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    Post Bobbio: il comunismo era un'utopia reazionaria

    GIANCARLO BOSETTI

    "Bobbio. Le illusioni del comunismo e la mia battaglia per i Lumi"
    [intervista pubblicata da La Repubblica: http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010126.htm]

    Caro Bobbio, in qualche enciclopedia ho letto: Norberto Bobbio, "esponente del pensiero neoilluminista". Per competenza formalmente riconosciuta devo darle la parola nella discussione aperta sulla Repubblica da un articolo di Eugenio Scalfari che solleva vari quesiti, ma soprattutto questo: Isaiah Berlin ha intitolato una sua raccolta di saggi su autori antiilluministi Controcorrente, ma oggi che cosa è più "controcorrente", stare con gli illuministi o con i loro avversari?
    "A giudicare dalle filosofie dominanti oggi, e soprattutto dai due grandi punti di riferimento dei filosofi contemporanei, che sono Nietzsche e Heidegger, dovrei dire che ha ragione Scalfari, che è controcorrente l'Illuminismo". Ma cominciamo da Berlin: Scalfari sospetta che il suo cuore stia dall'altra parte. Anche lei ha avuto dei sospetti del genere, in un articolo del 1980 per la Rivista storica italiana, dedicato allo stesso libro, che era appena uscito in Inghilterra.
    "Non c'è dubbio che leggendo i libri di Berlin e soprattutto gli autori a cui va la sua simpatia, sembrerebbe di sì che lui stia dalla parte dei filosofi antiilluministi, sia i pre-illuministi, come Vico, Herder e un assoluto reazionario come Hamann, sia i post-illuministi come un altro dei suoi preferiti, Sorel". Vico è fondamentale nella storia del pensiero secondo Berlin.
    "Certamente, ed è un tipico rappresentante dell'antiilluminismo; non per nulla Giambattista Vico è stato una quasi-scoperta di Benedetto Croce che ha svolto una delle sue grandi battaglie filosofiche contro l'Illuminismo considerandolo una manifestazione di quello che si usava chiamare "razionalismo astratto", l'espressione di una ragione che non sa riconoscere la pluralità delle situazioni storiche. Per lui la ragione illuministica era una ragione eminentemente antistorica". Ma la partita non si chiude qui, con questa contrapposizione crociana.
    "L'Illuminismo può essere considerato da due lati diversi, secondo che cosa gli si contrappone. Se gli si contrappone lo storicismo, che fa valere la ricchezza e la complessità del discorso degli storici, può sembrare una filosofia del passato, però se lo si considera nel suo significato autentico di philosophie des Lumières, di Aufklärung nel senso kantiano, e in questo caso gli si contrappone non lo storicismo ma l'oscurantismo, le filosofie tradizionali di ispirazione religiosa, il dogmatismo, in generale la cultura dei secoli che gli Illuministi chiamavano il "regno delle tenebre", allora non è altro che la filosofia del progresso contrapposta alla filosofia reazionaria". Questa versione suscita indubbiamente più simpatie.
    "La scelta della contrapposizione dipende dalla maggiore o minore avversione che si ha per l'Illuminismo. Certamente quelli come me che, dopo la guerra, si sono considerati "neoilluministi", facevano riferimento al fil de la lumière, a un ideale di rischiaramento, in una situazione che vedeva prevalere da un lato la filosofia romantica, idealistica, di Croce e Gentile, e dall'altro filosofie di ispirazione religiosa come il neotomismo dell'Università cattolica del Sacro Cuore. Le consideravamo entrambe filosofie regressive anche perché avevano in qualche modo accompagnato il fascismo, o lo avevano giustificato e sostenuto (basta pensare a Gentile). Contro queste noi sostenevamo una filosofia della ragione autonoma, che giudica la storia, non si dà il compito di giustificarla secondo il principio hegeliano che tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale". Sono cose che si imparavano nei licei degli anni Sessanta e Settanta, ma adesso si vanno forse un po' allontanando.
