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    2005: Zapatero, il personaggio nuovo della sinistra

    di Aldo Garzia

    José Luis Rodríguez Zapatero è alla guida della Spagna da appena un anno e mezzo, ma è già diventato un fenomeno politico che studiano in tanti. Alcuni per capire se nelle sue scelte, nella sua cultura e nel suo metodo di governo c’è qualcosa da imparare per rivitalizzare il socialismo europeo. Altri, è il caso di gran parte della sinistra italiana, per continuare a fare l’opposto in nome della moderazione e della conquista dell’agognato “centro”. Non deve apparire preconcetto il riferimento all’Italia, perché si basa su una semplice constatazione: in un anno e mezzo non c’è stato centro studi o fondazione del centrosinistra che abbia discusso pubblicamente del “caso spagnolo”, e altrettanto hanno fatto i Ds, che pure appartengono alla stessa famiglia politica di Zapatero del Partito del socialismo europeo e dell’Internazionale socialista. Eppure la vicenda spagnola ha tutte le carte in regola per essere passata al microscopio, visto l’affanno dei socialisti francesi, dei socialdemocratici tedeschi e dell’intera sinistra europea.

    "Siamo tutti cittadini"

    Proviamo a capire cosa fa paura del leader spagnolo. In questo momento Madrid non gode di buoni rapporti con due potenze mondiali: gli Stati Uniti e il Vaticano. A Washington non è andato giù il modo con cui Zapatero, in coerenza con il suo programma elettorale, ha richiamato in patria le truppe spagnole dall’Iraq: lo ha fatto come primo atto di governo, appena insediatosi nell’aprile 2004. Presso la Santa sede, che pure dovrebbe apprezzare la contrarietà alla guerra di Madrid, si grida allo scandalo per alcune riforme che hanno esteso i diritti civili: divorzio più rapido, migliore regolamentazione dell’aborto e soprattutto via libera alle coppie omosessuali che intendono sposarsi e adottare bambini. Ma a queste riforme vanno aggiunte quelle contro la violenza di genere, l’aumento dei salari sociali minimi, il rafforzamento della scuola pubblica, il riassetto del sistema radiotelevisivo (autonomia dal governo del servizio pubblico, nuove opportunità per l’emittenza privata) e l’avvio di una riscrittura della Costituzione da cui potrebbe scomparire la parola “guerra”, dando solo alle Nazioni Unite il compito di intervenire militarmente in conflitti internazionali.
    [B]Zapatero, è bene precisarlo subito, non è un pericoloso estremista. La sua cultura di riferimento è quella di un filone del liberalismo di sinistra che ha cercato di ripensare se stesso per rispondere alla crisi del vincolo interno indotta dalla globalizzazione e dall’accelerazione dei processi di integrazione economica su scala europea. [/B](imparate rinkoglioniti italici!) Nei discorsi e negli scritti del premier spagnolo non ci sono riferimenti né al marxismo né alla tradizione classica della socialdemocrazia. (ed è 100 volte piu' di Sinistra dei ds o di qualsiasi rifognista italico!)Anzi, in qualche occasione, lui stesso ha proposto che sarebbe meglio invertire quella dizione storica per parlare di “democrazia sociale”. In più, si definisce un “libertario” per recuperare parte della tradizione di sinistra che non si riconosce appieno nel Psoe (il Partito socialista spagnolo).
    I riferimenti teorici di Zapatero sono Habermas, Rawls e soprattutto Philip Pettit, un professore di scienze sociali che si divide tra l’Università di Camberra in Australia e la Columbia university di New York. Con Pettit, il premier di Madrid ha tenuto nel 2004 anche un dibattito pubblico che si è concluso con un impegno: “Professore, lei deve tornare in Spagna tra quattro anni. Così potrà constatare di persona quanto del nostro programma è stato realizzato”.
    Pettit è uno studioso del “repubblicanesimo”, delle moderne teorie della cittadinanza e della libertà. Nei suoi libri cerca di indagare le forme contemporanee del potere ponendosi il problema di come i singoli possano ridurre il peso dello Stato e dello stesso potere nella loro vita quotidiana. Partendo dalla Rivoluzione francese del 1789, questo filosofo della politica ha ricette semplici: trasparenza di tutti gli atti di governo, crescita della consapevolezza dei cittadini attraverso l’acquisizione di nuovi diritti e l’accrescimento della loro cultura, partecipazione attiva ai fatti salienti della politica (il suo "Repubblicanesimo. Una teoria della libertà e del governo" è stato tradotto in Italia da Feltrinelli nel 2000 ma è passato quasi inosservato). Rompendo con la tradizione marxista abituata a ragionare sull’omogeneità dei gruppi sociali e criticando il liberalismo economico che per lui è fonte di nuove disuguaglianze, Pettit recupera il liberalismo politico sostenendo che la chiave dell’eguaglianza delle società moderne è l’estensione e il rafforzamento della democrazia politica.
    Queste teorie calzano a pennello nella Spagna del 2005 che deve coniugare la modernizzazione economica che continua a passi da gigante con l’estensione dei processi di democratizzazione (il governo Zapatero ha lanciato di recente un progetto di opere pubbliche per i prossimi quindici anni che dovrebbe far fare un salto ulteriore alla penisola iberica in materia di infrastrutture e collegamenti ferroviari). Ormai è buona abitudine riconoscere ai governi socialisti di Felipe González il merito di aver portato la Spagna a rapporto con l’Europa e di aver gestito sapientemente la prima fase della transizione democratica al prezzo di un eccesso di mano libera al mercato, mentre a Zapatero si affida il compito di rinnovare la politica e la società facendo i conti anche con la memoria di ciò che ha significato la dittatura quarantennale di Francisco Franco. Di qui la scelta, dopo una risoluzione del Parlamento, di procedere all’abbattimento delle statue del caudillo e di riconoscere, anche per legge, i diritti di coloro che sono stati perseguitati nel corso della guerra civile (1936-1939) e dopo.

