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    Predefinito RC: rifondare che cosa?

    Non si rifonda un fallimento

    di Antonio Orlando

    Bisogna diffidare sia delle conversioni repentine che delle nostalgiche riproposizioni degli eredi del vecchio PCI, perché, come insegnava Marx, la storia non si presenta mai due volte allo stesso modo.

    Uno dei più famosi manifesti della rivoluzione d’ottobre reca questo slogan : “Il sapere spezzerà le catene della schiavitù”; un messaggio di grande speranza e di fortissimo impegno. Era, dunque, cominciata così, nel lontano 1917, l’avventura comunista in quei dieci giorni che sconvolsero il mondo. Com’è finita lo sappiamo, purtroppo, fin troppo bene. La sintesi di queste affermazioni potrebbe essere che il fallimento del comunismo è, sostanzialmente, il fallimento del modello sovietico e, perciò, del marxismo-leninismo secondo la versione stalinista. Per quale motivo allora il crollo del “muro di Berlino” ha travolto tutti “i comunismi”, sia quelli che erano diventati dispotici regimi, sia i partiti comunisti del ricco e progredito Occidente? I partiti comunisti italiano, francese, portoghese e spagnolo (quello tedesco, K.P.D., venne annientato negli anni ’30 da Stalin), a partire dalla guerra di Resistenza contro i nazi-fascisti, avevano cominciato ad elaborare una propria autonoma “via al socialismo” all’interno di un’economia capitalistica avanzata. Sia pure tra mille contraddizioni, con molte reticenze e tantissime ambiguità, questi partiti hanno cercato di costruire un’autonoma linea politica. Non possono, quindi, essere omologati allo stalinismo, né possono essere loro imputati gli orrendi crimini dei regimi comunisti. Tuttavia, non possono neppure essere assolti perché la loro attività si è sempre sviluppata lungo una linea di reticenza e di complicità che li ha condotti, nella migliore delle ipotesi, ad una totale amnesia. I comunisti europei hanno, in qualche caso volutamente e consapevolmente, chiuso gli occhi nei confronti della realtà sovietica, cercando di rimuovere il senso di colpa e l’angoscia che provocavano le notizie che, a mano a mano, filtravano da quella spessa coltre di menzogne e di orrori. Non possono essere direttamente addebitati ai comunisti europei, ed a quelli italiani in particolare, come vorrebbe uno storico francese, gli ottanta (presunti) milioni di morti del comunismo. L’imputazione è tremenda, ma è altrettanto debole, semplicistica, riduzionistica e tende più a configurarsi come un alibi per tutto il mondo occidentale più che come un’accusa. In effetti, le grandi democrazie hanno altrettante responsabilità di quante può averne avuto l’Unione Sovietica ed i crimini commessi in nome della democrazia sono altrettanto odiosi di quelli commessi sotto le bandiere del comunismo. Tra il 1964 ed il 1966 in Indonesia il colpo di Stato del gen. Sukarno fece circa un milione di morti ; tutti iscritti al partito comunista indonesiano che era, dopo quello russo e quello cinese, il terzo partito comunista del mondo e senza l’appoggio americano quel massacro non sarebbe stato possibile. Se ci collochiamo su queste posizioni da “guerra fredda” non caveremo il classico ragno dal buco. La questione è, invece, un’altra. I partiti comunisti europei sono stati travolti dal crollo del comunismo sovietico perché erano “complici” e conniventi, succubi del fascino del mito della rivoluzione d’ottobre e della potenza del comunismo. Dopo aver chiuso gli occhi per decenni, dopo essere cresciuti grazie al mito della “patria del socialismo” , dopo essersi legittimati, in occidente, come forza politica, i partiti comunisti hanno preferito muoversi dentro le pieghe della società capitalistica, con la quale sono scesi, implicitamente, a patti e compromessi. La critica al bolscevismo, ed allo stesso leninismo, che avevano avviato militanti del calibro di Rosa Luxemburg, Antonio Gramsci, Amadeo Bordiga, Andreu Nin, Ernest Mandel, è stata o accantonata oppure edulcorata e resa inoffensiva. Si è proceduto con strumenti semplici e raffinati e, in alcuni casi, anche volgari e criminali. Andres Nin, com’è noto, fu rapito ed assassinato da agenti stalinisti durante la guerra di Spagna. Bordiga venne emarginato e Gramsci, santificato e collocato in un empireo comunista, venne ridotto ad inoffensiva icona. Nei confronti del “Grande Fratello”, la ex U.R.S.S., specialmente il partito comunista italiano ha tenuto atteggiamenti di aperta sottomissione, che, in determinate occasioni, hanno sfiorato addirittura la correità. L’accettazione acritica del modello sovietico, l’esaltazione della società comunista, la continua magnificazione di una realtà sociale fondata sull’ingiustizia e sulla privazione delle più elementari libertà, la totale disinformazione sui reali processi politici in atto in quel partito ha portato i militanti comunisti a rinchiudersi in una sorta di ghetto in cui l’ideologia, ad arte, è stata purificata e mondata. “Noi siamo comunisti italiani”, era la frase preferita dei militanti del P.C.I. a corto di argomenti quando intendevano prendere le distanze dal socialismo reale. Tutto ciò ha condotto l’attuale P.D.S. ad una abiura totale, tardiva e non richiesta, ma soprattutto mal digerita e, francamente, di facciata. Ancora una volta ha prevalso il più spudorato tatticismo, tant’è che alcuni dei dirigenti della Quercia hanno fatto propri gli argomenti e le ragioni dell’avversario come se loro dentro il P.C.I. non ci fossero mai stati o fossero stati ospiti di passaggio. Rifondazione Comunista, da parte sua, ha preferito la totale rimozione, tanto che i suoi dirigenti, colpiti da amnesia, sembra abbiano soggiornato a lungo nelle isole della luna, cibandosi di fior di loto. Non si capisce, infatti, quale comunismo, questa formazione politica, ostentatamente comunista, intenda rifondare. Il suo presidente, ai tempi del P.C.I., passava per il più ortodosso dei sovietici, oggi dovrebbe sentirsi come quel soldato giapponese trovato in un isoletta del Pacifico, dieci anni dopo la fine della guerra. Rifondazione non ha avviato, e, a quanto sembra, non intende avviare, una discussione critica sul passato e sull’eredità del comunismo. Al suo interno convivono le più strane e contraddittorie posizioni che formano, nel complesso, un variegato mosaico di ex-comunismi. Ci sono troskisti, stalinisti, sessantottini o sessantottardi, bordighiani , “gruppettari”, sindacalisti, comunisti ortodossi, neo-comunisti, socialisti rivoluzionari, terzomondisti e quant’altro oltre un secolo di socialismo è riuscito a produrre. Non essendosi mai avviata una discussione, serena ed approfondita, tendono a prevalere due posizioni manichee : o si accetta tutto il passato in blocco o lo si condanna definitivamente e lo si considera morto e sepolto. Torna di nuovo la domanda : allora cosa “rifondano” quelli di R.C. ? e quale “nuovo” partito della Sinistra stanno costruendo quelli del P.D.S. ? Bisogna avere il coraggio di cominciare a scavare dentro la storia del comunismo senza la pretesa né di sollevare polveroni giustificatori, né di annientare definitivamente un’idea, un’utopia scomoda. Il primo è un alibi, il secondo un desiderio. Per riuscire ad avviare questa gigantesca operazione occorre, prima di tutto, rimettere in discussione le proprie radici e le proprie origini culturali e politiche. Questo vuol dire cominciare a discutere sui propri “padri” spirituali e scoprire che, già vivente Lenin, era cominciata una lenta erosione dei fondamenti del partito che aveva come obiettivo la sua distruzione e la sua trasformazione in qualcosa altro. Il dibattito all’interno delle organizzazioni comuniste, già a partire dal 1922, cominciava ad essere ridotto e sottoposto ad un rigido controllo ; il dissenso, anche minimo, veniva criminalizzato ; le decisioni venivano assunte da gruppi sempre più ristretti e il grande patrimonio culturale, il sapere di cui parlava il manifesto russo, citato all’inizio, veniva ridotto ad una sorta di catechismo, imposto dall’alto ed aggiornato, di volta in volta, a seconda delle necessità o delle opportunità contingenti. Infine, il tutto culminava in un fideismo cieco ed assoluto di fronte al quale qualsiasi altra ragione, personale, umana, familiare, culturale, doveva cedere. Tutto questo non escludeva che ci fossero militanti generosamente devoti e votati alla “causa” fino all’estremo sacrificio ; eppure, nonostante questa dedizione, il comunismo sovietico non ha esitato a svendere i partiti fratelli per il proprio tornaconto. Ed i partiti fratelli, venduti, traditi e sacrificati, hanno sempre accettato, compreso, capito e contribuito alla causa a prezzo di migliaia di lutti e di morti. Gli esempi sono così tanti che occorrerebbe un’intera pagina. Basta citarne quattro. L’invasione e l’occupazione della Finlandia e dei paesi baltici ; la spartizione della Polonia tra Hitler e Stalin, cioè il Patto Molotov - von Ribbentrop ; il sacrificio di Gramsci ; “il fraterno” aiuto alla Spagna, fatto pagare a peso d’oro, nel senso più letterale, e con lo sterminio degli anarchici e dei poumisti. Ci sono nei cromosomi politici dei comunisti e, forse, anche di quelli che sono stati comunisti, delle impronte genetiche che devono essere estirpate altrimenti non si potrà né costruire un partito di sinistra nuovo, né rifondare una splendida e necessaria utopia. L’intolleranza, il fideismo, la reticenza, la presunzione del possesso della verità assoluta, la supponente arroganza del dirigente, il cinismo, il doppiogiochismo, la tendenza alla calunnia, la preferenza per l’intrigo, il conformismo, l’opportunismo, i tatticismi, il fanatismo ed infine, quel dogma secondo il quale “chi non è con me è contro di me”, degno del peggiore gesuitismo controriformista, sono altrettanti difetti genetici passati interamente nel patrimonio politico degli attuali due partiti di sinistra, eredi del vecchio P.C.I. Bisogna diffidare sia delle conversioni repentine che delle nostalgiche riproposizioni, perché, come insegnava Marx, la storia non si presenta mai due volte allo stesso modo. I revival rischiano di essere patetici e caricaturali ; le abiure, invece, opportunistiche ed irrazionali.

