GIANCARLO BOSETTI
"Bobbio. Le illusioni del comunismo e la mia battaglia per i Lumi"
[intervista pubblicata da La Repubblica: http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010126.htm]
Caro Bobbio, in qualche enciclopedia ho letto: Norberto Bobbio, "esponente del pensiero neoilluminista". Per competenza formalmente riconosciuta devo darle la parola nella discussione aperta sulla Repubblica da un articolo di Eugenio Scalfari che solleva vari quesiti, ma soprattutto questo: Isaiah Berlin ha intitolato una sua raccolta di saggi su autori antiilluministi Controcorrente, ma oggi che cosa è più "controcorrente", stare con gli illuministi o con i loro avversari?
"A giudicare dalle filosofie dominanti oggi, e soprattutto dai due grandi punti di riferimento dei filosofi contemporanei, che sono Nietzsche e Heidegger, dovrei dire che ha ragione Scalfari, che è controcorrente l'Illuminismo". Ma cominciamo da Berlin: Scalfari sospetta che il suo cuore stia dall'altra parte. Anche lei ha avuto dei sospetti del genere, in un articolo del 1980 per la Rivista storica italiana, dedicato allo stesso libro, che era appena uscito in Inghilterra.
"Non c'è dubbio che leggendo i libri di Berlin e soprattutto gli autori a cui va la sua simpatia, sembrerebbe di sì che lui stia dalla parte dei filosofi antiilluministi, sia i pre-illuministi, come Vico, Herder e un assoluto reazionario come Hamann, sia i post-illuministi come un altro dei suoi preferiti, Sorel". Vico è fondamentale nella storia del pensiero secondo Berlin.
"Certamente, ed è un tipico rappresentante dell'antiilluminismo; non per nulla Giambattista Vico è stato una quasi-scoperta di Benedetto Croce che ha svolto una delle sue grandi battaglie filosofiche contro l'Illuminismo considerandolo una manifestazione di quello che si usava chiamare "razionalismo astratto", l'espressione di una ragione che non sa riconoscere la pluralità delle situazioni storiche. Per lui la ragione illuministica era una ragione eminentemente antistorica". Ma la partita non si chiude qui, con questa contrapposizione crociana.
"L'Illuminismo può essere considerato da due lati diversi, secondo che cosa gli si contrappone. Se gli si contrappone lo storicismo, che fa valere la ricchezza e la complessità del discorso degli storici, può sembrare una filosofia del passato, però se lo si considera nel suo significato autentico di philosophie des Lumières, di Aufklärung nel senso kantiano, e in questo caso gli si contrappone non lo storicismo ma l'oscurantismo, le filosofie tradizionali di ispirazione religiosa, il dogmatismo, in generale la cultura dei secoli che gli Illuministi chiamavano il "regno delle tenebre", allora non è altro che la filosofia del progresso contrapposta alla filosofia reazionaria". Questa versione suscita indubbiamente più simpatie.
"La scelta della contrapposizione dipende dalla maggiore o minore avversione che si ha per l'Illuminismo. Certamente quelli come me che, dopo la guerra, si sono considerati "neoilluministi", facevano riferimento al fil de la lumière, a un ideale di rischiaramento, in una situazione che vedeva prevalere da un lato la filosofia romantica, idealistica, di Croce e Gentile, e dall'altro filosofie di ispirazione religiosa come il neotomismo dell'Università cattolica del Sacro Cuore. Le consideravamo entrambe filosofie regressive anche perché avevano in qualche modo accompagnato il fascismo, o lo avevano giustificato e sostenuto (basta pensare a Gentile). Contro queste noi sostenevamo una filosofia della ragione autonoma, che giudica la storia, non si dà il compito di giustificarla secondo il principio hegeliano che tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale". Sono cose che si imparavano nei licei degli anni Sessanta e Settanta, ma adesso si vanno forse un po' allontanando.
"Noi vedevamo la storia dal punto di vista di una idea di progresso fondato sul principio della libertà, intesa come liberazione progressiva e non mai del tutto esaurita, da tutti i pregiudizi, dai miti, dalle filosofie metafisiche, che in sostanza erano fideistiche. Noi neoilluministi rivendicavamo le ragioni della ragione. E nel contrasto tra ragione e fede, tenevamo per la ragione. Pensate un po'". E su Vico c'erano molte polemiche. "Perché era l'autore di Croce, il rappresentante di una filosofia fortemente antiilluministica, in quanto storicistica. Nicola Abbagnano, con la pretesa di essere originale, sosteva che Vico fosse in realtà un illuminista, il primo illuminista italiano. Ma per la maggior parte di noi, che pure eravamo suoi amici, questa interpretazione era inaccettabile. In sostanza il concetto di Illuminismo, come tutti gli "ismi" si presta alle più diverse interpretazioni: se lo guardi con simpatia è filosofia dei Lumi contro le tenebre, se lo guardi con antipatia è intellettualismo contro storicismo". Insomma il concetto è un po' vago.
