Uranio, l'Italia scarica i soldati malati di cancro
La Difesa: «Nessun sospetto di rischio»

Falco Accame

E' possibile, ci chiediamo, che nel '92-'93 dopo la guerra del Golfo, il ministero della Difesa non abbia sentito parlare di quello di cui hanno sentito parlare milioni di italiani e cioè della "sindrome del Golfo"? In sostanza, della vicenda di tanti civili e militari in Irak e negli Stati Uniti (ma anche in altro paesi come Canada, Gran Bretagna e Francia) colpiti da malattie (e da malformazioni alla nascita della prole) attribuite a contaminazione da uranio impoverito? E' possibile che perfino i servizi segreti, che tutto dovrebbero sapere circa le vicende militari (almeno quelle che riguardano gli alleati!), di nulla si siano accorti quasi che abbiano operato con gli occhi bendati e le orecchie tappate? E' possibile che la nostra sanità militare non sia stata al corrente degli studi medici esistenti circa la pericolosità dell'uranio, studi che risalgono già agli anni 50?
Tutto questo sembra assurdo eppure non è tanto assurdo se, in un documento circolato nelle aule giudiziarie (vedi riquadro a destra) si legge a proposito delle conoscenze circa la pericolosità dell'uranio: «Tanto più dunque negli anni 1992-1993 poteva esserci nelle autorità militari italiane o di qualunque altro paese intervenuto nella crisi in Somalia, non diciamo la consapevolezza, ma neppure il più pallido sospetto di un rischio derivante dall'esposizione all'uranio impoverito».

Certamente le cose non stanno così per gli Stati Uniti, all'epoca dell'operazione Restore Hope, che di preoccupazioni ne avevano! Si legge infatti in un documento della Direzione della sanità militare Usa e precisamente del Department of the Army, Office of the Surgeon General, del 16 agosto 1993, documento non classificato e quindi accessibile a tutti: «When soldiers inhale or ingest D. U. dust they incur a potential increase in cancer risk» («Quando i soldati inalano o ingeriscono uranio impoverito essi incorrono in un potenziale incremento del rischio di cancro»). Più chiaro di così si muore! Ma già dal 1991, sempre in un altro documento non classificato Usa si parlava del rischio legato all'uranio. Il documento riguardava "Peace time limits on the intake of debleted uranium" ed era pubblicato nella appendix B to part 20, 1001 thru 2401, page 23409, Federal Register, del 21 maggio 1991.

Tra l'altro il nostro paese era sicuramente interessato alla questione dell'uranio impoverito perché durante la guerra del Golfo abbiamo avuto delle forze militari stanziate negli emirati arabi e si è registrato qualche caso di sospetta contaminazione, vedi ad esempio il caso del marinaio dell'"Audace", Vincenzo Maramarco.

Questi documenti, pubblicati negli Usa, non dovrebbero essere sfuggiti al nostro apparato di intelligence presso l'ambasciata a Washington, come pure ai nostri servizi segreti largamente presenti in Somalia. Per le operazioni in Somalia, gli Usa, fin dal 14 ottobre '93, avevano emanato rigidissime norme di protezione (anch'esse non classificate) dai rischi dell'uranio impoverito a cui si dovevano attenere i reparti Usa.

Il Pentagono spiegava il comportamento da tenere in caso di esposizione o inalazione di polvere dell'uranio impoverito: «Questo messaggio - si legge - viene inviato per fornire consigli ed assistenza al personale medico che può trovarsi di fronte a soldati che abbiano ricevuto una esposizione, fuori del normale, all'uranio impoverito».

Certo sarebbe inquietante se tali documenti non fossero stati messi a conoscenza del comando italiano nella sede Interforze della Restore Hope, visto che per le operazioni interalleate si esige un completo scambio di informazioni logistiche e operative tra le forze partecipanti. Se questo scambio non è stato effettuato la questione avrebbe dovuto dar luogo ad un formale contenzioso con gli Stati Uniti (contenzioso che però non risulta che vi sia stato). Si sarebbe trattato di qualcosa di ben più grave che slealtà o scorrettezza.

Altra questione riguarda il legame tra uranio impoverito e l'insorgere di patologie tumorali e di malformazioni alla nascita. Per quanto riguarda la possibilità di contaminazione si legge, ad esempio, su Il Corriere della Sera del 13 febbraio 2002 che una commissione di ufficiali medici ha riconosciuto l'esistenza di questo legame. Ovviamente, così come capita per le polveri di amianto, si può parlare di un legame di probabilità e non di certezza (né l'amianto né il fumo sono cause certe di tumori, ma non per questo non suggeriscono cautele!). Un legame di probabilità è ben sufficiente a destare preoccupazioni e a far scattare il "principio di precauzione". Tanto questo è vero che misure di protezione come quelle che furono adottate dagli Stati Uniti sia per le operazioni in Somalia nel 1993 e in Bosnia nel 1995, vennero successivamente (nel 1999) adottate dalla Kfor, la forza multilaterale nei Balcani e poi (nel 2000) dalla Folgore a riprova che i rischi c'erano. Ed anche dopo la terza relazione Mandelli, l'on. Martino il 9/7/2002 affermava che: «Ho disposto il mantenimento di tutte le precauzioni cautelative».

Purtroppo fino al dicembre 2000 il ministero della Difesa aveva negato che in Bosnia fosse stato usato l'uranio impoverito quando gli aerei che hanno seguito le missioni sono partiti dalle basi italiane di Aviano e Gioia del Colle e quindi erano perfettamente al corrente delle armi usate (quali, quante e dove). Un atteggiamento quindi di completa chiusura su una vicenda causa di dolori e gravi preoccupazioni per il personale. Dietro il quale traspare una convinzione di assoluta infallibilità, una convinzione che nessuna istituzione oggi più vanta di possedere. C'è solo da augurarsi che il ministero della Difesa non si trasformi in una Fortezza Bastiani, quella di cui ci parla Dino Buzzati nel Deserto dei Tartari, isolata dal mondo che la circonda.

Liberazione 22 agosto 2002
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