    "Noi vedevamo la storia dal punto di vista di una idea di progresso fondato sul principio della libertà, intesa come liberazione progressiva e non mai del tutto esaurita, da tutti i pregiudizi, dai miti, dalle filosofie metafisiche, che in sostanza erano fideistiche. Noi neoilluministi rivendicavamo le ragioni della ragione. E nel contrasto tra ragione e fede, tenevamo per la ragione. Pensate un po'". E su Vico c'erano molte polemiche. "Perché era l'autore di Croce, il rappresentante di una filosofia fortemente antiilluministica, in quanto storicistica. Nicola Abbagnano, con la pretesa di essere originale, sosteva che Vico fosse in realtà un illuminista, il primo illuminista italiano. Ma per la maggior parte di noi, che pure eravamo suoi amici, questa interpretazione era inaccettabile. In sostanza il concetto di Illuminismo, come tutti gli "ismi" si presta alle più diverse interpretazioni: se lo guardi con simpatia è filosofia dei Lumi contro le tenebre, se lo guardi con antipatia è intellettualismo contro storicismo". Insomma il concetto è un po' vago.
    "Ed era piuttosto vago anche in Gobetti. Pensando a questa discussione, in questi giorni ho riletto un suo articolo che si intitola Illuminismo. Era l'editoriale di presentazione della sua terza rivista, nata nel dicembre del '24, che si chiamava il Baretti, dal nome dello scrittore del 700 elevato a rappresentare l'Illuminismo italiano. Eppure Gobetti, che era crociano, veniva da una educazione di tipo storicistico. Si capisce che il concetto, nella sua mente affollata di idee che urgono e spingono dalle parti più diverse, viene preso per il suo significato positivo anche se generico: è una bandiera di battaglia contro il fascismo, contro Gentile e il suo idealismo, contro le conversioni alla Papini, contro il neoclassicismo della Ronda, contro il futurismo e le "cento religioni", contro il provincialismo e il nazionalismo". Ma se sia Croce che Berlin, entrambi liberali, hanno questa grande simpatia per Vico e per autori storicisti e atiilluministi, viene da chiedersi: tra liberalismo e Illuminismo ci sono dei conti in sospeso?
    "L'antiilluminismo negli scritti di Berlin mi ha fatto sorgere la domanda se il suo sia veramente un pensiero liberale. Lui è indubbiamente considerato un grande pensatore liberale, ma gli autori, tutti quelli che propone, rivaluta, mette in onore, appartengono alla tradizione opposta, tranne uno: John Stuart Mill. Ora, nella tradizione liberale sono fondamentali, oltre a Kant, John Locke e Benjamin Constant. Quest'ultimo è l'autore de La libertà degli antichi contrapposta alla libertà dei moderni (un libro che fissa per sempre che cosa si dovrebbe intendere per liberalismo, non la libertà degli antichi ma quella dei moderni, che è libertà da, freedom from, libertà dallo Stato, emancipazione degli individui dalla soggezione alla collettività, mentre la libertà degli antichi è quella che si identifica con l'autonomia, cioè con l'obbedienza alla legge che ciascuno dà a se stesso (Rousseau). La libertà liberale dei moderni è uno scioglimento che si vorrebbe definitivo da ogni forma di organicismo. Ora se si prende questa libertà alla Constant e la si va a cercare negli autori di Berlin non la si trova proprio, nonostante lo stesso Berlin sia, come si sa, l'autore dei Quattro saggi sul concetto di libertà ed abbia legato il suo nome proprio alla distinzione tra "libertà negativa" e "libertà positiva"". Ma in Berlin c'è la libertà di Kant che è anche emancipazione dell'individuo. E il romantico Hamann lui lo studia a fondo ma lo descrive come un fanatico, come l'iniziatore della velenosa e violenta tradizione del nazionalismo. " Sì, ma anche la intervista che diede a Reset nel 1994 non è del