Risultati da 1 a 2 di 2
  1. #1
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito Inflazione, la fabbrica delle bugie

    Dagli esordi "pilotati" del dopoguerra ai paradossi di oggi, di fronte ai prezzi gonfiati dall'euro: piccola storia dei meccanismi di rilevazione del costo della vita
    Inflazione, la fabbrica delle bugie


    Antonio Moscato

    Quando sotto la spinta della resistenza e della protesta sociale di tutti coloro che avevano sofferto maggiormente il prezzo della guerra (reduci, disoccupati, operai di fabbriche distrutte o in via di lenta riconversione dalla produzione bellica) alla fine del 1945 la Confindustria accettò di pagare una "indennità di contingenza", cioè una scala mobile dei salari, non si limitò a chiedere come contropartita la fine del blocco dei licenziamenti, ma si premunì disinnescando in parte il meccanismo attraverso un sistema di rilevazione degli aumenti dei prezzi truccato in vari modi.
    Naturalmente la Confindustria aveva accettato la scala mobile soprattutto per arginare gli scioperi spontanei provocati dal carovita, ma sperava anche di ingannare i lavoratori pagando molto meno dell'aumento reale dei prezzi: infatti il "paniere" su cui venivano rilevati i prezzi non conteneva molti generi di largo consumo e invece registrava i prezzi di altri prodotti praticamente fuori commercio.

    Questo meccanismo è stato perpetuato: ancora fino agli anni Novanta invece di calcolare il gas di città, il gasolio o la bombola, nel "paniere" c'era la fascina da ardere (il cui costo era insignificante, perché in genere non è in vendita, ma usata come combustibile solo dagli stessi contadini che la raccolgono).

    Finché c'è stata la scala mobile, si calcolava il prezzo delle sigarette sulle "Nazionali", che non aumentavano mai come le altre marche, ma erano praticamente introvabili. Invece della penna a sfera si rilevava il prezzo dei pennini, ecc. Ancora oggi per la rilevazione delle spese per viaggi, si calcola il costo del biglietto ferroviario semplice, mentre è noto che sulle principali linee i treni sono tutti Eurostar o Intercity, molto più cari, e la maggior parte degli espressi sono stati soppressi.

    Sul "Manifesto" il 24 agosto è uscito un lungo articolo scritto da Aldo Carra, un ex dipendente dell'Istat, che merita una certa attenzione.

    «Sul perché l'inflazione registrata è così lontana da quella "sentita" dai cittadini e, soprattutto, su che cosa dovrebbe fare l'Istat non si fanno molti passi avanti. Penso, anzi, che alimentando il sospetto che i dati Istat siano "truccati" si vada a finire fuori strada. Dico questo non solo perché, avendo lavorato per 30 anni all'Istat, so che i lavoratori dell'Istituto non lo consentirebbero, ma anche perché, essendo gli indici dei prezzi ottenuti con semplici operazioni aritmetiche e con procedure informatizzate, sarebbe folle pensare ad operazioni di manomissione».

    Carra tuttavia ammetteva «che l'Istat sbagli a non mettere a disposizione di tutti, tutti i dati di tutti i prodotti e per tutte le città in modo che ciascuno possa vedere quali dati elementari producono il livello di inflazione che si reputa sottostimato e confrontarli con quelli ha sotto gli occhi. Se l'Istat lo fa perché applica il criterio di non fornire dati elementari stabilito per persone ed imprese a tutela della privacy sbaglia perché quel criterio non può essere esteso a prezzi di beni che tutti possono controllare guardando i banchi o le vetrine. Se lo fa perché teme che utenti non esperti possano utilizzare male l'enorme mole di informazioni sbaglia perché, così facendo, alimenta il sospetto. L'Istat, quindi, invece di perdere tempo a giustificarsi, farebbe bene a rendere totalmente trasparente il calcolo. Contribuirebbe, così, a spostare il confronto dal terreno scandalistico ad uno più scientifico spingendo così anche associazione dei consumatori, studiosi e politici a formulare critiche di merito e proposte».

