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Risultati da 1 a 10 di 34
  1. #1
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito L'accordo che mette in crisi Sharon

    Anche riforme democratiche e multipartitiche inserite nel "programma nazionale" comune
    «L'accordo che mette in crisi Sharon»
    Il Guardian: «I gruppi palestinesi uniti con Arafat. Hamas pronta a fermare i kamikaze»


    Giancarlo Lannutti

    Tredici gruppi e organizzazioni palestinesi - inclusi Al Fatah, Hamas e la Jihad islamica - avrebbero raggiunto (o sarebbero sul punto di raggiungere) una intesa su un «programma nazionale unito» sotto la guida di Yasser Arafat; il documento prevederebbe la fine dell'occupazione israeliana con lo smantellamento delle colonie, la nascita di uno Stato palestinese sovrano sui territori occupati nel 1967 (inclusa Gerusalemme-est), il diritto dei profughi al ritorno e infine - elemento particolarmente significativo - una «completa riforma della società palestinese con la edificazione di una democrazia multipartitica», sotto la guida di un leader che in una lettera allegata viene appunto chiaramente indicato in Yasser Arafat. Per arrivare a questi obiettivi, i tredici gruppi sarebbero pronti a rinunciare agli attentati contro i civili in territorio israeliano e a condurre la lotta soltanto contro i soldati e i coloni armati nei territori di Cisgiordania e Gaza.

    Come nell'Ulster

    Si tratta dunque di una implicita risposta alla ribadita arroganza di Sharon, che proprio tre giorni fa aveva dichiarato che riconoscerà il nuovo governo palestinese solo se non sarà guidato da Arafat.

    A dare notizia dell'accordo è il giornale inglese "The Guardian" il quale paragona il dibattito tra le diverse fazioni palestinesi al dibattito interno dell'Ira irlandese negli anni '80 e '90, che sfociò in un cambiamento di strategia e nei successivi accordi di pace. Naturalmente in questo caso il processo non è così facile e così scontato: l'obiettivo evidente di Sharon è quello di delegittimare l'Autorità palestinese e impedire la nascita di uno Stato veramente indipendente e sovrano, e in questo - sotto il pretesto della strategia «anti-terroristica» - il premier ha avuto finora il sostegno del presidente americano Bush (ancora nei giorni scorsi l'inviato americano nella regione Satterfield si è ben guardato dall'incontrare Arafat); c'è dunque da temere che - come già accaduto nel dicembre scorso, quando Hamas si era mostrato disponibile a sospendere gli attentati suicidi, e alla fine di luglio, quando sono uscite le prime indiscrezioni sul dibattito interpalestinese e Israele ha risposto con la strage di Gaza, nella quale sono morti nove bambini - verranno messe in atto nuove provocazioni militari per far saltare l'intesa e riportare la situazione in alto mare.

