Anche riforme democratiche e multipartitiche inserite nel "programma nazionale" comune
«L'accordo che mette in crisi Sharon»
Il Guardian: «I gruppi palestinesi uniti con Arafat. Hamas pronta a fermare i kamikaze»
Giancarlo Lannutti
Tredici gruppi e organizzazioni palestinesi - inclusi Al Fatah, Hamas e la Jihad islamica - avrebbero raggiunto (o sarebbero sul punto di raggiungere) una intesa su un «programma nazionale unito» sotto la guida di Yasser Arafat; il documento prevederebbe la fine dell'occupazione israeliana con lo smantellamento delle colonie, la nascita di uno Stato palestinese sovrano sui territori occupati nel 1967 (inclusa Gerusalemme-est), il diritto dei profughi al ritorno e infine - elemento particolarmente significativo - una «completa riforma della società palestinese con la edificazione di una democrazia multipartitica», sotto la guida di un leader che in una lettera allegata viene appunto chiaramente indicato in Yasser Arafat. Per arrivare a questi obiettivi, i tredici gruppi sarebbero pronti a rinunciare agli attentati contro i civili in territorio israeliano e a condurre la lotta soltanto contro i soldati e i coloni armati nei territori di Cisgiordania e Gaza.
Come nell'Ulster
Si tratta dunque di una implicita risposta alla ribadita arroganza di Sharon, che proprio tre giorni fa aveva dichiarato che riconoscerà il nuovo governo palestinese solo se non sarà guidato da Arafat.
A dare notizia dell'accordo è il giornale inglese "The Guardian" il quale paragona il dibattito tra le diverse fazioni palestinesi al dibattito interno dell'Ira irlandese negli anni '80 e '90, che sfociò in un cambiamento di strategia e nei successivi accordi di pace. Naturalmente in questo caso il processo non è così facile e così scontato: l'obiettivo evidente di Sharon è quello di delegittimare l'Autorità palestinese e impedire la nascita di uno Stato veramente indipendente e sovrano, e in questo - sotto il pretesto della strategia «anti-terroristica» - il premier ha avuto finora il sostegno del presidente americano Bush (ancora nei giorni scorsi l'inviato americano nella regione Satterfield si è ben guardato dall'incontrare Arafat); c'è dunque da temere che - come già accaduto nel dicembre scorso, quando Hamas si era mostrato disponibile a sospendere gli attentati suicidi, e alla fine di luglio, quando sono uscite le prime indiscrezioni sul dibattito interpalestinese e Israele ha risposto con la strage di Gaza, nella quale sono morti nove bambini - verranno messe in atto nuove provocazioni militari per far saltare l'intesa e riportare la situazione in alto mare.
Dopo le twin towers
Il «Guardian», che afferma di avere avuto la bozza di «programma unito» da fonti palestinesi, così indica i punti essenziali: «fine dell'occupazione militare israeliana e degli insediamenti illegali nei territori occupati il 5 giugno 1967, inclusa Gerusalemme-est»; costituzione di «uno Stato palestinese indipendente che abbia piena sovranità, con Gerusalemme capitale, sulla terra occupata nel 1967»; «preservazione e protezione del diritto dei profughi palestinesi a tornare alle loro case, da cui sono stati costretti a fuggire, in accordo alla risoluzione 194 dell'Onu del 1948» (su questo punto a Camp David era stato chiarito che un conto è il riconoscimento del diritto al ritorno e un conto il problema concreto del ritorno o di un indennizzo, che può essere oggetto di negoziato). Su queste basi si arriverebbe alla limitazione dei metodi di lotta: secondo Samir al Masharwi, numero due di Fatah a Gaza, «l'intento non è di mettere fine alla lotta palestinese ma di limitare l'ambito della lotta, estendere il sostegno popolare e fermare gli attacchi contro i civili israeliani». Il dibattito è andato avanti a Gaza nelle ultime settimane; Marshawi ha precisato che dopo l'11 settembre «il mondo ha cominciato a considerare le operazioni palestinesi come terrorismo dando a Sharon il pretesto per le sue azioni», e per questo Al Fatah ha cercato di convincere Hamas e la Jihad che gli attentati suicidi in Israele sono controproducenti e allontanano dalla causa palestinese l'opinione pubblica e quella pacifista all'interno di Israele. Se il testo verrà approvato, osserva il "Guardian", sarà risolta positivamente la disputa fra chi, come Al Fatah, accetta lo Stato in Cisgiordania e Gaza e chi, come Hamas, pensa anche ai territori «occupati nel 1948», cioè al territorio israeliano. Il giornale non nasconde che restano ancora alcuni elementi di incertezza: il leader di Hamas a Gaza, Rantisi, ha parlato di «consenso su molti punti» ma nel progetto di testo che aveva presentato la sua organizzazione si parla di «rimozione degli insediamenti sionisti militari e illegali nella terra palestinese», senza fare (ambiguamente) esplicito riferimento al 1967 o al 1948. «Il dialogo comunque continua - ha sottolineato Masharwi - ed io mi rifiuto di essere pessimista sul suo esito».
Liberazione 31 agosto 2002
http://www.liberazione.it