    Le cose tuttavia sono più complesse: «L'Istat modifica annualmente il paniere utilizzando i risultati della rilevazione sui consumi delle famiglie. Il fatto è in sé positivo perché significa che le modifiche nei consumi sono colte man mano che avvengono. Ma rimane anche qui un "fattore strutturale", quello stagionale, che produce una riduzione dell'inflazione "rilevata" rispetto a quella "reale". Proviamo a spiegarlo con un esempio. Se il prezzo del cappotto è inserito nella rilevazione è chiaro che nei mesi estivi si trascinerà il prezzo dei mesi invernali precedenti. Ciò significa che nei mesi estivi l'indice ponderato non rifletterà correttamente gli aumenti dei prodotti che in estate sono sul mercato, perché la loro dinamica sarà attenuata dal peso dei prodotti invernali con aumento zero. Questo ulteriore fattore inerziale potrebbe essere eliminato adottando un sistema di pesi trimestrali in modo che in ogni "stagione" l'indice venga calcolato con i pesi dei prodotti effettivamente consumati in quella stagione. L'Istat non dovrebbe avere nessuna difficoltà tecnica ad adottare questa ipotesi».

    È vero, ma il difetto sta nel manico. Infatti il problema non è tecnico: la vera responsabilità non è di chi elabora i dati, ma di chi decide su quali prodotti e dove effettuare le rilevazioni, e di quale peso percentuale attribuire a ciascun capitolo della spesa. Trattandosi di una questione che ha ripercussioni sulla politica salariale (anche se non più automatiche come al tempo della scala mobile) è facile immaginare quali interessi scendano in campo per alterare i dati. La scelta di calcolare in estate il prezzo del cappotto non è casuale, né frutto di disattenzione.

    In ogni grande città inoltre la rilevazione dei prezzi è affidata a una speciale pattuglia di vigili: ma tutti sanno che in ogni grande città c'è una disparità notevole tra i prezzi di alcuni mercati, e quelli della generalità degli esercizi. Basta incentivare (da parte del governo o di Confindustria, non dell'Istat) questo nucleo di vigili a "saper scegliere bene", vedere o non vedere, e si esercita una prima alterazione delle rilevazioni.

    Ma la più importante avviene ad altri livelli: quando le associazioni dei consumatori (riprese anche dai maggiori giornali) si sono domandate come è possibile che il costo dell'abitazione incida in Italia solo per il 9,3% nel "paniere" su cui si calcola la spesa delle famiglie (come è possibile che chi guadagna due milioni al mese paghi solo meno di duecentomila lire di affitto?), il presidente dell'Istat Luigi Biggeri ha risposto candidamente che ciò dipende dal fatto che viene effettuata una media tra chi paga l'affitto e chi non lo paga perché la casa è di sua proprietà, e per questo la percentuale si abbassa. In una delle interviste ha parlato di un 50% di famiglie che avrebbero la casa di proprietà e non pagherebbero affitto, in altre addirittura dell'85%. Già viene un dubbio sulla serietà di un'istituzione che fornisce dati così ballerini.

    Non è che tra le "case di proprietà" si calcolano anche le seconde o terze case di villeggiatura (che nel caso di Berlusconi e di altri del suo genere si misurano a decine)? E forse la maggioranza dei lavoratori che sono stati costretti a comprare un appartamento, quando era impossibile trovarne in affitto ad equo canone, non continua a pagare ogni mese una quota di mutuo ben superiore al 9,3%? E anche chi ha finito di pagare il mutuo, non spende per manutenzioni, condominio, sproporzionate tasse sui rifiuti, eccetera, somme non indifferenti, che non vengono prese in esame?

    Ma il colmo del ridicolo (a parte che nella stessa pagina del "Sole 24 Ore" i prodotti su cui l'Istat calcolerebbe le variazioni dei prezzi sono secondo Luigi Biggeri «oltre 900», mentre secondo un documentatissimo articolo di Vincenzo Chierchia sono esattamente 668) viene dal fatto che per giustificare la scarsissima incidenza delle assicurazioni auto sulla spesa di una famiglia, il presidente dell'Istat spiega che «a fronte dei premi pagati ci sono i rimborsi per i danni subiti, e quindi quello che l'insieme dei consumatori sostiene come spesa è la differenza tra queste due voci». Biggeri ammette che «capisce» che «per chi non fa mai incidenti c'è solo il premio», ma l'indice è medio «e deve tener conto dei rimborsi». Incredibile! Il ragionamento quindi varrebbe solo per chi finge un incidente e si fa pagare dall'assicurazione. Biggeri dimentica che chi ha subito davvero un danno, ottiene un rimborso - per giunta in genere insufficiente - di una spesa già effettivamente sostenuta!

