993) che si misero in testa di fare la guerra allo Stato, invece di "conviverci", ottennero solo allarme dell'opinione pubblica e leggi severe, repressione spietata, ergastoli. Questa volta Cosa Nostra vuole scegliere una via di mezzo. Colpire e uccidere, come sempre. Non però icone della lotta alla mafia (come Falcone e Borsellino), ma uomini politici (a torto o a ragione) ritenuti dall'opinione pubblica vicini alla mafia.

    "Queste informazioni - scrivono gli agenti del Sisde - inducono a ritenere altamente probabile che, a breve e a medio termine, Cosa Nostra torni a colpire selettivamente e simbolicamente evitando però ricadute negative di una eventuale eliminazione di personalità assimilabili a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e agli altri esponenti delle istituzioni assassinati in passato (...non faremo gli eroi...). L'obiettivo potrebbe quindi essere una personalità della politica che, indipendentemente dal suo effettivo coinvolgimento in affari di mafia, venga comunque percepito come mascariato, come compromesso con la mafia e quindi non difendibile a livello di opinione pubblica. Questa linea di ragionamento induce a ritenere che l'onorevole Marcello Dell'Utri possa essere percepito da Cosa Nostra come un bersaglio ideale (insieme ad altri esponenti siciliani della Casa delle Libertà). La sua esposizione mediatica dai contorni negativi e la sua vicinanza al Presidente del Consiglio potrebbero essere ritenute dalla mafia utili per mandare un messaggio di forte impatto criminale e destabilizzante. Analogamente destabilizzante, in questa ottica, potrebbe ritenersi un attentato ai danni dell'onorevole Previti, il cui profilo pubblico è molto simile a quello dell'onorevole Dell'Utri anche in relazione ai rapporti con il Presidente del Consiglio".

    * * *

    Tutta Cosa Nostra sceglierà questa strada? O ci saranno resistenze a imbracciare ancora le armi contro lo Stato, agli ordini di quei Corleonesi che hanno già guidato l'organizzazione alla sua sconfitta più grave? È a questi due quesiti che dà risposta il rapporto del Servizio centrale operativo della Criminalpol.

    Non tutto fila liscio tra gli "uomini d'onore", a quanto pare. Due partiti, i Corleonesi e i Palermitani. Due capipartito, Riina e Provenzano. Due opzioni, lo scontro frontale proposto dal primo; la "trattativa" scelta dal secondo. Un solo vincente, il "partito della guerra", il partito di Riina e Bagarella. "La "petizione" di Leoluca Bagarella, a nome di tutti i detenuti del carcere de L'Aquila, è rivolta sostanzialmente al mondo politico, al ministero della Giustizia e ai magistrati di sorveglianza - scrivono gli investigatori - La successiva entrata in scena di altri 31 mafiosi, ristretti nel carcere di Novara - che hanno fatto pervenire al segretario dei Radicali una lettera aperta di protesta contro il comportamento degli avvocati penalisti, già loro difensori e ora parlamentari - ha il duplice scopo di formalizzare ufficialmente l'adesione totale al "messaggio" di Bagarella; di appesantirne il contenuto, attraverso un messaggio mafioso".

    Per sgombrare il campo da ogni perplessità, Riina ha lavorato come sempre. Nel 1972 si liberò di Luciano Liggio, latitante a Milano, con una telefonata anonima alla polizia. Trent'anni dopo, con la stessa tecnica: una telefonata anonima, ha lanciato "un preciso richiamo", come lo definisce lo Sco, a Bernardo Provenzano. Antonino Giuffrè è il braccio destro di Provenzano. È latitante. Con Salvatore Lo Piccolo e Matteo Messina Denaro, forma il triumvirato che, per conto di zu Binnu, vuole rimettere in piedi Cosa Nostra nel solco della tradizione: vivere nello Stato non contro lo Stato, pensando soltanto agli affari e dimenticando il tritolo.

    La telefonata di un anonimo "consiglia" ai carabinieri di Lercara Friddi di fare una capatina in contrada Masseriazza nella campagna di Vicari. Giuffrè esce in manette dal cascinale. Provenzano è servito, il "partito della trattativa" è servito. L'arresto, "pilotato e gestito dal gruppo corleonese riconducibile a Riina e Bagarella" - scrive lo Sco - svela che "la questione nei suoi molteplici aspetti va assumendo toni allarmanti e pericolosi che potrebbero anche concretizzarsi in azioni di ritorsione contro avvocati palermitani che attualmente rivestono ruoli istituzionali, in passato loro difensori, e più in generale contro obiettivi organici ad apparati politici, nell'ottica mafiosa di scuotere l'attenzione sul problema del regime carcerario duro e sul problema dei processi. Il progetto di aggressione potrebbe iniziare con azioni non in toto percettibili all'opinione pubblica fino a raggiungere toni manifesti con la commissione, in un secondo momento, di azioni eclatanti".

