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    «Mi honor se llama fidelidad»
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    Predefinito 26 novembre - Serva di Dio Isabella di Castiglia, detta La Cattolica, Regina

    Isabella di Castiglia (1451-1504)

    di Francesco PAPPALARDO

    1. I primi anni di regno
    Isabella di Castiglia nasce a Madrigal de las Altas Torres, presso Ávila, il 22 aprile 1451, da re Giovanni II (1405-1454) e da Isabella di Portogallo (m. 1496), sua seconda moglie. Dai tre ai dieci anni di età vive ad Arévalo, pure presso Avila, educata amorevolmente dalla madre e guidata spiritualmente dai francescani; chiamata alla corte di Segovia dal fratello, il nuovo sovrano re Enrico IV (1425-1474), dà prova di maturità chiedendo e ottenendo il permesso di vivere in casa propria per fuggire alla vita dissoluta della Corte. All'età di diciassette anni mostra di possedere un carattere energico e deciso, rifiutando la proposta dei seguaci del fratello minore Alfonso (1453-1468), scomparso prematuramente, di essere proclamata regina invece del re Enrico, la cui politica aveva suscitato l'opposizione armata di una parte della nobiltà e del paese.
    Il 19 ottobre 1469, dopo aver rifiutato numerosi pretendenti proposti dal sovrano, sposa don Ferdinando (1452-1516), principe ereditario di Aragona e re di Sicilia, che s'impegna a portare a termine con la consorte, appena possibile, la Reconquista, cioè la riconquista della penisola iberica occupata dai musulmani quasi otto secoli prima. Finalmente, alla morte del fratello Enrico, è incoronata regina di Castiglia e di León il 13 dicembre 1474, a Segovia, dove consacra il regno a Dio, giura fedeltà alle leggi della Chiesa, si impegna a rispettare la libertà e i privilegi del reame e a farvi regnare la giustizia.
    La giovane regina si trova alla guida di una società ricca di vitalità e di energie, ma indebolita da contese intestine e dall'amministrazione poco attenta dei suoi predecessori. Fin dall'inizio del suo regno convoca tutta la nazione ad assemblee generali per l'elaborazione del programma di governo e più volte riunisce le Cortes di Castiglia, formate dai rappresentanti della nobiltà e del clero e dai delegati delle città, alle quali chiede auxilium e consilium prima di prendere le decisioni più importanti. Grazie al coinvolgimento della nazione nell'attività riformatrice e al rispetto per le autonomie regionali e per i fueros, cioè per l'insieme di consuetudini e di privilegi delle comunità locali e dei corpi intermedi, Isabella gode di un largo consenso, che le permette di giungere in breve tempo alla pacificazione del paese. Inoltre, ordina la redazione di un codice valido per tutto il regno, che viene pubblicato nel 1484 con il titolo di Ordenanzas Reales de Castilla; presiede quasi settimanalmente le sedute dei tribunali e dà pubblica udienza a chiunque ne faccia richiesta. Il suo senso della giustizia e la sua clemenza conquistano rapidamente il paese.
    Isabella dà un notevole contributo anche alla riforma della Chiesa in Castiglia, grazie al sostegno di Papa Alessandro VI (1492-1503), che le concede ampi poteri, e all'aiuto del francescano Francisco Jiménez de Cisneros (1436-1517), suo confessore e poi arcivescovo di Toledo. La riforma del clero e degli ordini religiosi favorisce la formazione di un episcopato molto preparato e all'altezza del servizio universale cui la Chiesa spagnola sarà presto chiamata, nonché di una legione di santi - per tutti sant'Ignazio di Loyola (1491-1556) e santa Teresa d'Ávila (1515-1582) - e di missionari, che si prodigheranno specialmente nell'evangelizzazione delle Canarie, dell'emirato musulmano di Granada, delle Americhe e delle Filippine.
    Isabella promuove anche gli studi ecclesiastici, fondando numerose università - anzitutto quella di Alcalá de Henares, che diventa il centro più importante di studi biblici e teologici del regno -, e istituisce collegi e accademie per laici di ambo i sessi, che danno alla Spagna una classe dirigente ben preparata e una schiera di uomini di vasta cultura e di profonda religiosità, che negli anni seguenti offriranno contributi importanti al Rinascimento spagnolo, che sarà ampiamente cristiano, alla Riforma cattolica e al Concilio di Trento (1545-1563).

    2. L'Inquisizione e l'espulsione degli ebrei
    La difesa e la propagazione della fede costituiscono la preoccupazione principale di Isabella, che a tale scopo chiede e ottiene dal Pontefice l'istituzione di un tribunale dell'Inquisizione, ritenuta necessaria per fronteggiare la minaccia rappresentata dalle false conversioni di ebrei e di musulmani.
    Nei regni della penisola iberica gli ebrei, molto numerosi, avevano da secoli uno statuto non scritto di tolleranza e godevano di una protezione particolare da parte dei sovrani. Invece, i rapporti a livello popolare fra ebrei e cristiani erano più difficili, soprattutto perché era consentito ai primi non solo di tenere aperte le botteghe in occasione delle numerose festività religiose, ma anche di effettuare prestiti a interesse, in un'epoca in cui il denaro non veniva ancora considerato come un mezzo per ottenere ricchezza. La situazione era complicata dalla presenza di numerosi conversos, cioè di ebrei convertiti al cattolicesimo, che dominavano l'economia e la cultura, ma che talora mostravano un'adesione puramente formale alla fede cattolica e celebravano in pubblico riti inequivocabilmente giudaici. Quando Isabella sale al trono la convivenza fra ebrei e cristiani è molto deteriorata e il problema dei falsi convertiti - secondo l'autorevole storico della Chiesa Ludwig von Pastor (1854-1928) - era tale da mettere in questione l'esistenza o la non esistenza della Spagna cristiana.
    Sollecitato da Isabella e dal marito Ferdinando d'Aragona - che avevano invano promosso una campagna pacifica di persuasione nei confronti dei giudaizzanti - il 1° novembre 1478 Papa Sisto IV (1471-1484) istituisce l'Inquisizione in Castiglia, con giurisdizione soltanto sui cristiani battezzati. Pertanto, nessun ebreo è stato mai condannato perché tale, mentre sono stati condannati quanti si fingevano cattolici per trarne vantaggi. L'Inquisizione, colpendo una percentuale ridotta di conversos e di moriscos, cioè musulmani diventati cristiani solamente per opportunismo, certifica che tutti gli altri erano veri convertiti e che nessuno aveva il diritto di discriminarli o di attaccarli con la violenza.
    Negli anni che seguono l'istituzione dell'Inquisizione è comunque indispensabile procedere all'allontanamento degli ebrei dalla Castiglia e dall'Aragona. Preoccupati per la crescente infiltrazione dei falsi convertiti nelle alte cariche civili ed ecclesiastiche e dalle gravi tensioni che indeboliscono l'unità del paese, il 31 marzo 1492 Isabella e Ferdinando si vedono costretti a revocare il diritto di soggiorno agli ebrei non convertiti. I due sovrani, sperando nella conversione della grande maggioranza degli ebrei e nella loro permanenza sul posto, fanno precedere il provvedimento da una grande campagna di evangelizzazione.

    3. Da Granada a San Salvador
    La tensione verso l'unità religiosa, tanto più comprensibile in un'epoca nella quale l'appartenenza dei cittadini alla stessa fede era l'elemento fondante degli Stati, anima anche la lotta plurisecolare per la liberazione del territorio iberico dalla dominazione musulmana. La definitiva conquista delle ultime roccaforti andaluse è gloria di tutti gli spagnoli, ma in particolare di Isabella, che per portare a termine la Reconquista profonde tutte le sue energie e il suo denaro, fa costruire strade e città, assolda truppe scelte, provvede all'assistenza dei feriti e dei malati.
    La vittoria sui musulmani, sancita dalla resa di Granada il 2 gennaio 1492, dopo dieci anni di combattimenti, è l'evento più importante della politica europea del tempo e provoca grande giubilo in tutto il mondo cristiano. L'entusiasmo religioso e nazionale che sostiene l'impresa spiega anche il fatto che i sovrani accolgano il progetto, apparentemente irrealizzabile, del genovese Cristoforo Colombo (1451ca.-1506): le Capitulaciones de Santa Fe, il documento con cui veniva dato il via alla sua spedizione, sono, appunto, firmate nel quartier generale di Granada, due mesi dopo la riconquista della città.
    La speranza di Isabella è quella di condurre altri popoli alla vera fede e non bada né a spese né a difficoltà per onorare gli impegni con Alessandro VI, che aveva concesso ai sovrani il diritto di patronato sulle nuove terre in cambio di precisi doveri di evangelizzazione. La regina, che già nel 1478 aveva fatto liberare gli schiavi dei coloni nelle Canarie, proibisce subito la schiavitù degli indigeni nel Nuovo Mondo e la decisione viene rispettata da tutti i suoi successori. Grazie all'impegno di Isabella e dei suoi successori l'incontro fra popoli così diversi, come gli iberici e gli indo-americani, è molto fecondo, incoraggia un'autentica integrazione razziale - che si realizza sotto il segno del cattolicesimo, senza incontrare le difficoltà proprie della colonizzazione di marca protestante - e determina la nascita di una nuova e originale civiltà cristiana.
    Alla fine del 1494 Papa Alessandro VI concede a Ferdinando e a Isabella il titolo di Re Cattolici come ricompensa per le loro virtù, per lo zelo in difesa della fede e della Sede Apostolica, per le riforme apportate nella disciplina del clero e degli ordini religiosi, e per la sottomissione dei mori.
    La regina, nonostante le gravi sventure familiari che funestano gli ultimi anni della sua vita - la scomparsa dell'unico figlio maschio, Giovanni (1478-1497), della giovane figlia Isabella (1470-1498), del nipotino Michele, nonché l'offuscamento della mente della figlia Giovanna (1479-1555) -, non viene mai meno ai suoi doveri. Combattiva fino all'ultimo e confortata da una fede eroica, muore a Medina del Campo il 26 novembre 1504.

    4. La causa di beatificazione
    Benché presso i contemporanei fosse quasi unanime il plauso per le virtù di Isabella e l'ammirazione per la sua vita esemplare, la diffusione di una "leggenda nera" sulla Spagna cattolica, le guerre di religione, la difficoltà di consultare i documenti ritardano notevolmente l'apertura della causa di beatificazione. Ma la fama di santità della regina cresce nei secoli e con il procedere dell'indagine storica, così che nel 1958 si apre in diocesi di Valladolid la fase preliminare del processo di canonizzazione, con l'insediamento di una commissione di esperti chiamata a esaminare oltre centomila documenti conservati negli archivi di Spagna e del Vaticano. Il 26 novembre 1971 è istruito il processo ordinario diocesano, che si conclude dopo la celebrazione di ottanta sessioni; il processo apostolico a Roma si apre il 18 novembre 1972 e, dopo quattordici anni di lavoro, è portata a termine la composizione della Positio historica super vita, virtutibus et fama sanctitatis della serva di Dio, sulla quale sei consultori della Congregazione delle Cause dei Santi, nella riunione del 6 novembre 1990, esprimono un giudizio positivo. Gli atti sono trasmessi a una commissione teologica perché si pronunci sul merito della causa, ma l'iter subisce un rallentamento in occasione del quinto centenario della scoperta e dell'evangelizzazione dell'America, che ha visto lo scatenarsi di polemiche strumentali da parte di quanti ritengono che la beatificazione della regina nuocerebbe allo spirito ecumenico e che l'istituzione del tribunale dell'Inquisizione e la "conquista" dell'America siano ostacoli insormontabili per il riconoscimento della santità di Isabella.
    Un Comitato Promotore della Causa è stato costituito da circa cinquanta cardinali, arcivescovi e vescovi di diverse nazionalità e da personaggi illustri del mondo cattolico per sollecitare la beatificazione della serva di Dio che - come afferma il canonista claretiano argentino Anastasio Gutiérrez Poza (1911-1998), postulatore della causa - è modello di vita per i reggitori degli Stati, ai quali mostra la via della carità politica; per i laici, ai quali insegna come perseguire il Regno di Dio trattando le cose temporali; per le famiglie e per le donne, come figlia, sorella, sposa fedele, madre sollecita e premurosa di cinque figli, ai quali si è dedicata senza trascurare gli affari di governo. Tuttavia il suo principale insegnamento consiste nella sollecitudine per l'impegno missionario, che anima tutte le sue grandi imprese e che induce a proporla come modello della prima e della nuova evangelizzazione del mondo in genere e dell'Europa in specie.

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    Eduardo Rosales, Il testamento di Isabella la cattolica, 1864, Museo del Prado, Madrid

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    TESTAMENTO Y CODICILO

    DE

    ISABEL I DE CASTILLA

    MEDINA DEL CAMPO
    12 de octubre y 23 de noviembre de 1504


    EN EL NONBRE DE DIOS TODO PODEroso Padre e Fijo e Spiritu Sancto, tres personas e vna essençia diuinal, criador e gouernador vniuersal del çielo e de la tierra e de todas las cosas visibles e ynuisibles, e de la gloriosa virgen María, su madre, rreyna de los çielos e señora de los ángeles, nuestra señora e abogada, e de aquel muy exçelente prínçipe de la iglesia e cauallería angelical, sant Miguel, e del glorioso mensagero çelestial el arcangel sant Gabriel, e a honrra de todos los sanctos e sanctas de la corte del çielo, speçialmente de aquél muy sancto precursor e pregonero de nuestro redemptor Ihesu Chripto sant Juan Baptista, e de los muy bienauenturados prínçipes de los apóstolos sanct Pedro e sanct Pablo, con todos los otros apóstolos, señaladamente del muy bien auenturado sant Juan Euangelista, amado diçípulo de nuestro señor Ihesu Chripto, e águila caudal e exmerada, a quien sus muy altos misterios e secretos muy altamente reueló e por su hijo speçial a su muy gloriosa madre dio al tiempo de su sancta passión, encomendando muy conueniblemente la virgen al virgen; al qual sancto apóstol e euangelista yo tengo por mi abogado speçial en esta presente vida e así lo espero tener en la hora de mi muerte e en aquel muy terrible juizio e estrecha examinaçión, e más terrible contra los poderosos, quando mi ánima será presentada ante la silla e trono real del juez soberano muy justo e muy igual, que según nuestros mereçimientos a todos nos ha de juzgar, en vno con el bien auenturado e digno hermano suyo el apóstol Santiago, singular e exçelente padre e patrón destos mis regnos e muy marauillosa e misericordiosamente dado a ellos por Nuestro Señor por speçial guardador e protector, e con el seráphico confessor patriarcha de los pobres e alférez marauilloso de Nuestro Señor Ihesu christo, padre otrosí mío muy amado e special abogado Sanct Francisco, con los gloriosos confessores e grandes amigos de nuestro Señor sanct Gerónimo, doctor glorioso, e sancto Domingo, que como luzeros de la tarde resplandeçieron en las partes oçidentales de aquestos mis regños a la víspera e fin del mundo, en los quales e en cada vno dellos yo tengo speçial deuoçion, e con la bien aventurada sancta Maria Madalena, a quien asý mismo yo tengo por mi abogada; por que así como es çierto que avemos de morir, así nos es ynçierto quando ni donde moriremos, por manera que deuemos biuir e así estar aparejados como si en cada hora ouiésemos de morir.

    POR ENDE, sepan quantos esta carta de testamento vieren como yo Doña YSABEL, por la gracia de Dios rreyna de Castilla, de León, de Aragón, de Seçilia, de Granada, de Toledo, de Valençia, de Galizia, de Mallorcas, de Seuilla de Çerdeña, de Córdoua, de Córçega, de Murçia, de Jahen, de los Algarbes, de Algezira e de Gibraltar e de las yslas de Canaria; condesa de Barçelona e señora de Vizcaya e de Molina; duquesa de Athenas e de Neopatria; condesa de Rosellón e de Çerdania, marquesa de Oristán e de Goçéano. Estando enferma de mi cuerpo de la enfermedad que Dios me quiso dar e sana e libre de mi entendimiento; creyendo e confesando firmement todo lo que la sancta iglesia cathólica de Rroma tiene, cree e confiesa e predica, señaladamente los siete artículos de la diuinidad e los siete de la muy sancta humanidad, segund se contiene en el credo e símbolo de los apóstolos e en la exposiçion de la fe cathólica del grand Conçilio Niçeno, que la sancta madre iglesia continuamente confiesa, canta e predica, e los siete sacramentos della; en la qual fe e por la qual fe estoy aparejada para por ella morir, e lo reçibiría por muy singular e exçelente donde la mano del Señor, e así lo protesto desde agora e para aquel articulo postrero de biuir e de morir en esta sancta fe cathólica, e con esta protestaçión ordeno esta mi carta de testamento e postrimera voluntad, queriendo ymmitar al buen rey Ezechías, queriendo disponer de mi casa cómmo si luego la ouiese de dexar.

    E primeramente encomiendo mi spiritu en las manos de Nuestro Señor Ihesu Chripto, el qual de nada lo crió e por su preçiosíssimo sangre lo redimió. E puesto por mí en la cruz, el suyo encomendo en manos de su eterno Padre, al qual confieso e cognozco que me deuo toda, por los muchos e ymmensos beneficios generales que a todo el humano linage e a mí, como vn pequeño yndiuiduo del, ha fecho, e por los muchos e singulares beneficios particulares que yo, indigna e pecadora, de su ynfinita bondad e ynefable largueza, por muchas maneras en todo tiempo he reçebido e de cada día reçibo; los quales sé que no basta mi lengua para contar, ni mi flaca fuerça para los agradeçer, ni aún como el menor dellos meresçe. Más suplico a su ynfinita piedad quiera reçebir a questa mi confessión dellos e la buena voluntad, e por aquellas entrañas de su misericordia en que nos visito naçiendo de lo alto e por su muy sancta incarnaçión e natiuidad e passión e muerte e resurreçión e asçensión e aduenimiento del Spiritu Sancto paráclito, e por todos los otros sus muy sanctos misterios, le plega no entrar en juizio con su sierua, mas haga comigo segund aquella grand misericordia suya, e ponga su muerte e passión entre su iuizio e mi ánima. E si ninguno antel se puede justificar, quanto menos los que de grandes reynos e estados auemos de dar cuenta. E ynteruengan por mí ante su clemencia los muy exçelentes méritos de su muy gloriosa madre e de los otros sus santos e santas mis deuotos e abogados, specialmente mis deuotos e speciales patronos e abogados santos suso nonbrados, con el susodicho bien auenturado prínçipe de la cauallería angelical, el arcangel sant Miguel, el qual quiera mi ánima reçebir e anparar e defender de aquella bestia cruel e antigua serpiente, que entonçes me querrá tragar, e no la dexe fasta que por la misericordia de Nuestro Señor sea colocada en aquella gloria para que fue criada.

    E QUIERO e mando que mi cuerpo sea sepultado en el monasterio de Sant Francisco, que es en la Alhanbra de la çibdad de Granada, seyendo de religiosos o de religiosas de la dicha orden, vestida en el hábito del bien auenturado pobre de Ihesu Chripto Sant Francisco, en vna sepultura baxa que no tenga vulto alguno, saluo vna losa baxaen el suelo, llana, con sus letras esculpidas en ella. Pero quiero e mando que si el rey mi señor eligiere sepultura en otra qualquier iglesia o monasterio de qualquier otra parte o lugar destos mis reynos, que mi cuerpo sea alli trasladado e sepultado junto con el cuerpo de su señoría, por que el ayuntamiento que touimos biuiendo e que nuestras animas espero en la misericordia de Dios ternan en el çielo, lo tengan e representen nuestros cuerpos en el suelo.

    E quiero e mando que ninguno vista xerga por mí e que en las obsequias que se fezieren por mi, donde mi cuerpo estouiere, las hagan llanamente sin demasias, e que no haya en el vulto gradas ni chapiteles, ni en la iglesia entoldaduras de lutos ni demasia de hachas, saluo solamente treze hachas que ardan de cada parte en tanto que se hiziere el ofiçio diuino e se dixeren las missas e vigilias en los días de las obsequias, e lo que se auía de gastar en luto para las obsequias se conuierta e de en vistuario a pobres, e la çera que en ellas se auía de gastar sea para que arda antel sacramento en algunas iglesias pobres, onde a mis testamentarios bien visto fuere.

    ITÉM quiero e mando que si falleçiere fuera de la çibdad de Granada, que luego, sin detenimiento alguno, lleuen mi cuerpo entero, como estouiere, a la çibdad de Granada. E si acaesçiere que por la distançia del camino o por el tienpo, no se podiere lleuar a la dicha çibdad de Granada, que en tal caso, lo pongan e deposite en el monasterio de sant Juan de los Reyes, de la çibdad de Toledo. E si a la dicha çibdad de Toledo no se podiere lleuar, se deposite en el monasterio de sant Antonio de Segouia. E si a la dicha çibdad de Toledo ni de Segouia no se podiere lleuar, que se deposite en el monasterio de Sant Francisco mas cercano de donde yo falleçiere, e que este allí depositado fasta tanto que se pueda lleuar e trasladar a la çibdad de Granada; la qual translaçión encargo a mis testamentarios que hagan lo más presto que ser podiere.

    ITÉM mando, que ante todas cosas sean pagadas todas las debdas e cargos, así de prestados como de raçiones e quitaçiones e acostamientos e tierras e tenençias e sueldos e casamientos de criados e criadas e descargos de seruiçios e otros qualesquier linages de debdas e cargos e yntereses de qualquier qualidad que sean, que se fallare yo deuer, allende las que dexo pagadas. Las quales mando que mis testamentarios averiguen e paguen e descarguen dentro del año que yo falleçiere, de mis bienes muebles, e si dentro del dicho año no se podieren acabar de pagar e cunplir, que lo cunplan e paguen pasado el dicho año, lo más presto que ser podiere, sobre lo qual les encargo sus consçiençias. E si los dichos bienes muebles para ello no bastaren, mando que las paguen de la renta del reyno e que por ninguna neçesidad que se ofrezca no se dexen de cunplir e pagar el dicho año, por manera que mi ánima sea descargada dellas, e los conçejos e personas a quien se deuieren sean satisfechos e pagados enteramente de todo lo que les fuere deuido. E si las rrentas de aquel año no bastaren para ello, mando que mis testamentarios vendan, de las rrentas del rreyno de Granada, los marauedís de por vida que vieren ser menester para lo acabar todo de cunplir e pagar e descargar.

    ITÉM mando, que después de cunplidas e pagadas las dichas debdas, se digan por mi ánima, en iglesias e monasterios obseruantes de mis reynos e señorios, veynte mill missas, adonde a los dichos mis testamentarios pareçiere que deuotamente se dirán, e que les sea dado en limosna lo que a los dichos mis testamentarios bien visto fuere.

    ITÉM mando, que después de pagadas las dichas debdas, se distribuya vn cuento de marauedís para casar donzellas menesterosas. E otro cuento de marauedís para con que puedan entrar en religión algunas donzellas pobres, que en aquél santo estado querrán seruir a Dios.

    ITÉM mando, que demás e allende de los pobres que se auían de vestir de lo que se aua de gastar en las obsequias, sean vestidos dozientos pobres, porque sean speçiales rogadores a Dios por mí, e el vistuario sea qual mis testamentarios vieren que cunple.

    ITÉM mando, que dentro del año que yo falleçiere, sean redimidos dozientos captiuos de los neçessitados, de qualesquier que estouieren en poder de ynfieles, porque Nuestro Señor me otorgue jubileo e remissión de todos mis pecados e culpas; la qual redempçión sea fecha por persona digna et fiel, qual mis testamentarios para ello deputaren.

    ITÉM mando, que se de en limosna para la iglesia catedral de Toledo e para Nuestra Señora de Guadalupe e para las otras mandas pías acostunbradas, lo que bien visto fuere a mis testamentarios.

    ITÉM mando, que sea cunplido el testamento del rey don Juan, mi señor e padre, que sancto paraíso aya, quanto toca a lo que mandó para honrrar su sepultura en el deuoto monasterio de sancta María de Miraflores, çerca de lo qual se podrá aver ynformaçión de los religiosos del dicho monasterio, de lo que dello esta cunplido e resta por cunplir. E como quiera que a mi notiçia no aya venido que del dicho testamento aya otra cosa por cunplir, a que yo sea obligada de derecho, pero si se fallare en algund tiempo que del esta otra cosa por cunplir a que yo sea obligada, mando que se cunpla. E así mismo mando, que se cunplan otros qualesquier testamentos que yo aya en qualquier manera açeptado e sea obligada a cunplir.

    OTROSÍ, por quanto por algunas neceéisdades e causas dí lugar e consentí que en aquestos mis reynos ouiese algunos ofiçiales acreçentados en algunos ofiçios, de lo qual ha redundado e redunda daño e grand gasto e fatiga a los librantes, demando perdón dello a Nuestro Señor e a los dichos mis reynos, e aunque algunos dellos ya estan consumidos, si algunos quedan por consumir, quiero e mando que luego sean consumidos e reduzidos los ofiçiales dellos al número e estado en que estouieron e deuieron estar segund la buena e antigua costunbre de los dichos mis reynos, e que de aquí adelante no se puedan acreçentar ni acreçienten de nueuo los dichos ofiçios ni alguno dellos.

    ITÉM, por quanto el rey mi señor e yo, por neçessidades e ynportunidades confirmamos algunas merçedes e fezimos otras de nueuo, de çibdades e villas e lugares e fortalezas perteneçientes a la Corona real de los dichos mis rreynos, las quales no emanaron ni las confirmamos ni fezimos de mi libre voluntad, aunque las cartas e prouisiones dellas suenen lo contrario, e por que aquellas redundan en detrimento e diminuçión de la Corona real de los dichos mis reynos e del bien público dellos, e sería muy cargoso a mi ánima e consçiençia no proueer çerca dello, por ende quiero e es mi determinada voluntad, que las dichas confirmaçiones e merçedes, las quales se contienen en vna carta firmada de mi nonbre e sellada con mi sello, que queda fuera deste mi testamento, sean en sí ningunas e de ningund valor e efecto, e de mi proprio motu e çerta sçiençia e poderío real absoluto, de que en esta parte quiero vsar e vso,las reuoco, casso e annullo e quiero que no valan agora ni en algund tiempo, aunque en sí contengan que no se puedan reuocar, e aunque sean conçedidas propio motu o por seruiçios o satisfaçión o remuneraçión o en otra qualquier manera e contengan otras cualesquier derogaçiones, renunçiaçiones e non obstançias e claúsulas e firmezas e otra qualquier forma de palabras e avnque sean tales que dellas o alguna dellas se requiera aqui fazer spressa e speçial mençión; las quales e el tenor dellas e de cada vna dellas, con todo lo en ellas e en cada vna dellas contenido, yo quiero ayer e he aqui por espressas, como si de verbo ad verbum aquí fuesen ynsertas.

    E quanto a las merçedes de la villa de Moya e de los otros vasallos, que fesimos a don Andrés de Cabrera, marqués de Moya e a la marquesa doña Beatriz de Bouadilla, su muger, las quales emanaron de nuestra voluntad e las fezimos por la lealtad con que nos seruieron para aver e cobrar la suçessión de los dichos mis reynos, segund es notorio en ellos, en lo qual al rey mi señor e a mí e a nuestros sucessores e a todos los dichos reynos fesieron grande e señalado seruiçio, e así los encomiendo mucho al rey mi señor e a la prinçesa, mi muy cara e muy amada hija, para que a ellos e a sus desçendientes honrren e acreçienten como sus leales e agradables seruiçios lo mereçen. Porque el rey mi señor e yo les ovimos fecho merçed de çiertos lugares e vasallos de tierra de Segouia, para que los dichos marqués e marquesa los touiesen çiertos años en prendas de otros tantos vasallos, que fue nuestra merçed e voluntad de les dar, demás e allende de la dicha villa de Moya, en remuneraçion de los dichos sus seruiçios por ende por que la dicha Corona real no quede agrauiada ni asímismo la dicha çibdad de Segouia, a quien el rey mi señor e yo ovimos jurado solennemente que nunca daríamos ni enagenaríamos lugar alguno de la tierra e término de la dicha çibdad de Segouia, ni nuestra voluntad ni yntençión fue de los enagenar de la dicha çibdad, sino por enpeño fasta les dar otros vasallos. Quiero e mando, que luego sea fecha emienda e equiualençia de todo ello a los dichos marqués e marquesa de Moya en otros lugares e vasallos de los que avemnos ganado en el dicho reyno de Granada, dándoles en ello otros lugares e vasallos e rentas con sus jurisdiçiones e señorío e mero e mixto imperio, que sean de tanta suma de renta e valor como lo son los dichos lugares e vasallos que tienen en el dicho enpeño de la dicha çibdad de Segouia, a vista e extimaçión de buenas personas nonbradas para ello por ambas partes con juramento que sobrello hagan en deuida forma. E porque en la merçed que les fezimos de la dicha villa de Moya, aunque emanó de nuestra voluntad, ay dubda si la podimos hazer, así por estar como esta en cabo e frontera de reyno, como a causa del juramento que a la dicha villa teníamos hecho de no la enagenar de nuestra Corona real, mando que se mire mucho si la dicha merçed ovo lugar dese fazer e si nos la podimos hazer, e si se nos pudo relaxar el dicho juramento. E si se fallare que se pudo hazer e relaxar, la dicha merçed quede a los dichos marqués e marquesa segund la tienen de nos. E si se hallare que no ovo lugar ni les podimos hazer la dicha merçed, mando que en tal caso luego sea fecha emienda e equiualençia de la dicha villa de Moya a los dichos marqués e marquesa, en otra villa e tierra e lugares e vasallos e rentas de lo que asi avemos ganado en el reyno de Granada, donde se puedan yntitular e yntitulen marqueses, con su jurisdiçión e mero e mixto imperio e rentas e señorio en tanta summa e valor, como lo es la dicha villa de Moya e su tierra e término e jurisdiçión e señorío, cunpliéndoles sobre la villa que así les fuere dada, la renta e valor de la dicha villa de Moya, por manera que ninguna cosa abaxen ni pierdan ni diminuyan de su estado, antes reçiban ventaja e acreçentamiento. La qual dicha equiualençia, que así les fuere dada a los dichos marqués e marquesa por los dichos lugares que tienen en enpeño e por la dicha villa de Moya, ayan e tengan por suya e comido suya para sienpre jamás, por juro de heredad, para ellos e para sus deçendientes e para quien ellos quisieren e por bien touieren, quedando en la villa e lugares que así les fueren dados, para nos e para los otros reyes que después de mí reynaren, la superioridad de la justiçia e pedidos e monedas e moneda forera e mineros de oro e plata e otros metales, si los y ouiere, e todas las otras cosas que andan con el señorío real e non se pueden ni deuen apartar del.