tutto convincente. Tornava a insistere sui meriti di Vico e di Herder e sul pluralismo, confermando che il grande obbiettivo di Berlin era l'attacco al monismo, in tutti i suoi aspetti, quello ontologico (la realtà è regolata da un unico principio), quello metodologico (la realtà tutta, umana e naturale, è conoscibile attraverso una unica ragione, quella della scienza), quello teleologico (tutto converge armonicamente verso una unica meta) e quello etico (c'è un valore ultimo, un unico bene uguale per tutti). Il monismo è sempre il grande bersaglio di Berlin, l'eterno nemico da battere, per fare trionfare il pluralismo. Rimane il fatto che gli autori che Berlin coltiva sono i nemici dell'Illuminismo. Questa contraddizione rimane. Una volta ho fatto l'ipotesi che essi rappresentassero per lui i campioni della "libertà positiva", ma non sono mai riuscito a darne una convincente spiegazione".
    La libertà positiva (la libertà "di", la capacità di diventare padroni di se stessi, di fare, di eliminare gli ostacoli), alla quale Berlin preferiva quella negativa (la libertà "da"), più genuinamente liberale, mentre la prima è imparentata con il socialismo e il comunismo, ci porta qui a misurare i rapporti tra Illuminismo e marxismo. Per Berlin il marxismo rappresentava la "esagerazione" dalla parte opposta a quella del nazionalismo, il comunismo era un eccesso di universalismo e di razionalismo, altrettanto pericoloso."Ma anche in questo Berlin non mi convince, perché rispetto alla libertà della democrazia liberale e borghese, nazismo e comunismo sono due fratelli: hanno lo stesso nemico. Ho molto apprezzato il libro appena uscito, di Paolo Bellinazzi - L'utopia reazionaria (Name editore) - che analizza gli argomenti che nazismo e comunismo propongono a difesa delle proprie tesi e dimostra che, contrariamente alla opinione comune secondo cui nazismo e comunismo sono ideologie opposte, essi hanno matrici comuni: tutti e due combattono il libero mondo borghese del mercato e degli stati parlamentari, tutti e due sposano la Gemeinschaft contro la Gesellschaft, la comunità arcaica (quella in cui l'individuo è soltanto parte di un organismo) contro la moderna società degli individui singoli (e in quanto tali in libero rapporto tra di loro), tutt'e due avversano l'individualismo e sono fautori dell'organicismo sociale".
    Lei sta dicendo che comunismo e nazismo vengono presentati entrambi come nemici della modernità."Sì, e il Bellinazzi argomenta molto bene questa tesi. Quando per esempio scava nei rapporti tra i due antagonisti Carl Schmitt eGyörgy Lukacs scopre che sostengono su per giù le stesse idee perchè hanno lo stesso nemico, la borghesia e le filosofie del mercato; in un certo senso avversano entrambi la stessa produzione della ricchezza, sono tutti e due reazionari. Il principe di questi reazionari sarebbe Rousseau, che rappresenta l'archetipo della filosofia retriva e antimoderna, una filosofia che conviene agli uni come agli altri proprio perché reazionaria".
    Che cosa non va in Rousseau, dal punto di vista della modernità?"Che stronca il razionalismo e l'ottimismo degli illuministi e raccomanda ai suoi contemporanei di ritirarsi nella propia interiorità in un secolo come il Settecento che era invece destinato ad emancipare l'individuo dal ritorno all'interiorità agostiniana: in te redi, in interiore homine habitat veritas. E Rousseau in pieno Illuminismo propone questa marcia a ritroso nei secoli. Ma è interessante anche la critica che l'autore svolge, dal punto di vista della modernità, della scuola di Francoforte di Adorno e Horkheimer, di cui è indicativo proprio l'attacco all'Illuminismo. Cito dal libro: "Comunismo e nazifascismo sono dei movimenti retrogradi che cercarono di tornare indietro, dando di bel nuovo il potere in mano a ristrette e aristocratiche oligarchie"".