    * * *

    L'assalto di Cosa Nostra non sembra di là da venire, lontano nel tempo. Investigatori e 007 parlano di "breve periodo" e, tra loro, c'è chi quel "progetto di aggressione" lo vede già concreto, ritiene che abbia preso già il via e la fretta con cui il Parlamento affronterà la "Cirami" non potrà che accelerarne le tappe. Secondo una qualificata fonte investigativa, la manovra stringe già d'assedio Gianfranco Micciché, uomo-cardine della vicenda politica siciliana. Nel racconto dell'investigatore, i guai del ministro junior hanno la stessa origine dei guai di Nino Giuffrè. Una telefonata anonima. Una voce consiglia ai carabinieri di tener d'occhio quel Martello e la cocaina che porta in tasca. "A chi la consegna?", dice la Voce. "Seguitelo e lo saprete".

    Il resto della storia è nota. Martello entra al ministero delle Finanze e Miccichè finisce apparentemente nella cronaca nera, in realtà in un gioco pericolosissimo dove in palio ci può essere la morte.

    Chi ce lo ha messo e perché? L'anonimo, questa volta, era in squadra con Provenzano con l'obiettivo di sbloccare "la trattativa" prima dell'inizio della "guerra"? O, nella telefonata, c'è ancora lo "zampino" di Totò Riina che ha avviato, con "un'azione non percettibile dall'opinione pubblica", l'"operazione di forte impatto destabilizzante" che mira a indebolire pubblicamente l'immagine di Miccichè per colpirlo poi senza pagarne il prezzo, come per Salvo Lima, e incassando l'attenzione e la sensibilità del potere politico? Quale che sia la risposta, Cosa Nostra dopo dieci anni è pronta a sfidare ancora lo Stato. Lo Stato sarà in grado di sfidare Cosa Nostra?

    Repubblica (7 settembre 2002)

  2. #2
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito Cosa Nostra e rapporti segreti - Previti e Dell'Utri nel mirino?

    Gli scenari del Sisde: la mafia non ha avuto le leggi
    che aspettava per evitare gli ergastoli dei boss. E si vendicherà
    Cosa Nostra, rapporti segreti



    "Previti e Dell'Utri nel mirino"
    Nella lotta tra le cosche prevalgono ancora i corleonesi di Riina
    Un progetto di aggressione: colpire i politici considerati "vicini"



    di GIUSEPPE D'AVANZO


    "IDDU, pensa sulu a iddu", vanno dicendo i mafiosi. La legge sul legittimo sospetto carezzerà contro pelo gli "uomini d'onore" di Cosa Nostra siciliana. Quel cavillo di legge, programmato per liberare il Re e gli amici del Re dai legacci milanesi, li attossicherà come un veleno. Peggio della revisione del falso in bilancio. I mammasantissima sono sprofondati nelle galere "umiliati e vessati", come dice Leoluca Bagarella, con l'assoluto isolamento imposto dal 41bis. Non riescono a controllare come vorrebbero, come dovrebbero, gli "affari di famiglia". Non possono garantire ai picciotti e alle loro famiglie una vita decente e onorata. Mentre sulla "loro" Sicilia piovono miliardi di euro, là fuori, in libertà, ci sono solo le donne.

    Tutti i maschi Riina e Bagarella di Corleone sono in galera, così i Madonia di Resuttana, così i Gravano di Brancaccio... Sono stati buoni e zitti per quasi dieci anni. Dopo le bombe del 1993, nessun attentato, nessun morto ammazzato, nemmeno una minaccia che è una, nemmeno un botto al tritolo. Quasi dieci anni di tregua e di "invisibilità". I tempi, alla fine, sarebbero cambiati e bisognava aver pazienza. Hanno avuto pazienza. Hanno fatto quel che dovevano, alle elezioni del 2001 come si è capito dalle loro conversazioni intercettate. Ne hanno ottenuto rassicurazioni e "promesse". Hanno cercato di fare "politica" a loro volta, di trovare anche vie di compromesso. Passato l'inverno del 2002, Pietro Aglieri, per conto delle famiglie di Palermo e di Bernardo Provenzano, ha offerto la "dissociazione" in cambio un "trattato di pace" con lo Stato italiano. Un buco nell'acqua. Ci ha provato Leoluca Bagarella con i toni minacciosi dello stile dei Corleonesi. Ancora niente. Ora Cosa Nostra si prepara a mettere da parte pazienza e diplomazia per afferrare di nuovo le armi e spargere ancora terrore e morte e veleni.