    E que luego que fuere dada e fecha e entregada la dicha equiualençia a los dichos marqués e marquesa o sus herederos, dexen libremente para la Corona real la dicha villa de Moya, con su fortaleza e tierra e términos e jurisdiçión e señorío e rentas e vasallos, e a la dicha çibdad de Segouia los dichos lugares e vasallos libre e desenbargadamente para que la dicha Corona real e la dicha çibdad de Segouia los ayan e tengan e posean sin ynpedimento alguno, non obstante quel tiempo del dicho enpeño sea pasado.

    ITÉM, por quanto yo ove jurado de tornar e restituir la çibdad de Áuila çiertos lugares e vasallos, de que el rey don Henrrique, mi hermano, que aya sancta gloria, con sus nesçessidades hiso merced a don Garçi Áluarez de Toledo, duque de Alua, que fasta aquí ha tenido don Pedro de Toledo, su hijo, defuntos, e agora tienen sus herederos del dicho don Pedro. Por ende, por la presente mando, que luego sean tornados e restituidos los dichos lugares e vasallos e señorío e jurisdiçión e rentas dellos libremente a la dicha çibdad de Áuila, para que los tenga e posea como los tenía e poseya antes que fuesen dados al dicho duque. E de mi proprio motu e çerta sçiençia e poderío real absoluto, de que en esta parte quiero vsar e vso, reuoco, casso e annullo e do por ninguna e de ningund effecto qualquier confirmaçión e merçed, que yo sobrello en qualquier manera aya fecho al dicho duque e al dicho don Pedro, su fijo e a qualquier dellos, e es mi merçed e determinada voluntad que no vala agora ni en algund tiempo, aunque en si contenga qualesquier renunçiaçiones e derogaçiones e cláusulas e otras qualesquier firmezas e forma de palabras. E quiero e mando, que a los herederos del dicho don Pedro de Toledo sea dada satisfaçion e equiualençia dellos, en el dicho reyno de Granada.

    OTROSÍ, mando a la dicha princesa, mi hija, e al dicho príncipe, su marido, e a los reyes que después della suçederán en los dichos mis reynos, que siempre tengan en la Corona e patrimonio real dellos el marquesado de Villena e las çibdades e villas e lugares e otras cosas del, segund que agora todo está en ellos yncorporado, e no den nin enagenen, nin consientan dar nin enagenar en manera alguna, cosa alguna dello.

    ITÉM, por quanto el dicho rrey don Henrrique, mi hermano, a causa de las dichas sus nesçessidades, ovo fecho merçed a don Henrrique de Guzmán, duque de Medinasidonia, defunto, de la çibdad de Gibraltar, con su fortaleza e vasallos e jurisdiçión e tierra e términos e rentas e pechos e derechos e con todo lo otro que le pertenesçe. E nos, veyendo el mucho daño e detrimento que de la dicha merçed redundaua a la Corona e patrimonio real de los dichos mis reynos, e que la dicha merçed no ovo lugar nin se pudo fazer de derecho, por ser como es la dicha çibdad de la dicha Corona e patrimonio real e vno de los títulos de los Reyes destos mis reynos, ovimos reuocado la dicha merçed e tornado e restituido e reyncorporado la dicha çibdad de Gibraltar con su fortaleza e vasallos e rentas e jurisdiçión e con todo lo otro que le pertenesçe, a la dicha Corona e patrimonio real, segund que agora está en ella reyncorporado, e la dicha restituçión e reyncorporaçión fue justa e juridicamente fecha. Por ende, mando a la dicha prinçesa mi hija e al dicho prínçipe su marido, e a los reyes que después della subçederán en estos mis reynos, que sienpre tengan en la Corona e patrimonio real dellos la dicha çibdad de Gibraltar, con todo lo que le pertenesçe, e no la den nin enagenen nin consientan dar nin enagenar nin cosa alguna della.

    OTROSÍ, por quanto a causa de las muchas nesçessidades que al rrey mi señor e a mi ocurrieron después que yo subçedí en estos mis rreynos e señoríos, yo he tollerado táçitamente que algunos grandes e caualleros e personas dellos ayan lleuado las alcaualas e terçias e pechos e derechos pertenesçientes a la Corona e patrimonio real de los dichos mis reynos, en sus lugares e tierras, e dando liçençia de palabra a algunos dellos, para las lleuar, por los seruiçios que me fezieron. Por ende, porque los dichos grandes e eaualleros e personas, a causa de la dicha tolerançia e liçençia que yo he tenido e dado, no puedan dezir que tienen o han tenido vso, costunbre o prescripçión, que pueda prejudicar al derecho de la dicha Corona e patrimonio real e a los rreyes que después de mis días subçedieren en los dichos mis reynos, para lo lleuar, tener ni ayer adelante, por la presente, por descargo de mi consçiençia, digo e declaro que lo tollerado por mí çerca de lo suso dicho, no pare prejuizio a la dicha Corona e patrimonio real de los dichos mis reynos nin a los reyes que despues de mis dias subçedieren en ellos, e de mi propio motu e certa sciencia e poderío real absoluto, de que en esta parte quiero vsar e vso, reuoco, casso e annullo e do por ninguno e de ningund valor e effecto, la dicha tollerançia e liçençia e qualquier vso e costunbre e prescripçión e otro qualquier transcurso de tiempo, de diez e veynte e treynta e quarenta e sesenta e çient años e más tiempo passado e por venir, que los dichos grandes e caualleros e personas e cada vno e qualquier dellos çerca dello ayan tenido, e de que se podrían en qualquier manera aprouechar para lo lleuar, tener, ni ayer adelante. E por les faser merçed, les hago merçed e donaçión de lo que dello fasta aqui han lleuado, para que no les sea pedido nin demandado.

    ITÉM, por quanto yo ove seýdo ynformada que algunos grandes e caualleros e personas de los dichos mis reynos e señoríos, por formas e maneras exquisitas, que no veniesen a nuestra notiçia, inpedían a los vezinos e moradores de sus lugares e tierras que apellasen dellos e de sus justiçias para ante nos e nuestras chançellerías, como eran obligados; a causa de lo qual las tales personas no alcancauan ni les era fecho complimiento de justiçia, e lo que dello vino a mi notiçia no lo consentí, antes lo mande remediar como conuenia, e si lo tal ouiese de passar adelante, sería en mucho daño e detrimento de la preeminençia real e suprema jurisdiçión de los dichos mis reynos e de los reyes que después de mis días en ellos suçederán e de los súbditos e naturales dellos. E por que lo suso dicho es ynabdicable e ynprescriptible e no se puede alienar nin apartar de la Corona real. Por ende, por descargo de mi consçiençia, digo e declaro, que si algo de lo susodicho ha quedado por remediar, ha seýdo por no aver venido a mi notiçia, e por la presente de mi proprio motu e çerta sçiençia e poderío real absoluto, de que en esta parte quiero vsar e vso, reuoco, casso e annullo e do por ninguno e de ningund valor e effecto, qualquier vso, costunbre e prescripçión e otro qualquier transcurso de tienpo e otro remedio alguno, que los dichos grandes e caualleros e personas çerca de lo susodicho ayan tenido e de que se podrían en qualquier manera aprouechar para lo vsar adelante.

    OTROSÍ, por quanto biuiendo el prínçipe don Miguel, mi nieto, teniendo estos reynos e el de Portogal por vnos, fezimos merçed a la sereníssima reyna de Portogal doña María, mi muy cara e muy amada fija, de quatro cuentos de marauedís de renta por su vida, situados en çiertas rentas de la çibdad de Seuilla, quiero e mando, que después de sus días, los dichos quatro cuentos de marauedís se consuman e tomen a la Corona real de los dichos mis reynos, sin que cosa alguna ni parte dellos se enagene. ITÉM, por quanto para cunplir algunos gastos e neçessidades que nos ocurrieron para la guerra de los moros del regno de Granada, enemigos de nuestra sancta fe catholica, ovimos enpeñado algunos marauedís de juro, en poder de algunas personas de mis reynos e señoríos, e dello ouimos mandado dar e dimos nuestras cartas e preuillegios, reseruando para nos e para los reyes que después de mis días reynaren en los dichos mis reynos, poder e facultad para los quitar por los preçios que por ellos reçebimos. Mando a la dicha prinçesa, mi hija, e al dicho prínçipe, su marido, que no den ni consientan dar los dichos marauedís de juro ni algunos dellos, perpetuos, e que teniendo lugar para ello los quiten e reduzan a la Corona real de los dichos reynos, e si non los quitaren, queden con la dicha condiçión, para que los reyes que después della reynaren en estos dichos reynos, los puedan quitar e desenpeñar. E para que los dichos marauedís de juro mas ayna se puedan quitar e desenpeñar, mando que todas las rentas del regno de Granada, sacadas las costas e gastos ordinarios del dicho reyno, sean para quitar e desenpeñar los dichos juros, e en aquello se gasten e no en otra cosa alguna, e los juros que con las dichas rentas se quitaren se conviertan así mismo en quitar los dichos juros, e no se puedan gastar en otra cosa fasta que todos sean acabados de quitar e desenpeñar. E ASÍ MISMO, por quanto yo he dado algunos marauedís de merçed de por vida, a algunas personas de los dichos mis regnos, por les faser merçed, e a otros en pago de algunos marauedís que les deuía e era obligada a les pagar, para que se consuman, después de sus días, en la Corona real de los dichos mis reynos, segund se contiene en las prouisiones que sobrello les mande dar. Por ende, mando a la dicha prinçesa e al dicho prínçipe, su marido, que después de los días de las tales personas a quien suenan las tales merçedes de por vida, no fagan nin consientan fazer merçed dellos ni de algunos dellos a persona ni personas algunas, más que se consuman para la Corona real de los dichos mis reynos.

    ITÉM mando, que si al tienpo de mi fallesçimiento no fuere cunplido lo que está capitulado e asentado con el sereníssimo rey de Portogal çerca de lo que ha de auer en casamiento con la serenísirna reyna doña María, mi hija, su muger, mando que se acabe de cunplir como en el dicho asiento se contiene. E que así mismo, se cunpla lo que esta capitulado e asentado con el rey de Ynglaterra, sobre el casamiento de la illustríssima prinçesa de Galez doña Catalina, mi muy cara e muy amada hija, con el prinçipe de Galles, su hijo, si a la sazón no fuere cunplido, o lo que estouiere por cunplir.

    OTROSÍ, conformándome con lo que deuo e soy obligada de derecho, ordeno e establezco e ynstituyo por mi vniuersal heredera de todos mis regnos e tierras e señoríos e de todos mis bienes rayzes después de mis días, a la illustríssima prinçesa doña Juana, archiduquesa de Austria, duquesa de Borgoña, mi muy cara e muy amada hija primogénita, heredera e sucessora legítima de los dichos mis regnos e tierras e señoríos; la qual luego que Dios me lleuare se yntitule de reyna. E mando a todos los prelados, duques, marqueses, condes, ricos omes, priores de las Órdenes, comendadores, subcomendadores e alcaydes de los castillos e casas fuertes e llanas e a los mis adelantados e merinos e a todos los conçejos, alcaldes, alguaziles, regidores, veyntiquatros, caualleros, jurados, escuderos, ofiçiales e omes buenos de todas las çibdades e villas e lugares de los dichos mis reynos e tierras e señoríos, e a todos los otros mis vasallos e súbditos e naturales, de qualquier estado e condiçión e preheminençia e dignidad que sean, e a cada vno e qualquier dellos, por la fidelidad e lealtad e reuerençia e obediencia e subgeçión e vasallaje que me deuen e a que me son astrictos e obligados, como a su reyna e señora natural, e so virtud de los juramentos e fidelidades e pleitos e omenajes, que me fezieron al tiempo que yo suçedí en los dichos mis regnos e señoríos, que cada e quando pluguiere a Dios de me lleuar desta presente vida, los que allí se hallaren presentes luego, e los absentes, dentro del término que las leyes destos mis reynos disponen en tal caso, ayan e reçiban e tengan a la dicha prinçesa doña Juana, mi hija, por reyna verdadera e señora natural, propietaria de los dichos mis reynos e tierras e señoríos, e alçen pendones por ella, fasiendo la solennidad que en tal caso se requiere e deue e acostunbra faser, e así la nonbren e yntitulen dende en adelante, e le den a presten e exhiban e fagar dar e prestar e exhibir toda la fidelidad e lealtad e obediencia e reuerençia e subgeçión e vasallage, que como sus subidtos e naturales vasallos le deuen e son obligados a le dar e prestar, e al illustríssimo prínçipe don Filipo, mi muy caro e muy amado hijo, como a su marido. E quiero e mando, que todos los alcaydes de los alcáçares e fortalezas e tenientes de qualesquier çibdades e villas e lugares de los dichos mis regnos e señoríos, fagan luego juramento e pleito e omenaje en forma, segund costunbre e fuero d'España, por ellas, a la dicha prinçesa mi hija e de las tener e guardar con toda fidelidad e lealtad para su seruiçio e para la Corona real de los dichos mis reynos, durante el tiempo que gelas ella mandare tener; lo qual todo que dicho es e cada cosa e parte dello, les mando que asi fagan e cunplan realmente e con effecto todos los susodichos prelados e grandes e çibdades e villas e lugares e alcaydes e tenientes e todos los otros susodichos mis súbditos e naturales, sin enbargo nin dilaçión ni contrario alguno, que sea o ser pueda, so aquellas penas e casos en que yncurren e caen los vasallos e súbditos, que son rebelles e ynobedientes a su reyna e prinçesa e señora natural, e le deniegan el señorío e subgeçión e vasallaje e obediencia e reuerençia que naturalmente le deuen e son obligados a le dar e prestar.

    OTROSÍ, considerando quanto yo soi obligada de mirar por el bien común destos mis reynos e señoríos, así por la obligaçión que como reyna e señora dellos les deuo, como por los muchos seruiçios que de mis súbditos e vasallos moradores dellos con mucha lealtad he reçebido. E considerando así mismo, que la mejor herençia que puedo dexar a la prinçesa e al prínçipe, mis hijos, es dar horden como mis súbditos e naturales les tengan
    el amor e los siruan lealmente, como al rey mi señor e a mí han seruido, e que por las leyes e ordenanças destos dichos mis reynos, fechas por los reyes mis progenitores, esta mandado que las alcaydías e tenençias e gouernaçión de las çibdades e villas e lugares e ofiçios que tienen añexa jurisdiçión alguna, en qualquier manera, e los ofiçios de la hasienda e de la casa e
    corte, e los ofiçios mayores del reyno, e los ofiçios de las çibdades e villas e lugares del, no se den a es trangeros, así por que no sabrían regir e gouernar segund las leyes e fueros e derechos e vsos e costunbres destos mis regnos, como por que las çibdades e villas e lugares donde los tales estrangeros ouiesen de regir e gouernar, no serian bien regidas e gouernadas, ni los vesinos e moradores dellas serían dello contentos, de donde cada día se recreçerían muchos escandalos e desórdenes e ynconuenientes, de que Nuestro Señor sería de seruido e los dichos mis reynos e los vesinos e moradores dellos reçibirían mucho daño e detrimento. E veyendo como el prínçipe, mi hijo, por ser de otra nación e de otra lengua, si no se conformase con las dichas leyes e fueros e vsos e costunbres destos dichos mis reynos, e él e la prinçesa, mi hija, no los gouernasen por las dichas leyes e fueros e vsos e costunbres, no serían obedesçidos ni seruidos como deuían, e podrían dellos tomar algund escándalo e no les tener el amor que yo querría que les touiesen, para con todo mejor seruir a Nuestro Señor, e gouernarlos mejor e ellos poder ser mejor seruidos de sus vasallos; e conoçiendo que cada reyno tiene sus leyes e fueros e vsos e costunbres e se gouierna mejor por sus naturales. Por ende, queriéndolo remediar todo, de manera que los dichos prínçipe
    e prinçesa, mis hijos, gouiernen estos dichos reynos, después de mis días, e siruan a Nuestro Señor como deuen, e a sus súbditos e vasallos paguen la debda, que como reyes e señores dellos les deuen e son obligados. Ordeno e mando, que de aquí adelante no se den las dichas alcaydías e tenençias de alcáçares ni castillos ni fortalezas ni gouernaçión ni cargo ni ofiçio, que tenga en qualquier manera añexa jurisdiçión alguna, ni ofiçios de justicia ni ofiçios de çibdades, ni villas, ni lugares destos mis regnos e señoríos, ni los ofiçios mayores de los dichos reynos e señoríos, ni los ofiçios de la hasienda dellos ni de la casa e corte, a persona ni personas algunas, de qualquier estado e condiçión que sean, que no sean naturales dellos. E que los secretarios ante quien ouieren de despachar cosas tocantes a estos mis reynos e señoríos e vezinos e moradores dellos, sean naturales de los dichos mis reynos e señoríos. E que estando los dichos prínçipe e prinçesa, mis hijos, fuera destos mis reynos e señoríos, no llamen a Cortes los procuradores dellos, que a ellas deuen e suelen ser llamados, ni fagan fuera de los dichos mis regnos e señorios leyes ni premáticas ni las otras cosas que en Cortes se deuen hazer, segund las leyes dellos, ni prouean en cosa alguna tocante a la gouernaçión e administraçión de los dichos mis regnos e señoríos; e mando a los dichos prínçipe e prinçesa, mis hijos, que así lo guarden e cunplan e no den lugar a lo contrario.

    OTROSÍ, por quanto los arçobispados e obispados e abadías e dignidades e beneficios eclesiásticos e los maestradgos e prioradgo de sant Juan, son mejor regidos e gouernados por los naturales de los dichos mis reynos e señoríos, e las iglesias mejor seruidas e aprovechadas. Mando a la dicha prinçesa e al dicho prínçipe, su marido, mis hijos, que no presenten a arçobispados ni obispados ni abadías ni dignidades ni otros beneficios eclesiásticos, ni a algunos de los dichos maestradgos e prioradgo, personas que no sean naturales destos mis reynos.

    OTROSÍ, por quanto las Yslas e Tierra Firme del Mar Oçéano, e Yslas de Canaria, fueron descubiertas e conquistadas a costa destos mis reynos e con los naturales dellos, e por esto es rasón quel trato e prouecho dellas se aya e trate e negoçie destos mis reynos de Castilla e León, e en ellos e a ellos venga todo lo que de allá se traxiere.

    Por ende, ordeno e mando que así se cunpla, así en las que fasta aquí son descubiertas, como en las que se descubrieren de aquí adelante e no en otra parte alguna.

    OTROSÍ, por quanto puede acaesçer, que al tiempo que Nuestro Señor desta vida presente me lleuare, la dicha prinçesa, mi hija, no esté en estos mis reynos, o después que a ellos ueniere, en algund tienpo aya de yr e estar fuera dellos, o estando en ellos no quiera <o no pueda> entender en la gouernaçión dellos, e para quando lo tal acaesçiere es razón que se dé orden para que aya de quedar e quede la gouernaçión dellos de manera que sean bien regidos e gouernados en paz, e la justiçia administrada como deve, e los procuradores de los dichos mis reynos, en las Cortes de Toledo, del año de quinientos e doss, que después se continuaron e acabaron, en las villas de Madrid e Alcalá de Henares, el año de quinientos e tress, por su petiçión me suplicaron e pedieron por merçed, que mandase proueer çerca dello, e que ellos estauan prestos e aparejados de obedesçer e cunplir todo lo que por mi fuese çerca de ello mandado, como buenos e leales vasallos e naturales, lo qual yo después ove hablado a algunos prelados e grandes de mis reynos e señoríos, e todos fueron conformes e les pareçió que en qualquier de los dichos casos, el rey mi señor devía regir e gouernar e administrar los dichos mis reynos e señoríos, por la dicha prinçesa mi hija. Por ende, queriendo remediar e proueer, como deuo e soy obligada, para quando los dichos casos o alguno dellos acaesçieren, e evitar las diferençias e disensiones que se podrían seguir entre mis súbditos e naturales de los dichos rreynos, e quanto en mi es proueer a la paz e sosiego e buena gouernaçión e administraçión de la justiçia dellos, acatando la grandeza e exçelente nobleza e esclaresçidas virtudes del rey mi señor, e la mucha esperiençia que en la gouernaçión dellos ha tenido e tiene, e quanto es seruiçio de Dios e vtilidad e bien común dellos, que en qualquier de los dichos casos sean por su señoría regidos e gobernados. Ordeno e mando, que cada e quando la dicha prinçesa, mi hija, no estouiere en estos dichos mis reynos, o después que a ellos veniere, en algund tienpo aya de yr e estar fuera dellos, o estando en ellos no quisiere, o no podiere entender en la governaçion dellos, que en qualquier de los dichos casos, el rrey mi señor rija, administre e gouierne los dichos mis reynos e señoríos, e tenga la gouernaçión e administraçión dellos por la dicha prinçesa, segund dicho es, fasta en tanto que el ynfante don Carlos, mi nieto, hijo primogénito, heredero de los dichos prínçipe e prinçesa, sea de hedad legítima, a lo menos de veynte años cunplidos, para los regir e gouernar. E seyendo de la dicha hedad, estando en estos mis reynos a la sazón, o veniendo a ellos para los regir, los rija e gouierne e administre, en qualquier de los dichos casos, segund e como dicho es. E suplico al rey mi señor, quiera ageptar el dicho cargo de gouernaçión, e regir e gouernar estos dichos mis reynos e señoríos en los dichos casos, como yo espero que lo hará. E como quiera, que segund lo que su señoría sienpre ha hecho por acreçentar las cosas de la Corona real, e por esto no era neçesario más lo suplicar, más por cunplir lo que soi obligada, quiero e ordeno, e así lo suplico a su señoría, que durante la dicha gouernaçión, no de ni enagene, ni consienta dar ni enagenar por vía ni manera alguna, çibdad, villa ni lugar ni fortaleza ni marauedís de juro ni jurisdiçión ni ofiçio de justicia, ni por vida ni perpetuo, ni otra cosa alguna de las pertenesçientes a la Corona e patrimonio real de los dichos mis reynos, tierras e señoríos, ni a las çibdades e villas e lugares dellos. E que su señoría, ante que comiençe a vsar de la dicha gouernaçión, ante todas cosas, aya de jurar e jure en presençia de los prelados e grandes e caualleros e procuradores de los dichos mis reynos, que ende a la sazón se hallaren, por ante notario público que dello dé testimonio, que bien e deuidamente regirá e gouernará los dichos mis regnos e guardara el pro e vtilidad e bien comun dellos, e que los acreçentará, en quanto con derecho podiere, e los terna en paz e en justiçia, e que guardará e conseruará el patrimonio de la Corona real dellos, e no enagenará nin consistirá enagenar cosa alguna, como dicho es, e que guardará e cunplirá todas las otras cosas que buen gouernador e administrador en tal caso deue e es obligado fazer e cunplir e guardar, durante la dicha gouernaçión.

    E mando a los prelados, duques, marqueses, condes e ricos omes, e a todos mis vasallos e alcaydes e a todos mis súbditos e naturales, de qualquier estado, preeminençia, condiçión e dignidad que sean, de los dichos mis reynos e tierras e señoríos, que como a tal gouernador e administrador dellos, en qualquier de los dichos casos, obedezcan a su señoría e cunplan sus mandamientos e le den todo fauor e ayuda, cada e quando fueren requeridos, segund e como en tal caso lo deuen e son obligados fazer.

    E RUEGO e mando a la dicha prinçesa, mi hija, e al dicho prínçipe, su marido, que como católicos prínçipes tengan mucho cuidado de las cosas de la honrra de Dios e de su sancta fe, selando(sic) e procurando la guarda e defensión e enxalçamiento della, pues por ella somos obligados a poner las personas e vidas e lo que touiéremos, cada que fuere menester, e que sean muy obedientes a los mandamientos de la santa madre iglesia e protectores e defensores della, como son obligados, e que no çesen de la conquista de África e de pugnar por la fe contra los ynfieles, e que sienpre fauorezcan mucho las cosas de la Sancta Ynquisición contra la herética prauidad, e que guarden e manden e fagan guardar a las iglesias e monasterios e prelados e maestres e Órdenes e hidalgos, e a todas las çibdades e villas e lugares de los dichos mis reynos, todos sus preuillegios e franquezas e merçedes e libertades e fueros e buenos vsos e buenas costunbres que tienen de los reyes passados e de nos, segund que mejor e más cumplidamente les fueron guardados en los tienpos pasados fasta aquí.

    E ASÍ MISMO ruego e mando muy afectuosamente a la dicha prinçesa, mi hija, por que merezca alcançar la bendiçión de Dios e la del rey su padre e la mía, e al dicho prínçipe, su marido, que sienpre sean muy obedientes e subjetos al rey mi señor, e que no le salgan de obediencia e mandado, e lo siruan e traten e acaten con toda reuerençia e obediençia, dándole e faziéndole dar todo el honor que buenos e obedientes hijos deuen dar a su buen padre, e sigan sus mandamientos e consejos, como dellos se espera que lo harán, de manera que para todo lo que a su señoría toca, parezca que yo no hago falta e que soi biua; porque allende de ser deuido a su señoría este honor e acatamiento, por ser padre, que segund el mandamiento de Dios deue ser honrrado e acatado, demás de lo que se deue a su señoría por las dichas causas, por el bien e prouecho dellos e de los dichos reynos, deuen obedesçer e seguir sus mandamientos e consejos, porque segund la mucha experiençia su señoría tiene, ellos e los dichos reynos serán en ello mucho aprouechados, e tanbién porque es mucha razón que su señoría sea seruido e acatado e honrrado más que otro padre, así por ser tan exçelente rey e prínçipe e dotado e ynsignido de tales e tantas virtudes, como por lo mucho que ha fecho e trabajado con su real persona en cobrar estos dichos mis reynos, que tan enagenados estavan al tienpo que yo en ellos subçedí, e en obuiar los grande males e daños e guerras que con tantas turbaçiones e mouimientos en ellos auía, e no con menos afrenta de su real persona en ganar el reyno de Granada, e echar dél los enemigos de nuestra sancta fe cathólica, que tantos tiempos auía que lo tenían vsurpado e ocupado, e en reduzir estos reynos a buen regimiento e gouemaçión e justiçia, segund que oy por la gracia de Dios estan.