    Dopo le twin towers

    Il «Guardian», che afferma di avere avuto la bozza di «programma unito» da fonti palestinesi, così indica i punti essenziali: «fine dell'occupazione militare israeliana e degli insediamenti illegali nei territori occupati il 5 giugno 1967, inclusa Gerusalemme-est»; costituzione di «uno Stato palestinese indipendente che abbia piena sovranità, con Gerusalemme capitale, sulla terra occupata nel 1967»; «preservazione e protezione del diritto dei profughi palestinesi a tornare alle loro case, da cui sono stati costretti a fuggire, in accordo alla risoluzione 194 dell'Onu del 1948» (su questo punto a Camp David era stato chiarito che un conto è il riconoscimento del diritto al ritorno e un conto il problema concreto del ritorno o di un indennizzo, che può essere oggetto di negoziato). Su queste basi si arriverebbe alla limitazione dei metodi di lotta: secondo Samir al Masharwi, numero due di Fatah a Gaza, «l'intento non è di mettere fine alla lotta palestinese ma di limitare l'ambito della lotta, estendere il sostegno popolare e fermare gli attacchi contro i civili israeliani». Il dibattito è andato avanti a Gaza nelle ultime settimane; Marshawi ha precisato che dopo l'11 settembre «il mondo ha cominciato a considerare le operazioni palestinesi come terrorismo dando a Sharon il pretesto per le sue azioni», e per questo Al Fatah ha cercato di convincere Hamas e la Jihad che gli attentati suicidi in Israele sono controproducenti e allontanano dalla causa palestinese l'opinione pubblica e quella pacifista all'interno di Israele. Se il testo verrà approvato, osserva il "Guardian", sarà risolta positivamente la disputa fra chi, come Al Fatah, accetta lo Stato in Cisgiordania e Gaza e chi, come Hamas, pensa anche ai territori «occupati nel 1948», cioè al territorio israeliano. Il giornale non nasconde che restano ancora alcuni elementi di incertezza: il leader di Hamas a Gaza, Rantisi, ha parlato di «consenso su molti punti» ma nel progetto di testo che aveva presentato la sua organizzazione si parla di «rimozione degli insediamenti sionisti militari e illegali nella terra palestinese», senza fare (ambiguamente) esplicito riferimento al 1967 o al 1948. «Il dialogo comunque continua - ha sottolineato Masharwi - ed io mi rifiuto di essere pessimista sul suo esito».

    Liberazione 31 agosto 2002
    http://www.liberazione.it

  2. #2
    Ospite

    Predefinito

    Hamas e Jihad islamica (nomen omen) non mi danno molto affidamento. Come ci si può fidare di un gruppo che, già nel nome, inneggia alla guerra santa?

  3. #3
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    Predefinito Re: L'accordo che mette in crisi Sharon

    Originally posted by Roderigo
    Anche riforme democratiche e multipartitiche inserite nel "programma nazionale" comune
    «L'accordo che mette in crisi Sharon»
    Il Guardian: «I gruppi palestinesi uniti con Arafat. Hamas pronta a fermare i kamikaze»


    Giancarlo Lannutti

    Tredici gruppi e organizzazioni palestinesi - inclusi Al Fatah, Hamas e la Jihad islamica - avrebbero raggiunto (o sarebbero sul punto di raggiungere) una intesa su un «programma nazionale unito» sotto la guida di Yasser Arafat; il documento prevederebbe la fine dell'occupazione israeliana con lo smantellamento delle colonie, la nascita di uno Stato palestinese sovrano sui territori occupati nel 1967 (inclusa Gerusalemme-est), il diritto dei profughi al ritorno e infine - elemento particolarmente significativo - una «completa riforma della società palestinese con la edificazione di una democrazia multipartitica», sotto la guida di un leader che in una lettera allegata viene appunto chiaramente indicato in Yasser Arafat. Per arrivare a questi obiettivi, i tredici gruppi sarebbero pronti a rinunciare agli attentati contro i civili in territorio israeliano e a condurre la lotta soltanto contro i soldati e i coloni armati nei territori di Cisgiordania e Gaza.
    Urca, che novità! "Il ritorno dei profughi"...e una democrazia, con un leader che non può essere "non scelto".

    Diamine, che grandi passi avanti!

    Originally posted by Roderigo
    A dare notizia dell'accordo è il giornale inglese "The Guardian"
    Il Guardian, cioè uno dei giornali che si è maggiormente (guarda caso) contraddistinto nella denigrazione di Israele.

    Che fonte attendibile!

    Originally posted by Roderigo
    l'obiettivo evidente di Sharon è quello di delegittimare l'Autorità palestinese e impedire la nascita di uno Stato veramente indipendente e sovrano, e in questo - sotto il pretesto della strategia «anti-terroristica» - il premier ha avuto finora il sostegno del presidente americano Bush (ancora nei giorni scorsi l'inviato americano nella regione Satterfield si è ben guardato dall'incontrare Arafat);
    Sharon ha tutte le intenzioni di delegittimare l'ANP (e fa benissimo); ha anche tutte le intenzioni di impedire la nascita di uno stato arabo in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza (e la cosa ha una sua ratio, anche se in sé non è difendibile).

