IL RUOLO DEI CITTADINI NELLA DEMOCRAZIA MODERNA
La piazza e l'urna
di Angelo d'Orsi
IN uno dei suoi tanti interventi sul tema che forse più di ogni altro lo ha appassionato nella sua lunghissima carriera di studioso, la democrazia, Norberto Bobbio osservava che il sistema democratico è tale solo se si svolge all'interno delle regole (e dunque dei limiti) dello Stato di diritto.
Nessun organo o potere è, in sistema democratico, legibus solutus: tutti sono soggetti alla legge, nessuno escluso. Tra le tante definizioni di democrazia «governo della legge» è una delle più efficaci. I sistemi non democratici sono governi degli uomini: il capo o i capi agiscono al di fuori o al di sopra della legge; nella democrazia i governanti sono amministratori in nome e per conto dei cittadini, sottoposti al controllo della legge. In tal senso la democrazia è il governo del popolo.
Nella concezione classica popolo non è la multitudo indistinta, i «molti» che agiscono al di fuori delle regole; piuttosto esso è popolus, sono i cittadini sommati insieme, una somma algebrica in cui sono comprese dunque le differenze di orientamento. Apparentemente la multitudo è ciò che chiamiamo (specie in questo periodo di «girotondi») «piazza», mentre il vero potere democratico si esprime nella forma della rappresentanza: consigli circoscrizionali, comunali, provinciali, regionali, le due Camere, il Parlamento Europeo.
Ma, a guardare le cose con occhio storico, ci rendiamo conto che c'è «piazza» e «piazza»: un conto sono le «adunate oceaniche» alle quali si doveva andare perché il «capo» convocava e una volta schierati sotto il suo balcone non si poteva far altro che osannare ad ogni sua frase; un altro conto sono i luoghi (fisici e metaforici) nei quali i cittadini, ossia frazioni di cittadinanza, si recano liberamente, senza costrizione né materiale né immateriale, per esprimere le proprie posizioni politiche in merito a singole questioni, per rendere esplicito il loro dissenso o consenso a fatti politici interni o internazionali, anche per gridare (negli spazi ampi diventa inevitabile) quel dissenso o quel consenso.
Come dimenticare, d'altronde, che proprio nella piazza - l'agorà dei Greci - è nata la democrazia? Che nella piazza i cittadini si riunivano per discutere, litigare, e infine deliberare? E allora perché stupirsi se, come innumerevoli volte in passato, sia recente che remoto, dei cittadini «scendono in piazza» per esprimere il loro sentire e il loro pensare? Perché temere che ciò attenti alla democrazia?
Quello che è certo, però, è che nella piazza non si delibera, perché i cittadini, presi singolarmente, ad uno ad uno, non possono far contare la loro opinione; e, in mancanza di una democrazia assembleare, diretta, dobbiamo accontentarci di quella indiretta, fondata sulla rappresentanza, e sapere che alla fine come singoli contiamo quando, nelle diverse istanze, esprimiamo il nostro voto.
Andiamo pure in piazza, insomma, ma, quand'è il momento, non disertiamo le urne.
La Stampa 9 settembre 2002