  2. #2
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    Predefinito Re: RC: rifondare che cosa?

    Originally posted by Felix
    Uno dei più famosi manifesti della rivoluzione d’ottobre reca questo slogan : “Il sapere spezzerà le catene della schiavitù”; un messaggio di grande speranza e di fortissimo impegno. Era, dunque, cominciata così, nel lontano 1917, l’avventura comunista in quei dieci giorni che sconvolsero il mondo.
    Sconvolsero il mondo appunto. La rottura rivoluzionaria dell'ottobre, da qualunque punto la si può analizzare, fu lo spartiacque del '900. Il seguito storico fu interamente determinato da quell'avvenimento. Paradossalmente, le conseguenze più rilevanti non si ebberò la dovè la rivoluzione "scoppiò" per poi naufragare in una dittatura burocratica e disciplinare, ma là dove la rivoluzione "eccheggiò".

    Nei paesi a capitalismo avanzato, la paura di un "altro ottobre" in casa propria portò le classi dominanti dapprima, a sostituire allo stato liberale lo stato autoriatario (Italia, Germania, Spagna), poi a concedere terreno alle soggettività subalterne, costruendo quello che oggi chiamiamo Welfare State, Stato Sociale.

    perciò, del marxismo-leninismo secondo la versione stalinista.
    Non esistono altre versioni del marxismo-leninismo se non quella Stalinista.

    Sia pure tra mille contraddizioni, con molte reticenze e tantissime ambiguità, questi partiti hanno cercato di costruire un’autonoma linea politica. Non possono, quindi, essere omologati allo stalinismo, né possono essere loro imputati gli orrendi crimini dei regimi comunisti.
    Giusto.

    [b][quote]I partiti comunisti europei sono stati travolti dal crollo del comunismo sovietico perché erano “complici” e conniventi, succubi del fascino del mito della rivoluzione d’ottobre e della potenza del comunismo.
    Dopo aver chiuso gli occhi per decenni, dopo essere cresciuti grazie al mito della “patria del socialismo” , dopo essersi legittimati, in occidente, come forza politica, i partiti comunisti hanno preferito muoversi dentro le pieghe della società capitalistica, con la quale sono scesi, implicitamente, a patti e compromessi.

    La critica al bolscevismo, ed allo stesso leninismo, che avevano avviato militanti del calibro di Rosa Luxemburg, Antonio Gramsci, Amadeo Bordiga, Andreu Nin, Ernest Mandel, è stata o accantonata oppure edulcorata e resa inoffensiva.
    "La critica" al lenismo della Luxemburg, di Gramsci, o di Mandel sono inesistenti. Esistono "divergenze" sulle singole questioni, "alcune critiche" semmai, non di certo "la critica". Come credo che Nin capisse bene chi era stato Lenin e chi era Stalin (il suo assassino). Bordiga era un utopico violento che dava del buonista a Lenin.