    Il dire e il fare

    Le scelte di governo di Zapatero sono all’insegna della coerenza tra i programmi e le decisioni. Per il premier spagnolo, l’etica della politica – l’unica risorsa in grado di superare il disincanto e l’astensionismo nelle società a capitalismo maturo – risiede nel fare quello che si è detto. Per lui, sono i principi (da noi si direbbe profilo identitario e programma) a contare davvero nella pratica di governo. Ecco perché Zapatero ha fiducia che la società spagnola possa seguirlo nella sua intenzione di rafforzare lo Stato laico e l’uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzione tra uomini e donne, orientamento religioso e sessuale.
    La politica di questo giovane leader socialista di appena quarantacinque anni ha puntato finora a fare riforme a costo zero. Ha preferito intervenire sui simboli e sull’immaginario, dando impulso a tutto ciò che dà coerenza ai comportamenti di governo e all’estensione dei diritti di cittadinanza (dalla scelta di comporre la compagine di governo con metà donne e metà uomini fino a considerare le coppie omosessuali per quello che sono in realtà). Zapatero è però consapevole che la grande contraddizione economica della Spagna risiede nell’eccesso di precarietà del mercato del lavoro (il 31 per cento del totale) e ha annunciato per l’autunno alcuni provvedimenti che dovrebbero ridurlo soprattutto nelle fasce giovanili. Ma sa pure che i margini economici d’azione a livello del vincolo nazionale sono molto ristretti nell’epoca dell’euro, dell’internazionalizzazione dei mercati e della globalizzazione.
    Quello dell’economia è certamente il suo tallone d’Achille, insieme al problema della riforma dello Stato delle autonomie. La ricca Catalogna e il Paese basco chiedono più ampi margini di autonomia, ai limiti della secessione, in materia fiscale e politica. Il governo di Zapatero non ha la maggioranza assoluta in Parlamento e si regge, oltre che sulla manciata di voti di Izquierda unida, sul consenso di alcuni gruppi nazionalisti (tra questi, quello catalano) che stanno alzando il prezzo del loro appoggio. E il premier ha una linea del Piave che non può oltrepassare: la riforma deve accentuare l’autonomia delle regioni ridisegnandone la politica fiscale ma non può avviare la disgregazione dello Stato nazionale. Su questo punto la mediazione è difficile, non impossibile. Le ultime elezioni regionali in Galizia hanno mandato finalmente in pensione l’ex franchista Manuel Fraga e ora i socialisti governano anche lì insieme ai nazionalisti "gallegos", come fanno a Barcellona con quelli catalani dopo vent’anni in cui erano all’opposizione.
    L’altro problema è il Psoe. Finora Zapatero è stato l’uomo nuovo del socialismo iberico capace di imprimere fin dal 2000, anno in cui è stato eletto a sorpresa segretario, un ricambio generazionale nel partito che si è rivelato l’arma del suo successo nelle elezioni politiche del 2004 (i sondaggi lo davano testa a testa con i popolari di José Maria Aznar, poi sono arrivate le bombe di Al Qaeda dell’11 marzo e il tentativo del governo di allora di addossarne la responsabilità agli indipendentisti baschi dell’Eta). Ora, consolidata l’esperienza del ritorno al governo, la vecchia generazione socialista chiede più spazio e si mostra insofferente nei confronti di chi – dalla scelta dei ministri, quasi tutti coetanei o addirittura più giovani di Zapatero, a quella delle personalità chiave della politica del Psoe – con un tratto di penna li ha collocati in seconda o terza fila. A guidare questa insofferenza ci pensa Alfonso Guerra, ex vice premier di González, personaggio chiave della prima transizione democratica, che non perde occasione per criticare alcuni aspetti della politica di Zapatero (per esempio, la riforma costituzionale).