    OTROSÍ, ruego e encargo a los dichos prínçipe e prinçesa, mis hijos, que así cómmo el rey mi señor e yo sienpre estouimos en tanto amor e vnión e concordia, así ellos tengan aquel amor e vnión e conformidad como yo dellos espero. E que miren mucho por la conseruaçión del patrimonio de la Corona real de los dichos mis reynos, e no den nin enagenen nin consientan dar ni enagenar cosa alguna dello, e tengan mucho cuidado de la buena gouernaçion e paz e sosiego dellos, e sean muy begninos (sic) e muy humanos a sus súbditos e naturales, e los traten e fagan tratar bien, e fagan poner mucha diligençia en la administraçión de la justiçia a los vecinos e moradores e personas dellos, faziéndola administrar a todos igualmente, así a los chicos como a los grandes, sin acepçión de personas, poniendo para ello buenos e sufiçientes ministros. E que tengan mucho cuidado que las rentas reales, de qualquier qualidad que sean, se cobren e recauden justamente, sin que mis súbditos e naturales sean fatigados, ni reçiban vexaçiones ni molestias, e manden a los ofiçiales de la hasienda que tengan mucho cuidado de proueer cerca dello como conuenga al bien de los dichos mis súbditos, e como sean bien tratados e guarden e manden e fagan guardar las preeminençias reales, en todo aquello que al çetro e señorío real pertenesçe, e guarden e fagan así mismo guardar todas las leyes e premáticas e ordenanças por nos fechas, conçernientes el bien e pro común de los dichos mis reynos. E manden consumir todos los ofiçios nueuamente acresçentados en los dichos mis reynos, que segund las leyes por nos fechas en las Cortes de Toledo, se han e deven consumir, e no consientan ni dén lugar que alguno sea nueuamente acreçentado.

    E porque de los fechos grandes e señalados quel rey mi señor ha fecho desdel comienço de nuestro reynado, la Corona real de Castilla es tanto augmentada, que deuemos dar a Nuestro Señor muchas gracias e loores, especialmente segund es notorio avernos su señoría ayudado con muchos trabajos e peligro de su real persona a cobrar estos mis reynos, que tan enagenados estauan al tienpo que yo en ellos subçedí, e el dicho reyno de Granada, segund dicho és, demás del grand cuidado e vigilançia que su señoría sienpre ha tenido e tiene en la administraçión dellos. E por quel dicho reyno de Granada e las Yslas de Canaria e las Islas e Tierra Firme del Mar Oçéano, descubiertas e por descobrir, ganadas e por ganar, han de quedar yncorporados en estos mis reynos de Castilla e León, segund que en la bulla apostólica a nos sobrello conçedida se contiene, e es razón que su señoría sea en algo seruido de mí e de los dichos mis reynos e señoríos, aunque no pueda ser tanto como su señoría mereçe e yo deseo, es mi merced e voluntad, e mando, que por la obligaçión e debda que estos mis reynos deuen e son obligados a su señoría por tantos bienes e mercedes que de su señoría han reçebido, que demás e allende de los maestradgos que su señoría tiene e ha de tener por su vida, aya e lleue e le sean dados e pagados cada año, para toda su vida, para sustentaçión de su estado real, la mitad de lo que rentaren las Islas e Tierra Firme del Mar Oçéano, que fasta agora son descubiertas, e de los prouechos e derechos justos que en ellas ouiere, sacadas las costas e gastos que en ellas se hizieren, asi en la administraçion de la justiçia, como en la defensa dellas e en las otras cosas neçesarias; e más diez cuentos de marauedís cada año por toda su vida, situados en las rentas de las alcaualas de los dichos maestradgos de Santiago e Calatraua e Alcántara, para que su señoría lo lleue e goze e haga dello lo que fuere seruido, con tanto que después de sus largos días, la dicha mitad de rentas e prouechos e derechos, e los dichos diez cuentos de marauedís, finquen e tornen e se consuman para la Corona real destos dichos mis reynos de Castilla; e mando a la dicha prinçesa, mi hija, e al dicho prínçipe, su marido, que así lo hagan e guarden e cumplan, por descargo de sus consciençias e de la mía.

    OTROSÍ, suplico muy afectuosamente al rey mi señor, e mando a la dicha prinçesa, mi hija, e al dicho prínçipe, su marido, que ayan por muy encomendados, para se seruir dellos e para los honrrar e acreçentar e haçer merçedes, a todos nuestros criados e criadas, cantinas, familiares e seruidores, en espeçial al marqués e marquesa de Moya, e al comendador don Gonçalo Chacón, e a don Garçilaso de la Vega, comendador mayor de León, e a Antonio de Fonseca e Juan Velázquez, los quales nos seruieron mucho e muy lealmente.

    ITÉM mando, que al ynfante don Fernando, mi nieto, hijo de los dichos prínçipe e princesa, mis hijos, le sean dados cada vn año, para con que se críe, doss cuentos de marauedís e le sean señaladas rentas en que los aya fas ta que se acabe de criar, e después le den lo que se acostunbra dar a los yhfantes en estos mis reynos, para su sustentaçión.

    E QUIERO E MANDO, que quando la dicha prinçesa doña Juana, mi muy cara e muy amada hija, falléciere desta presente vida, suçeda en estos dichos mis reynos e tierras e señoríos, e los aya e herede el ynfante don Carlos, mi nieto, su hijo legítimo e del dicho prínçipe don Filipo, su marido, e sea rey e señor dellos, e después de los días del dicho ynfante, sus desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio naçidos, suçessiuamente de grado en grado, preferiendo el mayor al menor e los varones a las mugeres, guardando la ley de la Partida que dispone en la suçessión de los reynos. E conformándome con la disposiçión della, quiero que si el hijo o hija mayor moriere antes que herede los dichos mis reynos e tierras e señoríos, e dexare hijo o hija legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, que aquél o aquella los aya, e no otro alguno, por manera quel nieto o nieta, hijo o hija del hijo o hija mayor, prefiera a los otros hijos, hermanos de su padre o madre. E si el dicho, ynfante don Carlos falleçiere sin dexar hijo o hija, o otros desçendientes legítimas e de legítimo matrimonio nasçidos, quiero e mando que herede los dichos mis reynos e tierras e señoríos el ynfante don Fernando, mi nieto, hijo legítimo de la dicha prinçesa, mi hija, e del dicho prínçipe, su marido, e sea rey e señor dellos, e después de sus días sus deçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, suçessiuamente de grado en grado, preferiendo el mayor al menor e los varones a las mugeres e el nieto o nieta, hijo o hija del hijo o hija mayor, a los otros hijos, hermanos de su padre o madre, <como dicho es>. E si el dicho ynfante don Fernando falleçiere sin dexar hijo o hija o otros desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, e no oviere otro hijo varón legítimo e de legítimo matrimonio naçido de la dicha prinçesa, mi hija, o desçendientes dél legítimos, e de legítimo matrimonio nasçidos, para que suçedan segund dicho es. Quiero e mando que herede los dichos mis reynos e tierras e señoríos la ynfante doña Leonor, mi nieta, fija legítima de la dicha prinçesa mi hija e del dicho prínçipe, su marido, e sea reyna e señora dellos, e después de sus días sus desçendientes legítimos de legítimo matrimonio nasçidos <sucessiuamente>, preferiendo el mayor al menor e los varones a las mugeres, e el nieto o nieta, hijo o hija del hijo o hija mayor, a los otros hijos, hermanos de su padre o madre, como dicho es. E si la ynfante doña Leonor fallesçiere sin dexar hijo o hija, o otros desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, quiero e mando que herede los dichos mis reynos e tierras e señoríos la ynfante doña Ysabel, hija legítima de la dicha prinçesa, mi hija, e del dicho prínçipe, su marido, e suçeda en ellos, e después de sus días sus desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, suçessiuamente de grado en grado, preferiendo el mayor al menor e los varones a las mugeres, e el nieto o nieta, hijo o hija del hijo o hija mayor a los otros hijos, hermanos de su padre o madre, como dicho es. E si la dicha ynfante doña Ysabel fallesçiere sin dexar hijo o hija o otros desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, quiero e mando que hereden los dichos mis reynos e tierras e señoríos las otras hijas legítimas e de legítimo matrimonio nasçidas, de la dicha prinçesa doña Juana, mi hija, si las ouiere, e sus desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, de cada vna dellas, suçessiuamente de grado en grado, preferiendo el mayor al menor e los varones a las mugeres, e el nieto o nieta hijo o hija del hijo o hija mayor a los otros hijos, hermanos de su padre o madre, como dicho es. E si la dicha prinçesa mi hija fallesçiere sin dexar hijo o hija, o otros desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, quiero e mando que herede los dichos mis reynos e tierras e señoríos, la sereníssima reyna de Portogal doña María, mi muy cara e muy amada hija, e después de sus días el prínçipe de Portogal don Juan, mi nieto, su hijo legítimo e del sereníssimo rey de Portogal don Hemanuel, su marido, e después de los días del dicho prínçipe, sus desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos sucessiuamente, de grado en grado, preferiendo el mayor al menor e los varones a las mugeres e el nieto o nieta, hijo o hija del hijo o hija mayor a los otros hijos, hermanos de su padre o madre, segund dicho es.

    E si el dicho prínçipe de Portogal don Juan, mi nieto, fallesçiere sin dexar hijo o hija, o otros desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, e no ouiere otro hijo varón legítimo e de legítimo matrimonio nasçido de la dicha reyna de Portogal, mi hija, o desçendientes dél legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, para que suçedan por la vía e orden e como dicho es, quiero e mando, que herede los dichos mis reynos e tierras e señoríos e suçeda en ellos la ynfante doña Ysabel, mi nieta, hija legítima de la dicha reyna de Portogal, mi hija, e del dicho rey, su marido, e después de sus días sus desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, suçessiuamente de grado en grado, preferiendo el mayor al menor, e los varones a las mugeres, e el nieto o nieta, hijo o hija del hijo o hija mayor a los otros hijos, hermanos de su padre o madre, segund dicho es. E si la dicha ynfante doña Isabel, mi nieta, fallesçiere sin dexar hijo o hija o otros desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, quiero e mando que hereden los dichos mis reynos e tierras e señoríos, las otras hijas legítimas e de legítimo matrimonio nasçidas de la dicha reyna de Portogal, mi hija, si las ouiere, e sus desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, suçessiuamente de grado en grado, preferiendo el mayor al menor e los varones a las mugeres e el nieto o nieta, hijo o hija del hijo o hija mayor, a los otros hijos, hermanos de su padre o madre, por la vía e orden que dicha es. E si la dicha reyna de Portogal doña María, mi hija, fallesçiere sin dexar hijo o hija o otros desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, quiero e mando que herede los dichos mis reynos e tierras e señorios, la prinçesa de Galez doña Catalina, mi muy cara e muy amada hija, e después de sus días, sus desçendientes legítimos e de legítimo matrimonio nasçidos, suçessiuamente, de grado en grado, preferiendo el mayor al menor, e los varones a las mugeres, e el nieto o nieta, hijo o hija del hijo o hija mayor a los otros hijos, hermanos de su padre o madre, como dicho es.

    ITÉM mando, que se den e toruen a los dichos prínçipe e prinçesa, mis hijos, todas las joyas que ellos me han dado. E que se dé al monasterio de Sant Antonio, de la çibdad de Segouia, la reliquia que yo tengo de la saya de Nuestro Señor. E que todas las otras reliquias mías se den a la iglesia Cathedral de la çibdad de Granada.

    E PARA CUNPLIR e pagar las debdas e cargos suso dichos, e las otras mandas e cosas en este mi testamento contenidas, mando que mis testamentarios tomen luego e distribuyan todas las cosas que yo tengo en los alcáçares de la çibdad de Segouia, e todas las ropas e joyas e otras cosas de mi cámara e de mi persona, e qualesquier otros bienes muebles que yo tengo donde podieren ser auidos, saluo los ornamentos de mi capilla, sin las cosas de oro e plata, que quiero e mando que sean lleuadas e dadas a la iglesia de la çibdad de Granada; pero suplico al rey mi señor, se quiera seruir de todas las dichas joyas e cosas, o de las que a su señoría mas agradaren, porque veyéndolas pueda aver mas contina memoria del singular amor que a su señoría sienpre toue, e aún porque sienpre se acuerde que ha de morir e que lo espero en el otro siglo, e con esta memoria pueda mas sancta e justamente biuir.

    E DEXO por mis testamentarios e executores deste mi testamento e vltima voluntad al rey mi señor, porque segund el mucho e grande amor que a su señoría tengo e me tiene, será mejor e más presto executado, e al muy reuerendo yn Christo padre don fray Françisco Ximénes, arçobispo de Toledo, mi confessor e del mi Consejo, e a Antonio de Fonseca, mi contador mayor, e a Juan Velázques, contador mayor de la dicha prinçesa, mi hija, e del mi Consejo, e al reuerendo yn Christo padre don fray Diego de Deça, obispo de Pallençia, confessor del rey mi señor, e del mi Consejo, e a Juan López de Leçárraga, mi secretario e contador. E porque por ser muchos testamentarios, si se ouiese de esperar a que todos se ouiesen de juntar para entender en cada cosa de las en este mi testamento contenidas, la execuçión dél se podría algo diferir, quiero e mando que lo que el rey mi señor con el dicho arçobispo e con los otros mis testamentarios, e aquél o aquellos que con su señoría e con el dicho arçobispo se fallaren a la sazón, fesieren en la execuçión deste mi testamento, vala e sea firme como si todos juntamente lo hisiesen; e ruego e encargo a los dichos mis testamentarios e a cada vno dellos, que tengan tanto cuidado de lo así faser e cunplir e executar, como si cada vno dellos fuese para ello solamente nonbrado. E suplico a su señoría quiera açeptar este cargo, specialmente lo que toca a la paga e satisfaçión de las dichas mis debdas. E ruego e encargo a los dichos arçobispo et obispo, que tengan speçial cuidado como luego se cunplan, e todas las otras cosas contenidas en este mi testamento, dentro del año, e que en ello no aya mas dilacçión en manera alguna.

    E cunplido este mi testamento e cosas en él contenidas, mando que todos los otros mis bienes muebles que quedaren, se den a iglesias e monasterios, para las cosas neçesarias al culto diuino del Santo Sacramento, así como para la custodia e ornato del sagrario e las otras cosas que a mis testamentarios paresçiere. E así mismo, se den a ospitales e a pobres de mis reynos, e a criados míos, si algunos ouiere pobres, como a mis testamentarios paresçiere. E MANDO a la dicha prinçesa, mi hija, pues a Dios graçias en la suçessión de mis reynos le quedan bienes para la sustentaçión de su estado, que esto se cunpla como yo lo mando.

    E MANDO a la sereníssima reyna de Portogal e a la yllustríssima prinçesa de Gales, mis hijas, que sean contentas con las dotes e casamientos que yo les di, acabándose de cunplir, si algo estouiere por cunplir al tiempo de mi fallecimiento, en las quales dichas dotes, si e en quanto neçessario es, las ynstituyó.

    PARA LO QUAL así fazer e cunplir e executar, do por la presente todo mi poder cunplido a los dichos mis testamentarios, segund que mejor e más cunplidamente lo puedo dar de mi poderío real absoluto. E por la presente los apodero en todos los dichos mis bienes, oro e plata e moneda monedada e joyas e en todas las otras cosas mías, e les do poder e auctoridad, con libre e cunplida facultad e general administraçión, para que puedan entrar e entren e tomen tantos de mis bienes, oro e plata e moneda e otras qualesquier cosas, de qualquier qualidad e valor que sean; dondequier que las yo touiere, e así mismo las cosas usodichas de mi casa e cámara e capilla, e qualesquier rentas e derechos e otras cosas a mí pertenescçientes, en tanto quanto fuere menester para executar las mandas e cosas en este mi testamento contenidas. Specialmente quiero e mando, que porque todas mis debdas e cargos sean mejor e más prestamente pagados, e mi consciençia sea más segura e mejor descargada, que todo lo que se montare en las dichas debdas, se tome e aparte luego de las rentas de aquel año que yo falIeçiere, e dellas cunplan e paguen todas las dichas debdas e cargos e cosas en este mi testamento contenidas, en manera que dentro del dicho año sean cunplidas e pagadas realmente e con efecto, e que fasta ser enteramente entregados los dichos mis testamentarios de todo ello, en lo mejor parado de las dichas rentas, no se haga en ellas otra librança ni toma de marauedís algunos, por alguna otra neçessidad o cosa de qualquier qualidad que sea; lo qual suplico al rey mi señor e ruego a la dicha prinçesa, mi hija, que lo hayan por bien e lo manden asi faser e cunplir. E por la presente, do mi poder cunplido a los dichos rrei mi señor, e arçobispo, mis testamentarios, para que declaren todas e qualesquier dubdas que ocurrieren çerca de las cosas en este mi testamento contenidas, como a aquellos que sabían e saben bien mi voluntad en todo e cada cosa e parte dello, e su declaraçión quiero e mando que vala como si yo misma la fíziese e declarase.

    E es mi merçed e voluntad que este vala por mi testamento, e si no valiere por testamento, vala por codiçillo, e si no valiere por codiçillo, vala por mi última e postrimera voluntad, e en aquella mejor manera e forma que puede e deue valer. E si alguna mengua o defecto ay en este mi testamento, yo de mi proprio motu e çerta sciencçia e poderío real asoluto, de que en esta parte quiero vsar e vso, lo suplo e quiero aver e que sea avido por suplido, e alço e quito dél todo obstaculo e ynpedimento, así de fecho como de derecho, de qualquier natura, qualidad e valor, efecto o misterio que sea, que lo enbargase o podiese enbargar. E quiero e mando que todo lo contenido en este mi testamento, e cada vna cosa e parte dello, se haga e cunpla e guarde realmente e con efecto, no obstante a qualesquier leyes e fueros e derechos comunes e particulares de los dichos mis reynos, que en contra desto sean o ser puedan; e otrosí non enbargantes qualesquier juramentos e pleitos e omenajes e fees e otras qualesquier seguridades e votos e promissiones, de qualquier qualidad que sean, que qualesquier personas, mis súbditos e naturales, tengan fechos así al dicho rey mi señor e a mi, como a otras qualesquier personas eclesiásticas e seglares; ca yo de mi proprio motu e çerta sciencçia e poderío real absoluto, de que en esta parte quiero vsar e vso, dispenso con todo ello e con cada cosa e parte dello, e lo abrogo e derogo e alço e quito los dichos juramentos e pleitos e omenajes e fees e seguridades e votos e promissiones, que en qualquier manera a la sazón touieren fechos, e los absueluo e do por libres e quitos dellos, e a sus bienes, herederos e subçessores para sienpre jamás, para que fagan e cunplan todo aquello que yo por este mi testamento, e por las cartas e prouisiones que sobrello mandé dar e di conformes a ello, mando e ordeno e cada cosa e parte dello. El qual dicho mi testamento e lo en el contenido e cada cosa e parte dello, quiero e mando que sea auido e tenido e guardado por ley e como ley, e que tenga fuerça e vigor de ley, e no lo enbargue ni pueda enbargar ley, fuero ni derecho ni costunbre ni otra cosa alguna, segund dicho es, porque mi merçed e voluntad es que esta ley, que yo aquí fago e ordeno, así como postrimera, reuoque e derogue quanto a ello todas e qualesquier leyes e fueros e derechos e costunbres, stillos e fasañas e otra cosa qualquier que lo podiese enbargar. E por este mi testamento reuoco e do por ningunos e de ningund valor e efecto qualesquier otros testamento o testamentos, codiçilo o codiçilos, manda o mandas e postrimeras voluntades que yo aya fecho e otorgado fasta aquí, en qualquier manera; los quales e cada vno dellos, en caso que parezcan, quiero e mando que no valan ni fagan fe en juizio ni fuera dél, saluo aqueste que yo agora fago e otorgo en mi postrimera voluntad, como dicho es.

    ITÉM mando, que luego que mi cuerpo fuere puesto e sepultado en el monasterio de Santa Isabel de la Alhanbra, de la çibdad de Granada, sea luego trasladado por mis testamentarios al dicho monasterio, el cuerpo de la reyna e prinçesa doña Ysabel, mi hija, que aya santa gloria.

    ITÉM mando, que se haga vna sepultura de alabastro en el monasterio de Santo Thomás, çerca de la çibdad de Áuila, onde esta sepultado el prínçipe don Juan, mi hijo, que aya santa gloria, para su enterramiento, segund bien visto fuere a mis testamentarios.

    ITÉM mando, que si la capilla real que yo he mandado haser en la iglesia cathedral de Sancta María de la O, de la çibdad de Granada no estouiere fecha al tiempo de mi fallesçimiento, mando que se haga de mis bienes, o lo que della estouiere por acabar, segund yo lo tengo ordenado e mandado.

    ITÉM mando, que para cunplir e pagar las debdas e cargos e otras cosas en este mi testamento contenidas, se pongan en poder del dicho Juan Velásques, mi testamentario, todas mis ropas e joyas e cosas de oro e plata, e otras cosas de mi cámara e persona, e lo que yo tengo en otras partes qualesquier, e lo que estouiere en moneda se ponga en poder del dicho Juan Lópes, mi testamentario, para que de allí se cumpla e pague como dicho es. E que si los dichos mis testamentarios no lo podieren todo acabar de cunplir e pagar e executar dentro del dicho año, lo puedan acabar de cunplir e pagar e executar pasado el dicho año, segun e como dicho es.

    E MANDO que este mi testamento original sea puesto en el monasterio de Nuestra Señora de Guadalupe, para que cada e quando fuere menester verlo originalmente, lo puedan allí fallar, e que antes que alli se lleue, se hagan doss traslados dél, signados de notario publico, en manera que fagan fe, e que el vno dellos se ponga en el monasterio de sancta Isabel, de la Alhambra de Granada, onde mi cuerpo ha de ser sepultado, e el otro en la iglesia cathedral de Toledo, para que alli lo puedan ver todos los que dél se entendieren aprouechar.

    E por que esto sea firme e non venga en dubda, otorgué este mi testamento ante Gaspar de Grizio, notario público, mi ecretario, e lo firmé de mi nombre e mandé sellar con mi sello, estando presentes, llamados e rogados por testigos, los que lo sobrescriuieron e çerraron con sus sellos pendientes, los quales me lo vieron firmar de mi nonbre e lo vieron sellar con mi sello; que fue otorgado en la villa de Medina del Canpo, a doze días del mes de otubre año del nasçimiento del Nuestro Saluador Ihesu Christo de mill e quinientos e quatro años.

    (Firmado). Yo la Reyna. (Rubricado)

    (Sello de placa, mal conservado)

    (Signo notarial de Gaspar de Grizio con la leyenda: fiat justicia).

    Y yo Gaspar de Grizio, notario público por la auctoridad apostólica, secretario del rey e de la reyna, nuestros señores, e su escriuano público en la su corte e en todos sus reynos e señoríos, fuí presente al otorgamiento que la reyna doña Ysabel, nuestra senora, fiso deste su testamento e postrimera voluntad, en vno con don Juan de Fonseca, obispo de Córdoua, e don Fadrique de Portogal, obispo de Calahorra, e don Valeriano Ordóñez de Villaquirán, obispo de Çibdad Rodrigo, e el doctor Pedro de Oropesa, e el doctor Martín de Angulo, e el liçenciado Luis Çapata, del su Consejo, e Sancho de Paredes, su camarero, para ello llamados e rogados por testigos, los quales vieron firmar en él a la reyna nuestra senora, e sellado con su sello, e çerrado lo sobrescriuieron de sus nombres e sellaron con sus sellos, e al dicho otorgamiento, este testamento de mi mano escriuí en estas nueue hojas de pergamino, con esta en que va mi signo, e fize ençima de cada plana tres rayas de tinta, e en cabo de cada vna firmé mi nombre en testimonio de verdad, rogado e requerido. Va escripto entre renglones o diz: "o no pueda"; "o no podiere"; "como dicho es"; "sucesidamente". Sobre raydo o diz: "entender"; "iglesia cathedral"; "otras partes"; "cualesquier"; "e en dos lugares"; o diz "ysabel". Vala.
    (rúbrica del notario Grizio)

    Testamento original de la Reyna doña Isabel, nuestra señora otorgado en Medina del Campo a 12 de octubre de 1504.

    (Al lado derecho, en otra tinta y bien visible: 12 de Octubre 1504.)

    Testamento original de la señora reyna Católica doña Isabel.

    Al lado derecho:

    Yo don Juan Rodríguez de Fonseca, obispo de Córdoua, fuý presente por testigo al otorgamiento que la reyna doña Ysabel nuestra señora fyzo deste testamento y gelo vý ffyrmar e lo vý sellar con su sello e lo fyrmé de mi nombre y sellé con mi sello. Johannes. Epíscopus cordubensis. (Rubricado).

    Yo don Fadrique de Portogal, obispo de Calahorra, fuý presente por testigo al otorgamiento que la reyna doña Ysabel nuestra señora fizo deste testamento y gelo vý fyrmar y lo vý sellar con su sello y lo firmé de my nombre y sellé con my sello. El obispo de Calahorra. (Rubricado)

    Yo don Valeriano Ordóñez de Villaquirán, obispo de Çibdad Rodrigo, fuý presente por testigo al otorgamiento que la reyna nuestra señora hizo deste testamento e gelo ví firmar e lo ví sellar con su sello e lo firmé de mi nombre e sellé con mi sello.

    Valerianus. Episcopus Ciuitatensis. (Rubricado).

    Yo el doctor Martín Fernández de Angulo, arçediano de Talauera, del Consejo de sus altezas, fuý presente por testigo al otorgamiento que la Reyna nuestra señora hizo deste testamento e gelo ví firmar e lo ví sellar con su sello e lo firme de mi nonbre e selle con mi sello.

    Martines. Doctor archidiáconus de Talauera. (Rubricado).

    Yo el doctor Pedro de Oropesa, del Consejo de sus altezas, fuý presente por testigo al otorgamiento que la reyna doña Ysabel nuestra señora fizo deste testamento, e gelo ví firmar e lo ví sellar con su sello e lo firmé de mi nombre e lo sellé con el dicho sello del dicho dotor Angulo, por no tener sello. Petrus doctor. (Rubricado).

    En el lado izquierdo:

    Yo el licenciado Luys Capata, del Consejo de sus altezas, fuí presente por testiguo al otorguamiento que la reyna nuestra senora fizo deste testamento e ge lo ví sellar e firmar de su nonbre e por que es verdad firmelo de my nonbre e sellelo con my sello. El lycenciado Luys Çapata. (Rubricado).

    Yo Sancho de Paredes, camarero de la rreyna nuestra señora, fuý presente por testygo al otorgamyento que su alteza hyzo deste testamento y se lo vý fyrmar de su nombre y lo vý sellar con su sello y por ques verdad lo firmé de my nombre y lo sellé con my sello. Sancho de Paredes. (Rubricado).

    Abajo, una signatura anterior: & 509-18.

    *****

    CODICILO

    DE

    ISABEL I DE CASTILLA

    MEDINA DEL CAMPO

    12 de octubre y 23 de noviembre de 1504


    IN NOMINE SANCTE ET INDIUIDUE TRINITATIS, Patris et Filii et Spiritus Sancti. Sepan quantos esta carta de codiçillo vieren, como yo doña Ysabel, por la graçia de Dios rreyna de Castilla, de León, de Aragón, de Siçilia, de Granada, de Toledo, de Valençia, de Galizia, de Mallorcas, de Seuilla, de Çerdeña, de Córdoua, de Córçega, de Murçia, de Jahén, de los Algarbes, de Algesira, de Gibraltar, e de las Yslas de Canaria; condesa de Barçelona e señora de Viscaya e de Molina; duquesa de Athenas e Neopatria; condesa de Rosellón e de Çerdania; marquesa de Oristán e de Goçéano.

    Digo, que por quanto yo hise e otorgué mi testamento ante Gaspar de Grisio, mi secretario, por ende aprobando e confirmando el dicho mi testamento e todo lo en él contenido e cada cosa e parte del, codiçilando e añadiendo al dicho mi testamento, digo, que por quanto la iglesia e arçobispo de Sanctiago disen que reçiben agrauio en lo que conçierne a la jurisdiçión de la dicha çibdad, en se entrometer los alcaldes maiores, que residen en el regno de Galizia, a cognosçer en primera ynstançia en la dicha çíbdad e en residir contino en ella e en entender en la gouernaçión de la dicha çibdad e que no consienten al dicho arçobispo tener alguasil executor, e que pertenesçiéndole los derechos que se disen de los rreguengos, no ge los consienten lleuar. E les son fechos otros agrauios. Por ende suplico al rey mi señor e mando e encargo muy afectuosamente a la prinçesa doña Juana, mi muy cara e muy amada hija, e al prínçipe don Filipo, su marido, e mando a los otros mis testamentarios, que luego fagan ver lo susodicho e cada cosa dello a personas de sciençia e consciençia, para que vistos por ellos los títulos que la dicha Iglesia e arçobispo tienen a lo que piden e todo lo otro que çerca dello se deua ver, breuemente determinen lo que fallaren por justiçia, e lo que çerca dello fuere determinado, hagan luego cunplir e executar, por manera que mi ánima sea descargada.