    Si è proceduto con strumenti semplici e raffinati e, in alcuni casi, anche volgari e criminali. Andres Nin, com’è noto, fu rapito ed assassinato da agenti stalinisti durante la guerra di Spagna.
    Appunto, in punto di morte Nin ha criticato Lenin o ha dato del maiale a Stalin?

    Bordiga venne emarginato
    Si emarginò da solo.

    e Gramsci, santificato e collocato in un empireo comunista, venne ridotto ad inoffensiva icona.
    Semmai fu isolato dai togliattiani, icona divenne si, ma dei liberali e socialisti antifascisti.

    Nei confronti del “Grande Fratello”, la ex U.R.S.S., specialmente il partito comunista italiano ha tenuto atteggiamenti di aperta sottomissione, che, in determinate occasioni, hanno sfiorato addirittura la correità. L’accettazione acritica del modello sovietico, l’esaltazione della società comunista, la continua magnificazione di una realtà sociale fondata sull’ingiustizia e sulla privazione delle più elementari libertà, la totale disinformazione sui reali processi politici in atto in quel partito ha portato i militanti comunisti a rinchiudersi in una sorta di ghetto in cui l’ideologia, ad arte, è stata purificata e mondata. “Noi siamo comunisti italiani”, era la frase preferita dei militanti del P.C.I. a corto di argomenti quando intendevano prendere le distanze dal socialismo reale.
    Si potrebbero usare le stesse parole di Orlando poco sopra:

    "Se ci collochiamo su queste posizioni da “guerra fredda” non caveremo il classico ragno dal buco."

    Se infatti dapprima la DC e poi il binomio DC/PSI, costituivano materialmente le notti della repubblica in Italia con gli stragismi di Stato, le trame massoniche, i golpe anti-comunisti, la corruzione dilagante e la svendita del fondoschiena agli amici americani e mafiosi, perchè mai il PCI avrebbe dovuto sentirsi sicuro di una propria rinuncia alla sua scelta di campo? Allìinizio era solo questo, una questione di sopravvivevenza.

    In realtà la question è più complessa. Fintantoché l'Italia e l'Europa in generale sono rimaste schiacciate dalla strapotenza USA, il PCI si è dovuto richiamare alla "solidarietà internazionalistica" col "campo socialista" e, in primo luogo, con la "patria del socialismo" russa, in un quadro generale, però, caratterizzato non più da una divisione del mondo in fronti ideologici o sociopolitici (quindi del tipo "io sono d'accordo con quello che tu fai nel tuo paese"), bensì da una competizione di appetiti nazionali o di area (dalla serie: "il nemico del mio nemico è mio amico"). È in quest'ultima chiave che si legge l'"anti-imperialismo" picista, in quanto interessato per fini nazionali a contrapporsi agli USA ed a stringere a tale scopo un blocco di "solidarietà" ed "alleanza" con l'URSS (questo fino però a quando Berlinguer non battezzò l'eurocomunismo) ed i movimenti di liberazione nazionale, fino a portare Amendola, nell'82, a difendere l'intervento in Afghanistan.

    Successivamente, il PCI ha compiuto un passo ulteriore. Il partito che negli anni '50 aveva riempito l'Italia di scritte e petizioni "popolari" all'insegna del "Yankee, go bome!", "Ridgway generale peste", "Via l'Italia dalla NATO!" si converte all'adesione all' "ombrello protettivo NATO" e Berlinguer non si perita di affermare che si sente ormai più tranquillo da questa parte della cortina di ferro che dall'altra.

    Un capovolgimento di fronte? No: la logica conclusione di un percorso coerentemente nazionale, inserito in una logica dello sviluppo della modernità.

    Tutto ciò ha condotto l’attuale P.D.S. ad una abiura totale, tardiva e non richiesta, ma soprattutto mal digerita e, francamente, di facciata. Ancora una volta ha prevalso il più spudorato tatticismo, tant’è che alcuni dei dirigenti della Quercia hanno fatto propri gli argomenti e le ragioni dell’avversario come se loro dentro il P.C.I. non ci fossero mai stati o fossero stati ospiti di passaggio.
    Appunto, leggi sopra.

    Rifondazione Comunista, da parte sua, ha preferito la totale rimozione, tanto che i suoi dirigenti, colpiti da amnesia, sembra abbiano soggiornato a lungo nelle isole della luna, cibandosi di fior di loto.
    Falsissimo. Chi conosce le cultura politica, le tesi, ma soprattuto gli organi dirignti del PRC sa bene con chi ha che fare.

    Su Bertinotti odiato dagli ortodossi pciisti perchè proveniva dal socialismo marxista di sinistra si è già detto parecchio in questo forum.

    Detto fra noi, il numero due di Rifondazione Comunista è Paolo Ferrero, ex-DP.

    Se non si considerano le correnti "entriste" che stavano un pò dappertutto ("dio-bono-anche-nel-pci-perchè-è-il-partito-di-massa!") o i gruppuscoli troskisti (che però poco hanno a che fare con il PCI) che oggi sono minoritarie dentro Rifondazione si può capire come la cultura egemone nella classe dirigente odierna dentro Rifondazione provenga dalle esperienze della nuova sinistra anni 70, dal socialismo di sinistra, dal movimentismo pacifista e femminista, dalle esperienze libertarie e autonome.

    La cultura pciista nel PRC è sempre di più in minoranza, gli ultimi quadri pcisti se ne sono scappati con Cossutta, Bacciardi, e i Comunisti Unitari.

    I Giovani Comunisti (alè! disobbedienti!) avevano 10 anni quando il muro è crollato e sono sempre più rappresentati nei quadri e nelle risorse teoriche e materiale del Partito...

    In parole povere: chi comanda (che brutta parola oh! ma io intendo non persone, anche si certo, ma soprattuto la cultura politica egemone!) oggi dentro Rifondazione non ha nulla da nascondere del suo passato, nessun compromesso (nel bene e nel male), nessunno scheletro.

    Non si capisce, infatti, quale comunismo, questa formazione politica, ostentatamente comunista, intenda rifondare.
    Che Orlando non capisse, c'ero arrivato pure io. Ma attenzione!!!!! Colpo di scena! L'articolo, anche se Felix non ce lo dice è datato Marzo 1998!!! E qui casca l'asino....