    Qualche nube

    Oltre a qualche nube nella politica interna, è anche la crisi del processo di unità politica europea a creare più di un grattacapo a Zapatero. Il premier di Madrid si era molto speso sulla ratifica del Trattato di Costituzione (la Spagna ha tenuto un referendum dove hanno vinto i “sì”, a differenza di quanto è accaduto in Francia e Olanda). Ora deve prendere atto che bene che vada ci sarà uno stop temporaneo dei processi di maggiore integrazione europea, il che ridà fiato alla destra del Partito popolare di Mariano Rajoy, l’erede di Aznar, che usa tutte le opportunità per schierarsi con chi resiste alla politica di Zapatero (la Chiesa cattolica, i contrari a ogni riforma costituzionale) e segnala la propria freddezza nei confronti della prospettiva di un’Europa unita politicamente.
    Ma che il giovane premier di Madrid abbia una caratura da leader internazionale lo dimostra la recente decisione delle Nazioni Unite di appoggiare la sua proposta di una collaborazione tra civiltà diverse ("Alianza de civilizaciones"), che lui stesso aveva avanzato insieme al primo ministro della Turchia intervenendo nel settembre del 2004 all’Assemblea generale dell’Onu. Per sconfiggere il terrorismo fondamentalista, aveva detto in quell’occasione, la strada sbagliata è quella della guerra di religione e del non riconoscimento delle diversità di altre culture. Per Zapatero, solo un concreto programma internazionale in grado di far avanzare la pace e la giustizia a Nord e a Sud del pianeta può ridurre l’acqua in cui nuota il nuovo terrorismo che dopo aver colpito New York e Washington, ha preso di mira il cuore dell’Europa con le bombe di Madrid e Londra. Tocca di conseguenza a Kofi Annan, segretario generale dell’Onu, creare nelle prossime settimane un gruppo di esperti che avanzi proposte concrete per porre fine al deterioramento delle relazioni tra popoli e nazioni appartenenti a differenti culture (la prima riunione si terrà a Madrid entro il prossimo ottobre). Per quanto riguarda la Spagna, si tratta del più ampio riconoscimento del suo ruolo internazionale da quando – nel 1955 – ha aderito all’Onu. È un altro successo targato Zapatero.
    C’è solo una conclusione da trarre da questi appunti. Se la politica della nuova Spagna ci dà tutti questi spunti di riflessione, è ancora più paradossale il silenzio del centrosinistra italiano (e della sinistra in particolare) su quanto accade a Madrid. Non si tratta ovviamente di copiare qualcosa o qualcuno, bensì di discuterne. Chissà, prima o poi, che non avvenga.

  2. #2
    destracristiana
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    Zapatero è il concentrato, finora era impossibile prevederlo, di tutti i mali del mondo.

  3. #3
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    Zapatero può metterci d'accordo.

  4. #4
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    Citazione Originariamente Scritto da destracristiana
    Zapatero è il concentrato, finora era impossibile prevederlo, di tutti i mali del mondo.
    adesso che hai detto la tua siamo a posto fino a sera
    Zapatero è un grande. socialista e liberale

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    Ecco qua....2 belle patenti in 2 post....uno dall'estrema destra cattobigotta e uno dalla falsa Sinistra liberista e confusa.

    Avete proprio colto lo spirito dell'articolo!

  6. #6
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    Purtroppo Zapatero in Italia ce lo possiamo solo sognare, ahimè. Non vedo Zapateri in giro da nessuna parte.

  7. #7
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    concordo con bsviglia e il dramma è che non avremo mai.

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da bsiviglia
    Purtroppo Zapatero in Italia ce lo possiamo solo sognare, ahimè. Non vedo Zapateri in giro da nessuna parte.

    A vabbe' se il centro della politica italiana sono i dalemasauri e i bosellosauri e i bevitori di piscio questa frase appare piu' ke scontata!

  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da asti_sinistra
    A vabbe' se il centro della politica italiana sono i dalemasauri e i bosellosauri e i bevitori di piscio questa frase appare piu' ke scontata!
    o forse che i comunisti italiani hanno sempre preferito il dialogo con i cattolici rispetto ai laici e socialisti? art. 7 docet

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da willy
    o forse che i comunisti italiani hanno sempre preferito il dialogo con i cattolici rispetto ai laici e socialisti? art. 7 docet

    Continui a non commentare l'articolo.....

 

 
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