"Ed era piuttosto vago anche in Gobetti. Pensando a questa discussione, in questi giorni ho riletto un suo articolo che si intitola Illuminismo. Era l'editoriale di presentazione della sua terza rivista, nata nel dicembre del '24, che si chiamava il Baretti, dal nome dello scrittore del 700 elevato a rappresentare l'Illuminismo italiano. Eppure Gobetti, che era crociano, veniva da una educazione di tipo storicistico. Si capisce che il concetto, nella sua mente affollata di idee che urgono e spingono dalle parti più diverse, viene preso per il suo significato positivo anche se generico: è una bandiera di battaglia contro il fascismo, contro Gentile e il suo idealismo, contro le conversioni alla Papini, contro il neoclassicismo della Ronda, contro il futurismo e le "cento religioni", contro il provincialismo e il nazionalismo". Ma se sia Croce che Berlin, entrambi liberali, hanno questa grande simpatia per Vico e per autori storicisti e atiilluministi, viene da chiedersi: tra liberalismo e Illuminismo ci sono dei conti in sospeso?
"L'antiilluminismo negli scritti di Berlin mi ha fatto sorgere la domanda se il suo sia veramente un pensiero liberale. Lui è indubbiamente considerato un grande pensatore liberale, ma gli autori, tutti quelli che propone, rivaluta, mette in onore, appartengono alla tradizione opposta, tranne uno: John Stuart Mill. Ora, nella tradizione liberale sono fondamentali, oltre a Kant, John Locke e Benjamin Constant. Quest'ultimo è l'autore de La libertà degli antichi contrapposta alla libertà dei moderni (un libro che fissa per sempre che cosa si dovrebbe intendere per liberalismo, non la libertà degli antichi ma quella dei moderni, che è libertà da, freedom from, libertà dallo Stato, emancipazione degli individui dalla soggezione alla collettività, mentre la libertà degli antichi è quella che si identifica con l'autonomia, cioè con l'obbedienza alla legge che ciascuno dà a se stesso (Rousseau). La libertà liberale dei moderni è uno scioglimento che si vorrebbe definitivo da ogni forma di organicismo. Ora se si prende questa libertà alla Constant e la si va a cercare negli autori di Berlin non la si trova proprio, nonostante lo stesso Berlin sia, come si sa, l'autore dei Quattro saggi sul concetto di libertà ed abbia legato il suo nome proprio alla distinzione tra "libertà negativa" e "libertà positiva"". Ma in Berlin c'è la libertà di Kant che è anche emancipazione dell'individuo. E il romantico Hamann lui lo studia a fondo ma lo descrive come un fanatico, come l'iniziatore della velenosa e violenta tradizione del nazionalismo. " Sì, ma anche la intervista che diede a Reset nel 1994 non è del tutto convincente. Tornava a insistere sui meriti di Vico e di Herder e sul pluralismo, confermando che il grande obbiettivo di Berlin era l'attacco al monismo, in tutti i suoi aspetti, quello ontologico (la realtà è regolata da un unico principio), quello metodologico (la realtà tutta, umana e naturale, è conoscibile attraverso una unica ragione, quella della scienza), quello teleologico (tutto converge armonicamente verso una unica meta) e quello etico (c'è un valore ultimo, un unico bene uguale per tutti). Il monismo è sempre il grande bersaglio di Berlin, l'eterno nemico da battere, per fare trionfare il pluralismo. Rimane il fatto che gli autori che Berlin coltiva sono i nemici dell'Illuminismo. Questa contraddizione rimane. Una volta ho fatto l'ipotesi che essi rappresentassero per lui i campioni della "libertà positiva", ma non sono mai riuscito a darne una convincente spiegazione".
