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    Predefinito 10. marzo / San Domenico Savio, fulgido esempio di mortificazione



    Domenico Savio, nacque a San Giovanni di Riva, presso Chieri (Torino) il 2 aprile 1842.
    Fin da piccolo aveva molto chiara la sua chiamata a seguire Gesù.
    A dodici anni fu accolto da don Bosco nell'Oratorio di Torino.
    Proprio sull'esempio di don Bosco desiderava dedicarsi all'insegnamento e all'educazione dei giovani.
    L'8 dicembre 1854, la proclamazione del dogma dell'Immacolata da parte di Papa Pio IX, spinse Domenico, già devotissimo a Maria, a consacrarsi alla Madre Celeste. Nel 1856 fondò tra gli amici la "Compagnia dell'Immacolata" per un'azione apostolica di gruppo.
    A causa della sua salute cagionevole fu però costretto a lasciare il collegio di Torino dove studiava e morì, a Mondonio, a soli 15 anni, il 9 marzo 1857. E' sepolto nella Basilica di Maria Ausiliatrice.
    È stato beatificato il 5 marzo del 1950 e canonizzato da Papa Pio XII il 12 giugno 1954.
    Morì a Mondonio il 9 marzo 1857. I suoi resti mortali si venerano nella Basilica di Maria Ausiliatrice.
    La sua Festa si celebra il 6 Maggio. E' patrono dei "Pueri cantores".

  2. #2
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    «Presto, venga con me»

    Dicembre 1856. L'aria è fredda perché è già scesa la notte. Don Bosco, nel suo ufficio, sta rispondendo alle lettere arrivate in giornata, di benefattori, di gente che chiede preghiere, di ragazzi che sono stati suoi amici all'Oratorio e vogliono continuare a parlare con lui.

    Qualcuno bussa alla porta.

    - Avanti, chi è? - Sono io - dice Domenico Savio entrando rapido. Ha il volto serio e pensieroso -. Presto, venga con me. C'è una cosa importante da fare.

    - Adesso, di notte? Dove vuoi condurmi?

    - Faccia presto, Don Bosco, faccia presto.

    Don Bosco esita. Ma guardando Domenico vede che il suo volto, di solito così sereno, è molto serio. Anche le sue parole sono decise come un comando. Don Bosco («avendo già provato altre volte l'importanza di questi inviti», scrive) si alza, prende il cappello e lo segue.

    Domenico scende velocemente le scale. Scrive Don Bosco: «Lo seguo. Esce di casa, passa per una via, poi un'altra, ed un'altra ancora, non si arresta né fa parola; prende infine un'altra via, io l'accompagno di porta in porta, finché si ferma. Sale una scala, raggiunge il terzo piano e suona una forte scampanellata.

    - E qua che deve entrare - mi dice. E subito se ne va».

    La porta si apre. Si affaccia una donna scarmigliata. Vede Don Bosco e alza le braccia al cielo:

    - È il Signore che la manda. Presto, presto, altrimenti non fa più in tempo. Mio marito ha avuto la disgrazia tanti anni fa di abbandonare la fede e di iscriversi a una setta anti-cristiana. Adesso sta morendo, e chiede per pietà di potersi confessare, perché ha paura di presentarsi al tribunale di Dio.

    Don Bosco si reca al letto dell'ammalato, e trova un pover 'uomo spaventato e sull'orlo della disperazione. Lo confessa. Gli dà l'assoluzione a nome di Dio. Poche ore dopo quell'uomo muore.

    Il giorno dopo, Don Bosco è impressionato di ciò che è accaduto. Come ha potuto quel ragazzo di 14 anni sapere di quel malato e della sua urgenza di mettersi in pace con Dio? Avvicina Domenico in un momento in cui nessuno li ascolta.

    - Ieri sera, quando sei venuto a chiamarmi, chi ti aveva parlato di quella povera persona?

    Allora succede una cosa che Don Bosco non si aspettava. Domenico lo guarda con aria mesta e si mette a piangere. «Non ho più osato fargli altre domande» scrive. Ma capisce che nel suo Oratorio c'è un ragazzo al quale Dio parla.

    La sorella di Domenico Savio, Teresa, testimoniò sotto giuramento: «Don Bosco, quando mi narrava questo fatto, soggiungeva che non era mai riuscito a comprendere come Domenico avesse saputo guidarlo a notte oscura, attraverso le vie di Torino che certamente gli dovevano essere ignote, e concludeva dicendo: - Si vede proprio che Savio era un giovanetto santo, e che conosceva tante e tante cose!».