    Ma lei è d'accordo con le tesi di Bellinazzi?"Il libro è molto ben documentato dal punto di vista storico e filosofico e mi ha colpito anche per una certa assonanza di idee. Ho sempre sostenuto che la storia del Novecento è caratterizzata da tre protagonisti, fascismo, comunismo e democrazia (e non solo dai primi due). Ho anche sempre sostenuto che la vittoria sarebbe toccata ai due dei tre che si sarebbero alleati. La seconda guerra mondiale è stata vinta dalla alleanza tra democrazia e comunismo, che è stata fatale per il nazismo. Questo è indubbio, però è anche vero che questa alleanza era una alleanza di guerra, che si è saldata nel momento in cui stava scoppiando la guerra mondiale. E infatti appena il nazismo è stato sconfitto è cominciata la guerra fredda tra i due vincitori, per cinquant'anni, una guerra che questa volta è finita senza bisogno di sparare, perchè con Gorbaciov i comunisti hanno gettato la spugna".
    Quindi quella alleanza non aveva radici in una maggiore affinità, o almeno in una minore distanza, tra comunismo e democrazia? Perché, vede, ci siamo in un certo senso abituati a pensare al marxismo - in questo d'accordo anche Berlin - come una "esagerazione" ma dalla parte opposta a quella del nazismo, come un eccesso del "razionalismo astratto", invece che come un eccesso dell'"irrazionalismo concreto". Insomma, errore sì, ma dalla parte degli Illuministi e al di là di loro."Questa è una delle idee che i comunisti hanno coltivato per autogiustificarsi, è stato un tentativo di autolegittimazione del comunismo".
    Eppure il nazismo si dichiara nemico dei Lumi, mentre il comunismo si propugna continuatore e "superatore"."Questa valutazione è destinata a cambiare. Noi che abbiamo combattuto il nazismo alleati dei comunisti (e per fortuna c'è stata questa alleanza, che ha determinato la vittoria della Democrazia) abbiamo sempre cercato di legittimare e giustificare in qualche modo i comunisti. Era comprensibile che cercassimo di rappresentarlo come un fenomeno progressivo e non regressivo. Eravamo alleati in una guerra mortale, capite? Ci sforzavamo di vederne gli aspetti positivi, che dopo la caduta del comunismo, non vediamo più. Dopo la sua sconfitta definitiva siamo stati costretti a rivedere le idee che ci eravamo fatti sul comunismo".
    Quante volte hanno attaccato lei, Bobbio e tutti gli azionisti per "condiscendenza" verso i comunisti."E' vero: tutte le accuse di filocomunismo che ho ricevuto dipendono da quella ragione. Ma vogliamo renderci conto che noi della nostra generazione siamo stati alleati del comunismo per combattere il nazismo? Non è una giustificazione ma una spiegazione. E' evidente che abbiamo sempre mantenuto una certa differenza nel giudizio critico su nazismo e comunismo e che non abbiamo mai pensato di identificarli. Ma una volta caduto il Muro di Berlino, i fatti ci hanno costretto a cambiare idea".
    I fatti e i libri. Tre anni fa è arrivato il momento del Libro nero sul comunismo di Courtois."E me l'ha fatta lei per l'Unità quella intervista, nel 1998, in cui dicevo che bisognava prendere atto che "non c'è paese in cui sia stato instaurato un regime comunista, ove non si sia imposto un sistema di terrore, dall'Unione Sovietica alla Cina, dall'Albania di Hoxa alla Romania di Ceaucescu, dalla Corea di Kim Il Sung alla Cambogia di Pol Pot". Insomma, di fronte alla prova di fatto che il comunismo era intrinsecamente antidemocratico e totalitario, bisogna ammettere che la tesi del Bellinazzi è giusta: non c'è dubbio che c'è stata una parentela tra nazismo e comunismo. L'uno e l'altro hanno avuto come bersaglio il mondo borghese, non hanno riconosciuto la positività storica del mondo mercantile, vi hanno visto solo egoismo e cinismo, hanno considerato la corsa alla ricchezza borghese come un elemento negativo da combattere per creare una società che abolisse tutto questo. Comunisti e nazisti credevano che la loro utopia indicasse la via del progresso, invece erano ugualmente reazionari. In termini filosofici erano reazionari tanto Marx quanto Nietzsche. Il valore del mondo libero borghese sfugge all'uno e all'altro, ed è combattuto tanto dal nazismo quanto dallo stalinismo". Obbiezione: ma si può coinvolgere in questa equazione tutto il marxismo? Dal movimento operaio nasce anche il riformismo socialdemocratico, la cittadinanza sociale, un sistema di civiltà che è il nostro.
    "E le rispondo che la fonte principale della socialdemocrazia non è Marx, perché questa nasce in Inghilterra. La vera antitesi entro il movimento operaio, quella che dà vita alla tradizione riformista, scaturisce da un mondo non marxista. Ha contato di più in questo John Stuart Mill che Marx". Altra obbiezione. Marx era in guardia contro l'accusa di non volere il progresso e attaccava l'"anticapitalismo romantico". Il Manifesto comunista contiene un enfatico apprezzamento per la rivoluzione borghese. Il momento del proletariato doveva venire "dopo".
    "Questa era la linea di difesa di Marx, ma le repliche della storia hanno dimostrato che sbagliava. La sua ideologia ha prodotto il comunismo e il comunismo è stato l'opposto di quello che immaginava. Quando parlava del passaggio dal regno della necessità a quello della libertà, esprimeva una sua illusione, e si è rivelato un terribile errore di visione storica". Nell'89 lei parlava in un celebre articolo sulla Stampa di "utopia capovolta", adesso questa è diventata una "utopia retrograda".
    "Accetto l'espressione del titolo del libro di Bellinazzi, utopia reazionaria. E' insita in questo disegno utopico di trasformazione radicale della società una idea antiliberale, perché il liberalismo crede che la storia della libertà sia una storia di continui passaggi dal bene al male dal male al bene, di tentativi riusciti e tentativi falliti. Non c'è una fine obbligata nella società perfetta. Liberalismo è uguale ad antiperfezionismo, mentre il marxismo come il nazismo erano utopie perfezionistiche". Contro il perfezionismo allora lei è d'accordo con Isaiah Berlin? "Di nulla troppo".
    "E in questo Berlin, il Berlin del "legno storto", quello del discorso di Torino del 1988, della ricerca della compatibilità tra ideali diversi, e ugualmente validi, aveva completamente ragione".

