La campagna anti-Usa che imbarazza le autorita di Riad
"Boicotta gli Stati Uniti bevi la Cola islamica"


Ivan Bonfanti

Si chiama Zamzam Cola, arriva dall'Iran, dicono che vada giù che è un piacere e, soprattutto, è l'alternativa islamica alle più note Coca e Pepsi. Una bollicina religiosamente corretta, che in Arabia Saudita sta soppiantando con velocità inaudita le celebri bevande made in Usa. Appunto, americane, perché è proprio il paese e il governo di provenienza delle "rivali" la ragione dell'improvviso successo della copia prodotta nei sobborghi di Teheran, e i cui proprietari si fregano le mani annunciando progetti di espansione e aumenti nell'export.
Il caso della Zamzam, un nome che richiama una fonte sacra vicino alla città santa de La Mecca e la dice lunga sulla scaltrezza commerciale dei suoi produttori, non è affatto un caso isolato, ma la punta di un iceberg che sta montando nei paesi arabi (e in Arabia Saudita in particolare) e che chiama la gente al boicottaggio dei prodotti americani, gli «amici di Israele» e i «nemici dell'Islam». Cresciuta all'ombra dei minareti e nei circoli islamici radicali, scottati dalla guerra americana contro il terrorismo, la campagna contro le merci Usa è diventata una realtà dopo l'aprile scorso, mese d'inizio dell'offensiva israeliana nei Territori palestinesi. E nonostante l'opposizione della famiglia reale e l'imbarazzo di un regime già in grande difficoltà nelle relazioni con Washington, ha conquistato man mano credito tra i tanti sauditi indignati per l'atteggiamento filo-israeliano dell'Amministrazione Bush e innervositi dal clima di sospetto con cui dopo l'11 settembre l'America guarda a Riad e dintorni.

«Boicotta i prodotti Usa, ricordati che ogni dollaro speso oggi in prodotti americani si trasformerà domani in un proiettile contro i nostri fratelli palestinesi» chiariscono con volantini e appelli radio i promotori del boicottaggio, animato più che altro dagli attivisti religiosi e delle Ong islamiche. La Zamzam Cola ha già in cantiere una versione diet, sta registrando un successo dai numeri stupefacenti (solo nell'ultima settimana ha esportato 4 milioni di casse nell'est dell'Arabia Saudita) e facendo la felicità del signor Firas Khawaja, general manager al-Majarrah Foodstuffs, la società che la distribuisce a Riad. «Intanto va detto che è un ottimo prodotto - garantisce Khawaja - ma è chiaro che dietro l'impennata ci sia la campagna di boicottaggio dei prodotti americani». E le "vittime" non sono solo Coca e Pepsi. Le cifre spiegano che l'export Usa verso la penisola è calato del 40 per cento nei primi tre mesi del 2002, ed eravamo solo all'inizio.

Tra i colossi occidentali però non tutti si rassegnano al boicottaggio islamico, e c'è chi cerca di imbastire campagne promozionali facendo leva proprio sugli stessi sentimenti che rischiano di provocarne la chiusura. Il caso più clamoroso è quello dei McDonald's sauditi, che hanno lanciato il nuovo corso all'insegna dello slogan «acquista un BigMac, aiuta i palestinesi». La celebre catena di fast food, uno dei simboli più lampanti del "colonialismo commerciale" degli States e la prima ad essere nel mirino del boicottaggio, ha deciso che 26 cents per ogni hamburger venduto saranno devoluti agli ospedali che curano bambini palestinesi, e la gente è tornata a fare la fila. L'idea non è arrivata da qualche boss degli States, ma dal proprietario di un negozio in franchise di Gedda, Abderahhman Ali Reda, che pure ha criticato aspramente «l'ipocrisia di alcuni fanatici anti-occidentali che invitano a boicottare i McDonald's e poi girano in marcedes», spiegando che il danno è più per i lavoratori e i piccoli imprenditori locali che per gli interessi Usa.

In questo clima di crescente risentimento, che non è sfuggito agli uffici del Commercio del Dipartimento di Stato, è dovuto scendere in campo uno dei pezzi grossi della famiglia reale, che si è affrettato a rassicurare Washington cercando di placare l'ira dei concittadini. «Gli Stati Uniti sono un paese amico - ha spiegato il principe Misha bin Khalid in un'iniziativa a favore della campagna di McDonald's - e lo dimostra anche questa iniziativa, che raccoglierà almeno 100mila dollari in un mese».

Le morbide prese di posizione dei regnanti tuttavia non scalfiscono le certezze di milioni di sauditi che restano incollati tutto il giorno di fronte alle immagini della sofferenza palestinese che rimbalzano su al Jazeera e gli altri canali satellitari arabi. Se Riad ha aperto i suoi ospedali a tutti i feriti palestinesi, che oltre alle cure di cui hanno bisogno vengono risarciti con 4mila dollari ognuno, l'atteggiamento prudente della famiglia reale non è certo in sintonia con il sentimento generale nemmeno quando si tratta di "guerra al terrorismo", percepita come un conflitto dell'Occidente contro la religione islamica. Una sensibilità che si evince dal gesto, la settimana scorso, dell'ambasciatore britannico Derek Plumby, che quasi a tastare il clima politico ha trascorso un pomeriggio a visitare alcuni pazienti palestinesi all'ospedale saudita.

Solo segnali distanti, ma sempre segnali, sono invece le voci secondo cui una buona parte degli investitori sauditi si stiano preparando ad una grande fuga dai mercati Usa. Fino ad ora solo la seconda banca del Paese ha dichiarato che 600 milioni di dollari sarebbero stati «dirottati» lontano dai mercati americani. Piccola cosa rispetto ai 1000 e oltre miliardi di dollari che le finanziarie saudite tengono in mobilità sulle piazze statunitensi.

Liberazione 23 agosto 2002
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