    L'altro argomento usato per giustificare i calcoli dell'Istat tanto discordanti da quanto verifica ogni famiglia di lavoratori (che hanno uno "strumento di misura" infallibile: quanti giorni prima dello stipendio sono rimasti senza un euro, e a quanti prodotti o servizi una volta abituali hanno dovuto progressivamente rinunciare…), è che i criteri adottati sarebbero "scientifici", perché corrispondenti a quelli fissati dall'Eurostaf. Grottesco, e non solo perché non è assolutamente vero (secondo l'indice europeo ad esempio il costo dell'alloggio corrisponderebbe al 15,0% anziché al 9,3%, ed è sempre poco), ma per un'altra ragione ben più importante: non esiste un solo paese europeo in cui gli organi dello Stato non siano al servizio degli interessi capitalistici.

    Nascondersi dietro "organismi europei" o in genere internazionali per giustificarsi è un'operazione truffaldina. Non a caso Biggeri tira in ballo perfino i "Princìpi della Statistica" delle Nazioni Unite per affermare che «la statistica pubblica ha un valore particolare che nasce dalla sua imparzialità e indipendenza. E' quindi preziosa per la democrazia». Per giunta, sostiene il presidente dell'Istat, la sua attività è soggetta a controlli esterni: «L'attività dell'Istat, per esempio, viene monitorata da Fmi, Eurostat, e dalla Commissione di garanzia per l'informazione statistica» (che cos'è?).

    Beato chi ci crede: per i marxisti, gli organismi sovranazionali che sono il frutto di accordi tra gli Stati capitalistici come il Fondo monetario internazionale, o anche quelli della Comunità europea, non sono mai stati "imparziali" e al di sopra di ogni sospetto! E' quanto abbiamo detto a più riprese non solo per organismi come il Fmi o la Banca mondiale, ma per la stessa Onu, i cui organismi burocratici non possono esprimere interessi diversi da quelli degli Stati che li designano. Sul Fmi e la Bm in genere il giudizio della sinistra è negativo, ma si dimentica poi che sono organismi delle Nazioni Unite, su cui invece ci sono illusioni diffusissime.

    E' una questione importante: ogni volta che in un paese c'è una forte resistenza a una misura antipopolare, entra in campo una presunta "autorità sovranazionale" che afferma che quella misura adottata è assolutamente indispensabile. Bisogna spiegare che i superburocrati europei o di altri organismi, pagati milioni di euro, non sono "neutrali", ma esprimono, da un pulpito a cui si attribuisce assurdamente una grande autorità e obiettività, gli interessi capitalistici più biechi.

    Lo stesso vale per le "esternazioni" del Presidente della Banca d'Italia, o della Corte dei conti, che ogni volta che emergono i dati dello sfacelo dell'economia capitalistica, si affrettano a pontificare assicurando che l'unica soluzione è la "riforma delle pensioni", cioè la cancellazioni dei diritti acquisiti dai lavoratori che li hanno pagati con trattenute sul loro salario. Insomma ripropongono spudoratamente i fondi pensioni privati, come se milioni di lavoratori negli Stati Uniti o in altri paesi europei non fossero stati derubati dalla Enron o dalle banche a cui si erano affidati!

    Cosa che non è affatto una novità: il capitalismo è sempre stato caratterizzato da una profonda disonestà: basta pensare a come Agnelli senior si impossessò della Fiat (di cui, contrariamente a quanto detto nelle celebrazioni ufficiali, non era stato affatto il "fondatore"). Il meccanismo truffaldino (concertato con due membri del Consiglio di amministrazione), fu di attirare tanti piccoli azionisti col miraggio di dividendi favolosi, che esattamente come per la Enron o la Worldcom un secolo dopo, non corrispondevano a un'effettiva redditività del titolo, ma venivano pagati utilizzando crediti delle banche. Al termine dell'operazione Agnelli nel 1906 si era impossessato del pacchetto di maggioranza, e potè buttare fuori i veri soci fondatori. Fu processato, ma l'intervento del ministro della Giustizia sulla procura lo fece prosciogliere sei anni dopo per i "meriti" acquisiti con le forniture all'esercito per la guerra di Libia. Le frodi furono ugualmente all'origine delle fortune dei Vanderbilt, dei Morgan, dei Rockfeller, dei Kennedy e di tanti altri.