  2. #2
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    silenzio... a quanto pare nessuno di RC si azzarda a contraddire Bobbio...

  3. #3
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    Predefinito Bobbio risponde a Bobbio

    Felix, felix... non ne azzecchi una!

    Prima mi posti quell'articolo "fantasma" di Orlando... e adesso che mi fai? Che mi combini? Metti un'intervista a Bobbio che è diventata famosa per essere stata smentita dallo stesso Bobbio che su "Diario" poco dopo corregge il tiro e dice di essere stato interpretato male?

    Non ci siamo... ti posto l'articolo di Bobbio su Diario (http://www.diario.it/cnt/librodistoria/manni2.htm) e ti evidenzio solo due frasi... quella finale ti farà saltare sulla sedia.

    Saludos,
    Paddy Garcia.

    ps
    Puoi fare meglio dai!!!


    Il filosofo e i comunisti
    di Franco Manni

    Alcune domande a Norberto Bobbio, che poi si riducono a due: 1) il comunismo fu equiparabile al nazismo? 2) Sarà sempre così?


    Nel 1992 sulla rivista Le Nuvole, a proposito dei comunisti, lei ha scritto un articolo intitolato Né con loro, né senza di loro. Che cosa intendeva?

    Che, soprattutto in una fase storica (nel dopoguerra e negli anni Cinquanta), pur non essendo comunisti -come io non ero- bisognava «fare i conti» coi comunisti, ed io, specificamente, sul piano culturale. Nel mio libro più noto, Politica e cultura, che riuniva vari miei saggi usciti su riviste di cultura «militante» dal 1951 al 1955, il mio principale avversario filosofico era il comunista Galvano Della Volpe che aveva scritto un libro dal titolo emblematico e problematico: La libertà comunista. Io volevo difendere i diritti della cultura rispetto a quella aberrazione che i comunisti chiamavano «partiticità della cultura», e -più in generale- i diritti di libertà, che i comunisti erano portati a sottovalutare, a distorcere e a dileggiare... È stato un dialogo, fatto da posizioni opposte, ma condotto in modo civile, nel quale è in seguito intervenuto non sprezzantemente, come era sua abitudine, anche Palmiro Togliatti, che scrisse su Rinascita un articolo firmato con lo pseudonimo (di cui ancora non conosco l'origine) di Roderigo di Castiglia. Io mi consideravo difensore del liberalismo nel senso più ampio, contro una feroce dittatura quale quella sovietica, che allungava le sue ombre, almeno le sue ombre ideologiche, anche nella nostra Italia. Però degli esponenti del Partito Comunista Italiano io parlo come di avversari e non come di nemici, e per questo atteggiamento sono stato recentemente accusato di «filocomunismo». In realtà noi (noi membri del Partito d'Azione), pur non essendo comunisti, eravamo da poco usciti da un'alleanza coi comunisti nella comune lotta antifascista.

    Nel dopoguerra noi antifascisti ci sforzavamo di trovare nel comunismo tutti gli aspetti buoni che ci fosse possibile, ma ciò era dovuto al contesto politico di allora. Adesso, dopo la Caduta del Muro, è diverso. Per esempio oggi penso che, almeno sul piano teorico, le somiglianze tra comunismo e nazismo erano molto strette. Recentemente ho letto il libro di Paolo Bellinazzi, L'utopia reazionaria, che, con ampia documentazione, mostra che, in riferimento alla nota distinzione politologica tra «società» e «comunità», sia il nazismo sia il comunismo fossero nel versante comunitarista e organicista. Mostra anche una chiara affinità tra alcuni concetti teorici di Carl Schmitt e di György Lukàcs.

    In una sua intervista recentemente pubblicata da la Repubblica (25 gennaio 2001), lei sembra appunto equiparare il nazismo e il comunismo, e il giornale cattolico L'Avvenire l'ha commentata scrivendo «l'anziano filosofo cambia idea sul comunismo». Io obbietto che, in base a tutto ciò che conosco, anche le gesta peggiori dello stalinismo non mi risultano avere il sadismo, il razzismo, lo schiavismo, la ferocia omicida verso i bambini, tutte cose presenti ad abudantiam nel nazismo. Nessun gulag è stato come Treblinka o Auschwitz-Birkenau, luoghi dedicati allo sterminio totale di quanti vi entrassero. E poi, mentre il comunismo è lungi dal coincidere con lo stalinismo, perché c'è stato un comunismo occidentale e non sovietico o cinese o cambogiano, il nazismo -invece- fu uno solo, quello occidentale hitleriano degli Anni Trenta e Quaranta.