    Non è uno "scenario", non è cabala di "analista". Sono notizie "soffiate" agli agenti sul campo del Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (Sisde) da "attendibili fonti d'ambiente": la mafia siciliana è pronta a lanciare "un'operazione di forte impatto con ricadute destabilizzanti sul piano politico e idonea, comunque, a far capire allo Stato (come non sono stati in grado di fare Pietro Aglieri e Leoluca Bagarella) che i capi di Cosa Nostra non intendono accettare lo status-quo". Le informazioni dell'intelligence incrociano e si sovrappongono alle indicazioni raccolte dal Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia criminale. "Attendibili fonti fiduciarie" degli investigatori della Polizia criminale annunciano "un progetto di aggressione che avrà inizio con azioni in toto non percettibili all'opinione pubblica fino a raggiungere toni manifesti, con la commissione, in un secondo momento, di azioni eclatanti".

    Secondo le "voci di dentro" di Cosa Nostra, due uomini sono in gravissimo pericolo. Si chiamano Marcello Dell'Utri e Cesare Previti. Ma le manovre "non percettibili all'opinione pubblica", più cupe di una minaccia di morte, sono già cominciate stringendo d'assedio Gianfranco Micciché, ministro junior e coordinatore di Forza Italia in Sicilia.

    Repubblica è in grado di ricostruire gli annunci cattivi di una nuova stagione di violenze attraverso i documenti del Sisde e della Polizia criminale e le conferme di qualificate fonti investigative.

    * * *

    Il mafioso si "deve fare la galera". La galera, per un mafioso, è la regola e prova di "mafiosità". L'ergastolo, no. L'ergastolo è più atroce della morte perché è la lenta fine del potere, l'annichilimento del comando. Salvatore Riina dice che "sei o sette anni di branda" non sono un problema e sono il meno. Fino a quando là fuori sanno che, prima o poi, il boss ne verrà fuori, la famiglia e gli affari della cosca saranno al sicuro. Se là fuori sanno che il capo mafioso è in carcere per la vita, prima o poi, il tradimento lo travolgerà e, con lui, la famiglia di sangue e di mafia.

    Zu' Totò Riina ricorda con orrore in quale stato di avvilimento si ridusse Luciano Liggio. Entrò in carcere come Capo dei Capi. Ergastolano, finì che faceva il buffone nei tribunali, con un havana appeso al labbro fingendo d'essere "il Boss". I picciotti ridevano di lui. Si ode tanto clamore sul 41bis (il carcere duro), ma il problema non è primario: appare più lo schermo al vero "dibattito" tra Mafia e Istituzioni. "La galera si deve fare e, se è dura, pazienza".

    Il nodo da sciogliere per Cosa Nostra è l'ergastolo dei mammasantissima. Per attenuarne gli effetti o per cancellarlo occorrono leggi, norme, cavilli. In Parlamento, quelle proposte di legge sono già state presentate da parlamentari del Polo. Perché non "camminano"? Perché non "volano" come il "falso il bilancio" o il "legittimo sospetto"? Perché non diventano "priorità"? In fondo, sono soltanto due leggi, ragionano i mafiosi. Due articoli per legge.

    La prima è la Pepe-Saponara (n.1447, presentata il 20 novembre 2001). Modifica il codice di procedura penale. Si richiama alla "Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali". Allarga le ipotesi di revisione del processo, nel caso in cui un imputato non ha potuto controinterrogare il testimone d'accusa, le cui dichiarazioni rese in istruttoria sono state ammesse. La Pepe-Saponara apre il varco, propone un principio, il "diritto a un processo equo" (art. 6 della Convenzione).

    A quel principio, si appella la seconda legge utile alla cancellazione "tombale" dei processi di mafia. La si rintraccia nel gran corpaccione dei 45 articoli della "proposta Pittelli". Quel che interessa i mafiosi è all'articolo 15. Così innova il 3 comma dell'art. 192 ("Valutazione della prova"): "Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata di procedimento connesso sono valutate unitamente a ulteriori elementi di prova di diversa natura, documentale ovvero testimoniale, che ne confermano l'attendibilità". Bisogna tradurlo. Le dichiarazioni di un pentito di mafia, per avere valore, non possono essere confermate soltanto da un altro pentito, devono essere confermate da "elementi di prova di diversa natura". Se queste due proposte (Pepe-Saponara/Pittelli) dovessero diventare legge, non ci sarebbe processo di mafia degli ultimi dieci anni che si salverebbe dal colpo di spugna.