    Non è inutile, dopo decenni di esaltazione delle virtù del "mercato" (cioè del capitalismo), a cui si sono associati anche la maggior parte dei partiti della sinistra, ricordare queste elementari verità. Ed è anche importante soprattutto oggi, per spiegare di che crimini sono stati vittime tutti coloro (tra cui anche pensionati e lavoratori) che si sono illusi di migliorare il proprio tenore di vita cedendo alle lusinghe di chi prometteva facili guadagni, e hanno perso gran parte dei propri risparmi. Ma naturalmente non basta.

    Bisogna rilanciare la lotta per una difesa effettiva dei salari, attraverso il ripristino della scala mobile, la cui soppressione è stata regalata dai burocrati confederali, Cofferati compreso, ai padroni, ma non può essere solo un ritorno al passato: va resa efficace attraverso meccanismi di controllo dei prezzi dal basso, da parte di commissioni di consumatori, e il controllo operaio negli stessi luoghi di produzione sui costi reali dei prodotti.

    Una battaglia lunga e difficile, ma l'unica che possa bloccare i meccanismi speculativi normali nel capitalismo, mentre il "calmiere" tanto propagandato una volta dalla destra è praticamente impossibile.

    Altra cosa è bloccare gli aumenti delle tariffe, e anzi cancellare quelli già avvenuti. Assurdamente Epifani si è dichiarato contrario, ma invece, pur non essendo risolutivo, questo blocco può arginare in parte l'inflazione galoppante. Anche su questo i lavoratori delle ferrovie o dell'Enel, eccetera, possono fare molto, se sollecitati da una forte campagna che faccia capire che devono associare i loro interessi diretti a quelli degli utenti.

    Naturalmente gli organismi della comunità europea, e lo stesso Prodi, hanno dichiarato inammissibile questa misura, ma vale per questo quanto dicevamo sopra a proposito della presunta "neutralità" e "imparzialità degli organi che gli Stati capitalisti dell'Europa si sono dati per arginare le richieste dei lavoratori e cancellare i loro diritti. Quando a Prodi, è grottesco che l'Ulivo attenda la salvezza dal suo ritorno sulla scena politica italiana. E' stato un grande manager dell'industria a partecipazione statale, nell'interesse dei capitalisti privati, e ha avviato durante il suo governo la politica di privatizzazioni che hanno svenduto ai privati l'Alfa Romeo, la Cirio, la Centrale del Latte di Roma, e tante altre aziende sanissime regalate a famelici capitalisti (che non hanno ovviamente mantenuto un solo impegno sulla salvaguardia dell'occupazione).

    Rilanciare la lotta in difesa dei salari reali è un compito prioritario, senza il quale l'altro grande obiettivo, la riduzione d'orario, rimarrebbe lettera morta, anche se venisse imposta per legge (come peraltro è del tutto improbabile con questo governo e questa "opposizione"). Ma una crescita delle mobilitazioni operaie e di tutti i lavoratori potrebbe cambiare le cose, e mettere di nuovo in difficoltà la maggioranza di governo come avvenne nell'autunno del 1994, quando Berlusconi e Dini credettero di poter colpire le pensioni. L'opposizione punta oggi solo sui "girotondi" sui conflitti di interessi, o sulla complessa questione della magistratura, ma non è così che si può mutare il clima politico. Tra l'altro la magistratura, dopo un periodo in cui molti, anche nella sinistra, si erano illusi che spazzasse via la corruzione, oggi non gode di grande popolarità, e ha parecchie colpe, non essendo affatto così "rossa" come afferma Berlusconi, e neppure così indipendente. Basti pensare al ruolo di D'Ambrosio nella scandalosa sentenza sul "malore" di Pinelli, o di altri del suo staff nell'incriminazione di Sofri. Altro che "toghe rosse"!

    Naturalmente la magistratura va difesa quando si oppone alle turpi leggi che vogliono cancellarne ogni residua autonomia, ma non è su questo terreno che può innestarsi la controffensiva nei confronti della destra famelica e arrogante. Solo puntando sulla difesa dei lavoratori e dei consumatori dai meccanismi economici che li stanno stritolando si può creare un grande movimento che riapra la stagione delle lotte e delle conquiste.