    Anche Marco Revelli mi ha contestato l'equiparazione nazismo-comunismo. Certamente c'è una differenza importante tra i due movimenti: magari usavano gli stessi mezzi atroci e disumani, ma mentre nel nazismo erano ugualmente condannabili sia i mezzi sia i fini, invece nel comunismo lo erano i mezzi ma non i fini, spesso nobili (liberazione dall'oppressione dei rapporti di lavoro, pari dignità sociale dei cittadini). In quell'intervista che mi ha citato, inoltre non è venuto fuori bene il mio pensiero su Marx. Lì sembra risultare che Marx, come teorico, sia responsabile di tutto quanto ' soprattutto sul piano pratico ' è avvenuto in seguito. In realtà io non lo penso né in generale riguardo al rapporto tra teoria e pratica, né riguardo al caso specifico di Marx.

    Ciò che soprattutto volevo fare in quell'intervista era una sorta di «esame di coscienza», e dire che noi liberaldemocratici avevamo fatto un'alleanza tattica col comunismo, pur non condividendo né la sua ideologia né gran parte delle sue linee politiche.

    Un'altra differenza significativa è che lei non ha mai avuto rapporti amichevoli con esponenti, non dico nazisti, ma neanche fascisti. Non è così?

    Certamente non ho avuto rapporti amichevoli con alcun gerarca del Pnf (partito nazionale fascista). Invece durante gli anni universitari frequentavo amici come Vittorio Foa. Lui faceva il «giovane di studio» presso un avvocato quando è stato arrestato dai fascisti nel 1935, e anche io ero considerato «inviso». Ma Vittorio era un vero e proprio militante ed è stato in prigione fino al 1943. Anche un altro mio amico, Massimo Mila, rimase in prigione, anche se non così a lungo. Altri membri di quel gruppo giovanile di amici furono dal fascismo condannati al confino, e altri ancora (tra cui io, Giulio Einaudi e altri) furono «ammoniti».

    Invece lei ha avuto rapporti di dialogo e anche di amichevolezza con alcuni comunisti...

    Sì, su questo non c'è dubbio! Ho avuto polemiche coi comunisti, ma polemiche con persone con le quali era possibile dialogare. Con alcuni comunisti, poi, come Napolitano, Aldo Tortorella, Gian Carlo Pajetta e Pietro Ingrao ho avuto anche rapporti di stima reciproca e di amicizia vera e propria. Anche per questo, in diverse occasioni, sono stato accusato di «filocomunismo», proprio per avere accettato il dialogo con loro.

    Mi sono comportato in maniera diversa da Edgardo Sogno che, dopo avere combattuto i fascisti, finita la guerra si mise con lo stesso ardore a combattere i comunisti, che per lui erano la stessa cosa. Sogno costituì un gruppo chiamato Pace e Libertà che, tra le altre cose, contemplava anche un progetto di golpe per difendere l'Italia da quello che egli riteneva essere il pericolo comunista. Nel suo testamento Sogno ammette di avere fatto un tentativo di golpe. Perché lui riteneva che i comunisti dovessero essere combattuti con le stesse armi con le quali aveva prima combattuto i fascisti. Io però non mi riconoscevo in una posizione del genere. Ho sempre detto e scritto che coi comunisti (parlo dei comunisti italiani) occorreva la persuasione e non la forza.

    Parafrasando Benedetto Croce, le chiedo: cosa è vivo e cosa è morto del comunismo?

    Quando accadde in Cina quel fatto che suscitò orrore quasi dovunque, e cioè l'uso delle armi per fermare gli studenti che a piazza Tienanmen manifestavano il loro dissenso dal governo comunista cinese, io scrissi su La Stampa un articolo in cui dicevo che il comunismo era un'«utopia capovolta», perché era un'utopia di liberazione degli esseri umani che si era capovolta nel suo contrario, e cioè nella costrizione e nell'oppressione degli esseri umani. Però, in quello stesso articolo, scrivevo anche che i motivi per i quali il comunismo era nato sono ancora vivi' scrivevo [Bobbio si fa portare l'articolo in oggetto e si mette e leggere]: «Non basta fondare lo Stato di diritto liberale e democratico per risolvere i problemi da cui era nata, nel movimento del proletariato dei Paesi che avevano iniziato il processo di industrializzazione in forma selvaggia, e poi tra i contadini poveri del Terzo mondo, la "speranza della rivoluzione". In un mondo di spaventose ingiustizie, com'è ancora quello in cui sono condannati a vivere i poveri, i derelitti, gli schiacciati da irraggiungibili e apparentemente immodificabili grandi potentati economici, da cui dipendono quasi sempre i poteri politici, anche quelli formalmente democratici, il pensare che la speranza della rivoluzione sia spenta, e sia finita solo perché l'utopia comunista è fallita, significa chiudersi gli occhi per non vedere