    Ma è così incredibile considerare Arafat un terrorista?

    L'OLP non ha forse compiuto attentati terroristici, ed Arafat non vi ha preso parte in veste di organizzatore?

    Originally posted by Roderigo
    c'è dunque da temere che - come già accaduto nel dicembre scorso, quando Hamas si era mostrato disponibile a sospendere gli attentati suicidi, e alla fine di luglio, quando sono uscite le prime indiscrezioni sul dibattito interpalestinese e Israele ha risposto con la strage di Gaza, nella quale sono morti nove bambini - verranno messe in atto nuove provocazioni militari per far saltare l'intesa e riportare la situazione in alto mare.
    Certo...è colpa di Israele se lo Hamas compie attentati terroristici.


    Originally posted by Roderigo
    Dopo le twin towers

    Il «Guardian», che afferma di avere avuto la bozza di «programma unito» da fonti palestinesi, così indica i punti essenziali: «fine dell'occupazione militare israeliana e degli insediamenti illegali nei territori occupati il 5 giugno 1967, inclusa Gerusalemme-est»; costituzione di «uno Stato palestinese indipendente che abbia piena sovranità, con Gerusalemme capitale, sulla terra occupata nel 1967»; «preservazione e protezione del diritto dei profughi palestinesi a tornare alle loro case, da cui sono stati costretti a fuggire, in accordo alla risoluzione 194 dell'Onu del 1948» (su questo punto a Camp David era stato chiarito che un conto è il riconoscimento del diritto al ritorno e un conto il problema concreto del ritorno o di un indennizzo, che può essere oggetto di negoziato). Su queste basi si arriverebbe alla limitazione dei metodi di lotta: secondo Samir al Masharwi, numero due di Fatah a Gaza, «l'intento non è di mettere fine alla lotta palestinese ma di limitare l'ambito della lotta, estendere il sostegno popolare e fermare gli attacchi contro i civili israeliani». Il dibattito è andato avanti a Gaza nelle ultime settimane; Marshawi ha precisato che dopo l'11 settembre «il mondo ha cominciato a considerare le operazioni palestinesi come terrorismo dando a Sharon il pretesto per le sue azioni», e per questo Al Fatah ha cercato di convincere Hamas e la Jihad che gli attentati suicidi in Israele sono controproducenti e allontanano dalla causa palestinese l'opinione pubblica e quella pacifista all'interno di Israele. Se il testo verrà approvato, osserva il "Guardian", sarà risolta positivamente la disputa fra chi, come Al Fatah, accetta lo Stato in Cisgiordania e Gaza e chi, come Hamas, pensa anche ai territori «occupati nel 1948», cioè al territorio israeliano. Il giornale non nasconde che restano ancora alcuni elementi di incertezza: il leader di Hamas a Gaza, Rantisi, ha parlato di «consenso su molti punti» ma nel progetto di testo che aveva presentato la sua organizzazione si parla di «rimozione degli insediamenti sionisti militari e illegali nella terra palestinese», senza fare (ambiguamente) esplicito riferimento al 1967 o al 1948. «Il dialogo comunque continua - ha sottolineato Masharwi - ed io mi rifiuto di essere pessimista sul suo esito».
    E' troppo deprimente, per me, commentare questo pezzo dell'articolo.

    Consiglio a chi voglia farsi un'idea della verosimiglianza di queste affermazioni di imparare l'inglese, così può farsi un giro sul sito dello Hamas per leggere cosa propone quel movimento, e sui siti dei giornali israeliani per rendersi conto che ciò di cui si discute in questo momento non è il "piano" delle organizzazioni arabe (che chiedono sempre soltanto la stessa cosa, cioè il suicidio di Israele) ma il piano messo a punto dal ministro degli esteri della Danimarca.