    OTROSÍ, por quanto el obispo de Palençia ha pedido la dicha çibdad de Palençia, deziendo que pertenesçiendo a su dignidad episcopal reçibe agrauio en le poner en ella corregidor e otras justiçias nuestras e en le aver quitado vn derecho en la dicha çibdad que se dize del peso, e otros derechos e preeminençias que el dicho obispo dise ser suyas e del cabildo de su iglesia, e porque sobrello esta dado asiento con el dicho obispo, mando que aquél aya efecto, e si no ouiere efecto, suplico al rey mi señor e ruego e mando a la dicha prinçesa, mi hija, e al dicho prínçipe, su marido, e mando a los otros mis testamentarios, que luego fagan ver lo que el dicho obispo pide a personas de sçiencia e de consçiencia, e todo lo otro que se deua ver sobrello, e breuemente determinen lo que fallaren por justiçia, e aquello executen e cunplan por manera que mi ánima sea descargada.

    OTROSÍ mando, que se vea luego el derecho que tiene el obispo de Burgos a la fortalesa de Rabé que hedificó el obispo don Luis de Acuña, defunto, e si se hallare que pertenesçe a la dicha dignidad obispal de Burgos, la den e entreguen al dicho obispo, e si se hallare pertenesçer a la Corona Real se vea si yo soy obligada a pagar los gastos que en el hedifiçio se hizieron, o algunos dellos, e lo que se fallare yo ser obligada, lo cunplan e satisfagan luego como se hallare por justiçia.

    ITÉM, por quanto yo tengo puestos alcaydes en algunas fortalesas de prelados e iglesias de mis rregnos, porque así ha seydo menester para la pas e sosiego dellos, e para tener algunas dellas yo he tenido facultad Apostólica para las poder tener por algund tienpo, mando que las en que yo tengo puestos alcaydes, sin tener la dicha facultad, sean luego entregadas a los prelados e iglesias cuyas son.

    OTROSÍ, por quanto la Orden de Calatraua pide la villa de Fuenteovejuna, que agora tiene la çíbdad de Córdoua, diziendo ser despojada della e le pertenesçer, por que fue trocada por las villas de Osuna e Caçalla, que eran de la dicha Orden, que agora tiene don Juan Girón, conde de Hureña, mando, que luego breuemente sea vista la justiçia de la dicha Orden, agora pida la dicha villa de Fuenteovejuna o las villas de Osuna e Caçalla, e vistos los títulos e derechos della, e todo lo otro que çerca dello se deua ver, se determine e execute luego lo que se hallare por justiçia, por manera que mi ánima sea descargada.

    ITÉM mando, que luego se vean los títulos e derechos que yo tengo a las villas de Los Arcos e La Guardia que fueron del regno de Nauarra, e si se hallare que justamente e con buena consçiençia, yo e mis suçessores no las podemos tener, las restituyan a quien de derecho se hallare que se deuen restituir. E en caso que se hallare que pertenesçen a la Corona Real destos mis regnos e que justamente se pueden retener, mando que se quiten luego las alcaualas que agora pagan los vesinos de las dichas villas, e que paguen solamente los derechos e tributos justos que solían contribuir quando eran del dicho regno de Nauarra.

    OTROSÍ, por quanto por la See Apostólica nos han seído conçedidas diuersas vezes la cruzada e jubileos e subsidios para el gasto de la conquista del regno de Granada e para contra los moros de África e contra los turcos, enemigos de nuestra sancta fe cathólica, para que en aquello se gastasen, segun en las bullas que sobrello nos han seýdo conçedidas se contiene, mando, que si de las dichas cruzadas e jubileos e subsidios se han tomado algunos marauedís por nuestro mandado, para gastar en otras cosas de nuestro seruiçio e no en las cosas para que fueron conçedidas e dadas, que luego sean tomados los tales marauedís e cosas que dello se ayan tomado, e se cunplan e paguen de las rentas de mis regnos de aquel año que yo fallesçiere, para que se gasten conforme al tenor e forma de las dichas conçessiones e bullas.

    E que si las rentas de las Órdenes no se han gastado e distribuido conforme a las difiniçiones e estabilimentos dellas, descarguen çerca dello mi ánima e consciençia, e suplico al rey mi señor, como quiera que su señoría terna dello mucho cuidado, que las dichas rentas se gasten en aquello para que fueron statuidas. E que las encomiendas, se provean a buenas personas segund Dios e orden.

    OTROSÍ, por quanto yo toue sienpre deseo de mandar redusir las leyes del fuero e ordenamientos e premáticas en vn cuerpo, do estouiesen más breuemente e mejor ordenadas, declarando las dubdosas e quitando las superfluas, por euitar las dubdas e algunas contrariedades que çerca dellas ocurren e los gastos que dellos se siguen a mis regnos e súbditos e naturales, lo qual a causa de mis enfermedades e otras ocupaçiones no se ha puesto por obra, por ende suplico al rey mi señor, e mando e encargo a la dicha prinçesa, mi hija, e al dicho prínçipe, su marido, e mando a los otros mis testamentarios, que luego hagan juntar vn prelado de sçiençia e de consçiençia con personas doctas e sabios e experimentados en los derechos, e vean todas las dichas leyes del fuero e ordenamientos e premáticas, e las pongan e reduzan todas en vn cuerpo, onde esten más breue e compendiosamente compiladas. E si entre ellas fallaren algunas que sean contra la libertad e ymmunidad eclesiástica, o otra costumbre alguna yntroducida en mis regnos contra la dicha libertad e yrnmunidad eclesiástica, las quiten, para que dellas no se vse más, que yo por la presente las reuoco, casso e quito. E si algunas de las dichas leyes les pareçieren no ser justas o que no conçiernen el bien público de mis regnos e súbditos, las ordenen por manera que sean justas a seruiçio de Dios e bien común de mis regnos e súbditos, e en el más breue compendio que ser podiere, ordenadamente por sus títulos, por manera que con menos trabajo se pueda estudiar e saber. E quanto a las leyes de las Partidas, mando que esten en su fuerça e vigor, saluo si algunas se hallaren contra la libertad eclesiástica o que parezcan ser ynjustas.

    ITÉM, por quanto en el reformar de los monasterios destos mis regnos, así de religiosos como de religiosas, algunos de los reformadores exçeden los poderes que para ello tienen, de que se siguen muchos escándalos e daños e peligros de sus ánimas e consçiençias, por ende mando que se vean los poderes que cada vno dellos tiene e touiere de aquí adelante para fazer las dichas rreformaçiones, e conforme a ellos se les de fauor e ayuda, e no en mas.

    ITÉM, por quanto al tiempo que nos fueron conçedidas por la sancta Se Apostólica las Yslas e Tierra Firme del Mar Oçéano, descubiertas e por descubrir, nuestra prinçipal yntençión fue, al tienpo que lo suplicamos al papa Alexandro Sexto, de buena memoria, que nos hizo la dicha conçessión, de procurar de ynduzir e traer los pueblos dellas e les conuertir a nuestra sancta fe cathólica, e enbiar a las dichas Islas e Tierra Firme prelados e religiosos e clérigos e otras personas doctas e temerosas de Dios, para ynstruir los vesinos e moradores dellas en la fe cathólica, e les enseñar e doctrinar buenas costunbres, e poner en ello la diligençia deuida, segund más largamente en las letras de la dicha conçessión se contiene, por ende suplico al rey mi señor muy afectuosamente, e encargo e mando a la dicha prinçesa, mi hija, e al dicho prínçipe, su marido, que así lo hagan e cunplan, e que este sea su prinçipal fin, e que en ello pongan mucha diligençia, e no consientan nin den lugar que los yndios, vesinos e moradores de las dichas Yndias e Tierra Firme, ganadas e por ganar, reçiban agrauio alguno en sus personas ni bienes, mas manden que sean bien e justamente tratados, e si algund agrauio han reçebido lo remedien e provean por manera que no se exçeda en cosa alguna lo que por las letras apostólicas de la dicha conçessión nos es iniungido e mandado.

    OTROSÍ, por quanto algunas personas me han dicho que devría mandar examinar e ver si las rentas de las alcaualas, que los reyes mis predeçessores e yo avemos lleuado, son de qualidad que se puedan perpetuar e lleuar adelante justamente e con buena consçiencia, lo qual por mi enfermedad e otras ocupaçiones no fize ver ni praticar como deseaua, e querría que mi ánima e consçiençia, e la del rey mi señor e de mis predeçessores e suçessores, fuesen en todo descargadas. Por ende, suplico a su señoría, e ruego e encargo a la dicha prinçesa, mi hija, e al dicho prínçipe, su marido, e mando a los otros mis testamentarios, que lo más breuemente que ser pueda, lo pratiquen con el arçobispo de Toledo e obispo de Palençia, nuestros confessores, e con algunos otros prelados e otras personas buenas de sçiençia e de consçiençia, con quien les pareçiere que se deue praticar e comunicar e ver e que tengan notiçia dello, e se ynformen e procuren de saber el origen que touieron las dichas alcaualas, e del tienpo e como e quando e para que se posieron, e si la imposiçión fue tenporal o perpetua o si ovo libre consentimiento de los pueblos para se poder poner e lleuar e perpetuar como tributo justo e ordinario, o como tenporal, o si se ha estendido a más de lo que a prinçipio fue puesto. E si se hallare que justamente e con buena consçiençia se pueden perpetuar e lleuar adelante para mí e para mis suçessores en los dichos reynos, den orden como en el coger e recabdar e cobrar dellas, no sean fatigados ni molestados mis súbditos e naturales, dándolas por encabeçamiento a los pueblos con beneplácito dellos en lo que sea justo que se deuan moderar, o en otra manera que mejor les pareçiere, para que çesen las dichas vexaçiones e fatigas e molestias que dello reçiben, e si nesçesario fuere para ello junten Cortes. E si se hallare que no se pueden lleuar ni perpetuar justamente, por que aquesta es la mayor e más prinçipal renta que el estado real destos mis regnos tiene para su sustentaçión e administraçión de la justiçia dellos, hagan luego juntar Cortes, e den en ellas orden qué tributo se deua justamente ynponer en los dichos reynos, para sustentaçión del dicho estado real dellos, con benepláçito de los súbditos de los dichos regnos, para que los reyes, que después de mis días en ellos reynaren, lo puedan lleuar justamente. E así dada la tal orden, las dichas alcaualas se quiten
    luego, para que no se puedan mas lleuar, de manera que nuestras ánimas e consçiençias sean çerca dello descargadas e nuestros súbditos paguen lo que fuere justo e no reçiban agrauio.

    E QUIERO e mando, que otrosí vean en quanto toca al seruiçio e montadgo que nos lleuamos en estos regnos, e a los diezmos de la mar, que agora lleua el Condestable, e otras cosas qualesquier que se hallaren ser de semejante qualidad, si se pueden justamente lleuar, e descarguen çerca dello nuestras ánimas.

    E POR QUANTO, después que nos ganamos el reyno de Granada de poder de los moros, enemigos de nuestra sancta fe cathólica, avemos mandado lleuar en el dicho regno las dichas alcaualas, como se lleuan en estos otros nuestros reynos, mando, que así mismo, se vea, juntamente con lo susodicho, e descarguen çerca dello nuestras consciençias.

    ITÉM mando, que se digan veynte mill missas de requiem por las ánimas de todos aquellos que son muertos en mi seruiçio, las quales se digan en iglesias e monasterios obseruantes, onde a mis testamentarios pareçiere que más deuotamente se dirán, e den para ello la limosna que bien visto les fuere.

    ITÉM mando, que todo aquello que yo agora do a los criados e criadas de la reyna doña Ysabel, mi señora e madre, que aya sancta gloria, se de a cada vno dellos por su vida.

    E digo e declaro que esta es mi voluntad, la qual quiero que vala por codiçillo, e si no valiere por codiçillo quiero que vala por qualquier mi vltima voluntad, o como mejor pueda e deua valer. E por que esto sea firme e no venga en dubda, otorgué esta carta de codiçillo ante Gaspar de Grizio, mi secretario, e los testigos que lo sobrescriuieron e sellaron con sus sellos; que fue otorgada en la villa de Medina del Canpo, a veynte e tres días del mes de nouienbre año del nasçimiento del Nuestro Saluador Ihesu Chripto de mill e quinientos e quatro años, e lo firmé de mi nonbre ante los dichos testigos e lo mandé sellar con mi sello.

    (Firmado). Yo la Reyna. (Rubricado)

    (Signo del notario Grizio con la leyenda fiat justicia)

    Yo Gaspar de Grizio, notario público por la autoridad apostólica, secretario de la rreyna nuestra señora e su escriuano e notario público en la su corte e en todos los sus rregnos e señoríos, fuí presente al otorgamiento que su alteza fizo deste codicil[lo], en vno con don Fadrique de Portogal, obispo de Calahorra, e don Valeriano Ordoñez de Villaquirán, obispo de Çibdad Rodrigo, e el doctor Pedro de Oropesa, e el doctor Martín Fernández Angulo, e el licenciado Luys Çapata, todos del su Consejo, llamados e rrogados por testigos para ello, los quales vieron firmado a su alteza de su mano e lo vieron sellar con su sello, el qual yo el dicho notario ví firmar a su altesa, e los dichos testigos, después de çerrado con cuerdas, lo sobrescriuieron e firmaron e sellaron con sus sellos, e su altesa mandó a sus testamentarios que lo cumpliesen e executasen, e al dicho otorgamiento, este codiçilo escriuí en estas t[re]s hojas, con esta en que va mi signo, e lo firmé de mi nonbre en fin de cada plana, e encima fize tres rayas de tinta e lo sellé con el sello de su alteza, ante los dichos testigos, e lo signé de mi signo acostunbrado, en testimonio de verdad, rrogado e rrequerido. (Rúbrica del notario Grizio)

    (En el lado derecho):

    Yo don Fadrique de Portogal, obispo de Calahorra, fuý presente por testigo al otorgamiento que la rreyna nuestra señora hizo deste Codiçilio y gelo vý firmar e otorgar e firmé aquí my nombre e lo selle con my sello. El obispo de Calahorra (Rubricado).

    Yo, don Valeriano Ordóñez de Villaquirán, obispo de Cibdad Rodrigo, fuý presente por testigo al otorgamiento que la rreyna nuestra señora hizo deste codiçillo, y gelo ví firmar e otorgar e firmé aquí mi nombre e lo sellé con mi sello. Valerianus. Epíscopus Ciuitatensis. (Rubricado).

    Yo, el doctor Martín Fernándes de Angulo, arcediano de Talauera, del Consejo de sus altezas, fuý presente por testigo al otorgamiento que la rreyna nuestra señora hizo deste codicillo, y gelo ví firmar e otorgar e firmé aquý mi nonbre e lo selle con mý sello. Martinus doctor, archidiáconus de Talauera. (Rubricado).

    Yo, el dotor Pedro de Oropesa, del Consejo de sus altezas, fuý presente por testigo al otorgamiento que la rreyna nuestra señora hizo deste codicillo e gelo ví firmar e otorgar, e firme aquí mi nombre e lo sellé con el sello del dicho doctor Angulo, por no tener sello. Petrus doctor. (Rubricado).

    Yo el licenciado Luys Çapata, del Consejo de sus altezas, fuí presente por testigo al otorgamiento que la rreyna nuestra señora hizo deste codecilo, e gelo ví otorgar e firmar e firmé aquí [con] mi nombre e lo sellé con mi sello. Licenciatus Capata. (Rubricado).

    (En el lado izquierdo):

    N 12 a Codesilio de la Reyna católiqua (en letra del siglo XVII).

    (En sentido perpendicular a lo anterior y muy desvaído): La Reyna de Castilla e León e Portugal, etc.

    FONTE

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    Predefinito Serva di Dio Isabella la Cattolica Regina di Castiglia

    Dal sito SANTI E BEATI:

    Serva di Dio Isabella la Cattolica Regina di Castiglia

    Madrigal (Avila), 22 aprile 1451 - Medina del Campo (Valladolid), 26 novembre 1504

    Nacque dal re Giovanni II di Castiglia e da Isabella del Portogallo. Con il suo matrimonio con il re Ferdinando d’Aragona si realizzò l’unione dei regni spagnoli. I due coniugi che ottennero dal papa l’appellativo di “Re Cattolici”, in riconoscimento delle loro opere a favore della Chiesa e della fede cristiana, finanziarono la spedizione che portò Cristoforo Colombo a scoprire il continente americano. Combattiva fino all’ultimo e confortata da una fede eroica, morì a Medina del Campo il 26 novembre 1504. Conclusa la fase diocesana, la sua causa di canonizzazione prosegue ora a Roma presso la Congregazione per le Cause dei Santi.

    Emblema: Corona, Scettro

    Sono tanti e tali i meriti della regina Isabella denominata ‘la Cattolica’, che fa meraviglia sapere non essere ancora riconosciuta ufficialmente almeno come beata; i processi relativi sono ancora in corso nonostante siano iniziati nel 1958, comunque ben 454 anni dopo la sua morte; è evidente che l’aspetto storico ha influito sull’aspetto religioso, morale e cristiano.
    Isabella nacque il 22 aprile 1451 in Madrigal (Avila), figlia di Giovanni II di Castiglia e di Isabella di Portogallo sua seconda moglie; rimase orfana del padre in piccola età e visse con la madre fino ai 12 anni ad Arevado, sotto la direzione spirituale dei padri francescani.
    Il fratello Enrico IV detto ‘l’Impotente’ (1425-1474) succeduto al padre nel 1459, la condusse a corte, ma Isabella ben presto si ritirò, non ritenendosi adatta a quella vita frivola e densa di pericoli per la sua virtù, a Segovia si affidò alla guida dei padri Agostiniani.
    Il fratello debole ed inetto, nel “patto di Guisando” (18 dicembre 1468), riconobbe la sorella Isabella come erede al trono, non avendo egli avuto figli per una successione legittima; inoltre con l’intervento del Legato di papa Paolo II, Enrico IV riconobbe l’illegittimità del suo matrimonio con Giovanna di Portogallo.
    Isabella principessa ereditaria, rifiutò un matrimonio combinato con Pedro Giron, il quale morì quando alla testa di 3000 soldati si era incamminato per prenderla con la forza.
    Invece con la dispensa papale, sposò il 10 ottobre 1469 il cugino Ferdinando principe ereditario del regno d’Aragona (1452-1516), il loro matrimonio costituì la base dell’unificazione dei regni di Aragona e di Castiglia nella nuova nazione di Spagna.
    Alla morte del fratello re Enrico IV, fu proclamata regina di Castiglia e di León il 13 dicembre 1474 a Segovia, residenza dei re Castigliani e recandosi subito nella chiesa di San Michele per consacrare il regno a Dio; nel suo stemma volle inserire l’Aquila di Patmos, simbolo dell’evangelista Giovanni.
    A fianco del re suo marito, fu fautrice di una politica di tolleranza e di una grande Riforma del clero e dei religiosi; sia come regina di Castiglia sia come regina di Spagna (1479) usò magnanimità, come nel 1475 con Alfonso V di Portogallo, il quale indispettito per il suo rifiuto a sposarlo, invase la Castiglia, fu respinto e vinto e trattato con misericordia insieme ai nobili castigliani che l’avevano appoggiato.
    Nel 1478 Isabella riunì a Siviglia una congregazione generale e straordinaria del clero e dei religiosi, per una riforma da attuare in campo ecclesiastico in tutto il regno, protagonisti furono il suo confessore fratel Hernando di Talavera e il cardinale di Siviglia Pietro González di Mendoza.
    Influì in modo determinante, in poco più di dieci anni, nelle nomine pontificie dei vescovi spagnoli; nonostante gli attriti con la Roma rinascimentale, ottenne un episcopato esemplare e santo, come lei desiderava.
    La riforma del clero fece fiorire una legione di santi, fra i quali s. Ignazio di Loyola (1491-1556) e s. Teresa d’Avila (1515-1582) e tanti missionari che evangelizzarono le Canarie, le Americhe, l’emirato di Granada.
    Anticipò di quasi un secolo la Riforma Tridentina (1545-1563), liberando la Spagna dal protestantesimo e dalle guerre di religione.
    Cattolicissima, dopo 12 anni di riflessione e di vani tentativi di riportare all’ortodossia cattolica gli ebrei e i falsi convertiti dal giudaismo, laici ed ecclesiastici, attraverso le vie di una grande missione pastorale e catechistica, decretò il 31 marzo 1492 l’espulsione degli ebrei dal regno di Castiglia e istituì d’accordo con papa Sisto IV l’Inquisizione in Spagna, nominando grande inquisitore il domenicano Tomas de Torquemada (1420-1498), confessore dei sovrani.
    È noto che Torquemada agì con tremenda severità contro i ‘marrani’, i ‘moriscos’ (ebrei e musulmani convertiti per calcolo o per costrizione) e i protestanti; furono usati mezzi violenti e mortali che non giustificavano il fine da raggiungere; questa triste pagina della storia cattolica della Spagna, è ancora deprecata da tutti e non poco deve aver influito sulla Causa di Beatificazione di Isabella la Cattolica, nonostante che non fossero queste le sue idee di conversione e di riforma.
    In campo politico associò nella condivisione della restaurazione economica e politica, tutte le forze del regno, convocando in “Cortes” generali, i nobili e i rappresentanti del popolo a Toledo, per tracciare le future linee politiche.
    Isabella si conquistò un ascendente morale e generale, tale da considerarla una sovrana quasi assoluta; la Spagna unita di allora è considerata come la prima forma di Stato moderno.
    Una volta consolidata la pace interna al suo regno, Isabella intraprese una guerra ‘difensiva’ con il potente regno musulmano di Granada, che durò dieci anni (1482-1492) per instaurarvi un regno cristiano.
    La “Riconquista” avvenne nel 1492 e i due cattolici sovrani Ferdinando ed Isabella furono benedetti nella loro “crociata” dai papi Sisto IV e Innocenzo VIII, che vedevano i musulmani espandersi a Costantinopoli e Otranto, premendo su Rodi, Sicilia, Napoli e puntando su Roma.
    Isabella provvide al reclutamento e finanziamento dell’impresa, impegnando tutti i suoi averi e in anticipo di tre secoli sulla Croce Rossa, allestì ospedali di guerra, muniti di tende mobili con servizio di medici e infermieri, visitò personalmente feriti e ammalati.
    Dopo la conquista del regno dei Mori, organizzò l’evangelizzazione in grande stile, mobilitando tutta la Castiglia e l’Aragona, diede ordine però di rispettare assolutamente la libertà di conversione.
    Non si può dimenticare il merito personalissimo di Isabella nell’avere appoggiata e fatta sua l’idea di Cristoforo Colombo (1451-1506) di cercare nuove vie verso l’Oriente, che portò alla scoperta del Continente americano, il suo scopo era il “servizio di Dio e l’espansione della fede cattolica”.
    Vietò assolutamente la schiavitù, allora praticata in larga scala, proclamò il principio della libertà e della dignità umana, superando la teologia del tempo e ancora una volta, precedendo di venti anni, auspicò il diritto delle genti che sarà formulato dalla Scuola di Salamanca.
    Nel 1493 in vista della propagazione più ampia della fede, iniziò la campagna per la conquista dell’Africa, che non portò a termine a causa della sua morte..
    Ebbe quattro figlie e un figlio, che secondo gli storici, furono un po’ la sua croce interiore; fondò due scuole per i figli dei nobili e dei cortigiani scelti fra i più capaci per preparare una futura classe dirigente; la sua casa era paragonata ad un monastero ambulante che diffondeva esemplarità in tutto il regno.
    Il secolo d’oro spagnolo nacque e conobbe il suo fiorire con Isabella; i maestri erano spagnoli e anche insigni umanisti italiani da lei chiamati; nella cappella reale funzionava una scuola musicale con oltre 40 fra cantori e maestri.
    Il suo governo fu tra i più esemplari, basti pensare che ordinò che tutte le questioni dovevano essere risolte entro tre giorni; varò anche la compilazione delle leggi delle Indie.
    Subordinava tutto al servizio di Dio e all’espansione delle fede cattolica, per la quale dichiarò spesso di essere disposta a dare anche la vita.
    Papa Alessandro VI grato per la loro opera, il 16 dicembre 1496 nominò i sovrani spagnoli “re cattolici”. Isabella fondò con s. Beatrice da Silva le monache Concezioniste Francescane e con madre Teresa Manrique “la Loca del Sacramento”, inoltre molte associazioni eucaristiche ancora oggi esistenti.
    A Siviglia si ritirò più volte in qualche monastero per un periodo di raccoglimento, simile a quelli che più tardi saranno gli Esercizi Spirituali; visitò una ventina di volte il Santuario Mariano di Guadalupe; da regina imparò perfettamente il latino per poter leggere i documenti ecclesiastici, la Bibbia, le Ore canoniche che recitava tutti i giorni.
    Uno studioso dice di trovare molte somiglianze tra Isabella la Cattolica e s. Teresa d’Avila, se s. Teresa fosse stata una regina sarebbe stata una Isabella e se Isabella fosse stata una monaca sarebbe stata una Teresa di Gesù.
    Bisogna comunque dire che nella vita di Isabella non si trova un solo fenomeno mistico straordinario, Dio volle condurla alla perfezione per le vie della pura fede.
    Nonostante le sventure che la colpirono nella propria famiglia, la scomparsa dell’unico figlio maschio Giovanni († 1497), della giovane figlia Isabella († 1498), la perdita del nipotino Michele, l’offuscamento mentale della figlia Giovanna († 1455), la regina non venne mai meno ai suoi doveri, combattiva fino all’ultimo e confortata da una fede eroica.
    Isabella morì il 26 novembre 1504 a Medina del Campo (Valladolid) a 53 anni, aveva disposto di essere sepolta a Granada nella chiesa di S. Francesco, nella nuda terra senza alcun monumento e vestita dell’abito francescano.
    Il 3 maggio 1958 il vescovo di Valladolid diede inizio ai processi informativi per la sua beatificazione; dal 20 novembre 1972 tutta l’enorme documentazione di 30 volumi, è presso la Sacra Congregazione per le Cause dei Santi.
    È certamente difficile trovare una donna, che abbia positivamente tanto influito nella storia universale come Isabella la Cattolica.


    Autore: Antonio Borrelli








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    Isabella di Castiglia (1451-1504) di Francesco Pappalardo

    1. I primi anni di regno
    Isabella di Castiglia nasce a Madrigal de las Altas Torres, presso Ávila, il 22 aprile 1451, da re Giovanni II (1405-1454) e da Isabella di Portogallo (m. 1496), sua seconda moglie. Dai tre ai dieci anni di età vive ad Arévalo, pure presso Avila, educata amorevolmente dalla madre e guidata spiritualmente dai francescani; chiamata alla corte di Segovia dal fratello, il nuovo sovrano re Enrico IV (1425-1474), dà prova di maturità chiedendo e ottenendo il permesso di vivere in casa propria per fuggire alla vita dissoluta della Corte. All’età di diciassette anni mostra di possedere un carattere energico e deciso, rifiutando la proposta dei seguaci del fratello minore Alfonso (1453-1468), scomparso prematuramente, di essere proclamata regina invece del re Enrico, la cui politica aveva suscitato l’opposizione armata di una parte della nobiltà e del paese.
    Il 19 ottobre 1469, dopo aver rifiutato numerosi pretendenti proposti dal sovrano, sposa don Ferdinando (1452-1516), principe ereditario di Aragona e re di Sicilia, che s’impegna a portare a termine con la consorte, appena possibile, la Reconquista, cioè la riconquista della penisola iberica occupata dai musulmani quasi otto secoli prima. Finalmente, alla morte del fratello Enrico, è incoronata regina di Castiglia e di León il 13 dicembre 1474, a Segovia, dove consacra il regno a Dio, giura fedeltà alle leggi della Chiesa, si impegna a rispettare la libertà e i privilegi del reame e a farvi regnare la giustizia.
    La giovane regina si trova alla guida di una società ricca di vitalità e di energie, ma indebolita da contese intestine e dall’amministrazione poco attenta dei suoi predecessori. Fin dall’inizio del suo regno convoca tutta la nazione ad assemblee generali per l’elaborazione del programma di governo e più volte riunisce le Cortes di Castiglia, formate dai rappresentanti della nobiltà e del clero e dai delegati delle città, alle quali chiede auxilium e consilium prima di prendere le decisioni più importanti. Grazie al coinvolgimento della nazione nell’attività riformatrice e al rispetto per le autonomie regionali e per i fueros, cioè per l’insieme di consuetudini e di privilegi delle comunità locali e dei corpi intermedi, Isabella gode di un largo consenso, che le permette di giungere in breve tempo alla pacificazione del paese. Inoltre, ordina la redazione di un codice valido per tutto il regno, che viene pubblicato nel 1484 con il titolo di Ordenanzas Reales de Castilla; presiede quasi settimanalmente le sedute dei tribunali e dà pubblica udienza a chiunque ne faccia richiesta. Il suo senso della giustizia e la sua clemenza conquistano rapidamente il paese.
    Isabella dà un notevole contributo anche alla riforma della Chiesa in Castiglia, grazie al sostegno di Papa Alessandro VI (1492-1503), che le concede ampi poteri, e all’aiuto del francescano Francisco Jiménez de Cisneros (1436-1517), suo confessore e poi arcivescovo di Toledo. La riforma del clero e degli ordini religiosi favorisce la formazione di un episcopato molto preparato e all’altezza del servizio universale cui la Chiesa spagnola sarà presto chiamata, nonché di una legione di santi — per tutti sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) e santa Teresa d’Ávila (1515-1582) — e di missionari, che si prodigheranno specialmente nell’evangelizzazione delle Canarie, dell’emirato musulmano di Granada, delle Americhe e delle Filippine.
    Isabella promuove anche gli studi ecclesiastici, fondando numerose università — anzitutto quella di Alcalá de Henares, che diventa il centro più importante di studi biblici e teologici del regno —, e istituisce collegi e accademie per laici di ambo i sessi, che danno alla Spagna una classe dirigente ben preparata e una schiera di uomini di vasta cultura e di profonda religiosità, che negli anni seguenti offriranno contributi importanti al Rinascimento spagnolo, che sarà ampiamente cristiano, alla Riforma cattolica e al Concilio di Trento (1545-1563).