    Sono in grado le democrazie che governano i Paesi più ricchi del mondo di risolvere i problemi che il comunismo non è riuscito a risolvere ? Questo è il problema. Il comunismo storico è fallito, non discuto. Ma i problemi restano, proprio quegli stessi problemi che l'utopia comunista aveva additato e ritenuto fossero risolvibili. Questa è la ragione per cui è da stolti rallegrarsi della sconfitta e fregandosi le mani dalla contentezza dire: «L'avevamo sempre detto!'. O illusi, credete proprio che la fine del comunismo storico (insisto sullo "storico") abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia ? ['] La democrazia ha vinto la sfida del comunismo storico, ammettiamolo. Ma con quali mezzi e con quali ideali si dispone ad affrontare gli stessi problemi da cui era nata la sfida comunista ?». Questo articolo mi valse poi un'aspra critica da parte di Ernesto Galli della Loggia.

    Ma che cosa pensa, riguardo, appunto, alla soluzione di questi grandi problemi? Mi sembra che lei sia pessimista al proposito. Le cito un suo scritto, da Eguaglianza e Libertà, Einaudi, 1995, p. 41: «Dal pensiero utopico al pensiero rivoluzionario l'egualitarismo ha percorso un lungo tratto di strada: eppure la strada tra l'aspirazione e la realtà è sempre stata e continua ad essere tanto grande che, guardandosi attorno e indietro, qualsiasi persona assennata deve non solo seriamente dubitare se mai possa esser interamente colmata ma anche domandarsi se sia ragionevole il proporsi di colmarla». Non le sembra troppo pessimista?

    Mah! cosa vuole" forse sì, è comunque solo la frase di un libro" Però qui voglio ricordare che l'egualitarismo è una concezione filosofica che porta al mondo delle api, allo svuotamento dell'individualità, come appare nei classici utopisti egalitaristi Bacone, Campanella e altri. Questo livellamento e questa spersonalizzazione sono poi il terreno adatto per la nascita del totalitarismo politico.

    Lei sottolinea i pericoli dell'egualitarismo. Io però mi ricordo un passo del suo noto opuscolo Destra e Sinistra in cui ricordava quando era piccolo e andava d'estate in vacanza: lei, cittadino della buona borghesia, in campagna, ed osservava come i piccoli compagni di giochi, contadini, fossero tanto più poveri, e alcuni morivano per malattie, e lei, bambino, sentiva l'ingiustizia di questa cosa, di questa diseguaglianza.

    Sì, è vero. Però la ricerca dell'eguaglianza, almeno dal comunismo arrivato al potere, è stata sempre realizzata in maniera perversa, come livellamento coatto verso il basso, non come eguagliamento. Nel romanzo I Demoni di Dostoevskij c'è un personaggio che ha ideali egalitari e che lo scrittore presenta in maniera ironica come uno che pensi semplicisticamente di «avere inventato l'eguaglianza».

    Ma, al di là del comunismo giunto al potere, non pensa che il comunismo occidentale, che non è giunto al potere, abbia anche contribuito positivamente per il miglioramento di quei grandi problemi di ingiustizia, che abbia influenzato in maniera notevole le conquiste in campo sindacale e i miglioramenti della legislazione sociale?

    Sì, certamente, è anche banale il dirlo. Però bisogna distinguere l'egualitarismo dall'eguagliamento. L'egualitarismo è una concezione filosofica organicistica ed è anche un tentativo portato avanti negli Stati dove il comunismo ha raggiunto il potere, concezione e tentativo che non approvano l'indipendenza e le peculiarità dell'individuo all'interno della società. L'eguagliamento è invece una tendenza e un movimento verso la riduzione delle differenze economiche esistenti tra gli individui e i gruppi sociali, tendenza e movimento presenti nel socialismo nel comunismo e anche altrove.