    La stufa di don Cugliero

    L'incontro di Don Bosco con Domenico Savio era stato provocato (oltreché dal Signore) da una grossa stufa: una di quelle stufe di campagna che ingoiano legna e in cambio diffondono un calore onesto e buono.

    Don Giuseppe Cugliero era l'insegnante della scuola elementare di Mondonio. Domenico, da Morialdo, era arrivato in quel paese con la sua famiglia nel febbraio 1853, e si era subito iscritto alla scuola per finire le elementari.

    All'inizio dell'inverno 1853-54, don Cugliero aveva intimato ai suoi trenta scolaretti:

    - Venire a scuola al freddo è impossibile. Quindi d'ora innanzi ogni mattina, insieme ai libri, porterete un pezzo di legno. Li metteremo nella stufa, e così staremo al caldo fino a mezzogiorno.

    Anche Domenico, da quel giorno, portò ogni mattina, insieme con i libri e i quaderni, un tronchetto o uno scheggione di legno. La stufa tirava a dovere, e la scuola era scaldata proprio bene.

    Una mattina del febbraio 1854 nevicava forte. Due alunni (grossi e maleducati) arrivarono senza il pezzo di legno. Don Cugliero non c'era ancora, e uno osò dire:

    - E voi, perché non avete portato la legna? Quei due ridacchiarono, parlottarono tra loro, e uscirono. Pigiarono della neve fino a farne due pallottolone, poi rientrarono portandole sulle braccia. Dissero:

    - Ecco la nostra legna! Aprirono il coperchio della stufa e buttarono dentro la neve. Ridevano male, mentre quasi tutti gli altri guardavano in silenzio. Solo quattro scemetti (quattro scemetti si trovano in tutte le scuole del mondo!) si misero a ridere con loro, come se fosse stato un grande scherzo. La stufa fumò, lasciò filtrare un po' d'acqua e si spense. Quando arrivò don Cugliero era bell'e spenta. Don Cugliero era un insegnante severo, che castigava battendo la bacchetta sulle dita degli alunni, metteva in ginocchio e cacciava dalla scuola. Allora tutti gli insegnanti facevano così. Quando vide quella stupidata, domandò inviperito:

    - Chi è stato?

    Nessuno fiatò, perché i due colpevoli avrebbero picchiato chi parlava. Alla ripetizione della domanda, si alzarono proprio quei due (che si erano messi d'accordo) e insieme indicarono Domenico:

    - E’ stato lui.

    Domenico si alzò stupito. Si guardò intorno come per dire: «Ditegli che non è vero». Ma nessuno alzò gli occhi dai libri. Tanti piccoli vigliacchi. Don Cugliero disse stupito a Domenico:

    - Proprio tu, che sembri un pezzo di santino! Non me lo sarei mai aspettato. Meno male che è la prima che mi combini, altrimenti ti avrei cacciato da scuola. E adesso prendi il libro e vieni a inginocchiarti in mezzo alla classe, vicino alla stufa. Sentirai come si sta bene accanto a una stufa spenta!

    Domenico s'inginocchiò dove diceva il maestro. La lezione fu chiusa prima del solito, perché faceva troppo freddo nella scuola.

    Carlo Savio nel 1912 era consigliere comunale a Mondonio, e testimoniò sotto giuramento: «A questo fatto io fui presente. Il maestro lo pose per castigo in ginocchio in mezzo alla scuola». PS. 313.

    Uscendo dalla scuola, però, qualcuno fu preso dal rimorso, e sussurrò a don Cugliero:

    - Guardi che non è stato Domenico. Sono stati quei due là.

    Don Cugliero cadde dalle nuvole. Richiamò a gran voce Domenico, che era appena partito con i suoi libri.

    - Ma perché sei stato zitto? Così ho compiuto un'ingiustizia davanti a tutta la classe. Bastava che mi dicessi:

    «Non sono stato io!».

    Domenico rispose tranquillo:

    - Anche il Signore è stato calunniato ingiustamente. E non si è mica ribellato.

    Don Cugliero rimase così colpito da quelle parole, che pensò tra sé: «Questo è un ragazzo buono sul serio. Gli farò un grosso regalo».