    E allora perché la maggioranza non si dà da fare?, si indignano i mafiosi. Che cosa fanno quegli avvocati che, ieri, erano nei collegi di difesa e oggi sono allo scranno parlamentare? I boss, in carcere, non comprendono i ritardi. Stramaledicono: "Sono soltanto due fottute leggi. Se Iddu, non pensasse sulu a iddu...". Scrive l'intelligence: "Tra marzo e luglio, e cioè tra la lettera di Pietro Aglieri e quella di Leoluca Bagarella, la risposta del ceto politico alle istanze di Cosa Nostra è stata totalmente negativa: il progetto Pepe-Saponara, che prevede effetti retroattivi della riforma del giusto processo (con evidenti ricadute positive anche sulla posizione di mafiosi condannati), non procede mentre sul 41bis tutte le forze politiche, pressoché all'unanimità, si sono espresse contro l'abolizione e a favore di ulteriori inasprimenti. La situazione vede, dunque, i capi di Cosa Nostra di fronte a una vanificazione delle speranze, alla quale è verosimile intendano reagire". Reagire? Come?

    * * *

    "In questo momento, secondo attendibili fonti d'ambiente - si legge nell'"appunto riservato" inviato dal direttore del Sisde a Palazzo Chigi - Cosa Nostra, superata la crisi degli anni '90, è tornata a essere decisamente forte in termini economici, di controllo del territorio e di infiltrazione nei settori più sensibili della società siciliana... Questo stato di cose rende ancora più impellente l'esigenza, per la mafia, di mantenere aperti quei collegamenti tra latitanti e capi detenuti, che il 41bis rende molto precari... Per questo, come dimostrano le iniziative di Aglieri e di Bagarella e le informazioni d'ambiente, i boss hanno deciso di "non accettare" comunque il protrarsi di questo status".

    Ecco allora la strategia e gli obiettivi della risposta mafiosa. "Le fonti indicano che, vista l'inefficacia delle proposte di "pacificazione", i capi di Cosa Nostra in carcere potrebbero aver deciso di reagire con gli strumenti criminali tradizionali colpendo obiettivi ritenuti paganti. Secondo le stesse fonti, avrebbero però affermato l'intenzione "stavolta... di non fare gli eroi"".

    Si comprende la preoccupazione dei boss. L'ultima volta (1992/1993) che si misero in testa di fare la guerra allo Stato, invece di "conviverci", ottennero solo allarme dell'opinione pubblica e leggi severe, repressione spietata, ergastoli. Questa volta Cosa Nostra vuole scegliere una via di mezzo. Colpire e uccidere, come sempre. Non però icone della lotta alla mafia (come Falcone e Borsellino), ma uomini politici (a torto o a ragione) ritenuti dall'opinione pubblica vicini alla mafia.

    "Queste informazioni - scrivono gli agenti del Sisde - inducono a ritenere altamente probabile che, a breve e a medio termine, Cosa Nostra torni a colpire selettivamente e simbolicamente evitando però ricadute negative di una eventuale eliminazione di personalità assimilabili a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e agli altri esponenti delle istituzioni assassinati in passato (...non faremo gli eroi...). L'obiettivo potrebbe quindi essere una personalità della politica che, indipendentemente dal suo effettivo coinvolgimento in affari di mafia, venga comunque percepito come mascariato, come compromesso con la mafia e quindi non difendibile a livello di opinione pubblica. Questa linea di ragionamento induce a ritenere che l'onorevole Marcello Dell'Utri possa essere percepito da Cosa Nostra come un bersaglio ideale (insieme ad altri esponenti siciliani della Casa delle Libertà). La sua esposizione mediatica dai contorni negativi e la sua vicinanza al Presidente del Consiglio potrebbero essere ritenute dalla mafia utili per mandare un messaggio di forte impatto criminale e destabilizzante. Analogamente destabilizzante, in questa ottica, potrebbe ritenersi un attentato ai danni dell'onorevole Previti, il cui profilo pubblico è molto simile a quello dell'onorevole Dell'Utri anche in relazione ai rapporti con il Presidente del Consiglio".

    * * *

    Tutta Cosa Nostra sceglierà questa strada? O ci saranno resistenze a imbracciare ancora le armi contro lo Stato, agli ordini di quei Corleonesi che hanno già guidato l'organizzazione alla sua sconfitta più grave? È a questi due quesiti che dà risposta il rapporto del Servizio centrale operativo della Criminalpol.

