Applauditissimo al Festival di Venezia il film in concorso di Peter Mullan sugli istituti di detenzione irlandesi per "peccatrici"
Magdalene. Lager cattolici per sole donne
Roberta Ronconi - Venezia-nostra inviata
Le chiamavano "maggies", nomignolo derivato da Maria Maddalena. Ovvero peccatrici, donne giovani e meno giovani, colpevoli di aver guardato un ragazzo, di essersi fatte violentare dai padri, di aver partorito fuori dal matrimonio, di aver usato le arti subdole del maligno per irretire l'animo dei preti che le violavano nelle sacrestie. Le maggies non sono storia di un secolo fa, ma di 5 anni fa, in Irlanda. Trentamila donne, secondo i pochi documenti ritrovati, che dagli anni Sessanta sino al 1996 venivano rinchiuse in speciali conventi cattolici, chiamati Magdalene (sempre in memoria della prima peccatrice), per qualsiasi attentato alla "moralità" dettata da famiglia e comunità cattolica. Istituti-lager, dove le donne lavoravano 15 ore al giorno per sette giorni la settimana per 364 giorni l'anno (escluso il Natale, in regalo un'arancia). Lavavano a mano, con la soda e il sale i panni che alberghi o conventi affidavano alle religiose, amministratrici di queste case di detenzione in cambio di laute ricompense.
In ogni minuto della loro giornata le maggies potevano essere picchiate, violate nel corpo e nell'anima, separate sempre dai loro figli, costrette al più assoluto silenzio, private di ogni diritto, anche il più intimo. Una vita che poteva durare anni, per molte un'intera esistenza, dimenticate dalla società e dalle famiglie che affidavano alla "pietà di Dio e delle suore" il destino di quelle peccatrici.
Storia di un'atrocità ai più sconosciuta e che il regista inglese Peter Mullan ha portato alla luce con il film "Magdalene", in concorso a questa 59ma Mostra di Venezia (da oggi anche nelle sale).
E' il primo vero colpo al cuore di questo festival, firmato non a caso da un regista scrittore e attore da anni collaboratore di Ken Loach (è il Joe di "My name is Joe") del quale condivide il rigore stilistico e morale. "Magdalene" è tutto stretto sulle sue protagoniste, sui dettagli della loro angoscia, sulle sfumature della ordinaria crudeltà (la banalità del male) delle suore che sovrintendevano alla vita degli istituti, sulla sofferenza senza difesa, sull'umiliazione di chi è più debole, di chi è prigioniero, di chi è stato dimenticato, cancellato dalla vita perché caduto in disgrazia agli occhi di Dio.
Come prima di lui una serie di film-denuncia, libri e persino una canzone di Joni Mitchell "The Magdalene Laundries" (iniziative partite solo all'inizio degli anni Novanta) Peter Mullan ha uno scopo preciso: da una parte puntare il dito sui rischi di follia collettiva che corrono le società oppresse dal fanatismo religioso, dall'altra "costringere" la chiesa cattolica a riconoscere e a rendere pubbliche le proprie colpe. Soprattutto quelle nei confronti delle donne. «Sono nato cattolico e mia madre era cattolica - ci racconta il regista scozzese -. Lei lavorava come infermiera per una suora che pregava con il sorriso sulle labbra e aveva il poster di Mussolini sul muro. E' così che sono venuto a contatto con la particolare crudeltà delle religiose, un misto di apparente beatitudine e profonda atrocità capace di ferire nell'animo più di qualsiasi arma».
La realtà delle Magdalene (circa 15 case in Inghilterra, 4 in Scozia, 3 nell'Irlanda del Nord e 23 nell'Irlanda del Sud) era un "segreto" conosciuto dall'intera società del Regno Unito. Solo che il mondo cattolico si rifiutava di riconoscere l'evidenza e lasciava che a prevalere fosse quella sorta di follia collettiva che voleva le donne comunque peccatrici e le maggies, delle ragazze cattive (bad girls), rinnegate a tal punto da Dio che anche i preti si potevano sentire liberi di violarle senza provare colpa. Dal 1996 le Magdalene non esistono più, scomparse per ragioni puramente economiche. Basavano le proprie amministrazioni sulle entrate delle lavanderie; l'arrivo massiccio nelle case delle lavatrici ha annullato le loro possibilità di sopravvivenza.
Oggi in Irlanda le cose sono leggermente cambiate «ma non del tutto. Semplicemente il fanatismo cattolico è stato soppiantato dal fanatismo capitalista - continua Mullan -. Oggi una situazione del genere la possiamo trovare in medio Oriente». Ma, ci ricordano le giovani e bravissime attrici del film, «l'aborto è ancora illegale e le donne che tentano di raggiungere l'Inghilterra per interrompere la gravidanza possono essere arrestate, i preservativi sono diventati legali 12 anni fa e il divorzio è ammnesso da sette».
Le suore delle Magdalene oggi vivono in tranquille case di riposo. Quattro anni fa pubblicarono, a loro spese, una grande pubblicità sui quotidiani irlandesi per chiedere scusa dei loro peccati. Ma anche per ricordare che, certo, le suore punivano, ma a mandare le ragazze negli istituti erano le loro famiglie e a tacere ed approvare era un'intera società. Sono le stesse parole che usa Nora-Jane Noone, fra le protagoniste del film nella parte della madre superiora, ex suora nella vita ed ex amministratrice di una Magdalene. «Sono irlandese di famiglia cattolica. Sono cresciuta in una scuola cattolica, anche perché non ce ne erano altre, ai miei tempi. A 17 anni ero convinta della mia vocazione e di essere uno strumento nelle mani di Dio. A 21 anni il mio ordine mi spedì a dirigere una Magdalene. Solo allora mi resi conto della follia che mi circondava, delle mostruosità che potevano nascere da una ipocrita idea della fede. Ma ci ho messo tre anni per andarmene e sono una delle poche che è riuscita a venirne definitivamente fuori».
Inutile dire che per la forza del tema e il rigore dello stile, le "maggies" di Mullan sono al momento le nostre candidate al Leone.
Liberazione 31 agosto 2002
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