  4. #4
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito

    Intervista a: Saeb Erekat capo negoziatori Anp
    "Questa strage di innocenti cancella il dialogo"


    Umberto De Giovannangeli

    Una denuncia argomentata, che trova conferma nei preoccupati editoriali dei maggiori quotidiani di Tel Aviv; un appello alla Comunità internazionale perché intervenga subito, con fermezza, per porre fine a questa «continua strage di innocenti». A parlare è una delle personalità di primissimo piano della dirigenza palestinese: il capo dei negoziatori dell'Anp, Saeb Erekat, l'uomo che ha guidato la delegazione dell'Anp nella recente missione diplomatica negli Usa. «Nel solo mese di agosto -sottolinea Erekat- l'esercito israeliano ha ucciso 53 palestinesi, 34 dei quali, per stessa ammissione israeliana, erano senza armi. È come se le forze d'occupazione avessero avuto licenza di uccidere, è come se godessero di una totale garanzia di impunità. Sparano cannonate contro agricoltori, massacrano manovali e tutto questo quando sembrano aprirsi spiragli di dialogo. Un dialogo che Sharon sta cancellando col sangue di innocenti». Positiva è invece la valutazione palestinese del piano di pace messo a punto dall'Unione Europea nel vertice di Elsinore: «È un passo nella giusta direzione - afferma Erekat - che va però seguito da atti concreti che ne dimostrino la praticabilità».

    Quattro civili palestinesi uccisi nella notte ad Hebron, dopo che Israele aveva manifestato il proprio rammarico per i due bambini uccisi nel raid contro militanti delle Brigate dei martiri di Al-Aqsa.
    «È un copione che si sta ripetendo ormai quotidianamente. Quello di Hebron è il terzo massacro nel giro di 48 ore. E di fronte a questa macabra ripetitività nessuno che sia in buona fede può ancora parlare di incidenti. Le scuse israeliane servono solo per rabbonire l'opinione pubblica internazionale ma non modificano la realtà: sul campo, Israele non fa alcuna distinzione tra civili palestinesi e militanti dell'Intifada. A testimoniarlo sono i dati, è il tragico bilancio della guerra scatenata contro il popolo palestinese: nel solo mese di agosto, i soldati israeliani hanno ucciso 53 palestinesi, 34 dei quali, per stessa ammissione di Tel Aviv, erano civili disarmati. Si tratta di stragi di innocenti, di agricoltori, manovali, povera gente che cercava di sopravvivere alle punizioni collettive e allo strangolamento della nostra economia decretato da Israele con l'occupazione permanente delle aree autonome. Altro che aperture! Le autorità israeliane hanno inasprito la repressione, rilanciano gli assassinii politici e tenendo in ostaggio, sotto un continuo coprifuoco, oltre 800mila palestinesi in Cisgiordania. È una situazione intollerabile che può innescare una nuova ondata di violenza. Noi trattiamo e l’esercito israeliano continua a occupare le nostre città e ad uccidere la nostra gente e tutto ciò, lo ripeto, senza che gli Usa o altri Stati sentano la necessità di protestare contro l’uccisione di bambini palestinesi».

    Come scongiurare una nuova ondata di violenze?
    «Agendo con decisione su Sharon. E questo deve essere fatto dalla Comunità internazionale, in particolare dal "Quartetto" (Usa, Ue, Onu, Russia, ndr.) sul Medio Oriente. Sono in corso da tempo contatti tra i vari gruppi palestinesi per porre fine agli attacchi suicidi in territorio israeliano; l'Anp è impegnata nell'attuazione di un piano di riforme, a cominciare dai servizi di sicurezza; vi sono contatti tra le due parti per raggiungere un cessate il fuoco. Ebbene, ogni qualvolta che si determina uno scenario negoziale, Israele inasprisce la repressione e compie azioni criminali di tale portata da far naufragare ogni sforzo diplomatico. Per questo ci appelliamo alla Comunità internazionale: un non intervento significherebbe un via libera ai falchi di Tel Aviv. Il silenzio suonerebbe come aperta complicità. Chiediamo la convocazione urgente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e l'assunzione di sanzioni contro il governo israeliano. Occorre porre fine a questo spargimento di sangue e arrestare il terrorismo di Stato israeliano. Gli israeliani considerano “terroristi” da eliminare anche bambini o donne».