    Vedere: http://www.sosed.it/Cdsole/Mar98/e7-398.htm

    Il suo presidente, ai tempi del P.C.I., passava per il più ortodosso dei sovietici, oggi dovrebbe sentirsi come quel soldato giapponese trovato in un isoletta del Pacifico, dieci anni dopo la fine della guerra.
    Ah!!! Difatti qui si fa riferimento a Cossuta (nome in codice: Natasha) presidente del PRC (sigh!)

    Rifondazione non ha avviato, e, a quanto sembra, non intende avviare, una discussione critica sul passato e sull’eredità del comunismo. Al suo interno convivono le più strane e contraddittorie posizioni che formano, nel complesso, un variegato mosaico di ex-comunismi. Ci sono troskisti, stalinisti, sessantottini o sessantottardi, bordighiani , “gruppettari”, sindacalisti, comunisti ortodossi, neo-comunisti, socialisti rivoluzionari, terzomondisti e quant’altro oltre un secolo di socialismo è riuscito a produrre.
    Qui Orlando cade nel ridicolo, ma la colpa nn è sua ma di chi abusa dei suoi articoli dopo 4 anni di ritardo...

    Di stalinsti è rimasto solo Grimaldi (mondocane!) ma è buono dentro, ortodossi nessuno, solo opportunisti... bordighiani? ma dove???

    Per il resto (68ini, terzomondisti, trosjkisti, socialisti riv)...cazzo c'entrano con il PCI o con Stalin o con il Socialismo Reale o con l'URSS??? Qui Orlando parte per la tangenziale....

    Mi sto accorgendo di contrappormi con il fantasma di 4 anni fa di Orlando....tempo sprecato ma oramai finisco il post (cacchio avevo iniziato pure a fare discorsi seri all'inizo).

    Non essendosi mai avviata una discussione, serena ed approfondita, tendono a prevalere due posizioni manichee : o si accetta tutto il passato in blocco o lo si condanna definitivamente e lo si considera morto e sepolto. Torna di nuovo la domanda : allora cosa “rifondano” quelli di R.C. ?
    Azzo, Orlando è stato chiamato al V Congresso?? Magari ci poteva aiutare... qualcuno gli telefoni e gli dica che Rifondazione Comunista è sempre Comunista, ha fatto i conti e tutto quanto, non nè quello e nè quell'altro che dice lui, e sempre più a sinistra e marxista e sempre meno pccista-vetero-stalinista-antimarxista!

    Bisogna diffidare sia delle conversioni repentine che delle nostalgiche riproposizioni
    Vero. Però bisogna diffidare pure degli articolo stradatati,

    perché, come insegnava Marx, la storia non si presenta mai due volte allo stesso modo. I revival rischiano di essere patetici e caricaturali ; le abiure, invece, opportunistiche ed irrazionali.
    E come diceva De Gregori, la storia siamo noi.

    Saludos,
    Paddy Garcia.

    ps
    Tempo perso!!!

  3. #3
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    Predefinito Aggirnamento per il fantasma di Orlando

    Tesi approvate a maggioranza dal V Congresso del PRC

    TESI 49 - PER UN BILANCIO DEI DIECI ANNI DI RIFONDAZIONE COMUNISTA
    Il Prc ha vinto la battaglia della sopravvivenza e della vitalità politica. Ora serve un salto di qualità, un'innovazione forte che metta al centro del nostro lavoro il tema della rifondazione.

    Dal 1991 ad oggi, Rifondazione comunista ha vinto almeno due scommesse: quella della sopravvivenza, del primum vivere e quella, altrettanto importante, della vitalità. Passando attraverso crisi, interne ed esterne, anche drammatiche, il Prc è riuscito cioè ad affermare la propria funzione attiva nella società italiana, sfuggendo a quel destino minoritario e testimoniale che tante volte gli era stato predetto. Questo è stato possibile grazie all'impegno, alla dedizione, alla costanza, alla generosità di migliaia e migliaia di compagni e compagne che nel corso di questi dieci anni hanno concretamente costruito il partito e posto le basi materiali per un processo di rifondazione comunista. Qualsiasi bilancio autocritico del nostro lavoro non può che muovere da questi dati reali, che sono tutto fuorché scontati. Grazie a questa impostazione, nella nascita e nella crescita del movimento antiglobalizzazione, così come nelle giornate di Genova, il ruolo del Prc è risultato evidente, riconoscibile, riconosciuto.
    Ora, è tempo di tentare un salto di qualità, nella nostra iniziativa come nella nostra fisionomia politica e strategica. Rifondazione comunista è nata, a Rimini, come uno scatto necessario d'identità: un grande No alla liquidazione del Pci, di una storia, di ogni istanza anticapitalista organizzata. Sin dall'inizio, con la rinnovata partecipazione di molti compagni e compagne e la confluenza di Dp, ne è emersa una natura plurale, che è diventata una nostra peculiarità. Da qui, la vivacità e, talora, anche la ricchezza del suo dibattito, ma anche la sua scarsa compattezza culturale e il suo debole senso di appartenenza. L'identità del Prc è cresciuta e si è via via verificata nel fuoco delle scelte politiche e sociali del momento: una necessità ma anche un limite. Così, le due scissioni subite hanno avuto come propria ragione scatenante non una divergenza strategica dichiarata (e come tale riconosciuta e dibattuta), ma una sia pure rilevantissima questione di tattica e collocazione parlamentare. Nella rottura più grave, quella con i Comunisti Italiani, è emerso quell'intreccio di ortodossia, continuismo e moderatismo che negava in radice la necessità della rifondazione: per un verso, il comunismo come richiamo all'ortodossia e orizzonte lontano, per l'altro verso, il "qui e ora" del realismo politico e istituzionale, dove le alleanze e gli schieramenti precedono e predeterminano ogni battaglia sui contenuti. Proprio questa circostanza ha reso evidente un limite profondo nella capacità di innovazione e rifondazione. Superare questi limiti, per costruire processualmente una cultura politica comunista all'altezza delle sfide di oggi, significa porre al centro delle nostre attenzioni il nodo della rifondazione.

    TESI 50 - ESSERE COMUNISTI, OGGI
    L'identità comunista si declina, per un verso, come critica radicale del modo di produzione capitalistico, per l'altro verso come persuasione del suo superamento, verso la costruzione di una società fondata sulla volontà delle donne e degli uomini, e liberata dal profitto come motore dello sviluppo.