    Liberazione 6 settembre 2002
    http://www.liberazione.it

  2. #2
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito Inflazione, la fabbrica delle bugie

    Dagli esordi "pilotati" del dopoguerra ai paradossi di oggi, di fronte ai prezzi gonfiati dall'euro: piccola storia dei meccanismi di rilevazione del costo della vita
    Inflazione, la fabbrica delle bugie


    Antonio Moscato

    Quando sotto la spinta della resistenza e della protesta sociale di tutti coloro che avevano sofferto maggiormente il prezzo della guerra (reduci, disoccupati, operai di fabbriche distrutte o in via di lenta riconversione dalla produzione bellica) alla fine del 1945 la Confindustria accettò di pagare una "indennità di contingenza", cioè una scala mobile dei salari, non si limitò a chiedere come contropartita la fine del blocco dei licenziamenti, ma si premunì disinnescando in parte il meccanismo attraverso un sistema di rilevazione degli aumenti dei prezzi truccato in vari modi.
    Naturalmente la Confindustria aveva accettato la scala mobile soprattutto per arginare gli scioperi spontanei provocati dal carovita, ma sperava anche di ingannare i lavoratori pagando molto meno dell'aumento reale dei prezzi: infatti il "paniere" su cui venivano rilevati i prezzi non conteneva molti generi di largo consumo e invece registrava i prezzi di altri prodotti praticamente fuori commercio.

    Questo meccanismo è stato perpetuato: ancora fino agli anni Novanta invece di calcolare il gas di città, il gasolio o la bombola, nel "paniere" c'era la fascina da ardere (il cui costo era insignificante, perché in genere non è in vendita, ma usata come combustibile solo dagli stessi contadini che la raccolgono).

    Finché c'è stata la scala mobile, si calcolava il prezzo delle sigarette sulle "Nazionali", che non aumentavano mai come le altre marche, ma erano praticamente introvabili. Invece della penna a sfera si rilevava il prezzo dei pennini, ecc. Ancora oggi per la rilevazione delle spese per viaggi, si calcola il costo del biglietto ferroviario semplice, mentre è noto che sulle principali linee i treni sono tutti Eurostar o Intercity, molto più cari, e la maggior parte degli espressi sono stati soppressi.

    Sul "Manifesto" il 24 agosto è uscito un lungo articolo scritto da Aldo Carra, un ex dipendente dell'Istat, che merita una certa attenzione.

    «Sul perché l'inflazione registrata è così lontana da quella "sentita" dai cittadini e, soprattutto, su che cosa dovrebbe fare l'Istat non si fanno molti passi avanti. Penso, anzi, che alimentando il sospetto che i dati Istat siano "truccati" si vada a finire fuori strada. Dico questo non solo perché, avendo lavorato per 30 anni all'Istat, so che i lavoratori dell'Istituto non lo consentirebbero, ma anche perché, essendo gli indici dei prezzi ottenuti con semplici operazioni aritmetiche e con procedure informatizzate, sarebbe folle pensare ad operazioni di manomissione».

    Carra tuttavia ammetteva «che l'Istat sbagli a non mettere a disposizione di tutti, tutti i dati di tutti i prodotti e per tutte le città in modo che ciascuno possa vedere quali dati elementari producono il livello di inflazione che si reputa sottostimato e confrontarli con quelli ha sotto gli occhi. Se l'Istat lo fa perché applica il criterio di non fornire dati elementari stabilito per persone ed imprese a tutela della privacy sbaglia perché quel criterio non può essere esteso a prezzi di beni che tutti possono controllare guardando i banchi o le vetrine. Se lo fa perché teme che utenti non esperti possano utilizzare male l'enorme mole di informazioni sbaglia perché, così facendo, alimenta il sospetto. L'Istat, quindi, invece di perdere tempo a giustificarsi, farebbe bene a rendere totalmente trasparente il calcolo. Contribuirebbe, così, a spostare il confronto dal terreno scandalistico ad uno più scientifico spingendo così anche associazione dei consumatori, studiosi e politici a formulare critiche di merito e proposte».