    Dal vertice informale dei ministri degli Esteri dell'Ue in Danimarca è scaturito un piano di pace per il Medio Oriente. Qual è la valutazione palestinese?
    «Positiva. È un piano che risponde alle aspettative palestinesi e al tempo stesso registra le preoccupazioni, in materia di sicurezza, degli israeliani. È un piano che realizza quel principio di "pace in cambio dei territori" che è a fondamento delle risoluzioni 242 e 338 delle Nazioni Unite. Il problema è un altro…».

    Quale?
    «È nel dare attuazione a questo disegno. Troppe parole si sono sprecate e pochi fatti sono stati realizzati in questi ultimi, tragici anni. Occorre ridare una speranza a chi vive da oltre 23 mesi sotto occupazione, dimostrare che la pace non è una parola vuota, priva di significati concreti. Ed oggi ridare una speranza ai palestinesi significa agire su Israele perché ponga fine alle punizioni collettive e si ritiri sulle posizioni antecedenti al settembre 2000 (l'inizio della seconda Intifada). Ma per operare in questa direzione non bastano le missioni diplomatiche, è necessario dislocare sul terreno una forza in grado di proteggere la popolazione civile palestinese e garantire il rispetto delle intese raggiunte. Il presidente Usa George W. Bush si è impegnato a lottare contro il terrorismo, eppure sostiene il terrorismo più grande di tutti, vale a dire l'occupazione israeliana».

    Il ministro della Difesa israeliano Benyamin Ben Eliezer conferma la validità del piano «Gaza per prima».
    «Una conferma a parole, perché nei fatti Israele ha bloccato il ritiro, dopo Betlemme, dalle altre città cisgiordane. E questo nonostante la sostanziale riduzione degli scontri sul terreno».

    l'Unità 2 settembre 2002
    http://www.unita.it

  5. #5
    Roderigo
    Ospite

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    Originally posted by gdr
    Hamas e Jihad islamica (nomen omen) non mi danno molto affidamento. Come ci si può fidare di un gruppo che, già nel nome, inneggia alla guerra santa?
    Ma esiste un'alternativa all'accordo tra tutte le componenti del popolo palestinese? Un accordo finalizzato a delimitare la resistenza ai territori occupati e l'obiettivo finale alla liberazione di Gaza e Cisgiordania? Si tratta di un obiettivo che a sua volta richiederà, se avrà successo, la sigla di un accordo con Israele, oggi rappresentato dal governo Sharon. Ci si può fidare di Israele, di Sharon? Più in generale, la domanda "mi posso fidare?" serve per conseguire e realizzare accordi e compromessi, in situazioni dove la convivenza non ha alternative?

    R.

  6. #6
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    Jan Hus:

    Ma è così incredibile considerare Arafat un terrorista?
    L'OLP non ha forse compiuto attentati terroristici, ed Arafat non vi ha preso parte in veste di organizzatore?


    Re:

    Israele invece non ha MAI compiuto violazioni, mai commesso attentati terroristici?????
    Eppure sembra molto più arduo considerare Israele stato terrorista che non Arafat... o chissà perchè?
    Uno stato nato e estesosi con attentati terroristici, aggressioni miltari e insediamenti coloniali, il tutto condito con le più raffinate tecniche di eliminazione, repressione e umiliazione di milioni di persone...