    Alcuni mesi dopo prese la carrozza, e si recò a Torino, dove abitava il suo compagno di seminario don Giovanni Bosco. Lo trovò in un cortile affollato da centinaia di ragazzi. Quando lo vide, Don Bosco gli andò incontro a braccia aperte:

    - Caro vecchio Cugliero! Che piacere rivederti! Scommetto che ti sei stancato di stare tra quelle colline tra le volpi. Perché non vieni anche tu a lavorare tra questo esercito di ragazzi? Saresti un maestro coi fiocchi!

    - Tu di ragazzi ne hai davvero più di me - sorrise don Cugliero guardando quella splendida baraonda.

    Ma io ne ho uno che vale tutti i tuoi messi in fila. E sono venuto per regalarlo al tuo Oratorio. Si chiama Domenico Savio, e noi lo chiamiamo «Minot». Se sai tirarlo su come si deve, ne verrà fuori un sacerdote di Dio di prim' ordine!

    - Sei sempre stato esagerato, tu - scherzò Don Bosco Anche tra questi che vedi correre e giocare come diavolotti scatenati, ci sono dei veri angeli, sai? Comunque, per me va bene. Io verrò ai Becchi per la festa del Rosario. Fammi incontrare questo tuo piccolo campione con suo padre.



    Il figlio della sarta

    2 ottobre 1854. Nel cortile, davanti alla sua casetta dei Becchi, Don Bosco vide arrivare Minot con suo papà. Quell'incontro (uno dei più importanti della sua vita) Don Bosco lo narrò come se l'avesse filmato con una cinepresa.

    «Era... di buon mattino, allorché vedo un fanciullo accompagnato da suo padre che si avvicina per parlarmi. Il volto era ridente, l'aria rispettosa:

    - Chi sei, gli dissi, donde vieni?

    - Io sono, rispose, Savio Domenico, di cui le ha parlato Don Cugliero mio maestro, e veniamo da Mondonio.

    Allora lo chiamai da parte, e messici a ragionare dello studio fatto, del tenor di vita fino allora praticato, siamo tosto entrati in piena confidenza egli con me, io con lui. Conobbi in quel giovane un animo tutto secondo lo spirito del Signore, e rimasi non poco stupito... Dopo un ragionamento alquanto prolungato, prima che io chiamassi il padre, mi disse queste precise parole:

    - Ebbene, che gliene pare? Mi condurrà a Torino per studiare?

    (Don Bosco aveva saputo da don Cugliero che la mamma di Domenico era la sarta di Mondonio, cuciva i vestiti per gli abitanti del piccolo paese. E rispose

    - Mi pare che in te ci sia della buona stoffa.

    - A che può servire questa stoffa?

    - A fare un bell'abito da regalare al Signore.

    - Dunque io sono la stoffa, ella ne sia il sarto; dunque mi prenda con lei e farà un bell' abito pel Signore.

    - Io temo che la tua gracilità non regga allo studio. (Don Cugliero doveva avergli pure detto che due fratellini di Domenico erano morti pochi giorni dopo la nascita, e che altri tre nati, Raimonda di 7 anni, Maria di 5 e Giovanni di 2, non erano fiori di salute).

    - Non tema per questo. Quel Signore che mi ha dato finora sanità e grazia, mi aiuterà anche per l'avvenire.

    - Ma quando abbia terminato lo studio, che cosa vuoi fare?

    - Se il Signore mi concederà tanta grazia, desidero... diventare sacerdote.

    - Bene, ora voglio provare la tua capacità di studio. Prendi questo libretto. Ouest' oggi studia questa pagina, domani tornerai a recitarmela.

    Ciò detto, lo lasciai in libertà di andare a giocare, e mi misi a parlare con il padre. Passarono non più di otto minuti, quando ridendo si avanza Domenico:

    - Se vuole, recito adesso la pagina.

    Presi il libro, e con mia sorpresa vidi che non solo sapeva a memoria la pagina, ma che comprendeva benissimo il senso delle cose in essa contenute.

    - Bravo, gli dissi, tu hai anticipato lo studio della tua lezione ed io anticipo la risposta. Ti condurrò a Torino, e fin d'ora sei iscritto tra i miei cari figlioli. Comincia anche tu a pregare Iddio, affinché aiuti me e te a fare la sua santa volontà».