    Le cose tuttavia sono più complesse: «L'Istat modifica annualmente il paniere utilizzando i risultati della rilevazione sui consumi delle famiglie. Il fatto è in sé positivo perché significa che le modifiche nei consumi sono colte man mano che avvengono. Ma rimane anche qui un "fattore strutturale", quello stagionale, che produce una riduzione dell'inflazione "rilevata" rispetto a quella "reale". Proviamo a spiegarlo con un esempio. Se il prezzo del cappotto è inserito nella rilevazione è chiaro che nei mesi estivi si trascinerà il prezzo dei mesi invernali precedenti. Ciò significa che nei mesi estivi l'indice ponderato non rifletterà correttamente gli aumenti dei prodotti che in estate sono sul mercato, perché la loro dinamica sarà attenuata dal peso dei prodotti invernali con aumento zero. Questo ulteriore fattore inerziale potrebbe essere eliminato adottando un sistema di pesi trimestrali in modo che in ogni "stagione" l'indice venga calcolato con i pesi dei prodotti effettivamente consumati in quella stagione. L'Istat non dovrebbe avere nessuna difficoltà tecnica ad adottare questa ipotesi».

    È vero, ma il difetto sta nel manico. Infatti il problema non è tecnico: la vera responsabilità non è di chi elabora i dati, ma di chi decide su quali prodotti e dove effettuare le rilevazioni, e di quale peso percentuale attribuire a ciascun capitolo della spesa. Trattandosi di una questione che ha ripercussioni sulla politica salariale (anche se non più automatiche come al tempo della scala mobile) è facile immaginare quali interessi scendano in campo per alterare i dati. La scelta di calcolare in estate il prezzo del cappotto non è casuale, né frutto di disattenzione.

    In ogni grande città inoltre la rilevazione dei prezzi è affidata a una speciale pattuglia di vigili: ma tutti sanno che in ogni grande città c'è una disparità notevole tra i prezzi di alcuni mercati, e quelli della generalità degli esercizi. Basta incentivare (da parte del governo o di Confindustria, non dell'Istat) questo nucleo di vigili a "saper scegliere bene", vedere o non vedere, e si esercita una prima alterazione delle rilevazioni.

    Ma la più importante avviene ad altri livelli: quando le associazioni dei consumatori (riprese anche dai maggiori giornali) si sono domandate come è possibile che il costo dell'abitazione incida in Italia solo per il 9,3% nel "paniere" su cui si calcola la spesa delle famiglie (come è possibile che chi guadagna due milioni al mese paghi solo meno di duecentomila lire di affitto?), il presidente dell'Istat Luigi Biggeri ha risposto candidamente che ciò dipende dal fatto che viene effettuata una media tra chi paga l'affitto e chi non lo paga perché la casa è di sua proprietà, e per questo la percentuale si abbassa. In una delle interviste ha parlato di un 50% di famiglie che avrebbero la casa di proprietà e non pagherebbero affitto, in altre addirittura dell'85%. Già viene un dubbio sulla serietà di un'istituzione che fornisce dati così ballerini.

    Non è che tra le "case di proprietà" si calcolano anche le seconde o terze case di villeggiatura (che nel caso di Berlusconi e di altri del suo genere si misurano a decine)? E forse la maggioranza dei lavoratori che sono stati costretti a comprare un appartamento, quando era impossibile trovarne in affitto ad equo canone, non continua a pagare ogni mese una quota di mutuo ben superiore al 9,3%? E anche chi ha finito di pagare il mutuo, non spende per manutenzioni, condominio, sproporzionate tasse sui rifiuti, eccetera, somme non indifferenti, che non vengono prese in esame?

    Ma il colmo del ridicolo (a parte che nella stessa pagina del "Sole 24 Ore" i prodotti su cui l'Istat calcolerebbe le variazioni dei prezzi sono secondo Luigi Biggeri «oltre 900», mentre secondo un documentatissimo articolo di Vincenzo Chierchia sono esattamente 668) viene dal fatto che per giustificare la scarsissima incidenza delle assicurazioni auto sulla spesa di una famiglia, il presidente dell'Istat spiega che «a fronte dei premi pagati ci sono i rimborsi per i danni subiti, e quindi quello che l'insieme dei consumatori sostiene come spesa è la differenza tra queste due voci». Biggeri ammette che «capisce» che «per chi non fa mai incidenti c'è solo il premio», ma l'indice è medio «e deve tener conto dei rimborsi». Incredibile! Il ragionamento quindi varrebbe solo per chi finge un incidente e si fa pagare dall'assicurazione. Biggeri dimentica che chi ha subito davvero un danno, ottiene un rimborso - per giunta in genere insufficiente - di una spesa già effettivamente sostenuta!