La libertà positiva (la libertà "di", la capacità di diventare padroni di se stessi, di fare, di eliminare gli ostacoli), alla quale Berlin preferiva quella negativa (la libertà "da"), più genuinamente liberale, mentre la prima è imparentata con il socialismo e il comunismo, ci porta qui a misurare i rapporti tra Illuminismo e marxismo. Per Berlin il marxismo rappresentava la "esagerazione" dalla parte opposta a quella del nazionalismo, il comunismo era un eccesso di universalismo e di razionalismo, altrettanto pericoloso."Ma anche in questo Berlin non mi convince, perché rispetto alla libertà della democrazia liberale e borghese, nazismo e comunismo sono due fratelli: hanno lo stesso nemico. Ho molto apprezzato il libro appena uscito, di Paolo Bellinazzi - L'utopia reazionaria (Name editore) - che analizza gli argomenti che nazismo e comunismo propongono a difesa delle proprie tesi e dimostra che, contrariamente alla opinione comune secondo cui nazismo e comunismo sono ideologie opposte, essi hanno matrici comuni: tutti e due combattono il libero mondo borghese del mercato e degli stati parlamentari, tutti e due sposano la Gemeinschaft contro la Gesellschaft, la comunità arcaica (quella in cui l'individuo è soltanto parte di un organismo) contro la moderna società degli individui singoli (e in quanto tali in libero rapporto tra di loro), tutt'e due avversano l'individualismo e sono fautori dell'organicismo sociale".
Lei sta dicendo che comunismo e nazismo vengono presentati entrambi come nemici della modernità."Sì, e il Bellinazzi argomenta molto bene questa tesi. Quando per esempio scava nei rapporti tra i due antagonisti Carl Schmitt eGyörgy Lukacs scopre che sostengono su per giù le stesse idee perchè hanno lo stesso nemico, la borghesia e le filosofie del mercato; in un certo senso avversano entrambi la stessa produzione della ricchezza, sono tutti e due reazionari. Il principe di questi reazionari sarebbe Rousseau, che rappresenta l'archetipo della filosofia retriva e antimoderna, una filosofia che conviene agli uni come agli altri proprio perché reazionaria".
Che cosa non va in Rousseau, dal punto di vista della modernità?"Che stronca il razionalismo e l'ottimismo degli illuministi e raccomanda ai suoi contemporanei di ritirarsi nella propia interiorità in un secolo come il Settecento che era invece destinato ad emancipare l'individuo dal ritorno all'interiorità agostiniana: in te redi, in interiore homine habitat veritas. E Rousseau in pieno Illuminismo propone questa marcia a ritroso nei secoli. Ma è interessante anche la critica che l'autore svolge, dal punto di vista della modernità, della scuola di Francoforte di Adorno e Horkheimer, di cui è indicativo proprio l'attacco all'Illuminismo. Cito dal libro: "Comunismo e nazifascismo sono dei movimenti retrogradi che cercarono di tornare indietro, dando di bel nuovo il potere in mano a ristrette e aristocratiche oligarchie"".
Ma lei è d'accordo con le tesi di Bellinazzi?"Il libro è molto ben documentato dal punto di vista storico e filosofico e mi ha colpito anche per una certa assonanza di idee. Ho sempre sostenuto che la storia del Novecento è caratterizzata da tre protagonisti, fascismo, comunismo e democrazia (e non solo dai primi due). Ho anche sempre sostenuto che la vittoria sarebbe toccata ai due dei tre che si sarebbero alleati. La seconda guerra mondiale è stata vinta dalla alleanza tra democrazia e comunismo, che è stata fatale per il nazismo. Questo è indubbio, però è anche vero che questa alleanza era una alleanza di guerra, che si è saldata nel momento in cui stava scoppiando la guerra mondiale. E infatti appena il nazismo è stato sconfitto è cominciata la guerra fredda tra i due vincitori, per cinquant'anni, una guerra che questa volta è finita senza bisogno di sparare, perchè con Gorbaciov i comunisti hanno gettato la spugna".
Quindi quella alleanza non aveva radici in una maggiore affinità, o almeno in una minore distanza, tra comunismo e democrazia? Perché, vede, ci siamo in un certo senso abituati a pensare al marxismo - in questo d'accordo anche Berlin - come una "esagerazione" ma dalla parte opposta a quella del nazismo, come un eccesso del "razionalismo astratto", invece che come un eccesso dell'"irrazionalismo concreto". Insomma, errore sì, ma dalla parte degli Illuministi e al di là di loro."Questa è una delle idee che i comunisti hanno coltivato per autogiustificarsi, è stato un tentativo di autolegittimazione del comunismo".