    Non tutto fila liscio tra gli "uomini d'onore", a quanto pare. Due partiti, i Corleonesi e i Palermitani. Due capipartito, Riina e Provenzano. Due opzioni, lo scontro frontale proposto dal primo; la "trattativa" scelta dal secondo. Un solo vincente, il "partito della guerra", il partito di Riina e Bagarella. "La "petizione" di Leoluca Bagarella, a nome di tutti i detenuti del carcere de L'Aquila, è rivolta sostanzialmente al mondo politico, al ministero della Giustizia e ai magistrati di sorveglianza - scrivono gli investigatori - La successiva entrata in scena di altri 31 mafiosi, ristretti nel carcere di Novara - che hanno fatto pervenire al segretario dei Radicali una lettera aperta di protesta contro il comportamento degli avvocati penalisti, già loro difensori e ora parlamentari - ha il duplice scopo di formalizzare ufficialmente l'adesione totale al "messaggio" di Bagarella; di appesantirne il contenuto, attraverso un messaggio mafioso".

    Per sgombrare il campo da ogni perplessità, Riina ha lavorato come sempre. Nel 1972 si liberò di Luciano Liggio, latitante a Milano, con una telefonata anonima alla polizia. Trent'anni dopo, con la stessa tecnica: una telefonata anonima, ha lanciato "un preciso richiamo", come lo definisce lo Sco, a Bernardo Provenzano. Antonino Giuffrè è il braccio destro di Provenzano. È latitante. Con Salvatore Lo Piccolo e Matteo Messina Denaro, forma il triumvirato che, per conto di zu Binnu, vuole rimettere in piedi Cosa Nostra nel solco della tradizione: vivere nello Stato non contro lo Stato, pensando soltanto agli affari e dimenticando il tritolo.

    La telefonata di un anonimo "consiglia" ai carabinieri di Lercara Friddi di fare una capatina in contrada Masseriazza nella campagna di Vicari. Giuffrè esce in manette dal cascinale. Provenzano è servito, il "partito della trattativa" è servito. L'arresto, "pilotato e gestito dal gruppo corleonese riconducibile a Riina e Bagarella" - scrive lo Sco - svela che "la questione nei suoi molteplici aspetti va assumendo toni allarmanti e pericolosi che potrebbero anche concretizzarsi in azioni di ritorsione contro avvocati palermitani che attualmente rivestono ruoli istituzionali, in passato loro difensori, e più in generale contro obiettivi organici ad apparati politici, nell'ottica mafiosa di scuotere l'attenzione sul problema del regime carcerario duro e sul problema dei processi. Il progetto di aggressione potrebbe iniziare con azioni non in toto percettibili all'opinione pubblica fino a raggiungere toni manifesti con la commissione, in un secondo momento, di azioni eclatanti".

    * * *

    L'assalto di Cosa Nostra non sembra di là da venire, lontano nel tempo. Investigatori e 007 parlano di "breve periodo" e, tra loro, c'è chi quel "progetto di aggressione" lo vede già concreto, ritiene che abbia preso già il via e la fretta con cui il Parlamento affronterà la "Cirami" non potrà che accelerarne le tappe. Secondo una qualificata fonte investigativa, la manovra stringe già d'assedio Gianfranco Micciché, uomo-cardine della vicenda politica siciliana. Nel racconto dell'investigatore, i guai del ministro junior hanno la stessa origine dei guai di Nino Giuffrè. Una telefonata anonima. Una voce consiglia ai carabinieri di tener d'occhio quel Martello e la cocaina che porta in tasca. "A chi la consegna?", dice la Voce. "Seguitelo e lo saprete".

    Il resto della storia è nota. Martello entra al ministero delle Finanze e Miccichè finisce apparentemente nella cronaca nera, in realtà in un gioco pericolosissimo dove in palio ci può essere la morte.

    Chi ce lo ha messo e perché? L'anonimo, questa volta, era in squadra con Provenzano con l'obiettivo di sbloccare "la trattativa" prima dell'inizio della "guerra"? O, nella telefonata, c'è ancora lo "zampino" di Totò Riina che ha avviato, con "un'azione non percettibile dall'opinione pubblica", l'"operazione di forte impatto destabilizzante" che mira a indebolire pubblicamente l'immagine di Miccichè per colpirlo poi senza pagarne il prezzo, come per Salvo Lima, e incassando l'attenzione e la sensibilità del potere politico? Quale che sia la risposta, Cosa Nostra dopo dieci anni è pronta a sfidare ancora lo Stato. Lo Stato sarà in grado di sfidare Cosa Nostra?

    Repubblica (7 settembre 2002)

 

 

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