    L'altro argomento usato per giustificare i calcoli dell'Istat tanto discordanti da quanto verifica ogni famiglia di lavoratori (che hanno uno "strumento di misura" infallibile: quanti giorni prima dello stipendio sono rimasti senza un euro, e a quanti prodotti o servizi una volta abituali hanno dovuto progressivamente rinunciare…), è che i criteri adottati sarebbero "scientifici", perché corrispondenti a quelli fissati dall'Eurostaf. Grottesco, e non solo perché non è assolutamente vero (secondo l'indice europeo ad esempio il costo dell'alloggio corrisponderebbe al 15,0% anziché al 9,3%, ed è sempre poco), ma per un'altra ragione ben più importante: non esiste un solo paese europeo in cui gli organi dello Stato non siano al servizio degli interessi capitalistici.

    Nascondersi dietro "organismi europei" o in genere internazionali per giustificarsi è un'operazione truffaldina. Non a caso Biggeri tira in ballo perfino i "Princìpi della Statistica" delle Nazioni Unite per affermare che «la statistica pubblica ha un valore particolare che nasce dalla sua imparzialità e indipendenza. E' quindi preziosa per la democrazia». Per giunta, sostiene il presidente dell'Istat, la sua attività è soggetta a controlli esterni: «L'attività dell'Istat, per esempio, viene monitorata da Fmi, Eurostat, e dalla Commissione di garanzia per l'informazione statistica» (che cos'è?).

    Beato chi ci crede: per i marxisti, gli organismi sovranazionali che sono il frutto di accordi tra gli Stati capitalistici come il Fondo monetario internazionale, o anche quelli della Comunità europea, non sono mai stati "imparziali" e al di sopra di ogni sospetto! E' quanto abbiamo detto a più riprese non solo per organismi come il Fmi o la Banca mondiale, ma per la stessa Onu, i cui organismi burocratici non possono esprimere interessi diversi da quelli degli Stati che li designano. Sul Fmi e la Bm in genere il giudizio della sinistra è negativo, ma si dimentica poi che sono organismi delle Nazioni Unite, su cui invece ci sono illusioni diffusissime.

    E' una questione importante: ogni volta che in un paese c'è una forte resistenza a una misura antipopolare, entra in campo una presunta "autorità sovranazionale" che afferma che quella misura adottata è assolutamente indispensabile. Bisogna spiegare che i superburocrati europei o di altri organismi, pagati milioni di euro, non sono "neutrali", ma esprimono, da un pulpito a cui si attribuisce assurdamente una grande autorità e obiettività, gli interessi capitalistici più biechi.

    Lo stesso vale per le "esternazioni" del Presidente della Banca d'Italia, o della Corte dei conti, che ogni volta che emergono i dati dello sfacelo dell'economia capitalistica, si affrettano a pontificare assicurando che l'unica soluzione è la "riforma delle pensioni", cioè la cancellazioni dei diritti acquisiti dai lavoratori che li hanno pagati con trattenute sul loro salario. Insomma ripropongono spudoratamente i fondi pensioni privati, come se milioni di lavoratori negli Stati Uniti o in altri paesi europei non fossero stati derubati dalla Enron o dalle banche a cui si erano affidati!

    Cosa che non è affatto una novità: il capitalismo è sempre stato caratterizzato da una profonda disonestà: basta pensare a come Agnelli senior si impossessò della Fiat (di cui, contrariamente a quanto detto nelle celebrazioni ufficiali, non era stato affatto il "fondatore"). Il meccanismo truffaldino (concertato con due membri del Consiglio di amministrazione), fu di attirare tanti piccoli azionisti col miraggio di dividendi favolosi, che esattamente come per la Enron o la Worldcom un secolo dopo, non corrispondevano a un'effettiva redditività del titolo, ma venivano pagati utilizzando crediti delle banche. Al termine dell'operazione Agnelli nel 1906 si era impossessato del pacchetto di maggioranza, e potè buttare fuori i veri soci fondatori. Fu processato, ma l'intervento del ministro della Giustizia sulla procura lo fece prosciogliere sei anni dopo per i "meriti" acquisiti con le forniture all'esercito per la guerra di Libia. Le frodi furono ugualmente all'origine delle fortune dei Vanderbilt, dei Morgan, dei Rockfeller, dei Kennedy e di tanti altri.