    2. L’Inquisizione e l’espulsione degli ebrei
    La difesa e la propagazione della fede costituiscono la preoccupazione principale di Isabella, che a tale scopo chiede e ottiene dal Pontefice l’istituzione di un tribunale dell’Inquisizione, ritenuta necessaria per fronteggiare la minaccia rappresentata dalle false conversioni di ebrei e di musulmani.
    Nei regni della penisola iberica gli ebrei, molto numerosi, avevano da secoli uno statuto non scritto di tolleranza e godevano di una protezione particolare da parte dei sovrani. Invece, i rapporti a livello popolare fra ebrei e cristiani erano più difficili, soprattutto perché era consentito ai primi non solo di tenere aperte le botteghe in occasione delle numerose festività religiose, ma anche di effettuare prestiti a interesse, in un’epoca in cui il denaro non veniva ancora considerato come un mezzo per ottenere ricchezza. La situazione era complicata dalla presenza di numerosi conversos, cioè di ebrei convertiti al cattolicesimo, che dominavano l’economia e la cultura, ma che talora mostravano un’adesione puramente formale alla fede cattolica e celebravano in pubblico riti inequivocabilmente giudaici. Quando Isabella sale al trono la convivenza fra ebrei e cristiani è molto deteriorata e il problema dei falsi convertiti — secondo l’autorevole storico della Chiesa Ludwig von Pastor (1854-1928) — era tale da mettere in questione l’esistenza o la non esistenza della Spagna cristiana.
    Sollecitato da Isabella e dal marito Ferdinando d’Aragona — che avevano invano promosso una campagna pacifica di persuasione nei confronti dei giudaizzanti — il 1° novembre 1478 Papa Sisto IV (1471-1484) istituisce l’Inquisizione in Castiglia, con giurisdizione soltanto sui cristiani battezzati. Pertanto, nessun ebreo è stato mai condannato perché tale, mentre sono stati condannati quanti si fingevano cattolici per trarne vantaggi. L’Inquisizione, colpendo una percentuale ridotta di conversos e di moriscos, cioè musulmani diventati cristiani solamente per opportunismo, certifica che tutti gli altri erano veri convertiti e che nessuno aveva il diritto di discriminarli o di attaccarli con la violenza.
    Negli anni che seguono l’istituzione dell’Inquisizione è comunque indispensabile procedere all’allontanamento degli ebrei dalla Castiglia e dall’Aragona. Preoccupati per la crescente infiltrazione dei falsi convertiti nelle alte cariche civili ed ecclesiastiche e dalle gravi tensioni che indeboliscono l’unità del paese, il 31 marzo 1492 Isabella e Ferdinando si vedono costretti a revocare il diritto di soggiorno agli ebrei non convertiti. I due sovrani, sperando nella conversione della grande maggioranza degli ebrei e nella loro permanenza sul posto, fanno precedere il provvedimento da una grande campagna di evangelizzazione.

    3. Da Granada a San Salvador
    La tensione verso l’unità religiosa, tanto più comprensibile in un’epoca nella quale l’appartenenza dei cittadini alla stessa fede era l’elemento fondante degli Stati, anima anche la lotta plurisecolare per la liberazione del territorio iberico dalla dominazione musulmana. La definitiva conquista delle ultime roccaforti andaluse è gloria di tutti gli spagnoli, ma in particolare di Isabella, che per portare a termine la Reconquista profonde tutte le sue energie e il suo denaro, fa costruire strade e città, assolda truppe scelte, provvede all’assistenza dei feriti e dei malati.
    La vittoria sui musulmani, sancita dalla resa di Granada il 2 gennaio 1492, dopo dieci anni di combattimenti, è l’evento più importante della politica europea del tempo e provoca grande giubilo in tutto il mondo cristiano. L’entusiasmo religioso e nazionale che sostiene l’impresa spiega anche il fatto che i sovrani accolgano il progetto, apparentemente irrealizzabile, del genovese Cristoforo Colombo (1451ca.-1506): le Capitulaciones de Santa Fe, il documento con cui veniva dato il via alla sua spedizione, sono, appunto, firmate nel quartier generale di Granada, due mesi dopo la riconquista della città.
    La speranza di Isabella è quella di condurre altri popoli alla vera fede e non bada né a spese né a difficoltà per onorare gli impegni con Alessandro VI, che aveva concesso ai sovrani il diritto di patronato sulle nuove terre in cambio di precisi doveri di evangelizzazione. La regina, che già nel 1478 aveva fatto liberare gli schiavi dei coloni nelle Canarie, proibisce subito la schiavitù degli indigeni nel Nuovo Mondo e la decisione viene rispettata da tutti i suoi successori. Grazie all’impegno di Isabella e dei suoi successori l’incontro fra popoli così diversi, come gli iberici e gli indo-americani, è molto fecondo, incoraggia un’autentica integrazione razziale — che si realizza sotto il segno del cattolicesimo, senza incontrare le difficoltà proprie della colonizzazione di marca protestante — e determina la nascita di una nuova e originale civiltà cristiana.
    Alla fine del 1494 Papa Alessandro VI concede a Ferdinando e a Isabella il titolo di Re Cattolici come ricompensa per le loro virtù, per lo zelo in difesa della fede e della Sede Apostolica, per le riforme apportate nella disciplina del clero e degli ordini religiosi, e per la sottomissione dei mori.
    La regina, nonostante le gravi sventure familiari che funestano gli ultimi anni della sua vita — la scomparsa dell’unico figlio maschio, Giovanni (1478-1497), della giovane figlia Isabella (1470-1498), del nipotino Michele, nonché l’offuscamento della mente della figlia Giovanna (1479-1555) —, non viene mai meno ai suoi doveri. Combattiva fino all’ultimo e confortata da una fede eroica, muore a Medina del Campo il 26 novembre 1504.

    4. La causa di beatificazione
    Benché presso i contemporanei fosse quasi unanime il plauso per le virtù di Isabella e l’ammirazione per la sua vita esemplare, la diffusione di una "leggenda nera" sulla Spagna cattolica, le guerre di religione, la difficoltà di consultare i documenti ritardano notevolmente l’apertura della causa di beatificazione. Ma la fama di santità della regina cresce nei secoli e con il procedere dell’indagine storica, così che nel 1958 si apre in diocesi di Valladolid la fase preliminare del processo di canonizzazione, con l’insediamento di una commissione di esperti chiamata a esaminare oltre centomila documenti conservati negli archivi di Spagna e del Vaticano. Il 26 novembre 1971 è istruito il processo ordinario diocesano, che si conclude dopo la celebrazione di ottanta sessioni; il processo apostolico a Roma si apre il 18 novembre 1972 e, dopo quattordici anni di lavoro, è portata a termine la composizione della Positio historica super vita, virtutibus et fama sanctitatis della serva di Dio, sulla quale sei consultori della Congregazione delle Cause dei Santi, nella riunione del 6 novembre 1990, esprimono un giudizio positivo. Gli atti sono trasmessi a una commissione teologica perché si pronunci sul merito della causa, ma l’iter subisce un rallentamento in occasione del quinto centenario della scoperta e dell’evangelizzazione dell’America, che ha visto lo scatenarsi di polemiche strumentali da parte di quanti ritengono che la beatificazione della regina nuocerebbe allo spirito ecumenico e che l’istituzione del tribunale dell’Inquisizione e la "conquista" dell’America siano ostacoli insormontabili per il riconoscimento della santità di Isabella.
    Un Comitato Promotore della Causa è stato costituito da circa cinquanta cardinali, arcivescovi e vescovi di diverse nazionalità e da personaggi illustri del mondo cattolico per sollecitare la beatificazione della serva di Dio che — come afferma il canonista claretiano argentino Anastasio Gutiérrez Poza (1911-1998), postulatore della causa — è modello di vita per i reggitori degli Stati, ai quali mostra la via della carità politica; per i laici, ai quali insegna come perseguire il Regno di Dio trattando le cose temporali; per le famiglie e per le donne, come figlia, sorella, sposa fedele, madre sollecita e premurosa di cinque figli, ai quali si è dedicata senza trascurare gli affari di governo. Tuttavia il suo principale insegnamento consiste nella sollecitudine per l’impegno missionario, che anima tutte le sue grandi imprese e che induce a proporla come modello della prima e della nuova evangelizzazione del mondo in genere e dell’Europa in specie.
    Per approfondire: Joseph Pérez, Isabella e Ferdinando, trad, it., SEI, Torino 1991; A. Gutiérrez Poza C.M.F., La serva di Dio Isabella la Cattolica, modello per la nuova evangelizzazione, intervista a mia cura, in Cristianità, anno XX, n. 204, aprile 1992, pp. 11-16; e Jean Dumont, Il Vangelo nelle Americhe. Dalla barbarie alla civiltà. Con un’appendice sul processo di beatificazione della regina Isabella la Cattolica, trad. it., con una prefazione di Marco Tangheroni, Effedieffe, Milano 1992.


    http://www.alleanzacattolica.org/idi..._castiglia.htm

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    Intervista con padre Anastasio Gutiérrez Poza C.M.F., Cristianità n. 204 (1992)

    La serva di Dio Isabella la Cattolica, modello per la nuova evangelizzazione [Intervista con padre Anastasio Gutiérrez Poza C.M.F.]

    Il 6 novembre 1990 una commissione storica nominata dalla Congregazione delle Cause dei Santi ha espresso un giudizio positivo sulla Positio historica super vita, virtutibus et fama sanctitatis della serva di Dio Isabella la Cattolica, regina di Castiglia e di León.
    In alcuni ambienti la notizia ha provocato preoccupazioni e polemiche, rese più aspre dall’approssimarsi del quinto centenario dell’evangelizzazione dell’America, un’impresa che vide protagonista soprattutto la regina di Castiglia.
    Alcuni ritengono che la beatificazione di Isabella possa nuocere allo spirito ecumenico, perché ella portò a termine la Reconquista, cioè la riconquista della penisola iberica occupata dai musulmani quasi otto secoli prima, a tal fine abbattendo l’emirato di Granada, e ordinò l’allontanamento degli ebrei dalla Spagna.
    Altri ritengono che l’istituzione del tribunale dell’Inquisizione e la "conquista" dell’America — che avrebbe comportato lo sradicamento delle culture locali e il genocidio degli indios — siano ostacoli insormontabili per il riconoscimento della santità della regina.
    Su questi temi, noti al pubblico italiano soprattutto attraverso prospettazioni mitologiche e luoghi comuni, rivolgo alcune domande a padre Anastasio Gutiérrez Poza C.M.F., professore emerito della Pontificia Università Lateranense e postulatore della causa di beatificazione di Isabella la Cattolica, che incontro a Roma, all’Istituto Giuridico Claretiano, nel mese di marzo dell’anno cinquecentenario della scoperta del Nuovo Mondo.

    Anastasio Gutiérrez Poza nasce ad Añatuya, in Argentina, il 5 dicembre 1911. Entra giovanissimo nella congregazione dei claretiani — i Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria fondati da sant’Antonio Maria Claret, apostolo di Cuba —, nel cui seminario minore compie i primi studi, ed è ordinato sacerdote il 13 giugno 1935. Continua il suo iter scolastico in Spagna e poi in Italia, alla Pontificia Università Lateranense, conseguendo il dottorato in filosofia e in utroque jure. Intraprende la carriera accademica e diventa professore ordinario di Diritto Canonico presso l’Institutum Utriusque Juris della stessa università, preside del medesimo istituto e poi decano della facoltà di Diritto Canonico. È fondatore e direttore dei corsi di aggiornamento giuridico e dei Colloqui della Pontificia Università Lateranense e promotore dell’Institutum Iuridicum Claretianum, nonché direttore della rivista Commentarium pro Religiosis et Missionaris. È autore di alcune opere — ricordo Il matrimonio. Essenza, fine, amore coniugale (2a ed., Società Editrice Napoletana, Napoli 1974) — e di numerosi scritti pubblicati su diverse riviste scientifiche.
    Parallelamente all’attività accademica è stato Aiutante di studio della Sacra Congregazione dei Religiosi, giudice pre-sinodale del Vicariato di Roma, perito del Concilio Ecumenico Vaticano II, avvocato della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, consultore delle Sacre Congregazioni per i Vescovi, delle Cause dei Santi e della Pontificia Commissione per la Revisione del Codice di Diritto Canonico, nonché prelato votante del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Attualmente è consultore delle Congregazioni per le Chiese Orientali, per il Clero, per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, e del Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi. È fondatore di Seguimi, associazione di laici per la promozione umana e cristiana. Ha seguito fin dal 1958 le vicende della causa di beatificazione di Isabella di Castiglia, e nel 1972 ne è divenuto Postulatore Generale.

    Un personaggio straordinario
    D. Isabella di Castiglia è nota al pubblico italiano soprattutto come la "regina cattolica", che fornì le caravelle a Cristoforo Colombo. È veramente poco per un personaggio di tale statura...
    R. Isabella è una figura fra le più straordinarie della storia e la sua vita sembra costituire un capitolo importante dei piani divini sul mondo e sulla Chiesa. Non si può comprendere la storia politica e religiosa degli ultimi cinque secoli senza tenere nella giusta considerazione la Spagna, né la storia di Spagna senza tener conto in modo adeguato di Isabella la Cattolica, che costituisce il primo anello di una catena di personalità e di eventi di portata storica universale.

    D. Eppure, quando nasce — a Madrigal de las Altas Torres, presso Avila, il 22 aprile 1451, Giovedì Santo, da re Giovanni II di Castiglia e da Isabella di Portogallo, sua seconda moglie — Isabella non è destinata al trono, anche se le leggi di Castiglia non escludono le donne dalla successione...
    R. Isabella è preceduta nella linea dinastica dal fratello maggiore Enrico, che cinge la corona nel 1454, e da Alfonso, più giovane di lei di due anni.
    Dai tre ai dieci anni di età vive ad Arévalo, educata amorevolmente dalla madre e guidata spiritualmente dai francescani. Chiamata alla Corte di Segovia da re Enrico, dà prova di maturità chiedendo e ottenendo il permesso di vivere in casa propria per evitare che la vita dissoluta della Corte rechi danno alla sua anima.
    All’età di diciassette anni mostra di possedere un carattere energico e deciso, rifiutando la proposta dei seguaci del fratello Alfonso, scomparso prematuramente, di essere proclamata regina invece del fratellastro, Enrico IV, la cui politica aveva suscitato l’opposizione armata di una parte della nobiltà e del paese. Isabella, pur affermando il suo diritto alla successione, non mette in dubbio la legittimità del re e dichiara che, finché questi vivrà, nessun altro avrà diritto alla corona.
    Il 19 ottobre 1469, dopo aver respinto numerosi pretendenti proposti dal sovrano, sposa don Ferdinando, principe ereditario di Aragona e re di Sicilia, che si impegna a portare a termine con la consorte, appena possibile, la Reconquista. Finalmente, alla morte del fratello Enrico, Isabella è in-coronata regina il 13 dicembre 1474, a Segovia, dove consacra il regno a Dio, giura fedeltà alle leggi della Chiesa, si impegna a rispettare la libertà e i privilegi del reame e a farvi regnare la giustizia.

    La riorganizzazione del regno
    D. Quali sono le condizioni della Castiglia al momento dell’incoronazione di Isabella?
    R. La regina si trova alla guida di una società ricca di vitalità e di energie, ma indebolita da contese intestine e dall’amministrazione poco attenta dei predecessori. Le difficoltà maggiori vengono dalla nobiltà di recente formazione, che dalla fine del secolo XIV ha sostituito la vecchia aristocrazia, affermatasi durante il periodo eroico della Reconquista, e si mostra desiderosa soltanto di mantenere i propri privilegi senza fornire alla comunità un corrispettivo di servizi.

    D. Isabella la Cattolica è stata accusata dai suoi detrattori di avere proceduto alla riorganizzazione del regno con metodi sbrigativi e autoritari...
    R. Al contrario, la sovrana può essere additata come modello di un sano spirito democratico, perché mostra sempre grande rispetto per le autonomie regionali e per le minoranze, nonché per i fueros, cioè per l’insieme di consuetudini e di privilegi delle comunità locali e dei corpi intermedi.
    Fin dall’inizio del suo regno convoca tutta la nazione ad assemblee generali per l’elaborazione del programma di governo. Più volte riunisce le Cortes di Castiglia, formate dai rappresentanti della nobiltà e del clero e dai delegati delle città, alle quali chiede auxilium e consilium prima di prendere le decisioni più importanti. Inoltre, il consenso delle Cortes è indispensabile per l’esazione di imposte straordinarie e per il riconoscimento ufficiale degli eredi al trono.
    La riorganizzazione del regno ha inizio con la riunione delle Cortes di Madrigal, nel 1476, prosegue ed è portata a termine con le Cortes di Toledo, che si chiudono il 28 maggio 1480: gli atti di queste due grandi assemblee possono essere considerati come una vera Costituzione. Grazie al coinvolgimento della nazione nell’attività riformatrice, Isabella gode di un largo consenso, che le permette di giungere in breve tempo alla pacificazione del regno.
    Allo scopo di risanare le finanze pubbliche introduce severe riforme e revoca le donazioni compiute illegalmente: l’operazione è così imparziale che i primi a pagarne le spese sono i più fedeli seguaci della Corona. Inoltre, la regina presiede quasi settimanalmente le sedute dei tribunali e dà pubblica udienza a chiunque ne faccia richiesta. Infine, ordina la redazione di un codice valido per tutto il regno — pubblicato nel 1484 con il titolo di Ordenanzas Reales de Castilla— al quale i magistrati possano far riferimento per le loro decisioni. Il suo senso della giustizia e la sua clemenza conquistano rapidamente il paese.

    La riforma del clero e degli ordini religiosi
    D. Isabella dà un notevole contributo anche alla riforma della Chiesa in Castiglia...
    R. Questa impresa, alla quale contribuisce soprattutto il francescano Gonzalo Jiménez de Cisneros, confessore della regina e poi arcivescovo di Toledo, è sostenuta da Papa Alessandro VI, che concede ampi poteri a Isabella.
    La riforma del clero, realizzata quasi un secolo prima che il Concilio di Trento la estendesse a tutta la Chiesa, favorisce la formazione di un episcopato molto preparato e all’altezza del servizio universale cui la Chiesa spagnola fu presto chiamata. Per promuovere gli studi ecclesiastici Isabella fonda numerose università, anzitutto quella di Alcalá de Henares, che diventa il più importante centro di studi biblici e teologici del regno. Istituisce anche collegi e accademie per laici di ambo i sessi, che danno alla Spagna un grande numero di dotti in tutti i rami del sapere e una classe dirigente ben preparata.
    Altro merito di Isabella è la riforma degli ordini religiosi, maschili e femminili, i cui membri crescono notevolmente di numero e forniscono alla Chiesa non soltanto una legione di santi e di missionari — che si prodigarono specialmente nell’evangelizzazione delle Canarie, dell’emirato musulmano di Granada, delle Americhe e delle Filippine —, ma anche una schiera di uomini di vasta cultura e di profonda religiosità, che negli anni seguenti diedero importanti contributi alla Riforma cattolica e al Concilio tridentino.

    L’Inquisizione e l’espulsione degli ebrei
    D. Dunque, la difesa e la propagazione della fede costituiscono la principale preoccupazione di Isabella, che a tale scopo chiede e ottiene dal Pontefice l’istituzione di un tribunale dell’Inquisizione. Lo storico Jean Dumont afferma che il punto di partenza corretto per parlare dell’Inquisizione spagnola sta nel mettere a fuoco la questione ebraica...
    R. Quando Isabella sale al trono, la convivenza fra ebrei e cristiani si è molto deteriorata e il problema dei falsi convertiti è tale che, secondo l’autorevole storico Ludwig von Pastor, era in questione l’esistenza o la non esistenza della Spagna cristiana. Nei regni della penisola iberica gli ebrei, molto numerosi, erano soggetti da secoli a uno statuto, non scritto, di tolleranza e godevano di una particolare protezione da parte dei sovrani, che li consideravano sudditi diretti della Corona, poiché essi non facevano parte dei municipi e quindi non avevano diritto alla cittadinanza. Le diverse dinastie non adottano mai una politica antigiudaica e i più importanti re di Castiglia, Ferdinando III il Santo, Alfonso X il Saggio e la stessa Isabella, si avvalgono abbondantemente di tecnici e di economisti ebrei nell’amministrazione del regno; l’esempio era seguito anche da molte famiglie nobili e da numerosi vescovi.

    D. Invece, erano più difficili i rapporti a livello popolare fra ebrei e cristiani, soprattutto per gli abusi dei primi in materia di prestito a interesse, o "usura", e perché era consentita loro l’apertura delle botteghe anche in occasione delle festività religiose, che a quell’epoca erano molto numerose...
    R. La situazione è resa ancora più complicata dalla presenza di numerosissimi conversos, cioè di ebrei convertiti al cattolicesimo, che dominano l’economia e la cultura e rivestono anche cariche ecclesiastiche. In molti casi evidenti, gruppi di conversos mostrano che la loro adesione alla fede cattolica è puramente formale e celebrano in pubblico riti inequivocabilmente giudaici.
    A partire dal 1391 nei regni spagnoli esplodono episodi di violenza popolare contro ebrei e falsi convertiti, che le autorità arginano con difficoltà: senza l’Inquisizione, richiesta con insistenza anche da autorevoli conversos, si sarebbe verificato un bagno di sangue. Il 1° novembre 1478 Papa Sisto IV istituisce l’Inquisizione in Castiglia — dove, a differenza della vicina Aragona, non era mai stata operante — e autorizza Isabella e Ferdinando a nominare nei loro Stati alcuni inquisitori di fiducia, che hanno giurisdizione esclusivamente sui cristiani battezzati. Pertanto, nessun ebreo è stato mai condannato perché tale, mentre sono stati condannati quanti si fingevano cattolici per ricavarne vantaggi. L’Inquisizione, colpendo una percentuale ridotta di conversos, certifica che tutti gli altri sono veri convertiti, che nessuno ha il diritto di discriminare o di attaccare con la violenza.
    La portata di tale impresa — che costituisce una nazione spiritualmente compatta di fronte alla Francia lacerata dalle guerre di religione, all’Inghilterra sulla strada dell’eresia e al sultano difensore del mondo islamico — non può essere sottovalutata, tanto più che l’Inquisizione godette sempre di grande popolarità presso gli spagnoli di tutti i ceti, per i quali era il simbolo di quanto costituiva l’identità del paese, cioè la fedeltà incondizionata al cattolicesimo.

    D. Negli anni che seguono l’istituzione dell’Inquisizione è comunque indispensabile procedere all’allontanamento degli ebrei dalla Castiglia e dall’Aragona...
    R. Tale decisione è una dolorosa necessità per i Re Cattolici, che vi ricorrono obtorto collo. Preoccupati per la crescente infiltrazione dei falsi convertiti nelle alte cariche civili ed ecclesiastiche e dalle gravi tensioni che indeboliscono l’unità del paese, il 31 marzo 1492 Isabella e Ferdinando sono costretti a revocare il diritto di soggiorno agli ebrei non convertiti. Comunque, è significativo che Isabella prenda questa decisione dopo quasi vent’anni di regno e dopo che tale misura era stata adottata in Inghilterra nel 1290, in Ungheria nel 1349, in Francia nel 1394, e che in questo sia seguita solo dal Portogallo, da cui gli ebrei vengono espulsi nel 1497. Quindi non si tratta di un atto di intolleranza religiosa, ma un di provvedimento di natura politica, adottato per motivi di legittima difesa. Il professor Luis Suarez Fernandez, dopo aver studiato in modo accurato l’argomento, sul quale ha raccolto ben 266 documenti — che costituiscono, con una Introduzione, il volume IX della documentazione della causa —, ritiene che i due sovrani sperassero nella conversione della grande maggioranza degli ebrei e nella loro permanenza sul posto: perciò fecero precedere il provvedimento da un’intensa campagna di evangelizzazione.

    L’ultimo episodio della Reconquista
    D. La tensione verso l’unità religiosa, tanto più comprensibile in un’epoca nella quale l’appartenenza dei cittadini alla stessa fede è l’elemento fondante delle nazioni, anima anche la lotta plurisecolare per la liberazione del territorio iberico dalla dominazione musulmana. La definitiva conquista delle ultime e ben agguerrite roccaforti andaluse è gloria di tutti gli spagnoli, ma in particolare di Isabella...
    R. La regina, che nell’ultima fase della guerra vive attendata con i suoi soldati sotto le mura di Granada, è la vera protagonista della conclusione della Reconquista. Per cacciare i musulmani dal loro ultimo baluardo Isabella profonde tutte le sue energie e il suo denaro, fa costruire strade e città, assolda truppe scelte, allestisce i primi ospedali da campo e i lazzaretti, provvede all’assistenza dei feriti e dei malati.
    La vittoria sui musulmani, sancita dalla resa di Granada il 2 gennaio 1492, dopo dieci anni di combattimenti, è l’evento più importante della politica europea del tempo e giustamente suscita un giubilo infinito in tutto il mondo cristiano.
    L’accordo di capitolazione garantisce esplicitamente ai musulmani la libertà di culto e il rispetto dei loro costumi tradizionali, ma Isabella mira a trasformare l’ex emirato in una terra cristiana. Allo scopo rinuncia al suo confessore, il gerolamino Fernando de Talavera, perché sia nominato arcivescovo di Granada. Questi si impegna con ardore nell’evangelizzazione della popolazione locale, guadagnandosi la fiducia e il rispetto di una parte di essa; ma, di fronte alla sfida armata dei più riottosi, i Re Cattolici ritengono violato l’accordo di capitolazione e nel 1502 i mori non convertiti di Granada — solamente quelli di Granada — vengono espulsi da tutta la Spagna.

    La scoperta e l’evangelizzazione dell’America
    D. Nella storia dei regni cristiani della penisola iberica sono sempre presenti due componenti: lo spirito di crociata e la passione missionaria, la spada e la croce. Dopo la conclusione della Reconquista la Provvidenza, attraverso due avvenimenti — nel 1492 la scoperta dell’America e nel 1496 il matrimonio di Giovanna di Castiglia con Filippo d’Asburgo, da cui nasce il futuro imperatore Carlo V — affida alla Spagna un’altra grande missione: difendere e diffondere il messaggio di Cristo in Europa e nel mondo...
    R. Isabella sostiene la spedizione di Cristoforo Colombo con la speranza di condurre altri popoli alla vera fede. L’avvenimento del 12 ottobre 1492, del tutto casuale e imprevisto, è in sé irrilevante di fronte alle conseguenze che ne derivano. L’evangelizzazione delle Americhe, per le sue dimensioni, trova paralleli — e ha una portata forse superiore — soltanto nella conversione del mondo greco-romano e nella nascita della Cristianità medioevale dopo l’impatto con i popoli germanici e slavi.
    Forse nessuna nazione ha superato la Spagna nella preoccupazione per le anime dei suoi nuovi sudditi. Isabella e i suoi successori non badano a spese né a difficoltà per onorare gli impegni con Papa Alessandro VI, che aveva concesso ai sovrani il diritto di patronato sulle nuove terre — governate come provincie e non come colonie — in cambio di precisi doveri di evangelizzazione. L’incontro fra popoli così diversi, come gli indo-americani e gli iberici, è perciò molto fecondo, e determina la nascita di una nuova e originale civiltà cristiana, che può essere rappresentata dal volto meticcio della Madonna di Guadalupe. Oggi la metà dei membri della Chiesa cattolica abita il continente ibero-americano, definito da Papa Giovanni Paolo II — nella lettera apostolica Los caminos del Evangelio, del 29 giugno 1990 — "il Continente della speranza".

