Desecretati 4677 documenti Usa sul golpe a Buenos Aires
Desaparecidos d'Argentina, la Casa Bianca sapeva
Angela Nocioni
Una sottile linea di sangue scivola fuori dal labirinto di Buenos Aires. Scorre lungo i saloni della Casa Rosada, sotto i tappeti calpestati dagli anfibi militari, attraversa i garage bui delle caserme, si infila tra le gambe spalancate nelle celle di tortura. Poi rotola lontano, oltre i posti di blocco del torrido confine brasiliano, si porta l'eco di urla strozzate oltre il vuoto della frontiera. Risale il Paranà, attraversa le terre promesse del Nord America fino ai giardini del presidente, fino al confine proibito delle sale ovali. Sguscia sotto la porta e si arrampica lenta sul legno delle scrivanie per arrotolarsi ai polsi di chi sapeva, conosceva i dettagli dell'orrore argentino e scelse di osservarlo in silenzio.
Washington sapeva. Delle retate nelle università, dei sindacalisti sequestrati all'alba, dei voli della morte benedetti dal cappellano militare, della meticolosità con cui una generazione intera finì ingoiata nei portabagagli delle Falcon. Sapeva tutto. Quattromilaseicento documenti appena desecretati dal Dipartimento di Stato lo rivelano con inequivocabile chiarezza. Le autorità statunitensi furono sistematicamente informate della guerra sporca al dissenso in Argentina. Le carte sono arrivate la settimana scorsa a Buenos Aires. Destinatario: James Walsh, ambasciatore Usa. Mittente: il Dipartimento di Stato.
Atto dovuto. Un pugno di ostinati giudici argentini e numerose organizzazioni per i diritti umani si sono appellati infinite volte alla legge di accesso all'informazione negli Usa (il Freedom of information act). La risposta è arrivata in quattro casse di fogli sottili. Tutto (quasi tutto) il golpe minuto per minuto, dal marzo del '76 alla sconfitta nelle Malvinas, fino alle elezioni libere dell'83, all'avvento del radicale Alfonsìn. Minuziose informazioni anche sugli oscuri e cruciali mesi dell'interregno di Isabelita Peron, la debolissima parvenza democratica prima del colpo di Stato, l'anteprima della tragedia. Era l'epoca dei sequestri della Triple A (Alianza Anticomunista Argentina), lo squadrone della morte fondato dal Lopez Rega. Sparivano maestri popolari, operai sindacalizzati, attivisti della Gioventù peronista, organizzazione dove il nazionalismo di Peròn si mescolava alla teoria dei fuochi di Ernesto Guevara.
In un'informativa inviata da Buenos Aires al Dipartimento di Stato in data 9 dicembre 1975, tre mesi e mezzo prima del golpe, si legge: «Le azioni della Triple A sono state e sono tuttora commesse da numerosi autori: poliziotti, squadre di fabbrica, personale dei servizi e militari ufficialmente ritirati da tempo. Alcuni agiscono per proprio conto, ad altri giungono suggerimenti, altri ancora eseguono ordini impartiti formalmente». Le squadre paiono molto efficienti sebbene «non abbiano una vera struttura gerarchica, né una rigida catena di comando». Nel dare conto di cinquanta assassinii compiuti in quattro mesi, chi scrive la nota sottolinea che nessuno porta il marchio di fabbrica della Triple A «come se i corpi dei morti fossero stati carbonizzati o fatti cremare».
Primavera 1977. Washington chiede lumi sullo stato della dissidenza interna. Dalla sua ambasciata arriva una "Relazione sulla situazione sovversiva". «Le bande marxiste sono al momento in ritirata e le forze del gruppo Montonero sono state debilitate». L'informativa si sofferma sulle attività dei «fronti sindacale, politico e studentesco» avvertendo che molti dirigenti sono riusciti a rifugiarsi all'estero.
Estate 1978. Il golpe che ha spalancato agli appetiti liberisti le porte di un paese tanto ricco di materie prime da aver potuto cullare il sogno dell'autarchia è già costato migliaia di morti, ma l'Argentina ospita i mondiali di calcio. Quella, e solo quella, è la notizia. L'Europa, beata, guarda in tv le meraviglie della sua Parigi australe, stadi affollati e marciapiedi deserti. A un mese dall'inizio della prima partita un memorandum riservato dell'ambasciata americana segnala che «torture fisiche continuano ad essere regolarmente utilizzate durante gli interrogatori delle persone sospette». Le stanze segrete dei campi di detenzione clandestini sono descritte con precisione, le tecniche di tortura pure. «Scariche elettriche, il "sottomarino" (immersioni in vasche di acqua gelida) iniezioni di sodio pentotal e il "telefono" (colpo simultaneo ad entrambe le orecchie dato con le mani chiuse a pugno)».
Altro informe. Due anni dopo. «Il governo argentino riconosce approssimativamente 3400 prigionieri, detenuti a disposizione del potere esecutivo nazionale. Arresti e sparizioni continuano, sebbene in misura minore rispetto agli scorsi anni». Un agente che opera con il nome di Jorge Contreras offre una mappa dettagliatissima di tutti i campi di prigionia clandestini e descrive l'organizzazione dell'apparato di spionaggio. Spiega il delicato ruolo svolto dal Batallòn de Inteligencia 601 nel coordinare le operazioni segrete tra l'esercito, la forza aerea e la polizia. Si mostra informatissimo sugli ultimi giorni di numerosi desaparecidos, anche di quelli sfuggiti all'arresto e fatti rapire in Brasile secondo le disposizioni del Plan Condor.
Ora Buenos Aires legge sui suoi giornali la sceneggiatura privata del golpe, la lettera del marzo 1976 con cui Washington definisce «moderato» il generale Videla, quella con cui un mese dopo si rallegra per «il miglior colpo di stato della storia argentina» appuntando a margine «non siamo stati accusati di essere dietro al golpe e speriamo continui così. Essere identificati con la giunta non converrebbe né a noi né a loro. Per il futuro dell'Argentina c'è da augurarsi il pieno successo del governo Videla. Ha la possibilità di tenere unito il Paese, fermare il terrorismo e mettere in marcia l'economia. Ci ha promesso di risolvere rapidamente molti dei nostri problemi di investimento che riguardano Exxon, Chase Manhattan e Standard Electric». Buenos Aires legge oggi senza sgomento, già sa. Legge distratta. Forse non legge nemmeno impegnata com'è a rovistare nei cassonetti, a non morire di fame. Galleggia con la solita meravigliata tristezza nel tenue inferno di un orrore nuovo, senza militari nei saloni della presidenza, senza campi di prigionia. Cercando i dollari e i documenti per volare oltre il confine. Verso l'Europa o verso nord. A cercare un lavoro senza contratto fuori dal labirinto. A casa dei padroni dell'incubo.
Liberazione 22 agosto 2002
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