    Dunque, per questa parte della questione, e cioè per il contributo dato anche dal comunismo alla riduzione delle ingiustizie sociali, mi sembra che lei non si definirebbe «anticomunista»

    Certamente, anzi affermo, ripetendomi, di non essere mai stato comunista, ma anche di non essere mai stato anticomunista, nel senso in cui l'anticomunismo è inteso oggidì. E dico che le lotte per una maggiore eguaglianza sociale contro le ingiustizie così drammaticamente presenti nel mondo " lotte fatte non solo ma anche dai comunisti "sono state sacrosante.
    "Vogliamo distruggere tutti quei ridicoli monumenti del tipo "a coloro che hanno dato la vita per la patria" che incombono in ogni paese e, al loro posto, costruiremo dei monumenti ai disertori. I monumenti ai disertori rappresentano anche i caduti in guerra perchè ognuno di loro è morto malidicendo la guerra e invidiando la fortuna del disertore. La resistenza nasce dalla diserzione"

    Partigiano antifascista, Venezia, 1943





  4. #4
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    felix è soltanto un professionista del copia-incolla. Ma sotto il vestito, niente.

  5. #5
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    sarcasmo mediocre, sempre così...
    ma vi va di discutere o no?


    x paddy: cos'è, se un articolo ha più di sei mesi è già da scartare?! guarda che non è pesce surgelato...

  6. #6
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    non te le prendere, copia incolla non è un insulto.
    la radice, ce lo insegna Ihman, viene da "copiaincolleus" che vuol dire "saggezza"

  7. #7
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    Originally posted by shambler
    non te le prendere, copia incolla non è un insulto.
    la radice, ce lo insegna Ihman, viene da "copiaincolleus" che vuol dire "saggezza"
    FForzze...fforzze...altrimenti lui muore!
    "Vogliamo distruggere tutti quei ridicoli monumenti del tipo "a coloro che hanno dato la vita per la patria" che incombono in ogni paese e, al loro posto, costruiremo dei monumenti ai disertori. I monumenti ai disertori rappresentano anche i caduti in guerra perchè ognuno di loro è morto malidicendo la guerra e invidiando la fortuna del disertore. La resistenza nasce dalla diserzione"

    Partigiano antifascista, Venezia, 1943





  8. #8
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    Originally posted by Felix

    sarcasmo mediocre, sempre così...
    ma vi va di discutere o no?


    x paddy: cos'è, se un articolo ha più di sei mesi è già da scartare?! guarda che non è pesce surgelato...
    E' Bobbio il pesce surgelato.
    Se è schizofrenico io non posso farci nulla.
    "Vogliamo distruggere tutti quei ridicoli monumenti del tipo "a coloro che hanno dato la vita per la patria" che incombono in ogni paese e, al loro posto, costruiremo dei monumenti ai disertori. I monumenti ai disertori rappresentano anche i caduti in guerra perchè ognuno di loro è morto malidicendo la guerra e invidiando la fortuna del disertore. La resistenza nasce dalla diserzione"

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  9. #9
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    Originally posted by DrugoLebowsky
    felix è soltanto un professionista del copia-incolla. Ma sotto il vestito, niente.
    Quale toscana, Drugo?
    "Vogliamo distruggere tutti quei ridicoli monumenti del tipo "a coloro che hanno dato la vita per la patria" che incombono in ogni paese e, al loro posto, costruiremo dei monumenti ai disertori. I monumenti ai disertori rappresentano anche i caduti in guerra perchè ognuno di loro è morto malidicendo la guerra e invidiando la fortuna del disertore. La resistenza nasce dalla diserzione"

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  10. #10
    Claude
    Ospite

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    Certamente, anzi affermo, ripetendomi, di non essere mai stato comunista, ma anche di non essere mai stato anticomunista, nel senso in cui l'anticomunismo è inteso oggidì. E dico che le lotte per una maggiore eguaglianza sociale contro le ingiustizie così drammaticamente presenti nel mondo " lotte fatte non solo ma anche dai comunisti "sono state sacrosante.


    L'istanze egualitarie del comunismo traggono origine dalla folosofia della storia che gli è propria, ed hanno senso solo in questa ottica. Esse non sono funzionali alle prospettive personali di vita degli individui che debbono essere resi uguali, bensì ad una visione che unifica in unico progetto tutte le prospettive individuali. Se gli obbiettivi pratici dei comunisti, in certi periodi della storia, possono essere stati condivisibili, non lo sono quelli ultimi, o ideali. E' l'idea stessa di "liberazione", che ha nella realtà cozzato in maniera così violenta con quella di "libertà", la principale protagonista delle suddette rivendicazioni sociali: la redistribuzione della ricchezza non può esere che un mezzo, che una tappa di un percorso, ma l'orizzonte verso il quale si mira è ben altro.

 

 
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