    In questi anni, una intensissima campagna ideologica ha cercato di demolire il comunismo come valore e proposta attuale. Mentre la vulgata della "fine della storia" tendeva a delegittimare ogni istanza (e speranza) di mutamento dell'esistente, si "riscriveva" in questa luce l'intera vicenda novecentesca. In parallelo, l'anticomunismo tornava ad essere un segno distintivo delle classi dirigenti: sia nelle forme e nei linguaggi "viscerali" di Berlusconi sia con modalità apparentemente più contenute ("il comunismo è incompatibile con la libertà"). La resistenza, anche culturale, a questa campagna era e resta un atto della rifondazione comunista.
    L'identità comunista nel tempo della globalizzazione si declina, per un verso, come critica radicale del modo di produzione capitalistico, e per l'altro verso, come convinzione politica che è possibile la costruzione di una società nella quale lo sviluppo economico, le relazioni sociali, la vita concreta delle persone sono determinate dalla volontà organizzata delle donne e degli uomini, invece che dal profitto, dallo sfruttamento, dall'alienazione della forma di merce.
    Questa identità non nasce dalla pura ripulsa morale dell'esistente, e nemmeno soltanto dal rifiuto soggettivo delle innumerevoli ingiustizie che caratterizzano il mondo: si fonda sull'analisi di classe della società, delle soggettività che la pervadono, degli antagonismi "irriducibili" che la caratterizzano.
    Centrale, proprio in quest'ottica, è il conflitto tra capitale e lavoro: non ci potrà essere alcun superamento del capitalismo, cioè della logica del mercato e dell'impresa, sè non ci sarà l'abolizione del lavoro salariato e la liberazione del lavoro. In questo senso, la nostra identità comunista resta imprescindibilmente connessa alla contraddizione di classe. Ma non è vero, di per se, che liberando se stessi gli operai liberano l'intera umanità. Il nuovo mondo che vogliamo costruire è un mondo dal quale sono bandite tutte le forme di discriminazione e di oppressione che il capitalismo globale eredita, aggrava e riproduce: quelle che vengono praticate in base al genere, all'origine geografica ed "etnica", alla generazione, all'orientamento sessuale, così come lo sfruttamento illimitato delle risorse e della natura. Dunque, senza un nuovo movimento operaio che unifichi dialetticamente le diverse soggettività antagoniste che il capitale determina oggi, non c'è liberazione umana.
    Non c'è liberazione umana che possa prescindere dalla contraddizione di genere. Il femminismo ha prodotto in Italia, a partire dalla fine degli anni '60 una vera rivoluzione sociale, culturale e politica, costringendo uomini e donne a misurarsi con la questione di genere. Rifondazione comunista è chiamata a conoscere, ri-conoscere, approfondire e fare suo il pensiero femminista come parte ineludibile della rifondazione. Nello stesso senso, l'assunzione dell'ambientalismo è una scelta di fondo. Non si tratta di cercare una qualche forma di compatibilità tra sviluppo e ambiente. Non è neanche sufficiente un'altra idea di sviluppo. Serve, invece, una vera e propria alternativa di economia e di società che si sostanzia nella promozione di un ripristino e di un equilibrio dei grandi cicli ambientali, nella demercificazione dei beni ambientali comuni e collettivi (acqua, aria, energia e territorio), nella riterritorializzazione, nella riqualificazione del lavoro nella produzione di ambiente.

    TESI 51 - I COMUNISTI E L'OTTOBRE (approvata dal Comitato Politico Nazionale)
    La Rivoluzione d'Ottobre resta uno spartiacque del XX secolo, primo straordinario esempio contemporaneo di "scalata al cielo". Dal successivo fallimento del "socialismo reale" non derivano "pentitismi" di sorta, ma la necessità della rifondazione comunista.

    Il movimento comunista, nella sua ispirazione sostanziale, ha alle spalle una storia lunga, anzi secolare, che per molti aspetti coincide con i tanti tentativi di liberazione umana che l'hanno percorsa, con le molte "scalate al cielo" che sono state sperimentate da milioni di esseri umani. In questa molteplicità di riferimenti, la Rivoluzione d'Ottobre mantiene un valore peculiare: essa è stata uno spartiacque del XX secolo. Ha consacrato il valore della soggettività organizzata, e del suo ruolo: primo straordinario esempio del "si, se puede". Ha modificato in profondità gli equilibri del mondo, rompendo il monopolio planetario del mercato capitalistico e influenzando l'intero corso rivoluzionario del '900, fino alle liberazioni anticoloniali. Ha costretto le classi dominanti dell'occidente capitalistico a compromessi significativi con il movimento operaio. Ha contribuito in termini decisivi alla sconfitta del nazifascismo.
    Questi indiscutibili meriti politici e storici non hanno impedito il profondo processo involutivo e degenerativo delle società postirivoluzionarie, che è stato tra le cause principali della loro sconfitta. Al di là del necessario bilancio storico, politico e ideale che è ancora largamente da compiere, in un lavoro di ricerca collettiva, è proprio dalla dialettica tra la validità dell'ottobre e il fallimento dei tentativi di transizione che emerge la necessità strategica della rifondazione di un pensiero, di una pratica e di una politica comunista. Questo ci pone il tema della definizione di un'identità comunista complessa anche dal punto di vista storico-metodologico: una via originale, capace di continua innovazione, non di semplice aggiornamento, senza che questo significhi desertificazione della memoria. Capace di imparare dai suoi errori. Capace di critica (e anche rifiuto) radicale del passato, non di formali autocritiche e non di pentitismi, senza che questo alluda a fughe opportunistiche dal peso e dalla responsabilità della propria storia

    TESI 52 - DOPO L'89 (approvata dal Comitato Politico Nazionale)
    Il ritorno a Marx, da disincrostare dai troppi marxismi. La lezione rivoluzionaria di Antonio Gramsci. L'eredità del '900, secolo degli operai e delle donne. Sono le coordinate essenziali di un'identità radicale e rinnovata

