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    Predefinito Lettera aperta ai girotondini

    Nell'anno I della Guerra Globale Permanente il concetto di legalità ha assunto connotati tali da stridere fortemente con la difesa dei diritti universali dell'Umanità. La guerra stessa, trasformata nel gergo dei nostri governanti in intervento di polizia internazionale con il beneplacito dell'opposizione di centrosinistra, sembra essere diventata lo strumento supremo di ripristino della legalità. Ma cosa è illegale e cosa non lo è? La guerra all'Afghanistan era legale? E le manifestazioni contro quella guerra erano illegali? E i potenti della Terra, riuniti a Johannesburg, che condannano una larga parte dell'umanità a morire di fame e sete e hanno reso più incerto il futuro di tutti, cosa sono? Loro sono la legge, indiscutibilmente legali. Ma chi non accetta i loro "piani di aggiustamento strutturale", chi disobbedisce, dove si colloca? E' fuori o dentro la legge?

    Di questo e della memoria interrotta sulla storia del nostro paese vorremmo discutere con quanti si apprestano a celebrare la festa protesta della legalità del 14 settembre a piazza del Popolo. Poiché se è vero che la globalizzazione è il terreno più evidente per scoprire che la legalità non si sposa quasi mai con la legittimità ma sempre con gli interessi dei più forti, noi in Italia abbiamo una storia recente che dovrebbe averci insegnato come la giustizia si sia sempre disposta contro i movimenti e le speranze di libertà che da essi sono venute negli anni. Solo la coscienza sporca degli Ulivisti che ancora non riescono a nascondere la vergogna dei Cpt ideati e realizzati da loro, la prosecuzione infinita della legislazione d'emergenza, il mantenimento e l'esaltazione dell'articolo 41 bis degno di sistemi penali ottocenteschi, la ferocia repressiva della manifestazione di Napoli, preludio alle giornate di Genova, può rendere incapaci di riconoscere che il legittimo sospetto nei confronti dei giudici è, prima ancora che un espediente per salvare Previti e Berlusconi, una norma garantisca che appartiene ad una cultura giuridica di sinistra.

    Giustizialismo e legalitarismo non sono parole di sinistra, caro Moretti, e sarebbe una beffa scoprire che dietro quella tua battuta passata per milioni di bocche si nascondeva in realtà la condivisione di una identica cultura politica tra te e il leader Ds. Altra è l'idea di legalità alla quale alludono da secoli i movimenti e le moltitudini fondata, per esempio, sulla condivisione, la partecipazione democratica diretta, l'autogoverno, il federalismo solidale, il municipalismo aperto e modellato intorno ad una solida rete di autorganizzazione sociale.

    Non ci stiamo a riconoscere la legalità di un sistema che si fonda sulle maggioranze parlamentari ottenute riconoscendo la sovranità popolare una volta ogni cinque anni. Non ci stiamo a riconoscerci sudditi nel tempo che intercorre tra un'elezione e l'altra. Il fatto che Berlusconi se ne vada non è una questione di legittimità ma di necessità: non lo vogliamo perché non vogliamo entrare in una guerra (l'Iraq), perché vogliamo meno precarietà di vita e di lavoro, perché vogliamo salvare quel tanto di pubblico che resta nel nostro paese, perché vogliamo rompere le gabbie della clandestinità, perché...

    E non riconosciamo alla piazza il valore di semplice stimolo ai partiti, al sistema delle istituzioni democratiche. Non solo perché le istituzioni hanno dato ampia riprova di essere tutt'altro che democratiche, ma anche e soprattutto perché, se c'è ancora una speranza per questo Pianeta, sta tutta nella capacità delle moltitudini di tornare protagoniste, disobbedendo a sovrani e vassalli dell'impero. Se la sinistra non avesse paura della piazza, avrebbe finalmente "chiuso" con la stagione dell'emergenza, liberando i detenuti politici e permettendo il ritorno degli esuli. Invece, come dimostra il recente caso Persichetti - dove alla persecuzione si è aggiunta la farsa - plaude al loro arresto.