    D. Isabella, che già nel 1478 aveva fatto liberare gli schiavi dei coloni nelle Canarie, proibisce subito la schiavitù degli indigeni nel Nuovo Mondo e la decisione viene rispettata da tutti i suoi successori...
    R. Con la "cedola" reale dell’anno 1500 e con il suo testamento Isabella garantisce il diritto degli indios alla vita e alla libertà e sancisce il divieto delle conversioni forzate, anticipando i contenuti della bolla pontificia Sublimis Deus, emanata da Papa Paolo III nel 1537, e ponendo le basi del "diritto delle genti", sviluppato negli anni successivi dalla scuola di Salamanca.
    Inoltre, la regina, incoraggiando i matrimoni fra vecchi e nuovi sudditi, promuove un’autentica integrazione razziale, che si realizza sotto il segno del cattolicesimo, senza incontrare le difficoltà proprie della colonizzazione di marca protestante. Anche la tratta dei neri interessa solo marginalmente le regioni governate dalla Spagna, come d’altronde è facile rilevare confrontando le popolazioni della zona andina, a grande maggioranza india, e della zona più meridionale, popolata da europei, con quelle del Sud degli Stati Uniti, della regione caraibica e del Brasile, caratterizzate da una massiccia presenza di neri.

    D. Come trascorrono gli ultimi anni di vita della regina?
    R. Alla fine del 1494 Papa Alessandro VI concede a Ferdinando e a Isabella il titolo di Re Cattolici come ricompensa per le loro eminenti virtù, per lo zelo in difesa della fede e della Sede Apostolica, per le riforme apportate nella disciplina del clero e degli ordini religiosi, e per la sottomissione dei mori.
    La regina, nonostante le gravi sventure familiari che funestano gli ultimi anni della sua vita — la scomparsa dell’unico figlio maschio, Giovanni, della giovane figlia Isabella, del nipotino Michele, nonché l’offuscamento della mente della figlia Giovanna — non viene mai meno ai suoi gravosi doveri. Combattiva fino all’ultimo e confortata da una fede eroica, muore a Medina del Campo il 26 novembre 1504.

    La causa di beatificazione
    D. Perché soltanto in tempi recenti si è giunti all’istruzione di un formale processo di canonizzazione per Isabella di Castiglia?
    R. Un cronista dell’epoca riferisce che alla morte della regina "non vi fu un buono che non piangesse né un cattivo che non si rallegrasse". Sembrò quindi opportuno soprassedere all’apertura di una causa di beatificazione in attesa che il tempo facesse decantare le passioni, anche se presso i contemporanei era quasi unanime il plauso per le virtù di Isabella e l’ammirazione per la sua vita esemplare.
    La diffusione della "leggenda nera" sulla Spagna cattolica, le guerre di religione, la difficoltà di consultare i documenti necessari per indagare sui punti ritenuti oscuri nella vita della regina rappresentarono altri ostacoli all’apertura di una causa regolare.
    Ma la fama di santità di Isabella cresce nel corso dei secoli e aumenta con il procedere dell’indagine storica, come un fiume si ingrossa allontanandosi dalla sorgente.
    Nella prima metà del secolo XX, alla luce della ricca documentazione acquisita, insigni studiosi chiedono con insistenza l’apertura di un processo di beatificazione.
    Nel 1958, S. E. mons. José García Goldáraz, arcivescovo di Valladolid — nella cui diocesi si spense Isabella — incarica il canonico Vicente Rodríguez Valencia, archivista e professore di storia, di organizzare la necessaria ricerca e nomina una commissione di tre esperti.
    Questi, con l’aiuto di quattordici fra ricercatori e archivisti, studiano per oltre un decennio circa centomila documenti nei principali archivi di Spagna e del Vaticano, analizzandone criticamente ben 3.160, ora raccolti in ventisette volumi.
    Sulla base di questa documentazione la commissione conclude che "la più scrupolosa indagine non scopre un solo atto nella sua vita pubblica o privata che non sia di pietà e di virtù".

    D. Qual è lo stato attuale della causa di beatificazione?
    R. Il 26 novembre 1971 l’arcivescovo di Valladolid istruisce il processo ordinario diocesano, che si conclude dopo la celebrazione di ottanta sessioni.
    Il processo apostolico a Roma si apre il 18 novembre 1972 e, dopo quattordici anni di lavoro, è portata a termine la composizione della Positio historica, che consta di un’Informazione di 139 pagine, di 24 capitoli sulla vita della serva di Dio, di un capitolo sulla fama di santità — esaminata attraverso 150 testimonianze qualificate, raccolte nell’arco di cinque secoli — e di quattro indici — bibliografico, onomastico, topografico e generale—, per un totale di 1.074 pagine.
    Gli aspetti storici della Positio sono stati sottoposti all’esame di sei consultori della Congregazione delle Cause dei Santi, che nella riunione del 6 novembre 1990 approvano un parere unanime e molto positivo sul valore della documentazione come base per giudicare delle virtù della regina Isabella.
    Ora gli atti devono essere trasmessi a una commissione teologica, che si pronuncerà sul merito della causa. Se il giudizio sarà favorevole, la Congregazione esprimerà il suo parere al Papa, al quale è riservata la decisione sulla eroicità delle virtù e la dichiarazione di venerabilità.
    Allo stato attuale non si può parlare di beatificazione, perché manca il miracolo necessario, a meno che non si voglia considerare come tale il perdurare degli effetti benefici del regno di Isabella nella Chiesa e nel mondo.

    D. È noto che dagli Stati Uniti e dal Canada, nazioni di cultura non ispanica, sono pervenute a Roma circa ventimila lettere postulatorie, volte a sollecitare la beatificazione della serva di Dio. Allo stesso scopo è stato costituito un Comitato Promotore della Causa, composto da una cinquantina di cardinali — fra i quali il colombiano Alfonso López Trujillo, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e il venezuelano Rosalio José Castillo Lara S.D.B., presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano —, arcivescovi e vescovi di diverse nazionalità e di personaggi illustri del mondo cattolico.
    Nonostante queste autorevoli sollecitazioni l’iter del processo ha subito un rallentamento. È stato detto che la beatificazione di Isabella la Cattolica ostacolerebbe il dialogo ecumenico...
    R. Non si deve mai dimenticare che nella pratica dell’ecumenismo la Chiesa non può rinunciare alla sua identità né trascurare i doveri inerenti alla sua missione, come hanno ribadito, in tempi recenti, Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II. Quest’ultimo non ha esitato a beatificare Edith Stein nonostante la protesta di alcuni settori dell’ebraismo, e numerosi martiri della Rivoluzione del 1936 in Spagna, ignorando l’opposizione del governo socialista di tale paese. La Chiesa non dovrebbe rimanere in silenzio nella ricorrenza del quinto centenario della scoperta dell’America perché è merito di Isabella, sua figlia fedelissima, la civilizzazione cristiana di quel continente.

    Un modello per i nostri tempi
    D. Quali insegnamenti possiamo trarre oggi dalla vita della regina Isabella, che potrebbe essere la prima sovrana beatificata dopo i re santi del Medioevo?
    R. La Positio historica, pur rilevando l’assenza di fenomeni mistici straordinari in Isabella, la descrive come un’autentica contemplativa nell’azione, che ha saputo coniugare la pratica delle virtù cristiane con il difficile esercizio dell’azione di governo. Isabella ha intrapreso il cammino della santità proprio con il compimento puntuale dei suoi doveri di regina e ha mostrato che la vera missione dei reggitori degli Stati è di stabilire la pace e l’armonia fra i cittadini, affinché possa sbocciare la carità nelle anime e nelle società. È quindi anche modello di vita per i laici, ai quali insegna come devono procurarsi il Regno di Dio trattando le cose temporali, anche le più impegnative. Inoltre, è modello di virtù per le famiglie, come figlia, sorella, sposa fedele, madre sollecita e premurosa di cinque figli, ai quali si è dedicata senza trascurare i doveri di governo. In questo senso è anche modello di squisita femminilità, secondo l’insegnamento della Chiesa, ribadito da Papa Giovanni Paolo II con la lettera apostolica Mulieris dignitatem, del 30 settembre 1988. Ma il suo principale insegnamento sta nella sollecitudine per l’impegno missionario, che anima tutte le sue grandi imprese e che induce a proporla come modello della prima e della seconda evangelizzazione del mondo in genere e dell’Europa in specie.

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    LA REGINA ISABELLA DI CASTIGLIA E IL SUO TEMPO

    Trascrizione di una trasmissione tenuta a Radio Maria il 21.01.2006 dal professor Andrea Araldi sul tema, al'interno di una rubrica mensile da lui curata dal titolo Problemi di storia della Chiesa.


    In questa trasmissione tratteremo di due straordinari eventi di portata realmente epocale, entrambi aventi come epicentro la Penisola Iberica, e in particolare il Regno di Spagna. Il 2 gennaio 1492 l’esercito dei Re Cattolici – Isabella e Ferdinando – entrano nella città di Granada e completano così la riconquista del territorio iberico dopo 700 anni di dominio musulmano; il 12 ottobre tre navi spagnole, al comando dell’ammiraglio genovese Cristoforo Colombo, giungono, dopo due mesi di navigazione, nell’America Centrale, fino ad allora completamente sconosciuta, di cui iniziano l’occupazione e l’evangelizzazione.
    Va innanzitutto evidenziato che questi due grandi eventi del 1492 devono essere letti in rapporto tra di loro. Si può cioè affermare che il Regno cattolico di Spagna, dopo una lenta e faticosa opera di riconquista del proprio territorio, durata ben 7 secoli, trova la forza e la capacità di completare questa opera di riunificazione territoriale, culturale e religiosa, e subito dopo, quasi sullo slancio di una coesione interiore finalmente ritrovata, decide di proseguire l’azione missionaria, volgendosi a territori nuovi, dedicando risorse, tempo, impegno a un’opera di evangelizzazione che appariva difficilissima, se non quasi impossibile.
    Mi sembra quindi di non poco interesse cercare di capire qual è il contesto storico, culturale e religioso che rese possibile questi eventi, e soprattutto cercare di approfondire un poco la conoscenza di un grande personaggio che di questa epopea straordinaria fu l’artefice: la regina Isabella di Castiglia. Come spesso accade, parlando di grandi personalità della storia, e anche della storia della Chiesa, ci troviamo di fronte a una figura controversa, sovente al centro di dispute polemiche, talvolta apertamente diffamata, in spregio alla conoscenza ed alla serena valutazione degli eventi storici e dello spessore umano e religioso del personaggio.
    Isabella la cattolica oscilla tra chi la considera meritevole dell’onore degli altari - come per altro attesta la copiosa documentazione raccolta dai postulatori della causa di beatificazione, e tuttora giacente presso la Congregazione per le cause dei Santi, in attesa che si sblocchi l’empass politico che frena la positiva conclusione del procedimento – e chi la considera invece una sorta di “demonio in gonnella”, simbolo stesso del massacro e della persecuzione di ebrei e musulmani. Eppure – secondo le parole di padre Gutierrez, che di Isabella è stato il postulatore della causa di beatificazione – Isabella è una figura tra le più straordinarie della storia e la sua vita sembra costituire un capitolo importante dei piani divini sul mondo e sulla Chiesa. Non si può comprendere la storia politica e religiosa degli ultimi cinque secoli – diceva p. Gutierrez – senza tenere nella giusta considerazione la Spagna, né la storia di Spagna, senza tener conto in modo adeguato Isabella la cattolica, che costituisce il primo anello di una catena di personalità e di eventi di portata storica universale.
    Allora cerchiamo di conoscere più da vicino la figura di questa regina. E vi propongo una scheda biografica che cerca di sintetizzare almeno i passaggi fondamentali della sua vita, per poi soffermarci successivamente sui punti centrali, nodali, del Regno di Isabella.
    Vediamo allora la scheda biografica. Isabella nasce il 22 aprile 1451 in Madrigal, vicino ad Avila. Figlia di Giovanni Secondo di Castiglia e Isabella di Portogallo, sua seconda moglie. Rimane orfana del padre in tenera età, e vive con la madre fino ai 12 anni ad Arevado, sotto la direzione spirituale dei padri francescani. Isabella è terza nella linea di successione al trono di Castiglia, dopo il fratello maggiore, Enrico, e il minore, Alfonso. Il fratello diviene re, Enrico IV, nel 1459, e la conduce a corte. Ma Isabella ben presto si ritira, non ritenendosi adatta a quella vita frivola e densa di pericoli per la sua virtù. Le vicende relative alla successione al trono casigliano sono complesse ma di notevole importanza. Infatti, nel 1468, muore il fratello Alfonso, il fratello minore. Isabella assurge al ruolo di erede al trono, anche in virtù del fatto che Enrico non ha avuto figli dal primo matrimonio - poi dichiarato nullo - e che la figlia Giovanna – formalmente attribuita al re dal suo secondo matrimonio – pare essere in realtà figlia di un fedele cortigiano – Don Beltràn – da cui il nomignolo “beltranella” (piccola Beltran), attribuito da tutti a Giovanna. Lo stesso Re Enrico, debole ed inetto, riconosce in un primo momento la sorella Isabella erede al trono, salvo cercare in seguito di rivendicare la successione alla figlia Giovanna.
    Isabella dunque è principessa ereditaria. Rifiuta un matrimonio combinato dal fratello con Pedro Ghiró, e, nonostante il dissenso del Re, che cercava in qualche modo di governare la successione, e con la dispensa papale, sposa, il 10 ottobre 1469, il cugino Ferdinando, principe ereditario del Regno di Aragona. Il loro matrimonio costituisce la base dell’unificazione dei regni di Aragona e di Castiglia nella nuova nazione di Spagna. E con ciò stesso la premessa per lo sviluppo della potenza continentale della nuova nazione spagnola. Alla morte del fratello, Re Enrico IV, Isabella è proclamata regina di Castiglia e di León il 13 dicembre 1474, a Segovia, residenza dei Re castigliani. E si reca subito nella chiesa di S. Michele per consacrare il Regno a Dio. Nel suo stemma inserisce l’aquila di Pathmos, simbolo dell’evangelista Giovanni. A fianco del Re, suo marito, si rende fautrice di una politica di tolleranza e di una grande riforma del clero e dei religiosi. Sia come Regina di Castiglia, sia come Regina di Spagna, dal 1479, dimostra magnanimità, come accade nel 1475 con Alfonso V di Portogallo, il quale, indispettito per il suo rifiuto di sposarlo, invase la Castiglia, respinto e vinto. È trattato con misericordia insieme ai nobili casigliani che l’avevano appoggiato.
    Nel 1478 Isabella riunisce a Siviglia una congregazione generale e straordinaria del clero e dei religiosi per una riforma di effettuare in campo ecclesiastico in tutto il regno. Protagonisti furono il suo confessore, Fernando di Talavera e il cardinale di Siviglia, Pedro Gonzales di Mendoza . la riforma del clero crea le premesse per la fioritura di una di una legione di santi, tra i quali S. Ignazio di Loyola e Santa Teresa d’Avila, e tanti missionari che evangelizzarono le Canarie, le Americhe e l’emirato di Granata. Anticipa quasi di un secolo la riforma tridentina, liberando la Spagna dal protestantesimo e dalle guerre di religione.
    Cattolicissima, dopo 12 anni di riflessione e di vani tentativi di riportare all’ortodossia cattolica gli ebrei e i falsi convertiti dal giudaismo, laici ed ecclesiastici, attraverso le vie di una grande azione pastorale e catechistica, decreta, il 31 marzo 1492, l’espulsione degli ebrei dal Regno di Castiglia, e istituisce, d’accordo con Papa Sisto IV, l’inquisizione in Spagna, nominando grande inquisitore il domenicano Tomas de Torquemada, confessore dei sovrani.
    In campo politico associa nella condivisione della restaurazione economica e politica tutte le forze del regno, convocando in “Cortes generali” i nobili e i rappresentanti del popolo, a Toledo, per tracciare le future linee politiche. Isabella si conquista un ascendente morale generale, tale da considerarla una sovrana quasi assoluta. La Spagna unita di allora è considerata come la prima forma di Stato moderno. Una volta consolidata la pace interna al suo Regno Isabella si prefigge di completare la riconquista dell’intera Penisola Iberica dal dominio islamico, e intraprende la guerra con il potente regno musulmano di Granata, che durò 10 anni: dal 1482 al 1492. La riconquista si compie nel ’92 con la benedizione dei papi Sisto IV e Innocenzo VIII, che vedevano i musulmani espandersi a Costantinopoli e a Otranto, premendo su Rodi, Sicilia, Napoli, e puntando su Roma. Isabella provvide al reclutamento dell’impresa, impegnando tutti i suoi averi. E, in anticipo di tre secoli sulla Croce Rossa, allestì ospedali di Guerra muniti di tende mobili con il servizio di medici e infermieri. Visitò personalmente feriti e ammalati. Dolo la conquista del Regno dei Mori organizzò l’evangelizzazione in grande stile mobilitando tutta la Castiglia e l’Aragona. Diede ordine però di rispettare assolutamente la libertà di conversione.
    Non si può poi dimenticare il merito personalissimo di Isabella nell’avere appoggiata e fatta sua l’idea di Cristoforo Colombo di cercare nuove vie verso l’Oriente, che portò alla scoperta del Continente Americano. Il suo scopo era il servizio di Dio e l’espansione della fede cattolica, come ella stessa diceva. Vietò assolutamente la schiavitù, allora praticata in larga scala. Proclamò il principio della libertà e della dignità umana, superando la teologia del tempo, e – ancora una volta precedendo di vent’anni – auspicò il diritto delle genti, che sarà formulato dalla Scuola di Salamanca.
    Ebbe 4 figlie e un figlio che, secondo gli storici, furono la sua croce interiore. Fondò due scuole per i figli dei nobili e dei cortigiani scelti tra i più capaci per preparare una futura classe dirigente.
    La sua casa era paragonata ad un monastero ambulante che diffondeva esemplarità su tutto il Regno.
    Il secolo d’oro spagnolo nacque e conobbe il suo fiorire con Isabella. I maestri erano spagnoli e anche insigni umanisti italiani da lei chiamati. Nella Cappella Reale funzionava una scuola musicale con oltre 40 cantori e maestri.
    Il suo governo fu tra i più esemplari. Basti pensare che ordinò che tutte le questioni dovevano essere risolte entro tre giorni. Varò anche la compilazione delle Leggi delle Indie.
    Subordinava tutto al servizio di Dio e all’espansione della fede cattolica, per la quale dichiarò spesso di essere disposta a dare anche la vita. Papa Alessandro VI, grato per la loro opera, nel dicembre del 1496, nomina i sovrani spagnoli Re Cattolici. Isabella fonda con Santa Beatrice da Silva le Monache Confezioniste Francescane, e con madre Teresa Manrique la Locra del Sacramento. Inoltre molte associazioni eucaristiche ancora oggi esistenti. A Siviglia si ritira più volte in un monastero per un periodo di raccoglimento simile a quello che più tardi saranno gli Esercizi spirituali. Visita una ventina di volte il santuario mariano di Guadalupe. La regina impara perfettamente il latino per poter leggere i documenti ecclesiastici, la Bibbia, le ore canoniche che recitava tutti i giorni. Bisogna comunque dire che nella vita di Isabella non si trova un solo fenomeno mistico straordinario. Dio volle condurla alla perfezione per la via della pura fede.
    Nonostante le sventure che la colpirono nella propria famiglia: la scomparsa dell’unico maschio, Giovanni, della giovane figlia Isabella; la perdita del nipotino Michele, l’offuscamento mentale della figlia Giovanna, la regina non venne mai meno ai propri doveri. Combattiva fino all’ultimo e confortata da una fede eroica.
    Isabella muore il 26 novembre 1504 a Medina del campo, vicino a Valladolid, a 53 anni di età. Aveva disposto di essere sepolta a Granata, nella chiesa di San Francesco, nella nuda terra, senza alcun monumento e vestita dell’abito francescano.
    Il 3 maggio 1958 il vescovo di Valladolid dà inizio ai processi informativi per la sua beatificazione. Dal 20 novembre 1972 tutta l’enorme documentazione di 30 volumi è presso la Sacra Congregazione per le Cause dei Santi. Poi vedremo di approfondire il discorso della causa di beatificazione della regina.
    Questa, diciamo, era la scheda biografica che ha cercato di toccare in rapida successione tutti gli aspetti fondamentali della vita di Isabella e soprattutto dei suoi trent’anni di regno. E questa ampia scheda biografica pone in evidenza l’estrema ricchezza della vita di Isabella e i temi caldi meritevoli di approfondimento. Basti pensare all’unificazione politica della nazione spagnola, all’impegno per la difesa dell’identità culturale e religiosa del Regno, e quindi all’istituzione dell’inquisizione e la successiva espulsione degli ebrei, al completamento della riconquista contro l’occupazione islamica, al finanziamento della spedizione di Cristoforo Colombo.
    Come vedete, la carne al fuoco è tantissima. Cercheremo di chiarire questi punti centrali in maniera certamente non troppo approfondita, ma auspicando di dare qualche punto di riferimento che poi possa essere utile per inquadrare meglio questo periodo storico e questa figura storica straordinaria.
    Partiamo dalla unificazione politica della Spagna, uno dei grandissimi risultati conseguiti da Isabella. Con Isabella infatti si realizza l’unità politica della nazione spagnola grazie alla saggia e lungimirante politica tenacemente perseguita dalla giovane regina casigliana, la quale eredita una situazione difficile, caratterizzata da aspre divisioni interne, da forti rivalità con il vicino Portogallo, dalla presenza del Califfato di Granata (potente enclave musulmana nel sud del paese). Isabella riesce a conciliare l’amore con il principe aragonese Ferdinando con il perfetto interesse politico della futura unificazione dei regni di Castiglia e di Aragona. Riesce a raffreddare le pretese portoghesi attraverso, dapprima una dura guerra, e poi da una astuta azione diplomatica. Riesce a completare la riconquista dei territori spagnoli ancora soggetti all’occupazione islamica. Si può affermare che con i re cattolici vengono gettate le fondamenta della Spagna moderna e del predominio politico e culturale che il Regno Iberico eserciterà nel sedicesimo secolo in Europa. Questo risultato è reso possibile dalla tenace opera di unificazione culturale e religiosa, oltre che politica, alla quale porranno mano Isabella e Ferdinando, e che verrà realizzata attraverso un’azione accorta, saggia, prudente e – all’occorrenza – decisa. Come è stato osservato la giovane regina si trova alla guida di una società ricca di vitalità e di energia, ma indebolita da contese intestine e dall’amministrazione poco attenta dei suoi predecessori. Fin dall’inizio del suo regno convoca tutta la nazione ad assemblee generali per l’elaborazione del programma di governo. E più volte riunisce le Cortes di Castiglia, formate dei rappresentanti della nobiltà e del clero e dai delegati delle città, alle quali chiede aiuto e consiglio prima di prendere le decisioni importanti. Grazie al coinvolgimento della nazione nell’attività riformatrice e al rispetto per le autonomie regionali e per i “fueros”, cioè, per quell’insieme di consuetudini e di privilegi delle comunità locali e dei corpi intermedi, isabella gode di un largo consenso che le permette di giungere in breve tempo alla pacificazione del paese. Inoltre ordina la redazione di un codice valido per tutto il regno, che viene pubblicato nel 1484, con il titolo di Ordenanzas reales de Castilla. Presiede quasi settimanalmente le sedute dei tribunali e dà pubblica udienza a quanti ne facciano richiesta. Il suo senso della giustizia e la sua clemenza conquistano rapidamente il paese. Nasce veramente un soggetto politico nazionale nuovo con Isabella. Questo aspetto è tanto importante quanto spinoso. La nascita della unificazione politica spagnola, la nascita di questo grande soggetto politico e culturale si può realizzare solo attraverso una strenua difesa dell’identità culturale e religiosa del Regno. E qui nasce, diciamo, una delle pagine più controverse. Infatti, parlando di difesa dell’identità culturale e religiosa del Regno occorre accennare ai problemi che sorgono ben presto nei rapporti con gli ebrei e con i musulmani.
    La questione ebraica, in particolare, merita approfondimento dal momento che investe due delle più contestate decisioni della Corona spagnola: l’istituzione della inquisizione e la successiva espulsione degli Ebrei dal territorio spagnolo. Allora, come abbiamo accennato a proposito dello sforzo di unificazione politica, culturale e religiosa della Spagna, la difesa e la propagazione della fede costituiscono la preoccupazione principale di Isabella, che a tale scopo ottiene dal Pontefice l’istituzione di un tribunale dell’inquisizione, ritenuta necessaria per fronteggiare la minaccia rappresentata dalle false conversioni di ebrei e di musulmani. Nei regni della Penisola Iberica gli Ebrei, molto numerosi, avevano da secoli uno statuto non scritto di tolleranza, e godevano di una protezione particolare da parte dei sovrani. Invece i rapporti a livello popolare tra ebrei e cristiani erano più difficili, sovente assai critici, soprattutto perché era consentito agli ebrei di tenere aperte le botteghe in occasione delle numerose festività religiose cristiane, ma anche di effettuare prestiti a interesse. In un’epoca in cui il denaro non veniva ancora percepito come un mezzo per ottenere ricchezze. la situazione era complicata dalla presenza di numerosi “conversos”, cioè di ebrei convertiti al cattolicesimo, che dominavano l’economia e la cultura, ma che talora mostravano un’adesione puramente formale alla fede cattolica, e celebravano in pubblico riti inequivocabilmente laici. Quando Isabella sale al trono la convivenza tra ebrei e cristiani si è molto deteriorata. Il problema dei falsi convertiti – secondo l’autorevole storico della Chiesa, Ludvig von Pastor – era tale addirittura da mettere in questione l’esistenza o la non esistenza della Spagna cristiana. Il fatto è che la Spagna ha sempre avuto una significativa Comunità Ebraica, la quale è passata attraverso le diverse fasi dell’occupazione islamica, subendo talvolta delle dure persecuzioni, al pari dei cristiani, ma assumendo invece spesso atteggiamenti collaborativi con le autorità islamiche. Atteggiamenti visti talvolta dai cristiani come vera e propria complicità con l’occupante. Sta di fatto che molti ebrei riescono a raggiungere posizioni di grande rilievo nell’amministrazione pubblica. Posizioni che assai spesso – convertendosi al cristianesimo – conserveranno anche sotto i regni cristiani, che poco a poco riusciranno a compiere la riconquista della penisola. Nel clima di profondo mutamento degli assetti sociali e politici della Spagna che si vive al tempo di Isabella, la presenza di una comunità ebraica alquanto numerosa e molto malvista dalla popolazione, accanto ad una classe dirigente in gran parte di origine ebraica, ma sovente sospettata di essersi convertita per pura convenienza, diventa un potente fattore di destabilizzazione. Ed è proprio quello che Isabella e Ferdinando non possono permettersi. Scrive a questo riguardo Rino Cammilleri: «I Re cattolici, individuando nei “conversos” il fulcro del problema, decisero di giocare la carta dell’integrazione religiosa, e cominciarono con l’obbligare gli Ebrei a scegliere tra il battesimo e l’esilio. La misura non era nuova in Europa. Tutti gli stati vi avevano via via fatto ricorso, in primis l’Inghilterra, nel 1290. in quel secolo gli ebrei vennero espulsi da Vienna, nel 1421, da Colonia, nel 1424, dalla Baviera, nel 1442 e poi di nuovo nel 1450. dalla Moravia nel 1454, da Firenze e poi da tutta la Toscana, nel 1494, dalla Polonia e dalla Lituania, nel 1495». Riassumendo, sono ancora parole di Rino Cammilleri: «Il fatto era che molti Ebrei erano passati al cristianesimo spontaneamente, alcuni in modo sincero, altri per far carriera in una situazione politica completamente in mani cristiane. I falsi conversos continuavano segretamente a “giudaizzare”, come si diceva allora. A seguire i riti della loro vecchia religione. La cosa, tuttavia, non era un segreto per i vicini di casa e i compaesani. Si tenga presente che, a causa della loro particolare abilità, gli ebrei avevano raggiunto notevoli posti di potere nell’amministrazione pubblica e nell’alta finanza. Addirittura non pochi alti prelati erano ebrei. In certe chiese si celebravano riti che di cristiano non avevano quasi più niente. Si aggiungano gli screzi, quasi continui, provocati dai fanatici ebrei o musulmani, che si introducevano nella chiese e insultavano i sacramenti o si producevano in motteggi e sberleffi al passaggio delle processioni cristiane. I cristiani rispondevano per le rime e non di rado ci scappava il morto. Insomma, il problema dei falsi conversos era diventato serissimo, dal punto di vista dell’ordine pubblico. E finivano col farne le spese i veri convertiti. Furono proprio quelli più in vista tra questi ultimi a chiedere un intervento dall’alto, che facesse chiarezza. L’inquisizione nacque appunto per risolvere il problema dei falsi conversos, o “marranos”, cioè, battezzati cristiani, ma giudaizzanti e dunque eretici. L’Inquisizione spagnola operò con le procedure che conosciamo attraverso lo studio dell’Inquisizione Medievale, assolvendo e reintegrando nella Chiesa quelli che durante il tempo di grazia venivano a confessare la loro colpa. Poiché era sorta principalmente per risolvere il problema dei falsi conversos ebrei, l’inquisizione venne inizialmente affidata proprio a uomini di stirpe ebraica. Il famigerato Tomas de Torquemada, priore domenicano, confessore della regina Isabella e poi inquisitore generale, è infatti di famiglia conversa. Egli promulgò a Siviglia, nel 1484, una serie di istruzioni per disciplinare il funzionamento del tribunale inquisitoriale. La scelta di inquisitori conversos aveva proprio lo scopo di mostrare il massimo dell’imparzialità». E poi potremmo proseguire con alcune considerazioni sulla Inquisizione spagnola. E diciamo che, sollecitato da Isabella e dal marito Ferdinando d’Aragona, in questo contesto particolare – Isabella e Aragona, che avevano promosso negli anni precedenti una campagna pacifica di persuasione nei confronti dei cosiddetti “giudaizzanti”, e di evangelizzazione degli ebrei - il 1 novembre 1478 papa Sisto IV istituisce l’inquisizione in Castiglia, con giurisdizione soltanto sui cristiani battezzati. Pertanto, nessun ebreo è stato mai condannato perché tale. Mentre sono stati condannati quanti si fingevano cattolici per trarne vantaggio. L’inquisizione, colpendo una percentuale ridotta di “conversos” e poi di “moriscos”, cioè mussulmani diventati cristiani solamente per opportunismo, certifica che tutti gli altri sono veri convertiti, e che nessuno aveva il diritto di discriminarli o attaccarli con la violenza. Come ha affermato Francesco Pappalardo in un suo studio, «il ruolo svolto dall’Inquisizione spagnola, che godette sempre di grande popolarità presso la popolazione, fu decisivo per assicurare la pace sociale e religiosa. Infatti questo tribunale, colpendo una percentuale ridotta appunto, di conversos, certificò che tutti gli altri erano veri convertiti, e che nessuno ha il diritto di discriminare o di attaccare con la violenza. E in questo modo i promotori di tumulti antigiudaici persero qualsiasi giustificazione, e fu evitato il bagno di sangue». La portata di tale impresa - che costituisce una nazione spiritualmente compatta, di fronte alla Francia lacerata dalle guerre di religione, all’Inghilterra sulla strada dell’eresia e al Sultano, difensore del mondo islamico - non può essere sottovalutata. «D’altra parte – osserva ancora Pappalardo – l’immagine di una Spagna immersa nel torpore intellettuale e nella superstizione è ormai modificata grazie agli studi più recenti. È emblematica la vicenda dello storico inglese Hanry Camen, di formazione marxista, autore di uno studio pubblicato nel 1965, sull’Inquisizione spagnola, dove l’attività dei tribunali inquisitoriali e indicata come la causa principale di un ritardo culturale del paese iberico, il quale ha ammesso che la Spagna di quel tempo era una delle nazioni europee più libere». «L’inquisizione – conclude Pappalardo – non ostacolò mai le grandi imprese culturali dei secoli sedicesimo e diciassettesimo. Anzi, ripiegandosi su sé stessa, la Spagna giunse in quegli anni al culmine del suo splendore. Personaggi come il giurista Francisco de Vitoria, i teologi Francisco Suarez, Melchiorre Cano, Domenico De Soto; i drammaturghi Lope de Vegas, Pedro Calderón de la Barca, il romanziere Miguel de Cervantes, i pittori El Greco, Murillo e Diego Velasquez, dominarono la cultura europea e diedero vita al cosiddetto “Siglo de oro” (secolo d’oro)».
    Anche la vita religiosa conobbe la sua epoca aurea attraverso le figure di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della compagnia di Gesù, San Giovanni di Dio, fondatore dell’ordine degli Ospedalieri, i mistici Santa Teresa d’Avila e San Giovanni della Croce riformatori dell’ordine dei Carmelitani), il francescano San Pietro di Alcantara, il gesuita San Francesco Borgia. Negli anni che seguono l’istituzione dell’Inquisizione la situazione interna appare ancora difficilmente gestibile. E viene quindi giudicato indispensabile - per evitare mali maggiori agli stessi ebrei refrattari ad ogni proposta di conversione, nonché per assicurare l’ordine interno – procedere all’allontanamento degli ebrei dalla Castiglia e dall’Aragona. Preoccupati, infatti, per la crescente infiltrazione dei falsi convertiti nelle alte cariche civili ed ecclesiastiche e delle gravi tensioni che indeboliscono l’unità del paese – che, come abbiamo visto, costituisce la preoccupazione fondamentale, centrale, dei Re – il 31 marzo 1492 Isabella e Ferdinando si vedono costretti a revocare il diritto di soggiorno agli ebrei non convertiti. Sentiamo che cosa dice a questo riguardo padre Gutierrez, postulatore della causa di beatificazione di Isabella. Egli scrive così: «È significativo che Isabella prenda questa decisione dopo quasi vent’anni di regno e dopo che tale misura era stata adottata in Inghilterra nel 1290, in Ungheria nel 1349, in Francia nel 1394, e che in questo sia seguita solo dal Portogallo, da cui gli ebrei vengono espulsi nel 1497». Quindi, osserva Gutierrez: «Non si tratta di un atto di intolleranza religiosa, ma di un provvedimento di natura politica adottato per motivi di legittima difesa». Il professor Luis Suarez Fernandez, dopo aver studiato in modo accurato l’argomento sul quale ha raccolto ben 866 documenti che costituiscono con una introduzione il volume nono della documentazione della causa di beatificazione, ritiene che i due sovrani sperassero nella conversione della grande maggioranza degli ebrei e nella loro permanenza sul posto. Perciò fecero precedere il provvedimento da un’intensa campagna di evangelizzazione. Lo stesso Vittorio Messori asserisce, documenti alla mano, leggo testualmente, che: «L’espulsione del 1492 non è stata concepita per rafforzare la repressione antigiudaica, ma è stata uno strumento per ridurla. È stata un’iniziativa decisa per il ritorno della pace religiosa, per evitare bagni di sangue che hanno contraddistinto altri paesi europei. Molti di quegli Ebrei Sefarditi poi si rifugiarono in Italia Centrale, sotto il mantello del Papa. Lo stesso vale per i musulmani». «La storia – ammonisce Messori – non va letta con gli occhiali della contemporaneità e con le categorie di oggi». Su quest’ultimo tema è ancora Rino Cammilleri ce ci offre qualche elemento di giudizio quando scrive: «Curioso è poi il fatto che gran parte degli Ebrei espulsi dalla Spagna trovarono rifugio a Roma, accolti dal Papa. Tant’è che ancora oggi la comunità ebraica romana è la più numerosa e antica d’Italia». Tra parentesi – è ancora Rino Cammilleri che scrive: «Il Papa che li accolse era Alessandro VI Borgia. Si, proprio lui che era per giunta spagnolo. A quel tempo la Spagna unificata contava su 200mila ebrei. Una cifra notevolissima che faceva di questa minoranza etnica quasi uno Stato nello Stato. E poiché, a riconquista avvenuta, la giovane nazione si trovava anche con un’altra minoranza etnica e religiosa di enormi proporzioni – quella islamica – si rischiava un’implosione e una guerra civile. Così, data la mentalità del tempo – siamo alla fine del Quindicesimo secolo, non lo si dimentichi – la soluzione fu trovata, e fu l’unificazione religiosa». La misura era stata attuata dai russi nel dodicesimo secolo, da Edoardo Primo di Inghilterra nel tredicesimo, da Filippo il Bello di Francia nel quattordicesimo, cui si aggiunsero i principati tedeschi. Bene, tutti questi ebrei espulsi erano finiti in Spagna. Allora i Re Cattolici espulsero a loro volta gli ebrei che non avessero accettato il cristianesimo. 50mila rimasero, altri – un terzo, cioè, altri 50mila - fece ritorno nei mesi successivi. Facciamo ora una piccola pausa per poi passare alla pagina affascinante della Riconquista.
    Dunque abbiamo sentito quella citazione di Rino Cammilleri, che, parlando del provvedimento di espulsione degli ebrei dal territorio spagnolo, accenna alla necessità di adottare provvedimenti anche drastici, ma indispensabili per riportare la pace interna all’indomani dell’avvenuto glorioso completamento della riconquista del territorio iberico contro la secolare occupazione islamica. Infatti il provvedimento di espulsione degli ebrei è datato marzo 1492. La riconquista si compie 2 mesi prima, nel gennaio del medesimo anno 1492. In realtà il processo di progressiva riconquista della penisola iberica è iniziato molti secoli prima. Rifugiatisi fin dall’Ottavo secolo sulle montagne del nord della Spagna, dove tentarono di sottrarsi alla dominazione musulmana, i cristiani spagnoli iniziarono a costituire dei piccoli principati: Asturie, León, Navarra e Aragona. E lentamente si rafforzarono e organizzarono spedizioni militari contro i regni islamici di Taifas, nati sulle ceneri dello scomparso califfato di Cordova, nel 1031. dal 1035 al 1065 il Re di Castiglia e poi del León, Ferdinando Primo, guidò la fase della riconquista che portò alla presa di Coimbra, nel 1064, fase che ebbe i caratteri della vera e propria epopea cristiana, grazie all’indulgenza plenaria concessa dal papa Alessandro Secondo a coloro che avessero preso parte alla campagna militare. Nel 1085 Re Alfonso Terzo occupò Toledo, mentre il Cid Campeador, personaggio epico della letteratura spagnola, costituì la signoria di Valencia, alla fine dell’Undicesimo secolo. La riconquista subì una battuta d’arresto nel 1086 quando gli Almoravidi (potente dinastia islamica), sconfissero Alfonso VI, e riunificarono l’Andalusia musulmana. Nel Dodicesimo secolo venne riconquistato il Portogallo. E nel secolo successivo gli stati cristiani, con la vittoria di Tolosa, del 1212, posero fine al dominio degli Almoavidi, e poterono annettere il sud della penisola e le Baleari, confinando i musulmani nel piccolo regno di Granata, ultimo baluardo islamico circondato dalla Castiglia cristiana. Per comprendere il contesto all’interno del quale si situa la fase finale della riconquista spagnola è utile ascoltare le parole dello storico ispanista francese Jean Dumont, che scrive così: «La riconquista di Granata fu anche un obiettivo, un ideale internazionale europeo. Le operazioni di riconquista nei confronti dell’islam, che iniziano in Spagna nel 1482, non possono essere infatti isolata dal soprassalto generale dell’Occidente Cristiano che prende coscienza del pericolo islamico divenuto allora immediato e massiccio. Nel 1453 i Turchi islamici si sono impadroniti della capitale dell’Impero cristiano d’Oriente, Costantinopoli, altrimenti detta Bisanzio. E nel 1461 l’ultimo regno cristiano d’Oriente, quello di Trebisonda. Nel periodo tra il 1462 e il 1470 avanzano nel mediterraneo e catturano Negroponte, isola dell’Eubeo, possedimento veneziano. Nel 1479 avanzano ancor più a Occidente attaccando la Contea di Cefalonia, proprio di fronte all’Italia, all’epoca, o poco dopo, spagnola e sono alla portata degli Stati Pontifici. Nel 1480 i Turchi non esitano - in un nuovo balzo a Occidente -, a gettarsi sul porto italiano di Otranto, a distruggerlo e a massacrare 12mila abitanti. La volontà islamica di operare un collegamento con i mori di Granata si manifesta a quell’epoca con l’ultima puntata dei Turchi a Occidente. Trascurando la Tripolitania e la Tunisia, che diverranno loro vassalli solo nel Sedicesimo scolo, lasciano che se ne impadroniscano i pirati algerini e questo controllo farà dell’Algeria, di fronte a Granata, un vassallo dei turchi a partire del 1518, spiegando il motivo per il quale anche gli spagnoli, poco dopo la presa di Granata, attaccheranno in questa direzione insieme alle loro milizie popolari. Catturano Melilla nel 1494, Mers e Quebir nel 1505, Orano nel 1509. Nel 1510 gli spagnoli avanzano fino a Gouget, a Tripoli, neutralizzando Algeri. Di fronte alla spinta turca non riescono a mantenere il controllo sulle aree più avanzate, ma restano insediati a caro prezzo a Melilla, Mers, Elquebir e Orano, proprio di fronte a Granata».
    «Bisogna considerare tutto ciò – scrive Dumont – per comprendere l’effetto della notizia esplosa in Spagna a Natale del 1481. l’Emiro di Granata Mulai Hassan, si era impadronito a forza dei principali villaggi fortificati della frontiera Andalusa cristiana, vicino alla strada che conduce a Siviglia, verso la valla del Guedalete, Zagara della Sierra. Questo gesto violava le tregue sottoscritte e rinnovate nel 1478. E l’Emiro agì con violenza tale da ordinare il massacro della guarnigione e la deportazione in schiavitù di tutta la popolazione ridivenuta cristiana nel tredicesimo secolo. Vi era forse qualche pretesto a causa di recenti scorrerie cristiane, frutto di iniziative locali, ma in Spagna e in Europa tutti ritennero che là si manifestava, subito dopo l’avanzata turca su Otranto, la possibilità di una nuova penetrazione islamica che avrebbe utilizzato la testa di ponte lasciata ad Allah nell’Europa Cristiana, e che fosse necessario sbarazzarsi di questa testa di ponte. Nel 1482 il papa Sisto IV istituì il Contributo della Crociata, destinato in primo luogo a finanziare la lotta contro l’Islam in Spagna. La tensione verso l’unità religiosa, tanto più comprensibile in un’epoca nella quale l’appartenenza dei cittadini è la stessa fede, era l’elemento fondante degli stati, anima anche la lotta plurisecolare per la liberazione del territorio iberico dalla dominazione musulmana. La definitiva conquista delle ultime roccaforti andaluse è gloria di tutti gli spagnoli, ma in particolare di Isabella, che per portare a termine la Reconquista, profonde tutte le energie e il suo denaro. Fa costruire strade e città, assolda truppe scelte, provvede all’assistenza dei feriti e dei malati».
    Così osserva il padre Gutierrez: «La Regina, che nell’ultima fase della guerra vive attendata con i suoi soldati sotto le mura di Granata , è la vera protagonista della conclusione della Riconquista. Per cacciare i musulmani dal loro ultimo baluardo Isabella profonde tutte le sue energie e il suo denaro, fa costruire strade e città, allestisce i primi ospedali da campo e lazzaretti, provvede all’assistenza dei feriti e dei malati». La vittoria sui musulmani, sancita dalla resa di Granata, il 2 gennaio 1492, dopo dieci anni di combattimenti, è l’evento più importante della politica europea del tempo, e giustamente suscita un giubilo infinito in tutto il mondo cristiano. «L’accordo di capitolazione – scrive Gutierrez – garantisce esplicitamente ai musulmani la libertà di culto e il rispetto dei loro costumi tradizionali, ma Isabella mira a trasformare l’ex emirato in una terra cristiana. Allo scopo rinuncia al suo confessore, Fernando de Talabé (…) E nel 1502, i mori non convertiti di Granata – solamente quelli di Granata – vengono espulsi da tutta la Spagna».