    Negli ultimi decenni del '900, ma soprattutto dopo l'89, il movimento comunista ha subìto la sua crisi più drammatica: contro di esso (e contro ogni istanza organizzata di tipo anticapitalistico), si è sviluppata un'offensiva organica e imponente, tesa alla sua totale delegittimazione. La risposta dei partiti comunisti è stata, in molti casi, di due tipi: o un'innovazione che assumeva la necessità della sconfitta e il punto di vista dell'avversario, spesso anche attraverso mutamenti nominalistici, o un arroccamento neo-ortodosso e neo-dottrinario. La sorte politica dei comunisti ha rischiato di essere stretta tra le due alternative, egualmente perdenti, del revisionismo moderato e del conservatorismo dogmatico, o paradogmatico.
    In questo quadro, Rifondazione comunista, come del resto altri partiti comunisti e movimenti rivoluzionari, si è sforzata di mettere in campo un'ipotesi autonoma: coniugare innovazione e radicalità, apertura culturale e ottica rivoluzionaria. In altre epoche, questo tentativo si è chiamato uscita da sinistra dallo stalinismo e dalla forma ossificata assunta dal marxismo-leninismo. Un cimento del quale dobbiamo quantomeno definire le coordinate essenziali.
    1. IL RITORNO A MARX. La lezione imprescindibile della ricerca marxiana, soprattutto delle opere della maturità (conosciute solo nel nostro secolo), è la sua capacità di lettura, dal punto di vista del metodo e dei paradigmi teorici, delle contraddizioni del capitalismo maturo. E' la categoria della rottura rivoluzionaria, intesa come superamento dei meccanismi di sfruttamento e di alienazione che presiedono al modo di produzione capitalistico. E' la centralità della persona reale rispetto al cittadino astratto. Non si tratta, naturalmente, di dar vita a una qualche forma di scolastica: si tratta, al contrario, di tornare ad assumere Marx come riferimento essenziale, "disincrostandolo" dai marxismi che sono stati edificati nel '900.
    2. LA LEZIONE DI ANTONIO GRAMSCI. Nella determinazione storica del comunismo italiano, della sua originalità e relativa autonomia, il contributo gramsciano appare di straordinaria attualità. Non soltanto per l'analisi concreta che ci fornisce della società italiana , ricchissima di sollecitazioni non interamente esplorate, non soltanto per la "guida" che ci prospetta sui temi del rapporto tra politica e cultura (e tra etica e politica), ma per l'idea di rivoluzione che ne è alla base, che nega in radice l'autonomia del Politico. La rivoluzione non come pura conquista del potere politico, o delle leve di governo, ma come processo di rivoluzionamento che coinvolge l'insieme delle relazioni sociali e della loro qualità. La rivoluzione come lunga marcia, costruzione di "casematte", trasformazione e autotrasformazione.
    3. L'EREDITA' DEL '900. Rispetto al secolo che ci è alle spalle, i nuovi comunisti assumono una continuità, e una eredità, peculiari: quella lotta rivoluzionaria per la modernità, per l'emancipazione e liberazione umana, che oggi è soggetta ad un blocco ed, anzi, ad una vera e propria involuzione. Al centro di questa lotta, vi sono stati il movimento operaio e le sue organizzazioni, la lotta per il riscatto delle classi subalterne, con i suoi tentativi di "scalata al cielo" e la sua straordinaria sequenza di battaglie sociali, politiche e rivendicative. Ma essenziale è stata la lotta contro il patriarcato: la rivoluzione femminile ha prospettato non semplicemente una nuova soggettività o nuovi diritti, ma la trasformazione delle relazioni tra i generi, che mette in causa la famiglia come costruzione storico-sociale destinata a riprodurre la divisione sessuale dei ruoli. Così come è stata ed è costitutiva di un'identità moderna l'assunzione della nozione di limite: la critica, cioè, di una concezione (e di una pratica) che identificano lo sviluppo con la crescita quantitativa e il progresso con lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali. Definire con rigore l'intreccio dialettico, non sommatorio, tra questi protagonisti della modernità - il lavoro, il genere, l'ambiente - significa, appunto, definire in positivo l'eredità con il '900.

    TESI 53 - COMUNISMO CONTRO STALINISMO
    Il progetto della rifondazione comunista implica una rottura radicale con lo stalinismo. Non soltanto come esperienza storica, ma come paradigma della rivoluzione, concezione della politica, funzione del partito.

    Il progetto della rifondazione comunista, di un'identità comunista adeguata al XXI secolo, implica una rottura radicale con lo stalinismo. Non proponiamo qui un'operazione di bilancio storico, ben altrimenti impegnativa, ma di verità politica e di identità teorica: la separazione dallo stalinismo è anche e soprattutto la messa in causa di un paradigma della transizione, di una concezione della politica, di una funzione del partito. Nel comunismo italiano, la rottura è avvenuta, prevalentemente, in nome dei diritti della persona e della necessità della democrazia rappresentativa: nel nuovo movimento comunista queste ragioni devono essere sviluppate fino in fondo, in nome della società nuova da costruire, della liberazione del lavoro, del rifiuto della separatezza tra cittadino e Stato, della rivoluzione come indivisibile fenomeno mondiale. In questo senso si può essere portatori e portatrici credibili di un'ipotesi rivoluzionaria e comunista solo in quanto essa si definisce in radicale discontinuità rispetto all'esperienza del "socialismo realizzato".
    In questa eredità negativa, individuiamo, prima di tutto, l'idea di un "campo socialista" - campo statuale - al quale sacrificare, o subordinare, gli interessi strategici del movimento operaio mondiale: una distorsione di prospettiva improponibile, anche e soprattutto per il futuro. In secondo luogo, l'ossificazione dogmatica della teoria (che ha travolto le esperienze più avanzate del marxismo critico novecentesco e ridotto il cosiddetto "marxismo-leninismo" a un'ortodossia ecclesiale): un sostituto autoritario e inefficace dell'analisi dei processi reali, della metodologia dell'inchiesta, della verifica. Infine, e sopratutto, la riduzione del socialismo alla pura dimensione della conquista del potere politico e istituzionale, esterna ai luoghi del lavoro e della produzione (e più in generale ai rapporti sociali), coerente con un'ipotesi di gigantismo industrialista forzosamente guidato dall'alto: ma, così come la conquista del potere può generare dal suo stesso seno nuove e pesanti oppressioni, il produttivismo economicista non libera il lavoro e non crea una nuova qualità della vita In questo senso, lo stalinismo è anche stato un modello di sviluppo subalterno all'idea di crescita quantitativa. E' da questo deficit - non dal surplus - di socialismo che sono derivate la concezione (e la pratica) totalizzante e dispotica del Partito, l'arbitrio incontrollabile del leader, la cancellazione di ogni istanza democratica di base nell'organizzazione e nella società, la fine della libertà sindacale, la riduzione degli individui e delle persone ad appendici insignificanti della politica.