    Eppure le mobilitazioni organizzate dai "cento movimenti" non ci lasciano indifferenti. Intanto perché pensiamo che non ci siano movimenti sufficienti in sé, e che la relazione tra diversi sia una conquista delle giornate di Genova. E non vogliamo più tornare indietro. Inoltre perché la sfacciata gestione del potere a uso privato di cui dà prova la banda Berlusca giustifica il moto di indignazione popolare. Infine perché i girotondi indicano vitalità della società civile, a fronte della decrepitezza del sistema dei partiti, benché tale vivacità appaia subalterna all'Ulivo e alla sua impresentabile cultura politica: per "dire qualcosa di sinistra" bisogna appellarsi ai giudici?

    Per questo vogliamo aprire il confronto nel movimento e tra movimenti scegliendo la data simbolica del 9 settembre, giorno in cui nelle carceri italiane partirà la protesta per ricordare le condizioni dei detenuti e la loro lunga lista di rivendicazioni: dalla depenalizzazione dei reati minori, all'indulto generalizzato, alla abolizione dell'ergastolo e dell'odioso articolo 41 bis: e - per tutti i pacifisti - non è questa tortura di stato? Le carceri sono il simbolo di come funziona la giustizia in Italia, con l'altissima percentuale di stranieri e di tossicodipendenti, e la dimostrazione che parlare di giustizia costringe a porsi i problemi della giustizia sociale.

    Una proposta ai girotondini. Perché non cominciate la festa protesta dal carcere di Regina Coeli, quel carcere sovraffollato proprio a causa dei tribunali di sorveglianza che non applicano la legge Gozzini? Un movimento, cento movimenti, che perdessero il coraggio e la passione di battersi per la libertà non avrebbero futuro.

    Movimento delle/dei disobbedienti di Roma

    www.liberazione.it
    "Vogliamo distruggere tutti quei ridicoli monumenti del tipo "a coloro che hanno dato la vita per la patria" che incombono in ogni paese e, al loro posto, costruiremo dei monumenti ai disertori. I monumenti ai disertori rappresentano anche i caduti in guerra perchè ognuno di loro è morto malidicendo la guerra e invidiando la fortuna del disertore. La resistenza nasce dalla diserzione"

    Partigiano antifascista, Venezia, 1943





  2. #2
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    Predefinito Lettera aperta ai girotondini

    Nell'anno I della Guerra Globale Permanente il concetto di legalità ha assunto connotati tali da stridere fortemente con la difesa dei diritti universali dell'Umanità. La guerra stessa, trasformata nel gergo dei nostri governanti in intervento di polizia internazionale con il beneplacito dell'opposizione di centrosinistra, sembra essere diventata lo strumento supremo di ripristino della legalità. Ma cosa è illegale e cosa non lo è? La guerra all'Afghanistan era legale? E le manifestazioni contro quella guerra erano illegali? E i potenti della Terra, riuniti a Johannesburg, che condannano una larga parte dell'umanità a morire di fame e sete e hanno reso più incerto il futuro di tutti, cosa sono? Loro sono la legge, indiscutibilmente legali. Ma chi non accetta i loro "piani di aggiustamento strutturale", chi disobbedisce, dove si colloca? E' fuori o dentro la legge?

    Di questo e della memoria interrotta sulla storia del nostro paese vorremmo discutere con quanti si apprestano a celebrare la festa protesta della legalità del 14 settembre a piazza del Popolo. Poiché se è vero che la globalizzazione è il terreno più evidente per scoprire che la legalità non si sposa quasi mai con la legittimità ma sempre con gli interessi dei più forti, noi in Italia abbiamo una storia recente che dovrebbe averci insegnato come la giustizia si sia sempre disposta contro i movimenti e le speranze di libertà che da essi sono venute negli anni. Solo la coscienza sporca degli Ulivisti che ancora non riescono a nascondere la vergogna dei Cpt ideati e realizzati da loro, la prosecuzione infinita della legislazione d'emergenza, il mantenimento e l'esaltazione dell'articolo 41 bis degno di sistemi penali ottocenteschi, la ferocia repressiva della manifestazione di Napoli, preludio alle giornate di Genova, può rendere incapaci di riconoscere che il legittimo sospetto nei confronti dei giudici è, prima ancora che un espediente per salvare Previti e Berlusconi, una norma garantisca che appartiene ad una cultura giuridica di sinistra.