Eppure il nazismo si dichiara nemico dei Lumi, mentre il comunismo si propugna continuatore e "superatore"."Questa valutazione è destinata a cambiare. Noi che abbiamo combattuto il nazismo alleati dei comunisti (e per fortuna c'è stata questa alleanza, che ha determinato la vittoria della Democrazia) abbiamo sempre cercato di legittimare e giustificare in qualche modo i comunisti. Era comprensibile che cercassimo di rappresentarlo come un fenomeno progressivo e non regressivo. Eravamo alleati in una guerra mortale, capite? Ci sforzavamo di vederne gli aspetti positivi, che dopo la caduta del comunismo, non vediamo più. Dopo la sua sconfitta definitiva siamo stati costretti a rivedere le idee che ci eravamo fatti sul comunismo".
Quante volte hanno attaccato lei, Bobbio e tutti gli azionisti per "condiscendenza" verso i comunisti."E' vero: tutte le accuse di filocomunismo che ho ricevuto dipendono da quella ragione. Ma vogliamo renderci conto che noi della nostra generazione siamo stati alleati del comunismo per combattere il nazismo? Non è una giustificazione ma una spiegazione. E' evidente che abbiamo sempre mantenuto una certa differenza nel giudizio critico su nazismo e comunismo e che non abbiamo mai pensato di identificarli. Ma una volta caduto il Muro di Berlino, i fatti ci hanno costretto a cambiare idea".
I fatti e i libri. Tre anni fa è arrivato il momento del Libro nero sul comunismo di Courtois."E me l'ha fatta lei per l'Unità quella intervista, nel 1998, in cui dicevo che bisognava prendere atto che "non c'è paese in cui sia stato instaurato un regime comunista, ove non si sia imposto un sistema di terrore, dall'Unione Sovietica alla Cina, dall'Albania di Hoxa alla Romania di Ceaucescu, dalla Corea di Kim Il Sung alla Cambogia di Pol Pot". Insomma, di fronte alla prova di fatto che il comunismo era intrinsecamente antidemocratico e totalitario, bisogna ammettere che la tesi del Bellinazzi è giusta: non c'è dubbio che c'è stata una parentela tra nazismo e comunismo. L'uno e l'altro hanno avuto come bersaglio il mondo borghese, non hanno riconosciuto la positività storica del mondo mercantile, vi hanno visto solo egoismo e cinismo, hanno considerato la corsa alla ricchezza borghese come un elemento negativo da combattere per creare una società che abolisse tutto questo. Comunisti e nazisti credevano che la loro utopia indicasse la via del progresso, invece erano ugualmente reazionari. In termini filosofici erano reazionari tanto Marx quanto Nietzsche. Il valore del mondo libero borghese sfugge all'uno e all'altro, ed è combattuto tanto dal nazismo quanto dallo stalinismo". Obbiezione: ma si può coinvolgere in questa equazione tutto il marxismo? Dal movimento operaio nasce anche il riformismo socialdemocratico, la cittadinanza sociale, un sistema di civiltà che è il nostro.
"E le rispondo che la fonte principale della socialdemocrazia non è Marx, perché questa nasce in Inghilterra. La vera antitesi entro il movimento operaio, quella che dà vita alla tradizione riformista, scaturisce da un mondo non marxista. Ha contato di più in questo John Stuart Mill che Marx". Altra obbiezione. Marx era in guardia contro l'accusa di non volere il progresso e attaccava l'"anticapitalismo romantico". Il Manifesto comunista contiene un enfatico apprezzamento per la rivoluzione borghese. Il momento del proletariato doveva venire "dopo".
"Questa era la linea di difesa di Marx, ma le repliche della storia hanno dimostrato che sbagliava. La sua ideologia ha prodotto il comunismo e il comunismo è stato l'opposto di quello che immaginava. Quando parlava del passaggio dal regno della necessità a quello della libertà, esprimeva una sua illusione, e si è rivelato un terribile errore di visione storica". Nell'89 lei parlava in un celebre articolo sulla Stampa di "utopia capovolta", adesso questa è diventata una "utopia retrograda".
"Accetto l'espressione del titolo del libro di Bellinazzi, utopia reazionaria. E' insita in questo disegno utopico di trasformazione radicale della società una idea antiliberale, perché il liberalismo crede che la storia della libertà sia una storia di continui passaggi dal bene al male dal male al bene, di tentativi riusciti e tentativi falliti. Non c'è una fine obbligata nella società perfetta. Liberalismo è uguale ad antiperfezionismo, mentre il marxismo come il nazismo erano utopie perfezionistiche". Contro il perfezionismo allora lei è d'accordo con Isaiah Berlin? "Di nulla troppo".
"E in questo Berlin, il Berlin del "legno storto", quello del discorso di Torino del 1988, della ricerca della compatibilità tra ideali diversi, e ugualmente validi, aveva completamente ragione".