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  1. #1
    Guido Keller
    Ospite

    Predefinito Quel Domani che ci appartenne - recensione di M.Renzaglia

    Gabriele Adinolfi, Quel domani che ci appartenne – Passato, presente e futuro in camicia nera, Società Editrice Barbarossa, 2005, € 18

    Il libro è da sconsigliare: agli antifascisti per antonomasia; agli asfittici del pensiero debole o fortemente corretto; ai cani sciolti che: ”lo so io perché so’ fascista” (senza nemmeno la voglia di spiegarlo a se stessi…); ai kamikaze dell’ultimo tumulto; ai fachiri del: “Semo nati pe’ soffrì’…”; ai sempre ligi agli ordini del ducetto di turno; ai cacadubbi all’infinito; alle marionette del: “ Credere ed obbedire…” che, poi, sul: “combattere” c’è da ragionare; ai fascistoidi dei servizi di sicurezza; ai reazionari; ai fatalisti che: “Il fascismo? L’ha condannato la storia…”; agli attivi ricercatori di scorciatoie che li hanno condotti in vicoli assolutamente ciechi; agli archivisti della memoria sfranta; ai sonnambuli del sogno perfetto; ai buttafuori di ogni contraddizione; ai mesta popolo senza popolo e senza mestolo; ai tedofori dei fuochi fatui; agli avanguardisti di nessuna retroguardia; ai nullatenenti cerebralmente intesi; ai nauseati dall’esistente, ché dell’esistente si sono abbondantemente libati, godendone; ai mutilati di tutte le guerre combattute solo nell’ippocampo del loro riveritissimo cervello; agli evoliani di stretta osservanza; ai destri in quanto fascisti e ai fascisti in quanto di destra… Da consigliare, invece: a chi sente il bisogno di ricomporre, in un puzzle attendibile, una storia fatta a pezzi. E di andare oltre…

    Gabriele Adinolfi, che non è uno storico ma un combattente in armi intellettuali della cronaca di questo nostro perdurante nottetempo, ricostruisce, con un rigore degno della migliore storiografia, il percorso che va dalle origini del fascismo ad oggi. Permettendosi persino il lusso di lanciare il dardo oltre l’alba scura che ci troviamo tuttora a pernottare. Gli è che se vuoi capire qualcosa del fascismo lo devi vivere, nel bene e nel male, sulla tua pelle… Dopo di che, puoi pure avvalerti di tutta l’enciclopedia del tuo sapere… Dopo, però… Non prima. O a prescindere… Gabriele Adinolfi, in quanto a questo, ha i titoli (e il merito…) per poterne parlare con assoluta cognizione di causa, avendo metabolizzato quella storia (del fascismo…) nei suoi gangli esistenziali, nei nodi della sua anima, nelle soluzioni chimiche di suoi processi sanguigni e nervosi e, soprattutto, avendo pagato questa assunzione fisio-meta-onto-logica di responsabilità storica in cento uffici esattoriali “democratici e antifascisti”, inclusi appena una ventina d’anni di forzato esilio… I dottorini di lungo corso accademico, che si cimentano nell’impresa dall’alto di uno sguardo neutralizzato (più che neutrale…), no (senza parlare dei vulgatori marxiani della medesima storia, la cui parzialità oltre che sospetta in origine, è stata smascherata da un bel pezzo…). La verità ha sempre preteso sangue, sudore e sacrificio dai suoi cercatori. E non hai mai dato appuntamento a nessuno in una biblioteca, in un’aula universitaria o (se non tanto raramente da confermare la regola…) di tribunale.

    Ma entriamo nel merito del libro. Quando, per fiducia e stima assolutamente immeritate (si fa per dire, è vero…), Gabriele Adinolfi mi spedì in anteprima di lettura le bozze, per un errore (o per un lapsus?) il file era intitolato “Il domani appartiene a noi”. Prima ancora di inoltrarmi nella lettura del testo, stavo spedendogli una mail per consigliare di cambiare quel titolo che, a me, è sempre sembrato portasse un tantinello sfiga, già come ritornello della nota e omonima canzone. Sennonché, l’Autore avvedutosi dell’errore (o del lapsus?), mi precedette con una rettifica che riportava le parole del titolo al senso che hanno in edizione: “Quel domani che ci appartenne”. E qui ci siamo: tanto per la perifrasi (azzeccata…) che per la esatta corrispondenza filologica a ciò che di una lettura del fascismo, critica fin quanto si vuole ma non pregiudiziale, è onesto fare. Infatti, un programma rivoluzionario additava, una volta, un “domani”: e “quel domani” incontestabilmente “ci appartenne” in realizzazione. Gabriele Adinolfi ne rintraccia l’originario bagliore, il mezzogiorno, le ombre diffuse, il crepuscolo e lo squarcio di luce che ne accompagnò il tramonto con il piglio dell’esattezza astronomica e con la partecipazione di chi, pur senza averlo vissuto per limiti anagrafici, essendo venuto al mondo “migliore dei mondi possibili” ben dopo il ’45, non ha voluto credere alla novella diceria secondo la quale – sempre “quel domani che ci appartenne” – fosse stato una lunga ed odiosa eclisse. Il merito di questa prima parte del libro (“Passato”…), ai miei occhi, è che l’Autore riesce a non scadere mai in quel pernicioso nostalgismo che ha spesso caratterizzato tanta pubblicistica, ancorché nostra, ahimé, autodenunciatasi orfana irrimediabile dello splendore originario. Infettando, così, (loro: i piagnoni…) di nessuna prospettiva altra dal rimpianto per il bel tempo che fu, gran parte delle successive generazioni rivoluzionarie. Dal novero dei piagnoni ad oltranza, escludo senz’altro Adriano Romualdi al quale, per rigore di analisi, onestà intellettuale e anche per un certo talento di scrittura, Adinolfi può essere accostato.