    Mentre Domenico tornava a Mondonio con suo papà, Don Bosco pensò che don Cugliero non aveva proprio esagerato. Minot era davvero un piccolo campione.



    Cinque parole misteriose

    Nell' estate di quell'anno (1854) una violenta epidemia di colera aveva colpito Torino. Erano morte 1.248 persone. L'epidemia finì con le piogge d'autunno. Alla fine di ottobre le autorità sanitarie permisero che si riprendesse la «libera circolazione» per chi dal di fuori voleva entrare in città. Solo allora Domenico e suo padre poterono partire da Mondonio per Torino in velocifero (così venivano chiamate le carrozze pubbliche tirate dai cavalli).

    Arrivarono il 29 ottobre. La capitale del Piemonte li accolse con lo strepito di cento carrozze, le insegne colorate dei negozi, il frastuono continuo ed eccitato del mercato di Porta Palazzo.

    Scesero all' Oratorio attraversando il quartiere di Borgo Dora (la zona più inquinata e sporca di Torino, e anche la più colpita dal colera). Entrarono in un cortile dove giocavano molti ragazzi, e salirono all'ufficio di Don Bosco. Domenico notò subito un grosso cartello alla parete, con cinque parole misteriose: Da mihi animas, coetera tolle.

    Quando suo padre ripartì, superata la prima esitazione, Domenico domandò a Don Bosco cosa significassero quelle parole. E Don Bosco, sorridendo, lo aiutò a fare la sua prima traduzione dal latino: «Dammi le anime e prenditi tutto il resto». Era la parola d'ordine che Don Bosco aveva preso diventando sacerdote.

    «Quand' ebbe capito, Domenico - è Don Bosco che lo racconta - si fece per un istante pensieroso. Poi disse: "Ho compreso. Qui non si cerca denaro. Qui si cercano anime per il Signore. Spero che anche la mia anima sarà del Si*gnore"».



    Un biglietto per la Madonna

    Quando Domenico entrò all'Oratorio, Don Bosco aveva 39 anni. Era nel pieno delle sue forze e pensava al suo massimo progetto: la fondazione dei Salesiani, gente in gamba consacrata a Dio per i ragazzi più poveri. Domenico si trovò con Giuseppe Buzzetti, Michele Rua, Giovanni Cagliero, Giovanni B. Francesia; un anno più tardi con Giovanni Bonetti e Francesco Cerruti: giovani che Don Bosco preparava, senza rumore, ad essere i primi Salesiani.

    I ragazzi che vivevano all'Oratorio giorno e notte erano un centinaio. Tra essi Domenico vide un gruppo di piccolissimi, che gli altri chiamavano sorridendo «classe bassignana»: erano gli orfani del colera, i bambini rimasti senza più nessuno ai mondo. Don Bosco li aveva accettati in casa sua con un atto di amore più grande delle sue possibilità.

    Alla domenica (e nel pomeriggio dei giorni feriali) i prati dell' Oratorio erano invasi da centinaia di ragazzi di ogni genere: venivano a giocare, a imparare qualcosa, a stare con Don Bosco, pronti a divorare la pagnotta della merenda e magari a scappare quando era l'ora di andare in chiesa. Tra quei ragazzi, sovente sporchi e maleducati, Domenico fu subito un amico. Ricordava Giovanni Bonetti:

    «Faceva il catechismo ai più piccoli nella chiesa dell'Oratorio, e tutti lo ascoltavano volentieri».

    La prima festa di Maria Immacolata che Domenico trascorse all'Oratorio (8 dicembre 1854) fu una giornata di entusiasmo grande. Papa Pio IX a Roma dichiarava verità di fede che la Madonna era nata senza peccato originale (= Immacolata Concezione). Domenico, nel pomeriggio di quel giorno, andò nella chiesa, si inginocchiò all'altare della Madonna e si consacrò a Lei con queste parole che aveva scritto sopra un biglietto: «Maria, vi dono il mio cuore, fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei; ma per pietà fatemi morire piuttosto che mi accada la disgrazia la di commettere un solo peccato»

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    Grazie all'amico Cariddeo.

    Guelfo Nero

  10. #10
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    gentilmente, caro Cariddeo (e ne approfitto per salutarti sperando di rivederti prima di Natale) da quale testo sono tratti gli episodi che citi nel secondo tuo post?
    grazie mille e a bientot

 

 

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