  7. #7
    Ospite

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    Originally posted by Roderigo

    Ma esiste un'alternativa all'accordo tra tutte le componenti del popolo palestinese? Un accordo finalizzato a delimitare la resistenza ai territori occupati e l'obiettivo finale alla liberazione di Gaza e Cisgiordania? Si tratta di un obiettivo che a sua volta richiederà, se avrà successo, la sigla di un accordo con Israele, oggi rappresentato dal governo Sharon. Ci si può fidare di Israele, di Sharon? Più in generale, la domanda "mi posso fidare?" serve per conseguire e realizzare accordi e compromessi, in situazioni dove la convivenza non ha alternative?

    R.
    Ho forse detto che mi fido di Sharon? La domanda "mi posso fidare?" serve, perchè è inammissibile che si possano fare accordi con chi li disattenderebbe il giorno dopo. Sharon è l'immagine speculare di Hamas e della Jihad islamica: non a caso, credo che la destra israeliana abbia molto contribuito all'affermazione di Hamas.

  8. #8
    Roderigo
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    Originally posted by gdr
    Ho forse detto che mi fido di Sharon? La domanda "mi posso fidare?" serve, perchè è inammissibile che si possano fare accordi con chi li disattenderebbe il giorno dopo. Sharon è l'immagine speculare di Hamas e della Jihad islamica: non a caso, credo che la destra israeliana abbia molto contribuito all'affermazione di Hamas.
    Cara Gabriella, le domande utili sono quelle producono risposte positive, cioè che ti indicano cosa devi o puoi fare. Stabilire cosa non devi o non puoi fare, è insufficiente. Infatti, una volta deciso che non ti fidi di Sharon, di Hamas e della Jihad, come ti comporti, per realizzare una pace giusta e duratura?

    R.

  9. #9
    Ospite

    Predefinito

    Originally posted by Roderigo

    Cara Gabriella, le domande utili sono quelle producono risposte positive, cioè che ti indicano cosa devi o puoi fare. Stabilire cosa non devi o non puoi fare, è insufficiente. Infatti, una volta deciso che non ti fidi di Sharon, di Hamas e della Jihad, come ti comporti, per realizzare una pace giusta e duratura?

    R.
    Innanzitutto, spero che gli israeliani, alle prossime elezioni, abbiano un minimo di resipiscenza e non votino il Likud. Un governo diverso, meno sanguinario e guerrafondaio, potrebbe cambiare qualcosa anche in Palestina, contribuendo a prosciugare l'acqua in cui nuotano così bene i terroristi di Hamas e della Jihad islamica.

  10. #10
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    Originally posted by Roderigo
    Ma esiste un'alternativa all'accordo tra tutte le componenti del popolo palestinese? Un accordo finalizzato a delimitare la resistenza ai territori occupati e l'obiettivo finale alla liberazione di Gaza e Cisgiordania?
    No, non esiste.

    Non esiste per il semplice motivo che i palestinesi non hanno mai pensato ad uno stato palestinese limitato alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza.

    Infatti, quando è stato loro offerto, l'hanno rifiutato.

    Attenzione a parlare di "territori occupati": sul sito dello Hamas la distinzione è tra "territori occupati nel 1967" e "territori occupati nel 1948".

    Originally posted by Roderigo
    Si tratta di un obiettivo che a sua volta richiederà, se avrà successo, la sigla di un accordo con Israele, oggi rappresentato dal governo Sharon. Ci si può fidare di Israele, di Sharon? Più in generale, la domanda "mi posso fidare?" serve per conseguire e realizzare accordi e compromessi, in situazioni dove la convivenza non ha alternative?
    Certo che si può "fidare" di Israele (meno di Sharon).

    Israele ha concluso due trattati di pace, a differenza dei palestinesi.

    Inoltre, l'elettorato israeliano, quando ha avuto la possibilità di scegliere tra una politica favorevole al negoziato e una contraria, ha sistematicamente scelto la prima.

 

 
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