    TESI 54 - IL COMUNISMO, OGGI
    Dalla riflessione problematica sulla nostra storia alle istanze del popolo antiglobalizzazione: il comunismo come percorso della liberazione. Meta "ragionevole" della storia

    Come è definibile, oggi, la prospettiva del comunismo, alla luce dell'eredità e dei fallimenti del '900? Se sono corrette le analisi fin qui svolte, diviene sempre più evidente l'infondatezza di ogni teoria delle "due tappe" o dei due stadi - il socialismo prima, incentrato sulla nazionalizzazione o pubblicizzazione delle principali forze produttive, il comunismo, da riservare ad un lontano futuro. Ciò non significa, s'intende, che una prospettiva rivoluzionaria e comunista sia dietro l'angolo, o che essa possa fare a meno della gradualità necessaria. Significa che essa non può separarsi, dal punto di vista politico e strategico, dalle lotte concrete del presente: che si pone, insomma, rispetto ad esse in termini di immanenza, piuttosto che di trascendenza o di lontano orizzonte. Non è certo casuale lo slogan assunto dal "popolo di Seattle": l'istanza di un altro mondo possibile deriva in realtà dalla natura radicale del movimento contro la globalizzazione neoliberista. Esso, a partire dal disagio soggettivo, o da battaglie determinate contro le multinazionali o lo strapotere dei marchi, va giocoforza, perfino al di là dei propri livelli di consapevolezza, alla radice di processi reali che, a loro volta, vedono rapidamente consumarsi gli spazi intermedi della tattica, delle mediazioni, degli obiettivi di "riforma". Da questo punto di vista, il comunismo può essere riproposto, anche e soprattutto alle nuove generazioni, come percorso di liberazione per il quale vale la pena impegnarsi.
    Dal punto di vista generale, quel che resta di intatto valore attuale, è l'idea della costruzione di una società "nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti": non, dunque, semplicemente una società "più giusta" o "più equa", cioè più attenta ad una redistribuzione più egualitaria delle risorse e dei diritti reali, ma una società liberata dal vincolo dell'autovalorizzazione del capitale come motore essenziale della sua crescita e della sua dinamica. Dove, dunque, la soggettività organizzata delle donne e degli uomini, non la logica del mercato e dell'impresa capitalistica, possa razionalmente decidere il proprio destino. Dove la dialettica tra istituzioni collettive e autogoverno di massa, tra poteri centrali e contropoteri diffusi, si fa permanente. Dove la libertà della persona - la sua irriducibile singolarità - si realizza attraverso la crescita progressiva dell'individuo sociale preconizzato da Marx: non un atomo solitario, in competizione permanente con i suoi simili, non l'appendice subalterna di una mega o microstruttura (Stato, Fabbrica, Partito o Famiglia che sia), ma individuo ricco di bisogni e di saperi che cresce in quanto coopera, confligge e comunica con l'Altro da sé.

    TESI 55 - LA DEMOCRAZIA COME STRATEGIA
    La democrazia non è uno strumento, ma è un valore in sé: una strategia di società organicamente plurale. Un'idea di potere, e di non separazione tra mezzi e fini.

    All'interrogativo classico sulla democrazia - se essa sia uno strumento o un fine - oggi siamo in grado di rispondere positivamente: la democrazia come fine è un dato fondante della nostra identità attuale e, insieme, una strategia. Se è vero che essa non si esaurisce affatto nelle sue espressioni e modalità liberali - o in quello schema di rappresentanza per altro oggi sostanzialmente ripudiato dalle classi dominanti - è vero anche che il superamento di questi limiti deve essere proposto oltre, al di là non al di qua dell'orizzonte borghese. I momenti più bui della nostra storia ci offrono, in questo senso, indicazioni molto chiare, anche per ciò che concerne il funzionamento delle organizzazioni politiche, e di un Partito comunista: quando e se si oscura la vita democratica interna, è la proposta politica in quanto tale che perde forza e credibilità.
    Si ripropone anche qui il tema del rapporto tra mezzi e fini: contrariamente al luogo comune di origine machiavelliana, che ha profondamente influenzato tutta la politica e tutta la sinistra italiana, oggi non possiamo che rifiutare l'idea di una separazione organica tra la "meta finale dei nostri sforzi" e gli strumenti attraverso i quali raggiungerla. Non si tratta di un imperativo morale, ma di una scelta di coerenza politica e di laicità: bruciare nel presente le proprie identità e certezze strategiche, fino al punto da rovesciarle nel nome di un obiettivo finale metastorico, sottintende in realtà un'alienazione di tipo religioso. E implica, nei fatti, il passaggio ad una pratica politica iperrealistica e moderata come spesso è avvenuto.
    Dal punto di vista del contenuto, la democrazia si pone oggi come scelta e pratica del pluralismo politico, culturale, associativo. Plurale è la nostra concezione della sinistra: e rifiutiamo radicalmente lo schema storico del partito unico, che tanti guasti ha prodotto nelle società postrivoluzionarie. Plurale è la nostra concezione dell'alternativa e del suo farsi: anche e sopratutto nel senso qualitativo del termine, cioè della sua capacità di costruire dialoghi, relazioni, luoghi di incontro efficaci tra culture diverse - tesi non solo alla costruzione dei conflitti e alla rappresentanza dei soggetti, ma alla definizione di nuovi legami sociali . Plurale è l'orizzonte politico che accompagna il percorso della transizione: dove si tratta di mettere davvero in discussione, insieme ai rapporti di sfruttamento, le gerarchie tra dominanti e dominati, tra ideatori ed esecutori, tra capi e subalterni. In breve: siamo al nodo del potere, da reimpostare radicalmente rispetto ai suoi tradizionali statuti. In una prospettiva di transizione, la conquista del potere politico centrale resta, certo, un passaggio ineludibile,: non, tuttavia, come un punto di partenza dal quale avviare il mutamento dei rapporti economici e sociali, ma come la tappa pur rilevante di un percorso di trasformazione politica e sociale più ricco e articolato. Come una rottura che definisce, contestualmente un terreno di lotta più favorevole, gli strumenti del proprio controllo sociale, la possibilità della propria estinzione. In questo senso, il comunismo è anche un'idea radicale di democrazia.

  4. #4
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    Avresti potuto riportare anche le tesi della minoranza che riguardavano gli argomenti,documentando così il dibattito che c'è in RC,non esiste solo la maggioranza in questo partito.

  5. #5
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    Fulvio Grimaldi stalinista???
    Mi risulta abbia fatto parte di Lotta continua e, ad oggi, nel PRC sia - come me - della cosiddetta area de "l'ernesto".
    E ti posso assicurare, Paddy, che non siamo stalinisti. Semplicemente molto attaccati alla parola COMUNISTA, a ciò che esprime e che si può perdere nella ricerca di una rifondazione comunista tutta connotata da un movimentismo che non è anticapitalista ma "no-global", e la globalizzazione è un fenomeno interno al capitale, non è il suo contenitore, ma è contenuta nel sistema produttivo capitalistico, essendo la sua estrinsecazione planetaria. Come bene aveva visto Marx, così pure Engels nel "Manifesto del Partito comunista"...!