    E infine, dopo aver parlato di questa pagina così importante di storia europea, cioè il compimento della Riconquista, parlando di Isabella di Castiglia e di questo incredibile anno, 1492: sembra che tutto sia successo in questi dodici mesi, non possiamo tacere la straordinaria impresa realizzata da Cristoforo Colombo, grazie ad Isabella: la scoperta del Continente Americano e l’inizio della sua evangelizzazione. L’entusiasmo religioso e nazionale che accompagna l’impresa della riconquista spiega il fatto che i sovrani guardano con favore il progetto, apparentemente irrealizzabile, del genovese Cristoforo Colombo. Le Capitulaciones de Santa Fe, il documento con cui viene dato il via alla sua spedizione, sono appunto firmate nel quartier generale di Granata, due mesi dopo la conquista della città. Già nel corso degli anni Ottanta del 1400, Cristoforo Colombo, navigatore genovese, nato nel 1451 e trasferitosi prima in Portogallo e quindi in Spagna, inizia a progettare il viaggio verso Occidente con l’intento di raggiungere le Indie dopo aver circumnavigato il globo terrestre. Le motivazioni di Colombo erano varie: il convincimento della fattibilità del viaggio, lo spirito di avventura, la ricerca di nuovi spazi ad Occidente, in considerazione anche della pressione islamica a Oriente, il desiderio di diffondere il cristianesimo oltre i confini della cristianità europea. Oltre a questi si deve considerare anche il risvolto economico e commerciale che un successo del viaggio avrebbe potuto significare per la Spagna e per i finanziatori dell’operazione. Inizialmente Colombo dovette incassare il rifiuto del Re Portoghese e anche dei Re Spagnoli, che solo in un secondo tempo, si lasciarono convincere. Come scrive Marco Tangheroni: «Come l’esperienza marinara di Cristoforo Colombo si inquadra perfettamente nella storia della sua patria e del suo tempo, così il progetto di raggiungere l’Oriente, passando per l’oceano, si stava imponendo, sia pure in maniera sfocata e imprecisa in diversi ambienti scientifici ed eruditi dell’epoca». Il navigatore genovese ha il merito di concepire con maggior precisione il disegno rafforzando le tesi di alcuni dotti con la personale esperienza dell’uomo di mare che aveva osservato indizi significativi e raccolto anche alcune voci degli ambienti marinari. E quindi di perseguire con ostinazione la realizzazione dell’impresa condotta poi con le sue straordinarie doti nella guida delle navi degli uomini. Tuttavia è bene ricordare che il suo progetto si basava su un duplice errore geografico. Pur condiviso da sapienti di grande autorità - e verrebbe voglia di esclamare, con la liturgia del Sabato Santo: felix culpa! - egli riteneva la terra molto più piccola e l’Asia molto più estesa verso l’Europa. Così gli poté apparire realizzabile un viaggio che, senza l’inattesa presenza di un altro continente, si sarebbe rivelato evidentemente impossibile. «È importante ricordare questo fatto – osserva Tangheroni – perché ci permette di comprendere il parere negativo, sia degli studiosi consultati dal Re del Portogallo, Giovanni Secondo, sia di quelli spagnoli, in buona parte dell’università di Salamanca, interpellati dai Re cattolici. Essi avevano, da un punto di vista matematico e geografico, ragione. E su questo piano avvenne – com’è documentato – la discussione». Naturalmente non era in discussione la sfericità della Terra, dato pienamente acquisito dalla cultura geografica medioevale, ma la sua dimensione. E non sarebbe stato necessario ricordarlo se non fosse ancora largamente diffuso questo luogo comune tipico della leggenda nera sul Medio Evo. Dunque, tali studiosi non erano come spesso li si immagina, i rappresentanti di una cultura vecchia, superata, medievale in senso spregiativo, contrapposta a quella nuova e moderna di Cristoforo Colombo. Ancor meno essi erano fanatici religiosi, nemici dell’umanità, dell’umanistica laicità del genovese. Semmai era proprio Cristoforo Colombo a superare di fronte agli altri e a sé stesso le obiezioni, oltre che con argomenti razionali, anche con una convinzione progressivamente crescente di una missione affidatagli dalla Provvidenza. Un’ultima considerazione. Perché il progetto di Cristoforo Colombo, che era stato giudicato negativamente da ripetuti autorevoli pareri, trovò quasi improvvisamente accoglienza da parte dei Re cattolici nei primi mesi del 1492? Questa è la domanda che si pone Tangheroni, a cui lo stesso grande studioso medioevista recentemente scomparso così risponde: «Indubbiamente pesarono i sostenitori e finanziatori che il navigatore genovese era riuscito a procurarsi. Ma la spiegazione essenziale è da ricercarsi nell’euforia dei sovrani, della Corte e del popolo spagnoli per l’avvenuto compimento del processo di Reconquista avviato dalla metà del secolo ottavo e terminato il 2 gennaio 1492 con la conquista di Granata». La grande avventura del navigatore genovese inizia il 3 agosto 1492 quando, al comando di tre imbarcazioni, lascia il porto di Palos per raggiungere le Canarie. Da qui parte il 6 settembre per la vera e propria attraversata atlantica. Dopo 33 giorni di navigazione, il 12 ottobre viene avvistata l’isola di Guanagnì, ribattezzata San Salvador, nell’arcipelago delle Bahamas. (Da notare che il 12 ottobre è una grande festa religiosa per gli spagnoli, essendo la festa della Madonna del Pilar, patrona di Spagna. Nota del trascrittore). Colombo farà quattro viaggi tra la Spagna e il Nuovo Mondo, ed aprirà così la strada all’incontro fecondo tra gli indios e la civiltà cristiana europea, dal quale nascerà una civiltà nuova e originale: una cristianità ibero-americana, che si pone tutt’oggi come il caposaldo cristiano nel mondo.

    Va detto subito che l’atteggiamento della Corona spagnola fu sempre improntato al desiderio di tutelare le popolazioni indigene e reprimere duramente le forme di sfruttamento, oppressione e violenza messe in atto da qualche spagnolo. Tutte le spedizioni spagnole furono accompagnate da una considerevole presenza di religiosi incaricati della predicazione, della evangelizzazione, ma anche della vigilanza cristiana sull’operato dei conquistatori. Furono costituite forme così energiche di tutela degli indios – come appositi tribunali incaricati di reprimere gli abusi commessi nei loro confronti, da suscitare talvolta il risentimento degli spagnoli che ritenevano eccessive le preoccupazioni dei Re di Spagna ed esagerata la protezione da questi accordata agli indigeni. La speranza di Isabella era proprio quella di condurre altri popoli alla vera fede. E non bada né a spese, né a difficoltà per onorare gli impegni con Alessandro VI che aveva concesso ai sovrani il diritto di patronato sulle nuove terre in cambio di precisi doveri di evangelizzazione. La regina, che già nel 1478 aveva fatto liberare gli schiavi dei coloni delle Canarie, proibisce subito la schiavitù degli indigeni del nuovo mondo, e la decisione viene rispettata da tutti i suoi successori. Con la cedola Reale dell’anno 1500 e con il suo testamento Isabella garantisce il diritto degli indios alla vita e alla libertà, e sancisce il divieto delle conversioni forzate, anticipando i contenuti della Bolla Pontificia Sublimis Deus emanata da papa Paolo Terzo nel 1537, e ponendo le basi del Diritto delle genti sviluppato negli anni successivi dalla Scuola di Salamanca. È Vittorio Messori a osservare che ci sono molti indigeni latinoamericani che pregano Isabella la cattolica. Fu lei a imprigionare Colombo e a costringerlo a rimandare liberi gli schiavi che aveva portato dall’America. Fu lei a stabilire una carta dei diritti dei nativi. Fu lei a scongiurare i suoi successori di trattare gli indigeni come figli e fratelli. Possiamo dire che grazie all’impegno di Isabella e dei suoi successori, l’incontro tra popoli così diversi, come gli Iberici e gli indo-americani, è molto fecondo. Incoraggia un’autentica integrazione razziale che si realizza sotto il segno del cattolicesimo senza incontrare le difficoltà proprie della colonizzazione di marca protestante. E determina la nascita di una nuova e originale civiltà cristiana. Ed in effetti, perseguendo l’obbiettivo dell’integrazione, e non quello brutale dello sterminio, è logico pensare che gli spagnoli non abbiamo inteso cancellare cultura, tradizioni, caratteri peculiari degli indios, ma cercare di armonizzare con il proprio portato culturale, tecnico e scientifico oltre che, naturalmente, religioso. È quello che, con espressione felice, lo studioso argentino Alberto Caturelli, ribadisce quando afferma l’originalità del prodotto dell’incontro tra spagnoli e indigeni. Caturelli dice così: «Non si deve mai dimenticare che l’Iberoamerica è stata generata dalla Spagna, e ciò costituisce il senso fondamentale della conquista e dell’evangelizzazione dell’America. Fin dal principio si procedette in modi diversi a un vero e proprio atto di fondazione mediante l’erezione di città, la creazione di istituzioni di governo e di cultura, l’impulso dato alla fusione delle due razze in un meticciato su scala continentale. Si giunse alla creazione di una nuova e originale realtà, con enormi conseguenze anche culturali. Basti pensare che i primi missionari fecero compiere alle lingue indigene, fino ad allora soltanto orali, un incommensurabile salto qualitativo. Elevandole all’astrazione della scrittura alfabetica che diede loro la possibilità di superare l’arcaica struttura che le caratterizzava e di pervenire alla cultura riflessiva. I missionari favorirono anche la nascita del pensiero Hiberoamericano, che non risale al secolo Dicianonovesimo, cioè all’indipendenza degli stati Hispanoamericani, ma già al secolo Sedicesimo, com’è rappresentato emblematicamente dalla fondazione della Real Universidad di Città del Messico, del 1551».
    E proprio parlando in Argentina nel 1987, lo stesso Santo Padre Giovanni Paolo Secondo, si espresse in questo modo: «Negli uomini e nelle donne di questa terra, nei suoi costumi e nel suo stile di vita, perfino nella sua architettura, si scoprono i frutti di quell’incontro di due mondi che ebbe luogo quando giunsero i primi spagnoli ed entrarono in contatto con i popoli indigeni che vivevano in questa regione. E in modo particolare con la cultura Quechua Hayamarà. Da questo incontro fruttuoso è nata la vostra cultura vivificata dalla fede cattolica che fin dall’inizio si è radicata molto profondamente in queste terre».
    Questa è direi l’autentica e profonda novità che caratterizza quello che per appunto fu detto il “Nuovo Mondo”. Il cristianesimo che è missionario per essenza, incontra e vivifica le realtà che incontra, le trasforma, le integra, le ordina al fine soprannaturale dell’uomo. In America Latina per di più lo splendido risultato dell’evangelizzazione spagnola venne misteriosamente, clamorosamente sottolineato dalla miracolosa apparizione, nel dicembre del 1591, della Madonna di Guadalupe, venerata dalla Chiesa cattolica con il titolo di Madre delle Americhe e patrona dell’intera America Latina. Certamente, come in tutte le pagine di storia umana, non furono tutte luci quelle che caratterizzarono la scoperta e l’evangelizzazione dell’America. Non mancarono ombre, anche pesanti, dovute alla ricerca di ricchezza, all’avidità e alla cattiveria degli uomini. Ma resta la grandezza di una missione umanamente impossibile, portata felicemente a compimento. La nascita di una civiltà grandiosa ed originale vivificata dalla fede in Cristo. Il padre Gutierrez, appunto il postulatore della causa di beatificazione di Isabella, dice così: «Isabella sostiene la spedizione di Cristoforo Colombo con la speranza di condurre altri popoli alla vera fede. L’avvenimento del 12 ottobre 1492, del tutto casuale e imprevisto, è in sé irrilevante di fronte alle conseguenze che ne derivano. L’evangelizzazione delle Americhe, per le sue dimensioni, trova paralleli, e a una portata forse superiore, soltanto nella conversione del mondo greco-romano e nella nascita della cristianità medievale, dopo l’impatto con i popoli germanici e slavi. Forse nessuna nazione ha superato la Spagna nella preoccupazione per le anime dei suoi nuovi sudditi. Isabella e i suoi successori non badano a spese né a difficoltà per onorare gli impegni con Papa Alessandro VI. L’incontro tra popoli così diversi – scrive p. Gutierrez – come gli indo-americani e gli iberici, e perciò molto fecondo, determina la nascita di una nuova e originale civiltà cristiana che può essere rappresentata dal volto meticcio della Virgen di Guadalupe. Oggi la metà dei membri della Chiesa cattolica abita il continente Libero-americano, definito da papa Giovanni Paolo Secondo “il continente della speranza”».