    Non è inutile, dopo decenni di esaltazione delle virtù del "mercato" (cioè del capitalismo), a cui si sono associati anche la maggior parte dei partiti della sinistra, ricordare queste elementari verità. Ed è anche importante soprattutto oggi, per spiegare di che crimini sono stati vittime tutti coloro (tra cui anche pensionati e lavoratori) che si sono illusi di migliorare il proprio tenore di vita cedendo alle lusinghe di chi prometteva facili guadagni, e hanno perso gran parte dei propri risparmi. Ma naturalmente non basta.

    Bisogna rilanciare la lotta per una difesa effettiva dei salari, attraverso il ripristino della scala mobile, la cui soppressione è stata regalata dai burocrati confederali, Cofferati compreso, ai padroni, ma non può essere solo un ritorno al passato: va resa efficace attraverso meccanismi di controllo dei prezzi dal basso, da parte di commissioni di consumatori, e il controllo operaio negli stessi luoghi di produzione sui costi reali dei prodotti.

    Una battaglia lunga e difficile, ma l'unica che possa bloccare i meccanismi speculativi normali nel capitalismo, mentre il "calmiere" tanto propagandato una volta dalla destra è praticamente impossibile.

    Altra cosa è bloccare gli aumenti delle tariffe, e anzi cancellare quelli già avvenuti. Assurdamente Epifani si è dichiarato contrario, ma invece, pur non essendo risolutivo, questo blocco può arginare in parte l'inflazione galoppante. Anche su questo i lavoratori delle ferrovie o dell'Enel, eccetera, possono fare molto, se sollecitati da una forte campagna che faccia capire che devono associare i loro interessi diretti a quelli degli utenti.

    Naturalmente gli organismi della comunità europea, e lo stesso Prodi, hanno dichiarato inammissibile questa misura, ma vale per questo quanto dicevamo sopra a proposito della presunta "neutralità" e "imparzialità degli organi che gli Stati capitalisti dell'Europa si sono dati per arginare le richieste dei lavoratori e cancellare i loro diritti. Quando a Prodi, è grottesco che l'Ulivo attenda la salvezza dal suo ritorno sulla scena politica italiana. E' stato un grande manager dell'industria a partecipazione statale, nell'interesse dei capitalisti privati, e ha avviato durante il suo governo la politica di privatizzazioni che hanno svenduto ai privati l'Alfa Romeo, la Cirio, la Centrale del Latte di Roma, e tante altre aziende sanissime regalate a famelici capitalisti (che non hanno ovviamente mantenuto un solo impegno sulla salvaguardia dell'occupazione).

    Rilanciare la lotta in difesa dei salari reali è un compito prioritario, senza il quale l'altro grande obiettivo, la riduzione d'orario, rimarrebbe lettera morta, anche se venisse imposta per legge (come peraltro è del tutto improbabile con questo governo e questa "opposizione"). Ma una crescita delle mobilitazioni operaie e di tutti i lavoratori potrebbe cambiare le cose, e mettere di nuovo in difficoltà la maggioranza di governo come avvenne nell'autunno del 1994, quando Berlusconi e Dini credettero di poter colpire le pensioni. L'opposizione punta oggi solo sui "girotondi" sui conflitti di interessi, o sulla complessa questione della magistratura, ma non è così che si può mutare il clima politico. Tra l'altro la magistratura, dopo un periodo in cui molti, anche nella sinistra, si erano illusi che spazzasse via la corruzione, oggi non gode di grande popolarità, e ha parecchie colpe, non essendo affatto così "rossa" come afferma Berlusconi, e neppure così indipendente. Basti pensare al ruolo di D'Ambrosio nella scandalosa sentenza sul "malore" di Pinelli, o di altri del suo staff nell'incriminazione di Sofri. Altro che "toghe rosse"!

    Naturalmente la magistratura va difesa quando si oppone alle turpi leggi che vogliono cancellarne ogni residua autonomia, ma non è su questo terreno che può innestarsi la controffensiva nei confronti della destra famelica e arrogante. Solo puntando sulla difesa dei lavoratori e dei consumatori dai meccanismi economici che li stanno stritolando si può creare un grande movimento che riapra la stagione delle lotte e delle conquiste.


    Liberazione 6 settembre 2002
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