    Ergo, se tacci Grimaldi di stalinismo, allora considera anche me stalinista. Ma sappi che per tutta la mia vita politica (oltre 10 anni...comincio ad invecchiare...sigh! ) sono sempre stato il più acerrimo avversario del "socialismo in un solo paese" e dello stalinismo in generale e in particolare.
    Che poi l'interpretazione stalinista del marxismo-leninismo sia l'unica...ebbene questo è solo un postulato tuo.
    Io per esempio alla teoria di Lenin sull'imperialismo - che apprezzo e in parte condivido - preferisco quanto scrive Rosa Luxemburg ne "L'accumulazione del capitale".

    Mondocane!

    Ciao Paddy!

    Marco

  6. #6
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    Originally posted by Marco Sferini
    Fulvio Grimaldi stalinista???
    Mi risulta abbia fatto parte di Lotta continua e, ad oggi, nel PRC sia - come me - della cosiddetta area de "l'ernesto".
    E ti posso assicurare, Paddy, che non siamo stalinisti.
    E' molto interessante seguire questo vostro dibattito interno. Avrei piacere, però, che qualcuno mi spiegasse, finalmente, chi è questo "ernesto" ci cui tu spesso parli. A me, questo nome fa venire in mente o una divertentissima pièce teatrale di Oscar Wilde The Importance of Being Earnest oppure una singolare poesia di Umberto Saba, intitolata, appunto, Ernesto. Non credo però che esse abbiano molto a che fare con i vostri schieramenti interni. Può qualcuno, gentilmente, delucidarmi in merito?

  7. #7
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    Originally posted by Marco Sferini
    Fulvio Grimaldi stalinista???
    Mi risulta abbia fatto parte di Lotta continua e, ad oggi, nel PRC sia - come me - della cosiddetta area de "l'ernesto".
    E ti posso assicurare, Paddy, che non siamo stalinisti. Semplicemente molto attaccati alla parola COMUNISTA, a ciò che esprime e che si può perdere nella ricerca di una rifondazione comunista tutta connotata da un movimentismo che non è anticapitalista ma "no-global", e la globalizzazione è un fenomeno interno al capitale, non è il suo contenitore, ma è contenuta nel sistema produttivo capitalistico, essendo la sua estrinsecazione planetaria. Come bene aveva visto Marx, così pure Engels nel "Manifesto del Partito comunista"...!
    Marco, lo riconosco, forse ho esagerato a dare dello stalinista a Grimaldi....
    Anche se lo stesso Grimiladi è una esagerazione umana... nel senso buono

    Nonostante questo, non credo che il suo pensiero possa essere automaticamente essere sulla stessa linea d'onda del tuo o dei compagni dell'Ernesto, perchè se è vero che ufficialemente ne fa parte, è pure vero che mantiene delle sfumature, diciamo così, folkloristiche tutte sue...

    Cioè io non credo che ne tù nè altri compagni dell'Ernesto possiate essere d'accordo con affermazioni del tipo "Onore al compagno Milosevic", "Marcos è uno zorro a cavallo pagato dalla CIA", "Israele = SS" e altro ancora che appartiene al suo repertorio... e solo al suo..

    Insomma Grimaldi è unico... come pure pure Nando...

    Per cui non credo affatto che i compagni dell'Ernesto siano stalinisti... a differenza di altri che invece hanno il brutto vizio di definirvi così (penso alla rivista trojkista REDS o gli stessi Ferrandiani)...


    Che poi l'interpretazione stalinista del marxismo-leninismo sia l'unica...ebbene questo è solo un postulato tuo.
    Io per esempio alla teoria di Lenin sull'imperialismo - che apprezzo e in parte condivido - preferisco quanto scrive Rosa Luxemburg ne "L'accumulazione del capitale".
    Beh, il termine classico di "marxismo-leninismo" è stato coniato dopo la morte di Lenin da Stalin, che ha trasformato il pensiero vivo, e quindi labile nei tempi, dei due grandi rivoluzionari (Marx e Lenin) in un sistema dogmatico rigido, che aveva bisogno poi di un sommo sacerdote per proporre l'interpretazione "corretta".

    Fra l'altro l'ossificazione ideologica del marxismo-leninismo è stata rigettata anche da una tesi approvata al V Congresso del PRC.

    Prima non si poteva intepretare "il marxismo-leninismo" in modo differente per la semplice ragione che ufficialmente non era stato coniato. Nè lenin si definiva "leninista", ne Marx si definiva "marxista". La luxemburg ne "l'accumulazione" interpretava il Marx del I libro del Capitale, non il marxismo-leninsmo.

    Ciao,
    Paddy G.
    "Vogliamo distruggere tutti quei ridicoli monumenti del tipo "a coloro che hanno dato la vita per la patria" che incombono in ogni paese e, al loro posto, costruiremo dei monumenti ai disertori. I monumenti ai disertori rappresentano anche i caduti in guerra perchè ognuno di loro è morto malidicendo la guerra e invidiando la fortuna del disertore. La resistenza nasce dalla diserzione"

    Partigiano antifascista, Venezia, 1943





  8. #8
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    Ernestoooo!!!!! Se ci sei, batti un colpo! Possibile che io non riesca a sapere chi è costui? Egli è come l'Araba fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Perchè mi lasciate nell'ignoranza, come don Abbondio con Carneade?

  9. #9
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    Io credo che i compagni dell'Ernesto possano essere definiti dei Togliattiani,ma il suddetto compagno prima di agire prendeva ordini da Stalin e quindi possono essre definiti Stalinisti.
    Il marxismo-leninismo non ha niente a che vedere con lo stalinismo,i più grandi testi teorici(fondamentali per un analisi dell'attuale società e per le prospettive strategiche di un comunista) dopo Marx li hanno scritti Lenin,Trotsky e Rosa Luxemburg,quello che ha scritto Stalin è solo spazzatura e cosa altro potrebbe essere la teoria del socialismo in un paese solo?
    Le tesi votate al congresso di RC sono state approvate dalla maggioranza di questo partito,cioè da compagni che hanno rotto con la tradizione comunista rivoluzionaria,prendendo una deriva socialdemocratica,specialmente quando negano la necessità di una rottura rivoluzionaria come è stato in Russia nel '17,in pratica negano il marxismo.

  10. #10
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    Originally posted by gdr
    Ernestoooo!!!!! Se ci sei, batti un colpo! Possibile che io non riesca a sapere chi è costui? Egli è come l'Araba fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Perchè mi lasciate nell'ignoranza, come don Abbondio con Carneade?
    L'Ernesto è una rivista a cui fanno capo alcuni compagni di RC, i cui leader sono Grassi e Burgio e fanno parte anche criticamente(forze solo a parole) della maggioranza.

 

 
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