    Giustizialismo e legalitarismo non sono parole di sinistra, caro Moretti, e sarebbe una beffa scoprire che dietro quella tua battuta passata per milioni di bocche si nascondeva in realtà la condivisione di una identica cultura politica tra te e il leader Ds. Altra è l'idea di legalità alla quale alludono da secoli i movimenti e le moltitudini fondata, per esempio, sulla condivisione, la partecipazione democratica diretta, l'autogoverno, il federalismo solidale, il municipalismo aperto e modellato intorno ad una solida rete di autorganizzazione sociale.

    Non ci stiamo a riconoscere la legalità di un sistema che si fonda sulle maggioranze parlamentari ottenute riconoscendo la sovranità popolare una volta ogni cinque anni. Non ci stiamo a riconoscerci sudditi nel tempo che intercorre tra un'elezione e l'altra. Il fatto che Berlusconi se ne vada non è una questione di legittimità ma di necessità: non lo vogliamo perché non vogliamo entrare in una guerra (l'Iraq), perché vogliamo meno precarietà di vita e di lavoro, perché vogliamo salvare quel tanto di pubblico che resta nel nostro paese, perché vogliamo rompere le gabbie della clandestinità, perché...

    E non riconosciamo alla piazza il valore di semplice stimolo ai partiti, al sistema delle istituzioni democratiche. Non solo perché le istituzioni hanno dato ampia riprova di essere tutt'altro che democratiche, ma anche e soprattutto perché, se c'è ancora una speranza per questo Pianeta, sta tutta nella capacità delle moltitudini di tornare protagoniste, disobbedendo a sovrani e vassalli dell'impero. Se la sinistra non avesse paura della piazza, avrebbe finalmente "chiuso" con la stagione dell'emergenza, liberando i detenuti politici e permettendo il ritorno degli esuli. Invece, come dimostra il recente caso Persichetti - dove alla persecuzione si è aggiunta la farsa - plaude al loro arresto.

    Eppure le mobilitazioni organizzate dai "cento movimenti" non ci lasciano indifferenti. Intanto perché pensiamo che non ci siano movimenti sufficienti in sé, e che la relazione tra diversi sia una conquista delle giornate di Genova. E non vogliamo più tornare indietro. Inoltre perché la sfacciata gestione del potere a uso privato di cui dà prova la banda Berlusca giustifica il moto di indignazione popolare. Infine perché i girotondi indicano vitalità della società civile, a fronte della decrepitezza del sistema dei partiti, benché tale vivacità appaia subalterna all'Ulivo e alla sua impresentabile cultura politica: per "dire qualcosa di sinistra" bisogna appellarsi ai giudici?

    Per questo vogliamo aprire il confronto nel movimento e tra movimenti scegliendo la data simbolica del 9 settembre, giorno in cui nelle carceri italiane partirà la protesta per ricordare le condizioni dei detenuti e la loro lunga lista di rivendicazioni: dalla depenalizzazione dei reati minori, all'indulto generalizzato, alla abolizione dell'ergastolo e dell'odioso articolo 41 bis: e - per tutti i pacifisti - non è questa tortura di stato? Le carceri sono il simbolo di come funziona la giustizia in Italia, con l'altissima percentuale di stranieri e di tossicodipendenti, e la dimostrazione che parlare di giustizia costringe a porsi i problemi della giustizia sociale.

    Una proposta ai girotondini. Perché non cominciate la festa protesta dal carcere di Regina Coeli, quel carcere sovraffollato proprio a causa dei tribunali di sorveglianza che non applicano la legge Gozzini? Un movimento, cento movimenti, che perdessero il coraggio e la passione di battersi per la libertà non avrebbero futuro.

    Movimento delle/dei disobbedienti di Roma

    www.liberazione.it
    "Vogliamo distruggere tutti quei ridicoli monumenti del tipo "a coloro che hanno dato la vita per la patria" che incombono in ogni paese e, al loro posto, costruiremo dei monumenti ai disertori. I monumenti ai disertori rappresentano anche i caduti in guerra perchè ognuno di loro è morto malidicendo la guerra e invidiando la fortuna del disertore. La resistenza nasce dalla diserzione"

    Partigiano antifascista, Venezia, 1943





 

 

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