    Piccola parentesi personale. Mi pregio del fatto che alla mia prima Guardia d’Onore (ora disciolta…) alla tomba di Benito Mussolini, montata insieme all’Autore di cui sto trattando, io abbia scritto sul registro delle presenze: “19.3.1919 – 19.3.2004: la rivoluzione continua”. Perché – vedete – io credo che la rivoluzione fascista è una processo permanente che non ha mai cessato di marciare, nonostante la sconfitta bellico-mondiale. Dopo il 25 aprile 1945, gli inciampi, inutile nasconderlo, sono stati innumerevoli. Anzi: forse, si è più inciampato che marciato. Capirete bene, però, che quando l’intero vertice di un’Avanguardia rivoluzionaria viene annientato a Dongo; quando le subentrate seconde linee assumono una strategia da real-politik (pure giustificabile, in qualche modo…); quando un’intera generazione (a parte le debite eccezioni…) di potenziali rivoluzionari viene ridotta: a) al rango (basso…) di guardie anticomuniste; b) alla stregua di selvaggina buona per la caccia sistematica delle volanti rosse, di quelle poliziesche, dei media, della cultura cosiddetta progressista e/o istituzionale, della magistratura; quando tutto questo avviene – dicevo – il minimo che possa capitare è l’inciampo. Il massimo è la fucilazione. In media res, se non accetti di buon grado il ruolo di vittima designata, galera, esilio od ospedale non te li leva nessuno. Esserne usciti vivi ed attivi, nonostante gli inciampi, le sbandate (più o meno armate…), le tagliole e le taglie da fuorilegge poste sul capo di quella maledetta generazione post-bellica, può essere anche un titolo di merito per tutti gli eredi innocenti ed onesti del testamento di “quel domani che ci appartenne”… Se la chiesa cattolica può dire di se stessa che la sua bimillenaria storia è stata possibile per aver saputo dare all’umanità una ininterrotta serie di martiri e santi, pur con le dovute proporzioni, e con un’umiltà che non è falsa modestia, la rivoluzione fascista può vantare una catena umana di sinceri combattenti che non si è mai spezzata, (e nemmeno piegata…) nonostante tutto. È questo il tema della seconda parte del libro (“Presente”…) di Adinolfi. Ed è qui - in questa seconda parte - che Adinolfi incarna il suo se stesso in cronaca, testimone in quanto partecipe, di quella guerra di logoramento (fisica ed intellettuale…) che il mondo dei liberati (?) e giusti (?), nei memorabili anni ’70, ha imposto, con armi smisuratamente superiori, all’esercito franceschiello dei vinti, sì, ma irriducibili all’oggi (presunto…) radioso che era stato loro apparecchiato. Gabriele Adinolfi, infatti, è stato il co-fondatore, di quella esperienza assolutamente pura (senza retorica…) che fu Terza Posizione. Esperienza che si può iscrivere a tutto tondo nella linea autentica (questa sì…) che va da Piazza San Sepolcro, alla costruzione fascista dello stato sociale, alla socializzazione delle imprese nella RSI. A parte l’esperienza di Ordine Nuovo – non del tutto condivisibile dal sottoscritto – non vediamo dal dopoguerra fino a quasi i nostri giorni, altro, e altrettanto coerente, “sviluppo logico della nostra rivoluzione”.

    Questo – dicevo – fino quasi ai nostri giorni. Dico quasi perché, a mio modesto avviso, l’esperienza di Casapound, delle Onc, delle Osa, del Mutuo Sociale, della Partecipazione Sociale al Bilancio, di Polaris ha ridato qualche vigore, un certo slancio e un senso alla marcia… E, quindi, siamo se non al “Futuro” di quella “Camicia Nera” che si pronuncia nel sottotitolo del libro, almeno al suo futuro anteriore. L’Autore, com’è nel suo stile, parla chiaro. Con taglio netto e senza concessioni a chimeriche o messianiche attese per il breve tempo e per l’impazienza dei rivoluzionari stagionali, dice che bisogna lavorare, e molto, e in profondità; che non basta l’affermazione di principio dell’essere fascisti per esserlo davvero, ma che bisogna risolversi, innanzi tutto e in primo luogo, a destabilizzare ogni nostra, vera o presunta, certezza acquisita. Ché il già acquisito è in larga parte, e nemmeno tanto superficialmente, viziato dagli stessi luoghi comuni, ancorché rovesciati di segno, che le Vergini Antifasciste si sono inoculate per libera (?) scelta o per pigra accettazione di una qualche prescrizione vaccinatoria. Non basta – in altre parole – dire il contrario della vulgata antifascista per essere nel giusto. Non basta un’autoaffermata differenziazione per essere realmente agenti di una differente etica, esistenziale e politica, rispetto agli standard in uso. Il Manifesto di Polaris che conclude il libro, creatura dello stesso Autore, chiede molto e di più: non all’epoca, non alla storia, non al “teatrino della politica dei partiti”: chiede di più da ogni singolo vocato, per sua natura rivoluzionaria, a riprendere un discorso spesso malamente inciampato sui puntini sospensivi della storia. Ma mai realmente stoppato da un punto fermo…

    miro renzaglia
    da: Letteratura-Tradizione, n. 35, Dicembre 2005

  2. #2
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    ottima recensione per un ottimo libro.
    ... pensiamoci bene quando ci dichiariamo "fascisti". necessita prima serio esame di coscienza.
    qui ed ora

 

 

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