    Mi rendo conto, arrivati a questo punto della nostra conversazione, di aver messo molta carne al fuoco. D’altra parte vi rendete conto perfettamente di quanti avvenimenti e di quale entità, caratterizzino il Regno di Isabella. Restano dire alcune cose sulla religiosità della Regina. Religiosità che ne costituisce la caratteristica più importante. La fede di Isabella – lo abbiamo detto all’inizio tracciando il profilo biografico della regina – si manifesta fin dalla tenera età. E verrà alimentata costantemente con l’assidua frequentazione di religiosi e di monasteri. Da questa fede – incapace di restare chiusa nella coscienza individuale, e ansiosa di produrre frutti copiosi nel contesto culturale e sociale – derivano, sia l’incredibile slancio missionario che caratterizza il Regno e che spiega tutte le grandi scelte compiute dalla Corona Spagnola, sia la riforma cattolica promossa da Isabella con ampio anticipo sulla “Rivoluzione protestante” e sulla stessa Riforma cattolica. A questo proposito scrive ancora il p. Gutierrez, «che questa impresa – quella della Riforma cattolica spagnola, alla quale contribuisce soprattutto il francescano Ponzalo Himenez de Cisneros, confessore della regina e arcivescovo di Toledo – è sostenuta dal Papa Alessandro VI che concede ampi poteri a Isabella. La riforma del clero – realizzata quasi un secolo prima che il Concilio di Trento la estendesse a tutta la Chiesa, favorisce la formazione di un episcopato molto preparato che è all’altezza del servizio universale, cui la Chiesa Spagnola fu presto chiamata. Per promuovere gli studi ecclesiastici Isabella fonda numerose Università, anzitutto quella di Alcalà de Jenarez, che diventa il più importante centro di studi biblici e teologici del Regno. Istituisce anche collegi e accademie per laici di ambo i sessi, che danno alla Spagna un grande numero di dotti in tutti i rami del sapere, e una classe dirigente ben preparata. Altro merito di Isabella e la riforma degli ordini religiosi, maschili e femminili, i cui membri crescono notevolmente in numero e forniscono alla Chiesa, non soltanto una legione di santi e di missionari che si prodigarono specialmente nell’evangelizzazione delle Canarie, dell’Emirato musulmano di Granata, delle Americhe, delle Filippine, ma anche una schiera di uomini di vasta cultura e di profonda religiosità, che negli anni seguenti diedero importanti contributo alla riforma cattolica e al Concilio di Trento».
    Ben si comprendono quindi le parole di Jean Dumont, che commenta in questo modo: Scrive: «Isabella ha agito prima e meglio del Concilio di Trento. Quest’ultimo renderà obbligatoria , nel 1563, l’istituzione di seminari per la formazione dei sacerdoti, ma si tratterà di un obbligo delegato a ciascuna diocesi, con risultati spesso mediocri e tardivi. Non è possibile non ammettere che la grande Chiesa Spagnola del Sedicesimo secolo, roccia che non può essere scalfita e brillante come pietra preziosa, affonda le sue radici in questa formazione». Più avanti, sempre Jean Dumont, osserva come «la Chiesa, il cattolicesimo, sono soprattutto il popolo cristiano. Isabella, insieme a questo popolo, attuò una riforma caratteristica, profonda, i cui effetti permangono ancora oggi e sono durati a lungo. In primo luogo Isabella offrì al popolo la riforma clericale, che ebbe un influenza assai considerevole. Il popolo vedeva i suoi vescovi, i curati, i conventi e i monasteri passare dell’indegnità o dalla rilassatezza, all’osservanza e al rigore. Isabella quindi offrì al popolo la pedagogia della fede dell’Inquisizione, che fu subito molto popolare, e lo rimase fino al diciannovesimo secolo. I vescovi isabellini, nei loro sinodi diedero anche uno sviluppo considerevole alle scuole parrocchiali e catechistiche. Il popolo, potendo osservare l’esempio laico offerto da Isabella, rispose creando la sua chiesa laica, tratto caratteristico, fino ai giorni nostri, del cattolicesimo spagnolo. Una Chiesa composta, non solo da ordini terziari e congregazioni di laici, ma anche da fraternità di penitenza, preghiera e azione sociale. I dirigenti laici erano eletti e l’unico legame con la Chiesa gerarchica era sacramentale e dottrinaria».
    Dunque, Dussel dipinge questo quadro dell’America del Sedicesimo secolo: «La fede determinava ogni atto degli spagnoli. La vita dei laici era organizzata in numerose confraternite e congregazioni e ordini terziari. Queste confraternite non imponevano soltanto secondo spirito, con devozioni e catechismo, ma anche di compiere opere misericordiose, di lavorare negli ospedali, nelle scuole. Si trattava allora di un vero impegno cristiano. Queste organizzazioni eleggevano le loro autorità di tipo più diverso. Ne risultava un gran numero di battezzati che si davano al servizio del prossimo. A suggellare la grandiosità dell’opera di rinnovamento spirituale posta in essere per precisa volontà della regina, talvolta anche attraverso un confronto aspro con la curia romana, alla fine del 1496 Papa Alessandro VI concede a Ferdinando e a Isabella il titolo di Re Cattolici, come ricompensa per le loro virtù, per lo zelo in difesa della fede e della Sede Apostolica, per le riforme apportate alla disciplina del clero e degli ordini religiosi e la sottomissione dei mori».

    Benché presso i contemporanei fosse quasi unanime il plauso per le virtù di Isabella e l’ammirazione per la sua vita esemplare, nei secoli successivi la diffusione di una leggenda nera sulla Spagna cattolica, le guerre di religione, la difficoltà di consultare i documenti, ritardano notevolmente l’apertura della causa di beatificazione. Ma la fama di santità della Regina cresce nei secoli e con il procedere dell’indagine storica. Così che nel 1958 si apre in diocesi di Valladolid la fase preliminare del processo di canonizzazione con l’insediamento di una commissione di esperti chiamata ad esaminare oltre 100mila documenti conservati negli archivi di Spagna e del Vaticano. Il 26 novembre 1971 è istituito il processo ordinario diocesano che si conclude dopo la celebrazione di ottanta sessioni. Il processo apostolico a Roma si apre il 18 novembre 1972, e dopo 14 anni di lavoro è portata a termine la composizione della positio historica sulla vita, le virtù e la fama di santità della serva di Dio, sulla quale sei consultori della Congregazione delle Cause dei Santi, nella riunione del 6 novembre 1990 esprimono giudizio positivo. Gli atti sono trasmessi a una commissione teologica perché si pronunci sul merito della causa. Ma l’iter subisce un rallentamento in occasione del quinto centenario della scoperta e dell’evangelizzazione dell’America che ha visto lo scatenarsi di polemiche strumentali da parte di quanti ritengono che la beatificazione della Regina nuocerebbe allo spirito ecumenico, e che l’istituzione del Tribunale dell’Inquisizione e la conquista dell’America siano ostacoli insormontabili per il riconoscimento della santità di Isabella.

    Avviandomi alla conclusione, come possiamo riassumere questa ricchissima pagina di storia dedicata a Isabella la cattolica, regina di Castiglia e di Spagna? Non è un compito facile considerando i trent’anni di regno “isabellino”. Allora vorrei chiudere questa conversazione dedicata a Isabella la cattolica e al fatidico anno 1492 riportando le lusinghiere espressioni utilizzate dal postulatore della causa di beatificazione, p. Gutierrez, che scrive testualmente così: «La positio historica, pur rilevando l’assenza di fenomeni mistici straordinari in Isabella, la descrive come una autentica contemplativa nell’azione, che ha saputo coniugare la pratica delle virtù cristiane con il difficile esercizio dell’azione di governo. Isabella ha intrapreso il cammino della santità proprio con il compimento puntuale dei suoi doveri di regina. E ha mostrato che la vera missione dei reggitori degli Stati è di stabilire la pace e l’armonia tra i cittadini, affinché possa sbocciare la carità nelle anime e nelle società. È quindi anche modello di vita per i laici, ai quali insegna come devono procurarsi il Regno di Dio, trattando le cose temporali, anche le più impegnative. Inoltre è modello di virtù per le famiglie, come figlia, sorella, sposa fedele, madre sollecita e premurosa di cinque figli, ai quali si è dedicata senza trascurare i doveri di governo. In questo senso è anche modello di squisita femminilità, secondo l’insegnamento della Chiesa ribadita da Giovanni Paolo II con la lettera apostolica Mulieris dignitatem del 30 settembre 1988. Ma il suo principale insegnamento – conclude padre Gutierrez – sta nella sollecitudine per l’impegno missionario che anima tutte le sue grandi imprese, e che induce a proporla come modello della prima e della seconda evangelizzazione del mondo in genere, e dell’Europa, in specie».

    Trascrizione di Claudio Forti

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    Francesco PAPPALARDO
    La regina diffamata. La verità su Isabella la Cattolica (recensione di Jean Dumont)
    tratto da Cristianità, 32 (2004) luglio-agosto, n. 324, p. 21s. (Errata corrige in Cristianità, 32 (2004) settembre-ottobre, n. 325, p. 29).

    Il 26 novembre di cinquecento anni fa moriva a Medina del Campo, presso Valladolid, Isabella la Cattolica (1451-1504), regina di Castiglia e di León. Personaggio straordinario, cui si devono, fra l'altro, la conclusione della Reconquista, cioè la liberazione della penisola iberica occupata dai musulmani quasi otto secoli prima, i viaggi di Cristoforo Colombo (1451 ca.-1506) nel Nuovo Mondo e l'inizio dell'evangelizzazione delle Americhe, Isabella è ancora al centro di polemiche.

    Se da un lato la causa di beatificazione che la riguarda è ormai in fase avanzata, dall'altro lato l'istituzione del tribunale dell'Inquisizione e l'espulsione di ebrei e musulmani dalla penisola sono ritenute in alcuni ambienti ostacoli insormontabili per il riconoscimento della santità della regina.

    Utilizzando una gran mole di documenti, in dieci capitoli e quattro allegati (pp. 167-180), comprensivi di una bibliografia ordinata e commentata, Dumont si propone, come ricorda Vittorio Messori in Un invito alla lettura (pp. IX-XII), di smontare la «leggenda nera» contro colei che «[...] fu madre della Spagna e delle Americhe» (p. XII).

    «Santa o diabolica?», è la domanda provocatoria che appare sulla quarta pagina di copertina dell'opera di Jean Dumont (1923-2001) La regina diffamata. La verità su Isabella la Cattolica, traduzione italiana di L'«incomparable» Isabelle la Catholique (Criterion, Parigi 1992; inspiegabilmente non della 2a ed. riveduta e accresciuta, ibid. 1995), pubblicata proprio quando la querelle era resa più aspra dall'approssimarsi del quinto centenario della scoperta dell'America. L'autore propende decisamente per la prima risposta: «santa».

    Nato a Lione, laureato in storia e filosofia, direttore editoriale di diversi club del libro e di case editrici, Jean Dumont ha svolto la professione di storico al di fuori del mondo accademico, a contatto diretto con gli archivi, redigendo diverse opere intese a denunciare la menzogna e la falsificazione storica (cfr. l'In memoriam, in Cristianità, anno XXIX, n. 308, novembre-dicembre 2001, p. 12). In Italia nel 1986, per una conferenza sulla Rivoluzione francese, organizzata a Torino da Alleanza Cattolica e da Amicizia Cattolica, rilascia un'intervista a Massimo Introvigne su L'Inquisizione fra miti e interpretazioni (cfr. ibid., anno XIV, n. 131, marzo 1986, pp. 11-13, dove, a p. 12, si trova anche Jean Dumont: elementi bio-bibliografici). In Spagna, dove ha vissuto per oltre quindici anni, è considerato uno dei maggiori esperti di storia dei secoli XV e XVI. Dei suoi numerosi studi, fra cui meritano di essere ricordati almeno L'Église au risque de l'Histoire (Criterion, Limoges 1981) e La Révolution française ou les prodiges du sacrilège (Criterion, Limoges 1984), in lingua italiana si possono leggere I falsi miti della Rivoluzione francese (Effedieffe, Milano 1989), con prefazione di Giovanni Cantoni, Il Vangelo nelle Americhe. Dalla barbarie alla civiltà, con un'appendice sul processo di beatificazione della regina Isabella la Cattolica (Effedieffe, Milano 1992), prefato da Marco Tangheroni (1946-2004), e La Chiesa ha ucciso l'impero romano e la cultura antica? (Effedieffe, Milano 2001), con un invito alla lettura di Rino Cammilleri.

    Nel capitolo I, "La culla profetica" (pp. 3-12), egli introduce il lettore ai luoghi e ai personaggi che hanno segnato l'esistenza d'Isabella, con attenzione particolare a Madrigal de las Altas Torres, un piccolo paese presso Avila, nella Vecchia Castiglia, dove la futura regina nasce, il 22 aprile 1451, Giovedì Santo, da re Giovanni II (1405 1454) e da Isabella di Portogallo (m. 1496), sua seconda moglie. Madrigal fu la culla spirituale della Castiglia isabellina, perché vi nacquero Maria Briceño y Contreras, prima educatrice di santa Teresa d'Ávila (1515-1582), e Alfonso de Madrigal (1410-1455), maestro dei due principali collaboratori della regina nell'azione di riforma del clero, degli ordini religiosi e dell'episcopato, il girolamino Fernando de Talavera (1428-1507) e il francescano Francisco Jiménez de Cisneros (1436-1517), arcivescovo di Toledo. A Madrigal nacque anche il venerabile Vasco de Quiroga (1470-1565), primo vescovo di Michoacan in Messico, uno degl'interpreti migliori dell'ansia evangelizzatrice d'Isabella, e vi morì l'agostiniano Louis de León (1528-1591), convertito di origine ebraica, uno dei più grandi scrittori e poeti religiosi della Spagna, esponente di spicco del «genio giudaico-cattolico» (p. 9).

    Nel capitolo II, "Matrimonio e avvento al trono" (pp. 13-39), lo storico illustra la formazione d'Isabella, educata amorevolmente dalla madre e guidata spiritualmente dai francescani. Chiamata alla corte di Segovia dal fratello, il nuovo sovrano re Enrico IV (1425 1474), dà prova di maturità chiedendo e ottenendo il permesso di vivere in casa propria per evitare la vita dissoluta della corte; all'età di diciassette anni mostra di possedere un carattere energico e deciso, rifiutando la proposta dei seguaci del fratello minore Alfonso (1453-1468), scomparso prematuramente, di essere proclamata regina invece di re Enrico, la cui politica aveva suscitato l'opposizione armata di una parte della nobiltà e del paese. Il 19 ottobre 1469, dopo aver rifiutato numerosi pretendenti proposti dal sovrano, sposa don Ferdinando (1452 1516), principe ereditario di Aragona e re di Sicilia. Incoronata regina il 13 dicembre 1474, a Segovia, manifesterà subito uno spiccato senso dello spettacolo e della magnificenza, nonché «[...] l'arte di imporre messe in scena stupefacenti che fanno di lei un efficace ministro della propaganda e della comunicazione ante litteram, quasi una regista di film di successo» (p. 33).

    Isabella si trova alla guida di una società ricca di vitalità e di energie, ma indebolita da contese intestine e dall'amministrazione poco attenta dei suoi predecessori. Grazie al coinvolgimento della nazione nell'attività riformatrice e al rispetto per le autonomie regionali e per i fueros, cioè per l'insieme di consuetudini e di privilegi delle comunità locali e dei corpi intermedi, ella gode di un largo consenso, che le permette di giungere in breve tempo alla pacificazione del paese, descritta nel capitolo III (pp. 40-58), "La creazione dello Stato moderno". La valorizzazione di strutture centrali già esistenti, l'estensione a tutto il territorio di controlli amministrativi più efficaci e il ripristino dell'autorità della Corona, soprattutto nel campo della giustizia e dell'amministrazione finanziaria, sono merito della coppia regale, ma è improprio parlare della nascita di uno «Stato moderno» in assenza di un monopolio della produzione del diritto e di una sfera unica dello spazio pubblico.

    Un altro problema serio affrontato dai sovrani è quello della convivenza fra ebrei e cristiani, deteriorata anche a causa del problema dei falsi convertiti al cristianesimo, tale - secondo l'autorevole storico della Chiesa Ludwig von Pastor (1854-1928) - da mettere in questione l'esistenza della Spagna cristiana. Dopo diversi tentativi di assimilazione, nel secolo XV la Corona aveva fatto propria la politica conversionistica, di cui è protagonista innanzitutto san Vincenzo Ferrer (1350-1419) che, a partire dal 1411, suscita grandi entusiasmi fra la popolazione castigliana e spinge interi gruppi di ebrei al fonte battesimale. Le conversioni sono molto numerose - forse ventimila fra il 1412 e il 1419 -, particolarmente fra i rabbini, i notabili e gli ebrei di corte, tanto che si parlerà di una disfatta teologica ebraica. Il progresso d'integrazione, però, si arresta presto proprio a causa dell'abbondanza delle conversioni e del dubbio sulla loro sincerità, dubbio che si amplifica fino a diventare un vero e proprio allarme. Sollecitato dalla regina e dal marito Ferdinando - che avevano invano promosso una campagna pacifica di persuasione nei confronti dei giudaizzanti - nel 1478 Papa Sisto IV (1471-1484) istituisce l'Inquisizione in Castiglia, con giurisdizione soltanto sui cristiani battezzati e, dunque, su quanti si fingevano cattolici per trarne vantaggi. Nel capitolo IV, dedicato a "L'Inquisizione" (pp. 59-83), lo storico di Lione spiega che i nuovi tribunali erano dotati di regole eque e di procedure non arbitrarie, i giudici pronti a sconsigliare l'uso della tortura o a scoraggiare denunce infondate e delazioni, le sentenze molto più miti e indulgenti dei tribunali civili del tempo. Lo spoglio statistico delle sentenze, da cui si ricava la bassa percentuale delle condanne, soprattutto di quelle alla pena capitale, ha ormai fatto venir meno l'immagine dell'Inquisizione come tribunale sanguinario. I processi dimostrano, inoltre, che molti dei nuovi cristiani continuavano in realtà a essere fedeli alla religione dei padri e che le antiche reti familiari e di amicizia fra ebrei e conversos sopravvivevano alle conversioni.

    L'espulsione del 1492, illustrata nel capitolo V, intitolato appunto "L'espulsione degli ebrei" (pp. 84-100), non deriva, dunque, dalla pressione popolare o da una presunta ostilità antiebraica dell'aristocrazia o addirittura della Chiesa - Dumont ricorda che gli espulsi furono accolti con grande generosità negli Stati Pontifici da Papa Alessandro VI (1492-1503) -, bensì dal tentativo estremo di salvare i risultati della politica conversionistica attraverso il taglio definitivo dello stretto legame che ancora legava ebrei e conversos. I due sovrani, sperando nella conversione della grande maggioranza degli ebrei e nella loro permanenza nel regno, fanno precedere il provvedimento da un'intensa campagna di evangelizzazione, che però ottiene pochi risultati immediati. Gli attacchi subiti da Dumont dopo la pubblicazione dell'edizione spagnola e di quella francese - ricorda Messori - non hanno potuto demolire il serio impianto di documentazione di prima mano su cui l'opera si fonda, e autori non sospetti di simpatie per lo storico francese ne hanno confermato indirettamente le tesi. Fra tanti Anna Foa, nella storia degli Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all'emancipazione. XIV-XIX secolo (Laterza, Bari-Roma 1999), afferma che l'espulsione fu l'esito, imprevedibile e non necessario, dell'oscillazione dei due sovrani fra due politiche, quella volta alla conservazione della tradizionale tolleranza nei confronti delle minoranze religiose e quella legata alla difesa dell'omogeneità religiosa e politica del Paese. Non è un caso che l'Inquisizione dopo i primi vent'anni riduca notevolmente la sua attività, tanto che quando Isabella muore in Castiglia esistono solo sette dei sedici tribunali delle origini.

    Quanto detto per i falsi conversos vale anche per i moriscos, cioè gli ex musulmani del regno islamico di Granada, i cui abitanti non erano spagnoli ma berberi e arabi impadronitisi delle terre appartenenti ai cristiani autoctoni, massacrati o costretti all'esilio in gran numero. La riconquista di quel regno è il risultato dello sforzo corale non solo di un popolo, desideroso di ricuperare le proprie terre e di riportarvi la fede, ma anche di tutta la Cristianità, che vi contribuisce con aiuti finanziari e militari, combattendo l'ultima crociata dell'Occidente (1482-1492). Alla comunità islamica viene concesso di restare coesa, socialmente e religiosamente, anche se Isabella non rinunzierà mai a una politica di conversione e di assimilazione, descritta da Dumont nel capitolo VI, "Granada e i «moriscos»" (pp. 101-116). Per circa un secolo i sovrani spagnoli alternano politiche blande e interventi severi di fronte alla riottosità e all'inquietudine dei mori, convertiti solo in apparenza, che animano diverse e sanguinose rivolte, vere riprese della guerra islamica in Spagna, e mantengono legami con i pirati barbareschi, finché, nel 1609, ne viene decisa l'espulsione.

    L'entusiasmo religioso e nazionale che sostiene la lotta per Granada spiega anche il fatto che i sovrani accolgano, proprio nella roccaforte andalusa, due mesi dopo la vittoria, il progetto, apparentemente irrealizzabile, del genovese Cristoforo Colombo. La speranza di Isabella è quella di condurre altri popoli alla vera fede e non bada né a spese né a difficoltà per sostenere l'evangelizzazione delle nuove terre. La regina, che già nel 1478 aveva fatto liberare gli schiavi dei coloni nelle Canarie, proibisce subito la schiavitù degl'indigeni nel Nuovo Mondo e la decisione viene rispettata da tutti i suoi successori. «Garantendo allo stesso tempo la libertà temporale e la libertà spirituale degli indiani - scrive Dumont nel capitolo VII, "Cristoforo Colombo e l'America" (pp. 117-129) - Isabella è la madre di quella che diventerà la libera America cattolica» (p. 129). Grazie all'impegno della regina e dei suoi successori l'incontro fra popoli così diversi, come gl'iberici e gl'indoamericani, è molto fecondo, favorisce un'autentica integrazione razziale - che si realizza sotto il segno del cattolicesimo, senza incontrare le difficoltà proprie della colonizzazione di marca protestante - e determina la nascita di una nuova e originale civiltà cristiana.

    Nel capitolo VIII, "La prima Riforma cattolica" (pp. 130-149), viene illustrata la riforma del clero, realizzata quasi un secolo prima che il Concilio di Trento (1545-1563) la estendesse a tutta la Chiesa, che favorisce la formazione di un episcopato molto preparato e all'altezza del servizio universale cui la Chiesa spagnola fu presto chiamata. Per promuovere gli studi ecclesiastici la regina fonda numerose università, anzitutto quella di Alcalá de Henares, che diventa il più importante centro di studi biblici e teologici del regno. Altro merito suo è la riforma degli ordini religiosi, maschili e femminili, i cui membri crescono notevolmente di numero e forniscono alla Chiesa non soltanto una legione di santi e di missionari - che si prodigarono specialmente nell'evangelizzazione delle Canarie, dell'emirato musulmano di Granada, delle Americhe e delle Filippine -, ma anche una schiera di uomini di vasta cultura e di profonda religiosità, che negli anni seguenti diedero importanti contributi alla Riforma cattolica e al Concilio tridentino.

    La grandezza di Isabella non si esprime solo nella sua opera politica, sociale e religiosa, ma anche «nella riscoperta nella bellezza» (p. 150), tanto da potersi parlare di uno «stile Isabella», espresso da preziosi monumenti - illustrati puntigliosamente nel capitolo IX, "La bellezza" (pp. 150-158) -, a loro volta frutto della collaborazione di molti artisti stranieri, del ritorno dell'arte alle origini cristiane e dell'alleanza del genio ebraico con il cattolicesimo. «La Spagna, oggi, deve a Isabella il fatto di trovarsi in Europa, incoronata dalla bellezza cristiana, e non in Maghreb o in Israele» (p. 158).

    Benché presso i contemporanei fossero quasi unanimi il plauso per le virtù d'Isabella e l'ammirazione per la sua vita esemplare - di cui Dumont dà conto nel capitolo X, "La santità" (pp. 159-166) -, la diffusione di una «leggenda nera» sulla Spagna cattolica, le guerre di religione dei secoli XVI e XVII, la difficoltà di consultare i documenti relativi alla vita e alla politica della regina hanno ritardato notevolmente l'apertura della causa di beatificazione. Ma la fama di santità è cresciuta nei secoli, anche con il procedere dell'indagine storica, così che nel 1958 si è aperta nella diocesi di Valladolid la fase preliminare del processo di canonizzazione, giunto ormai a una tornata decisiva con il giudizio positivo espresso, il 6 novembre 1990, da una commissione storica nominata dalla Congregazione delle Cause dei Santi sulla Positio historica super vita, virtutibus et fama sanctitatis della serva di Dio.

    L'auspicio di Messori è che il quinto centenario della morte della «Regina cattolica» - il titolo onorifico di Re Cattolici fu attribuito dalla Chiesa, nel 1496, a Isabella e al marito Ferdinando - possa coincidere con la beatificazione della sovrana, per la quale Dumont si è tanto impegnato sotto il profilo del ristabilimento della verità storica (cfr. Anastasio Gutierrez Poza C.M.F. [1911-1998], La serva di Dio Isabella la Cattolica, modello per la nuova evangelizzazione, intervista a mia cura, ibid., anno XX, n. 204, aprile 1992, pp. 11-16).

    http://www.storialibera.it/epoca_mod...cattolica.html

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    Isabella di Castiglia: una santa Regina
    Articolo pubblicato su Il Giornale, 12 novembre 2003
    La polemica sul processo di beatificazione
    Così Vittorio Messori difende la cattolicissima sovrana spagnola dagli attacchi di ebrei, musulmani e massoni
    di Andrea Tornielli

    L’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga ha provocatoriamente affermato che si sarebbe "dimesso" da cattolico se la Chiesa fosse arrivata a beatificarla. La causa per portarla verso gli altari è stata introdotta durante il franchismo, è stata rallentata da Paolo VI nel 1974 e quindi sospesa ufficiosamente nel 1991 dalla Congregazione per le cause dei santi. Ma negli ultimi tempi il processo ha ripreso a camminare e negli archivi vaticani si conservano già 100mila lettere che chiedono la beatificazione di Isabella la Cattolica, la regina fautrice dell’unità della Spagna, nota per aver espulso gli ebrei sefarditi dal Paese, aver cacciato i musulmani da Granada, e aver favorito l’Inquisizione oltre che per aver finanziato il viaggio di Cristoforo Colombo che aprì la via alla conquista spagnola e all’evangelizzazione degli indios americani.
    Qualche anno fa il Times ha riportato le parole del portavoce della Società islamica per la promozione della tolleranza religiosa, che affermava: «Isabella sembra più un demone che un santo». Un personaggio "politicamente scorretto", anzi scorrettissimo, insomma, che viene difeso in questi giorni da un libro dell’ispanista francese Jean Dumont (1923-2001) appena tradotto in italiano (La regina diffamata, Sei, pag. 180, euro 12,50). La prefazione è dello scrittore Vittorio Messori, che si è impegnato per far pubblicare il libro in Italia e che assicura non far derivare per nulla questa sua passione dal fatto di essere stato insignito della decorazione di "caballero" di Isabella la Cattolica (croce d’oro zecchino con smalti d’ordinanza) concessa dal re di Spagna Juan Carlos di Borbone.
    Messori, perché questa difesa di un personaggio a prima vista oggi indifendibile?
    «Perché contro la sposa di Ferdinando d’Aragona milita uno schieramento imponente: gli ebrei, i musulmani, i massoni e in generale i liberal di ogni tipo che non le perdonano l’istituzione dell’Inquisizione, e i secessionisti. Insomma le lobbies più potenti ed eterogenee sono unite per impedire che la Chiesa beatifichi questa donna».
    E l’opposizione di Cossiga come la giudica?
    «Forse deriva dalla sua nota simpatia verso gli indipendentisti baschi, catalani e galiziani. Ricordiamoci che Isabella la Cattolica è colei che realizza l’unità spagnola. Tutti gli avversari della regina, però, temo che combattano un’immagine di Isabella che poco o nulla ha a che fare con quella vera. Il valore del libro di Dumont, grande ispanista docente a Siviglia, sta nel fatto che questo studioso, utilizzando una grande massa di documenti, spesso inediti, smonta la "leggenda nera" provando la falsità delle accuse. Anche grazie al suo contributo la causa di beatificazione si è rimessa in moto».
    Gli ebrei la regina li cacciò via. Non mi dirà che pure questa è una "leggenda nera"…
    «Dumont dimostra molto bene che l’espulsione, nel 1492, non è stata concepita per rafforzare la repressione anti-giudaica, ma è stata uno strumento per ridurla. È stata un’iniziativa decisiva per il ritorno alla pace religiosa, per evitare bagni di sangue che hanno contraddistinto altri Paesi europei. Molti di quelli ebrei sefarditi, poi, si rifugiarono in Italia centrale, sotto il mantello del Papa. Lo stesso vale per i musulmani. La storia non va letta con gli occhiali della contemporaneità e con le categorie dell’oggi…»
    E l’Inquisizione spagnola? Non è giustamente considerata un simbolo dell’oscurantismo?
    «Le stampe dell’epoca che raffigurano persone torturate dall’Inquisizione spagnola sono frutto della propaganda inglese e olandese, cioè dei Paesi che volevano scalzare la Spagna dal controllo delle grandi rotte internazionali. L’Inquisizione spagnola in 400 anni ha ucciso molte meno persone di quelle uccise dal Terrore giacobino in un solo anno. Eppure non mi sembra che si consideri la Rivoluzione francese come simbolo di oscurantismo».
    Veniamo alle conversioni forzate degli indios.
    «Ci sono molti indigeni latinoamericani che pregano Isabella la Cattolica. Fu lei a imprigionare Colombo e a costringerlo a rimandare liberi gli schiavi che aveva portato dall’America. Fu lei a stabilire una carta dei diritti dei nativi, fu lei a scongiurare i suoi successori di trattare gli indigeni come figli e fratelli».

    http://rassegnastampa.totustuus.it/m...ticle&sid=1371

 

 
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